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Autore: Seekerofdreams_    17/09/2016    1 recensioni
Anne è una ragazza piena di ambizioni e sogni, si trasferisce a Manchester per raggiungere suo fratello e continuare gli studi per diventare una stilista di successo. Si tiene a distanza di sicurezza dall'amore e dai coinvolgimenti emotivi che potrebbero intralciare il suo cammino e tutto sembra andare per il verso giusto: frequenta le lezioni tutti i giorni, conosce nuove persone e instaura amicizie che è sicura dureranno in eterno. Si sente al pieno delle sue forze, lavora duramente, ma ben presto si ritroverà a fare i conti con il suo cuore e con il rapporto con il coinquilino di suo fratello. Imparerà che le tragedie possono accadere, che alla vita non importa quanti anni tu abbia o quali siano i tuoi sogni per colpire, bisogna essere grati per quel che si ha ogni giorno. Imparerà soprattutto che conta il modo in cui decidi di alzarti e intraprendere una nuova strada per far si che si possa ricominciare a vivere la vita in un modo completamente diverso senza dover rinunciare a niente.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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“Le cose migliori e più belle della vita non possono essere nè viste nè toccate.
Devono essere sentite con il cuore.”
Helen Keller

 

*

 

Lascio che l'aria fresca, proveniente dalla porta finestra lasciata aperta, mi accarezzi il viso. Tyler mi guarda in attesa, seduto sul divano con la sua aria compiaciuta. Dev'essere felice di avermi teso una trappola e di vedermi in difficoltà. Mi sento costretta come un topo in gabbia a dover parlare con lui. Non ho mai amato i discorsi troppo seri, qualcuno la chiama immaturità, io penso che sia difesa personale. Scendere a patti con i propri pensieri spaventa tutti. È facile suggerire agli altri di seguire il proprio cuore o quale sia la mossa giusta da fare, ma nessuno è così critico quando si parla di se stesso. Raccolgo i capelli in una crocchia e mi faccio aria con una rivista di Caitlin abbandonata sul tavolo. Sento caldo, forse più di quello che in realtà percepirei in una situazione di calma. Faccio qualche passo avanti e indietro nella stanza, senza fiatare e aspetto che sia lui a parlare per primo, ma non dà segno di voler iniziare una discussione. I suoi occhi mi seguono attenti, in attesa di un mio segno, di una mia parola.
Sbuffo, cercando di regolarizzare il respiro prima di voltarmi verso di lui e lo vedo strofinare le mani nervosamente sui jeans. Fa presa sulle ginocchia per alzarsi, indietreggio di riflesso e lui scuote la testa per poi indicare la porta finestra e dirigersi verso di essa sconfitto.
Chiudo gli occhi prima di intimarlo a stare fermo. Mi dà le spalle, ma lo vedo rilassarsi.
“Non vuoi che me ne vada però non vuoi parlarmi.”
Il suo tono di voce è giocoso, ma il tremolio della voce lo tradisce. Prendo il pacchetto di caramelle abbandonato sul tavolo e lo apro prima di fare qualche passo verso di lui e offrigliene una. Mi guarda circospetto, poi scuote la testa sorridendo e ne afferra una.
“Certo che sei strana!”
“Non sei il primo che me lo dice.”
Prendo una caramella anche io, nonostante il dolore ai denti, e lascio che il sapore dolciastro di fragola invada il mio palato. Il problema delle caramelle gommose è proprio il non sapere come resistere. Una tira l'altra e in una manciata di minuti ci si ritrova già a metà pacchetto. Mi impongo di darmi una regolata e seguo Tyler verso la sua stanza quando mi invita a sentirlo suonare. Non sembra intenzionato a parlare della sua vita e da un lato mi sento sollevata. Dall'altra parte, una piccola zona del mio cervello freme per sapere. A scuola, di solito, mi ritrovavo in classi piene di ragazzi e crescendo insieme a loro e agli amici di mio fratello, piano piano ho imparato a capire i loro ragionamenti. “Le ragazze sono strane.” Lo ripetevano spesso e da un lato, alcune volte, li capisco. Siamo perennemente indecise; vogliamo sapere una cosa, ma allo stesso tempo non ne vogliamo sentire parlare. Forse è questa la grande bellezza di essere una donna, la straordinaria imprevedibilità con il quale affrontiamo una giornata.
“Vedo gli ingranaggi del tuo cervello muoversi, a cosa stai pensando?”
