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Autore: SherlokidAddicted    18/09/2016    2 recensioni
[ Wholock | Johnlock ]
- Voglio sapere chi è lei e che ci fa qui. –
- Sono il Dottore! – Dice porgendomi la mano ed aspettandosi che io la stringa, cosa che però non succede. Assottiglio lo sguardo e lo scruto con attenzione mentre, deluso dalla mia mancata stretta, abbassa il braccio e lo riporta lungo il fianco.
– Il suo vero nome. –
- Beh, è questo il mio nom… -
- Non il nome con cui si fa chiamare, ma il suo vero nome, quello che nasconde a tutti da sempre, forse perché ha fatto qualcosa. Oh, allora è così! Ha fatto qualcosa di brutto, qualcosa di inaccettabile di cui si pente, talmente tanto che si vergogna ad utilizzare il suo vero nome e si nasconde dietro un titolo che la fa sentire meno in colpa di quanto vorrebbe, non è così… Dottore? – Gli occhi del mio nuovo conoscente si strabuzzano non appena mi sente pronunciare quelle parole con quel tono indagatore che mette la maggior parte delle persone che mi stanno attorno in soggezione, lui compreso.
- Oh, è proprio bravo come dicono… –
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The side of the Angels'
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31 dicembre 1986



Decidiamo di dirigerci lì la sera stessa, dopo aver sgobbato in giro per il pranzo e passato il pomeriggio ad analizzare le foto, gli indizi e a cercare informazioni, più informazioni possibili sulle creature di pietra. Lo scanner, come lo chiama lui, è molto più funzionante di un qualsiasi altro computer terrestre esistente. Non ne sono sorpreso, visto che lui sa quasi ogni cosa. Ma un’altra delle fonti su cui abbiamo studiato aneddoti su questi assassini solitari è