Presto attenzione a quello che mi ha chiesto, ma rimango a fissarlo. È in piedi, accanto alla scrivania. La coscia destra, muscolosa, messa in risalto dalla posizione. Ha una gamba appoggiata alla sedia mentre strimpella le corde del violino per accordarlo. Non sembra un tipo da palestra e nella sua stanza non è visibile nessun attrezzo, eppure ha un corpo tonico e proporzionato. Il petto grande quel tanto che basta per contenermi in un abbraccio.
“Fai sport?”
Mi guarda inarcando un sopracciglio. “Non a livello agonistico. Corro qualche volta, nell'ultimo periodo ho trascurato un po' questo aspetto, ma conto di ricominciare presto.”
Annuisco e mi siedo in attesa di ascoltarlo. Porto le gambe al petto e poggio il mento sulle ginocchia. Le mani di Tyler sfiorano con delicatezza lo strumento, sembra un momento così intimo che sento la necessità di spostare lo sguardo altrove. Una musica malinconica invade la stanza risuonando tra le pareti. Va trasformandosi nota dopo nota, diventando travolgente ed energica. Chiudo gli occhi lasciandomi pervadere dal senso di benessere che la melodia mi regala. Suona su una base musicale di altri strumenti, riconosco il suono della batteria, una chitarra. Dà dei colpetti al violino producendo un suono sordo per poi dare due stoccate con l'archetto e ricominciare quello che sembra un ritornello.
Apro gli occhi osservando il suo volto concentrato e per la prima volta da quando l'ho conosciuto, mi sforzo di osservarlo davvero. Le ciglia lunghe gli sfiorano gli zigomi alti e quando accenna un sorriso, un'adorabile fossetta fa capolino sulla guancia sinistra.
La musica si interrompe inaspettatamente e mi ritrovo a guardare mio fratello, fermo sulla porta della stanza di Ty, con un sopracciglio inarcato. Non ho sentito nessuno bussare, troppo coinvolta dalla musica.
“Ehm. Tu che ci fai qui?” chiede con tono indagatore. Sbatto più volte le palpebre colta alla sprovvista e sorrido nervosa. Che ci faccio qui? Bella domanda!
“Voleva sentire un mio pezzo per sincerarsi delle mie capacità, sai com'è fatta tua sorella!”
Vorrei strozzarlo. Lo guardo già pronta per rispondergli piccata, ma senza farsi notare mi fa l'occhiolino e invece di dire qualcosa di acido, finisco per arrossire. Tossisco mettendomi in piedi e mantengo il suo gioco, Chris non sa che ho sentito suonare Tyler in una giornata di pioggia e mi ritrovo improvvisamente a chiedermi perché sto tenendo nascosta una cosa simile a mio fratello. Non c'è niente di male, eppure ho come l'impressione che non capirebbe.
“Beh, non è male.” Scrollo le spalle raggiungendo Chris e lascio un bacio sulla sua guancia. Mi circonda la vita con un braccio trascinandomi in un mezzo abbraccio, scoppiando a ridere.
“Sei un caso disperato Annette, Ty è bravissimo!”
Si beh, l'avevo capito da sola, grazie. Mi limito ad annuire con sufficienza e lo seguo in cucina voltandomi, di nascosto, per sorridere a Tyler. Accenna un sorriso in risposta prima di riportare l'attenzione sul suo strumento.
“Ti direi di rimanere a cena, ma esco con Matt e un paio di amici. Ti va di unirti a noi?”
Mi appoggio con la schiena al frigorifero e nego con la testa. “No, grazie. Verrei solo per stare con Matt, ma dovrei subirmi anche i tuoi amici cerebrolesi quindi non se ne fa niente.”
“E dai! Non sono così male come pensi!”
“No, ovviamente. Tutto fumo e niente arrosto. A me piace la carne, dovresti saperlo fratellone!”
Alza gli occhi al cielo e sistema il ciuffo di capelli biondi con una mano. L'accenno di barba gli dona un'aria vissuta. Sembra un uomo in carriera, più grande dell'età che ha. Nell'ultimo periodo è cresciuto così tanto da non sembrarmi vero. Deve aver preso lui tutta l'altezza perché mi supera di almeno quindici centimetri, le sue gambe sono toniche e allenate, mentre le mie potrebbero decisamente andare meglio.
“Che c'è? Perché mi fissi?”
“Tzè, perché a me è toccato il seno piccolo e la fame e a te il sedere bello e la forza di volontà?”
Scoppia a ridere circondandomi il collo con le braccia per scompigliarmi i capelli. Gli intimo di lasciarmi andare, alzando il tono di voce, ma lui insiste risucchiandomi in un abbraccio fraterno. Mi lascio coccolare da lui prima che la sua presa diventi sempre più forte.
“Non respiro!” Lo sento ridere così stringo tra le mani una porzione di pelle dai suoi fianchi e quando si allontana con un urlo alzo le braccia vittoriosa.
“Non cambi mai.”
“Ed è una cosa bella?”
“Assolutamente si.” Mi guarda compiaciuto e io faccio una faccia buffa.
Lascio che si prepari per la serata, vorrei salutare Matt, ma a quanto pare è ancora in aula studio. Mi accompagna alla porta e dopo un secondo di esitazione mi rendo conto di non avere le chiavi con me. Balbetto qualcosa di inspiegabile, indicando la porta della stanza di Tyler.
“Devo averle lasciate lì!” dico scansandolo e cercando di formulare una scusa.
Busso forte, agitata. “Avanti.”
“Ehm, dunque. Le chiavi di casa, devo averle lasciate da qualche parte.” Chris è alla mie spalle, così ne approfitto per cercare aiuto con lo sguardo. Ty si alza dal letto, a piedi scalzi, e raggiunge la scrivania sventolando il mio mazzo di chiavi come se niente fosse. Mi lascio andare ad un sospiro di sollievo e le stringo tra le mani.
“Vado allora, si... ciao.”
Do una pacca sulla spalla a Chris e lui mi sorride prima di chiudere la porta del suo appartamento. Una volta sul pianerottolo mi schiaffeggio da sola. C'è mancato poco! Faccio scattare la serratura e una volta in casa mi avvio verso il balcone. Mi assicuro che mio fratello non sia più in camera di Ty e mi affaccio nella stanza. È appoggiato, a braccia conserte, allo stipite della porta finestra. Mi rilasso chiudendo gli occhi e scoppio a ridere.
“Grazie!”
“Fidati, l'ho fatto più per la mia incolumità.”
“Perché fai una cosa bella e la devi rovinare parlando?”
Alzo gli occhi al cielo e lui mi imita spingendomi verso la parte del balcone che spetta al mio appartamento. “Intanto non parlare ad alta voce e poi, che ne dici di mangiare con me questa sera?”
Guardo il suo viso sorpresa dalla sua richiesta. Deve leggere l'insicurezza sul mio viso, perché alza le mani in segno di resa.
“Giuro di non avere cattive intenzioni. So che hai detto di non voler uscire, ma hai specificato di non volerlo fare con gli amici di Chris. Tra parentesi, sono antipatici anche a me!”
“Beh, almeno su questo siamo d'accordo. E dove vorresti andare?”
Accenna un sorriso e sposta la mano destra a sfiorarsi la spalla opposta. Accarezza quella porzione di pelle come se fosse vitale e mi guarda negli occhi, prima di serrare le palpebre.
“Alcune volte capita di dover perdere tutto per imparare ad apprezzare quello che abbiamo. Piano piano sto riuscendo ad andare avanti, ma da solo non ce l'avrei mai fatta. Io...”, tossisce prima di riprendere a parlare. “Sto frequentando un gruppo di recupero, degli incontri con uno specialista... so che non ti va di parlarne, ma dovrai solo ascoltare poi possiamo andare a mangiare.”
Sembra in difficoltà mentre parla e non riesco nemmeno ad immaginare quanto gli sia costato chiedermi di accompagnarlo, ma perché vuole portare proprio me?
“Chris non lo sa?” Nega in risposta e io mi ritrovo ad accettare l'invito quasi inconsciamente. Mi regala un sorriso dolce, prima di sfiorarmi i capelli con la mano sinistra e darmi appuntamento tra mezz'ora.
“Cosa diremo a mio fratello?”
“Usciremo esattamente due minuto dopo di loro.”


**

“Di sicuro non potresti fare il ladro di professione!”
“E infatti non ne ho la minima intenzione!”
Mi guardo attorno mentre lasciamo il condominio, spaventata all'idea di essere visti da Chris. Non mi preoccupa farmi vedere con Tyler, non stiamo facendo niente di male, ma ho mentito poche volte a mio fratello e nemmeno una è andata a finire bene. Affretto il passo e affianco Ty. Camminiamo lungo la strada in silenzio, lui sembra in imbarazzo e io sono un fascio di nervi. La strada è illuminata dai lampioni e dalle flebili luci provenienti dalle palazzine intorno a noi. Non so cosa aspettarmi e non mi piace non sapere. Giriamo a destra, raggiungendo una piazza dalle modeste dimensioni. Ci lasciamo alle spalle la scalinata imponente di una Chiesa ed entriamo in una porta che non avrei mai notato in una passeggiata normale. È di un legno vecchio e scorticato, entrando passo un dito sulle schegge rischiando di tagliarmi. Il pavimento è di marmo e le pareti sono piene di manifesti affissi uno sull'altro su gruppi di recupero di vario genere; serate di discussione; incontri con specialisti. Ci sono due porte e un lungo corridoio da cui si intravedono almeno altre cinque stanze. Tyler saluta una donna seduta dietro il vetro di una segreteria. Ride con lei, ma non capisco cosa stanno dicendo, la mia attenzione viene catturata da una delle porte. È semi chiusa e questo mi permette di intravedere un uomo tremare. Sembra scosso da brividi di freddo continui. È esile, la giacca che indossa dev'essere di almeno due taglie in più rispetto alla sua, sembra malato e instabile. Un altro uomo, più paffuto e vestito diligentemente oscura la mia visuale, incrocia il mio sguardo e dopo qualche secondo si appresta a chiudere la porta. Sento improvvisamente freddo anche io e vorrei non aver seguito Tyler in questo posto.
“Ehi? Tutto bene?” Sobbalzo spaventata quando una mano mi sfiora una spalla. Un ragazzo mi guarda con aria preoccupata. Ha ancora la mano sulla mia spalla, sono sicura che se stringesse un po' riuscirebbe a rompermi le ossa. Il suo fisico è possente e la maglia nera che indossa mette in risalto il frutto di allenamenti duri. Ha dei capelli castano chiaro e la barba incornicia il suo viso donandogli un'aria vissuta. I suoi occhi, al contrario, stonano con il suo fisico. Non sono né marroni, né verdi. Sono una sfumatura di entrambi talmente tanto particolari da diventare ipnotici. Abbasso le spalle e coglie al volo le mie intenzioni perché ritira la mano, parandola poi tra di noi. “Io sono Ed, tu sei?”
“Lei è Anne.”
A rispondere è Tyler. Mi raggiunge affiancandomi e appoggiando una mano alla base della mia schiena. Alzo lo sguardo verso di lui e mi sembra rilassato e a suo agio. “È una mia amica, l'ho portata con me, ad ascoltare.”
“Lei era d'accordo?” Ride osservandomi e mi ritrovo a rannicchiarmi, la presa di Ty si fortifica sulla mia schiena lasciandomi poi una carezza. Ed si allontana dopo aver alzato le sopracciglia e io torno a respirare.
“Dove le hai lasciate le tue battutine acide?” Ty mi guarda aprendo le braccia e io sbuffo.
“Le riservo solo a te, contento?” Improvviso un sorriso e lui alza gli occhi al cielo.
“Scusa.” Guardo in direzione del corridoio, dove Ed è scomparso e scuoto la testa. “Non sono riuscita a rispondere, il suo sguardo mette soggezione!”
“Oh, tranquilla. Lo so bene, ma è un grande amico.”
“Ah, voi due siete amici?” chiedo sarcastica.
Annuisce facendomi strada proprio verso il corridoio. Non posso credere alle sue parole. Non sembrano due persone che potrebbero anche lontanamente andare d'accordo.
“Se lo dici tu.”
“In realtà mi ricorda te.”
Spalanco gli occhi guardandolo, in cerca di una spiegazione che non arriva. Sorride sornione entrando poi in una stanza. Sembra l'aula di una scuola. Le finestre lungo tutta la parete, una lavagna e una cattedra. L'unica differenza è la disposizione dei banchi in cerchio. Alcuni sono già occupati. Seguo Tyler verso il banco, si accomoda e mi fa segno di prendere una sedia tra quelle affiancate al muro e di sedermi accanto a lui, ma di qualche centimetro dietro rispetto al banco.
“I banchi sono per le persone che parlano. Chi accompagna può sedersi accanto a noi, ma leggermente indietro, in modo che chi gestisce la serata sappia esattamente a chi rivolgersi.”
Lo ascolto attentamente e faccio come dice. Posiziono la sedia in modo da non intralciare né lui, né chi si siederà nel banco accanto. C'è chi parla sotto voce, chi con un tono più alto. Le luci sono troppo chiare e donano un'aria fredda alla stanza. Sento uno strano senso di inquietudine addosso, stringo forte il manico della borsa e picchietto il piede a terra, in attesa. Alzo gli occhi quando un uomo sulla trentina fa il suo ingresso in aula. Cammina deciso verso il centro del cerchio, con i suoi capelli quasi completamente rasati, le spalle dritte e una penna tra le mani. Cerco di studiare il suo viso, è costernato di nei sulla parte destra mentre sul lato sinistro ne appaiono ben pochi. Quando si ferma, si zittiscono tutti. Ci sono altri accompagnatori nella stanza e cerco di capire il loro stato d'animo, ma non ne traggo beneficio. Sembrano tutti nelle mie condizioni, agitati e spaesati. Sposto lo sguardo e Ed, dall'altra parte esatta del cerchio, mi sorride.
“Potresti smetterla di incoraggiarlo?”
“Io non sto facendo niente!” Guardo Ty stralunata, ma lui scuote semplicemente la testa riportando la sua attenzione sull'uomo che ha iniziato a parlare.
“Bentornati ai volti conosciuti e benvenuti a voi che siete qui per la prima volta. Qualcuno è qui come accompagnatore, come sostegno forse, mentre altri sono arrivati fin qui dopo un duro percorso. Mi è stato chiesto di spiegare in grandi linee cosa facciamo qui. Si, lo so John, ti annoiano questi discorsi, ma devi restare seduto!” dice rivolgendosi ad un ragazzo in procinto di alzarsi.
“Oh andiamo, lo sappiamo tutti cosa facciamo qui, non c'è bisogno di ripeterlo.”
L'uomo al centro sospira, sembra abituato a vivere situazioni del genere. Sposta il peso sul piede destro e torna a parlare mentre gira piano su se stesso in modo da avere contatto visivo con tutti i presenti.
“Siamo qui perché più o meno tutti in questa stanza abbiamo perso una persona cara. È la seconda seduta del secondo ciclo di incontri. Non mandiamo in frantumi tutto quello che abbiamo imparato, tutto quello che siamo riusciti ad affrontare insieme. Il gruppo è diviso in tre fasi da sette sedute l'una, la prima fase, quella che voi avete già affrontato, è paradossalmente la più facile di tutte. Siete arrivati qui in cerca di aiuto per affrontare il vostro lutto e noi ve l'abbiamo dato. Avete trovato realtà come la vostra, forse peggiori, ma siamo andati avanti. Che il tempo aggiusta le cose, in parte è vero, in parte è una grandissima balla. Il dolore non diminuisce, forse aumenta. C'è un momento in cui inizierete a dimenticare il volto, la voce, delle persone che avete perso e allora si che soffrirete, cercherete di afferrare quel briciolo di ricordo rimasto e combatterete contro voi stessi per trattenerlo.”
“E allora che ci stiamo a fare qui?” È sempre John a parlare, la sua domanda mi sembra lecita e mi giro incuriosita verso il centro del cerchio.
“Siamo qui per imparare a conviverci. Il dolore, come qualsiasi altra emozione, va vissuto pienamente.”
“Cazzate!”
“Pensi che sei il solo a soffrire in questa stanza? Chaterine ha perso suo figlio in un incidente stradale, Liv suo padre, Aria la sua famiglia in un incendio. Perché dovresti essere tu a soffrire più di tutti?”
John chiude gli occhi e il suo viso giovane sembra così stanco. Sembra più piccolo di me, la barba è appena accennata e la pelle è perfettamente liscia. Mi appunto di dover chiedere la sua storia a Tyler, ma non devo aspettare molto per ottenere una risposta ai miei dubbi.
“Sua madre era una prostituta e l'hanno ammazzata.” Tyler parla con un tono basso e crudo.
“Oh.” Non so come si risponde in queste circostanze così mi limito a restare in silenzio.
“Hai ragione Dylan, mi dispiace, oggi è l'anniversario della sua morte e mi sono lasciato sopraffare.”
L'uomo al centro, Dylan, si sposta verso John e appoggia una mano sulla sua. “Noi siamo qui per te.” Il suo modo di parlare è così intenso che sento gli occhi pizzicare. Riempio d'aria le guance e cerco di trattenere le lacrime per non fare la figura di una ragazzina emotivamente instabile.
“Bene, la scorsa settimana abbiamo sentito l'evolversi delle storie di metà dei presenti, oggi tocca ai rimanenti. Elen, Ian, Vincent, Marie, Ed e Tyler. Chi vuole cominciare?”
Sento il cuore rimbombare nel petto, strofino le mani e mi rendo conto di star sudando come se dovessi parlare io al posto loro. C'è silenzio nella stanza, ma Dylan non sembra farci caso. Guarda fiducioso tutti, mantenendo il sorriso sulle labbra. Quella che scopro essere Marie si fa avanti, raccontando di come la sua estate sia andata meglio di quello che aveva previsto. Dylan fa un breve riassunto della sua storia, spiegandoci che ha perso suo marito due anni fa a causa di una malattia rara. “Dopo due anni sono riuscita a indossare un colore diverso dal nero o dal blu. Può sembrare una sciocchezza, ma per me significa tanto.” dice lei indicando la maglia rossa che indossa.
“Ti sta benissimo Marie, sei bellissima.” Quell'uomo sembra avere le parole giuste da dire a tutti, mi chiedo se la sua sia esperienza lavorativa o se ha imparato in prima persona. Le storie si susseguono, è bastato che Marie iniziasse. Vincent è il più grande tra i presenti, ha sessantadue anni e ha perso sua moglie durante un'operazione di routine sette anni fa. “Ero così arrabbiato, ho mandato avanti la causa contro l'ospedale per così tanto tempo da non essermi reso conto di aver abbandonato la mia famiglia e di non aver dato riposo a mia moglie. Per Natale voglio organizzare una cena e conoscere i miei nipotini.” I suoi occhi si riempiono di lacrime, ma dura poco. Tira su con il naso e sorride.
“Questa seconda fase di sedute con voi voglio sfruttarle per imparare a perdonare.”
“Lo faremo. Giusto?” Dylan invita gli altri a rispondere e annuisco anche io di riflesso. Ty si gira a guardarmi e allunga una mano a sfiorarmi il ginocchio. Si schiarisce la voce richiamando l'attenzione di tutti e il mio cuore perde distintamente un battito.
Nessuno parla, ancora una volta il silenzio avvolge la stanza e sento di poter vomitare da un momento all'altro.
“Quando ti senti pronto Tyler. Per chi è qui per la prima volta, Ty un anno fa ha perso la sua compagna durante il parto e poche ore dopo nemmeno sua figlia ce l'ha fatta.” Questa volta Dylan parla con cautela, come se avesse paura di rompere l'equilibrio del ragazzo al mio fianco.
“Ehm, tornare nella mia città natale è stato come fare mille passi indietro.” Inizia a parlare fissando un punto indistinto davanti a lui. “Affrontare un lutto stando lontani è, in qualche modo, più facile. Nessuno ti conosce, nessuno sa la tua storia. Non ci sono persone che ti giudicano se stai ridendo con tua madre mentre fai la spesa. Aylin e io non stavamo insieme, eravamo amici fin da bambini e lei era perdutamente innamorata di me...” Prende un bel respiro e abbassa lo sguardo. “Lo scoprii dopo esserci andato a letto insieme. Era successo, non so nemmeno perché. La sua famiglia è religiosa e una volta scoperto della gravidanza ci imposero di sposarci. Mi sentivo così in gabbia, ma era la cosa giusta da fare. Dovevo prendermi le mie responsabilità. Eravamo riusciti a rimandare tutto dopo il parto però, sembrava una piccola vittoria per entrambi. In fondo le volevo bene e non sarebbe stato così male, no?” Il suo tono di voce è spezzato e quando porto una mano sul viso mi accorgo di star piangendo. Mi affretto ad asciugarmi e torno ad ascoltarlo parlare.
“I suoi genitori mi odiano e incrociare i loro sguardi non è stato salutare. Mi odiavo anche io all'inizio, spesso mi sono dato dello stupido per non essere stato attento. Venendo qui ho capito che non potevo farci niente se Aylin aveva una malformazione cardiaca che l'ha portata ad avere un infarto al quinto mese. Vorrei dire alla sua famiglia che potevano fare qualcosa anche loro, che la mia bambina non ce l'ha fatta come la loro, ma per tutti sono solo quello che l'ha messa incinta.”
Stringe il bordo del banco con talmente tanta forza da far sbiancare le nocche. D'istinto poggio una mano al centro della sua schiena e sembra tornare a respirare. Un respiro affannoso, dovuto al pianto, ma pur sempre un respiro. Dylan lo guarda con le mani incrociate, fa qualche passo in avanti e stringe forte la spalla destra di Tyler.
“Come hai detto tu, non potevi fare nulla. Non spetta a te farti carico del loro dolore Ty, stai già vivendo il tuo. Grazie per la tua condivisione.” Torna al centro del cerchio e parla ancora, ma non lo sto ascoltando più. Sento altri raccontare le loro storie solo che il mio cervello non recepisce altro. Ripete in loop le parole di Tyler. La mia mano è ancora ferma sulla sua schiena, stringo le dita sulla sua maglia, accarezzandolo. Quando si gira a guardarmi, l'espressione sul suo viso mi fa venire da piangere. Ha gli occhi gonfi e rossi, il labbro inferiore tremolante. Ci guardiamo, aggrappandoci alla flebile luce di speranza negli occhi dell'altro. Gli accarezzo il braccio fino a stringere, forte, la sua mano. Passa il pollice sul dorso della mia mano prima di portarsela alla bocca e sfiorarla con le labbra. Sembra quasi che qualcuno abbia tirato un pugno ben assestato, dritto nel mio stomaco. Chiudo gli occhi per riaprirli solo quando la voce di Ed irrompe nella stanza. Ty mi lascia andare la mano facendomi segno di prestare attenzione. Si asciuga gli occhi con un fazzoletto e rivolge lo sguardo al suo amico.
“Per chi non mi conosce, prima che lo dica Dylan...” Lo guarda ridacchiando. La sua voce è possente, ma il suo tono è scherzoso. “Sono americano.” Parla guardando nella mia direzione e mi ritrovo a tossire per l'imbarazzo.
“Ho perso mio fratello gemello due anni fa a causa di un melanoma. Mi sono addirittura trasferito in un altro stato per affrontarlo. Ho chiuso i ponti con tutti, mi sono rifatto una vita e come ha detto il mio amico Ty, è più facile affrontare un lutto stando lontani. Solo che arriva un momento in cui devi farti coraggio e affrontare realmente la situazione. Ehm, ho parlato con mia madre quest'estate.” dice annuendo e Dylan annuisce di riflesso con un accenno di sorriso in volto. Deduco sia un passo avanti per Ed.
“Pensavo mi attaccasse il telefono in faccia e invece aveva bisogno di condividere il suo dolore con me almeno quanto io avevo bisogno di condividerlo con lei. Non ha perso solo un figlio quel giorno, ne ha persi due e mi sono sentito così egoista e... cattivo.”
“Ne hai parlato con lei?”
Ed annuisce in risposta e Dylan lo incita ad andare avanti. “Mi ha detto che sono uno stupido e suppongo di essermelo meritato. Ho scoperto di avere una madre con una forza d'animo spaventosa, ha capito che avevo bisogno di elaborare tutto a modo mio e mi ha perfino chiesto scusa per non essere stata brava a trattenermi lì con lei.”
Mi mordo il labbro inferiore mentre mi rendo conto di star piangendo ancora una volta. Chiudo gli occhi e cerco di controllarle queste sensazioni che sento dentro. Sento che la testa potrebbe scoppiarmi da un momento all'altro e vorrei abbracciare queste persone una ad una. Ed continua a parlare, raccontando dei suoi progetti per far venire sua madre e il suo compagno in Inghilterra appena possibile. Come Tyler, anche lui, è tornato quello di prima e mi stupisco del loro essere padroni delle emozioni. Io vorrei piangere così tanto da far invidia all'oceano. Vengo scossa dall'ennesimo brivido e sto per chiedere a Tyler di uscire quando Dylan ci avverte che l'ora è terminata. Non mi sembra quasi vero, punto la porta finestra nel corridoio e quando Ty viene trattenuto esco fuori senza aspettarlo. L'aria di Manchester è pungente e il freddo mi arriva fin sotto le ossa. Il petto si alza e si abbassa e sembra che il cuore stia annegando nelle lacrime che non riescono a fuori uscire. Un rumore mi fa ridestare, tossisco e asciugo velocemente gli occhi.
“Acqua?” Mi schiarisco ancora la gola prima di girarmi. Ed è appoggiato alla porta finestra con una bottiglietta tra le mani. Me la porge, ma nego con la testa e in risposta lui scrolla le spalle e la appoggia sulla balaustra in ferro.
“Quando la vuoi è qui e tranquilla, non sono un mal vivente, non ci ho messo niente dentro. È appena uscita dal distributore!”
“Non ho detto che sei un malvivente!” Scuoto la testa e lui sorride, spostando poi lo sguardo verso la città.
“Allora, abbiamo fatto pietà anche a te?” chiede con tono canzonatorio.
“Cosa? No!”
“Andiamo, ti ho visto lì dentro, piangevi come una bambina!” Mi guarda sorridendo, in attesa di una risposta.
“In realtà penso che abbiate coraggio e più forza di tante altre persone. Mi fanno più pena le persone come me, quelle che stanno bene.”
Sembra studiare le mie parole per poi sfiorarsi il mento pensieroso. “Sono piuttosto sicuro che ci siano persone messe peggio di noi, tipo le persone malate. Se abbiamo coraggio noi, loro cosa hanno?”
“Beh, ogni situazione è diversa. Voi siete coraggiosi, a mio parere, perché siete stati in grado di chiedere aiuto. Non tutti sono in grado di farlo!” dico sincera. Lui mi guarda annuendo pensieroso. “Mh, mi piace come risposta.” Sorride appoggiandosi con la schiena e i gomiti alla ringhiera. Fissa l'interno e quando mi volto, Tyler è sulla porta dell'aula a parlare con Dylan. Non deve averci notato ancora.
“State insieme?”
“Eh?” Mi giro allarmata verso di lui e nego. “Amici. È il coinquilino di mio fratello!”
“Matt o Chris?” chiede quasi allarmato.
“Chris.”
“Anne Wilson.” dice scandendo il mio nome.
“Conosci mio fratello?” chiedo curiosa. Lui inarca le sopracciglia e fa una piccola smorfia.
“Si, diciamo che non andiamo proprio d'amore e d'accordo. Non fraintendermi, quando è solo è anche sopportabile, ma i suoi amici sono dei cerebrolesi!”
Scoppio a ridere ripensando alle parole dette a Chris prima di uscire. “Non posso darti torto sui suoi amici. Dei palloni gonfiati, non so nemmeno perché continua ad uscire con loro.”
Scrolla le spalle e io sospiro riportando l'attenzione a Tyler e questa volta incrocio i suoi occhi. Ci sta osservando e Ed si affretta ad andargli incontro. “Giuro di non averci provato!” dice alzando le mani in segno di resa. Io scuoto la testa raggiungendoli in corridoio. Cammino accanto a loro percorrendo il corridoio, c'è così tanto movimento all'interno dell'edificio che quando usciamo ritrovarmi in una piazza semi deserta e cupa mi destabilizza per qualche minuto.
Ed e Tyler salutano gli altri ragazzi del gruppo con un mezzo abbraccio mentre io mi limito a fare un cenno con la mano. Sembrano un po' una strana famiglia, ma chi può capirti di più di qualcuno che affronta il tuo stesso dolore? Rimango in disparte, con le mani in tasca cercando di riscaldarmi.
“Andiamo?” Tyler mi raggiunge e io annuisco disperata facendolo ridere.
“Ciao piccola Anne, è stato un piacere conoscerti!” Ed si avvicina circondandomi con le sue braccia possenti. Mi lascio abbracciare e ricambio sentendo il corpo trovare sollievo a quel contatto caldo.
“Anche per me Ed” ribatto sincera.
“Sono sicuro che ci vedremo presto” sussurra in modo che possa sentirlo solo io, lasciandomi poi un bacio su una tempia. Dovrei avere paura di un estraneo, eppure rimango pietrificata mentre lui abbraccia il suo amico e si allontana a piedi nella direzione opposta alla nostra.
Mi muovo d'istinto, incrociando lo sguardo di Ty ed è così intenso che, quando mi scontro con il suo petto, mi sembra di bruciare. Stringo le mani dietro la sua schiena e lascio che il vento ci accarezzi prepotente in una piazza ormai vuota.
“Posso venire con te anche la prossima volta?” Le parole lasciano le mie labbra tremolanti. Ty risponde, finalmente, all'abbraccio e mi avvolge completamente.
“Non verrai mica per Ed!”
“Beh, voglio venire per te, ma anche Ed non mi sembra una brutta motivazione!” dico staccandomi quel tanto che basta per guardarlo negli occhi. Cerco di mantenere un'espressione seria, ma non ci riesco e scoppio a ridere. Mi fa il solletico e io mi dimeno tra le sue braccia per farlo smettere.
“Abbassa la voce!” dice continuando a stuzzicarmi. Riprendo fiato, fino a quando un rumore di passi ci fa sobbalzare. Rimango tra le sue braccia mentre ci voltiamo verso la porta del centro e Dylan ci sorride. “Buon serata!” dice con una strana espressione in viso. Rispondiamo in coro augurandogli buona serata di rimando, prima di scoppiare ancora a ridere.
“Forza, andiamo a mangiare qualcosa!” Annuisco e mentre cammino al suo fianco, appoggio la testa sulla sua spalla. Nel giro di mezza giornata ho provato un misto di sensazioni contrastanti, una dopo l'altra: la malinconia della musica di Ty; la tristezza e il dolore nelle sue parole e in quelle di sconosciuti; il turbamento, ma anche l'ammirazione e la leggerezza di un sorriso e di un abbraccio.

Che senso ha provare emozioni se non si ha qualcuno con cui condividerle?


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Nda.
Dopo questo capitolo sono emotivamente instabile e non so di preciso cosa dire. Mi sembra di aver detto già tanto scrivendo, spero siano arrivate anche a voi le stesse emozioni arrivate a me mentre scrivevo. Se potete, fatemi sapere cosa ne pensate, ci terrei particolarmente in questo capitolo.
Un abbraccio e come sempre, per qualsiasi cosa potete scrivermi qui, su twitter o facebook!
Serena.

   
 
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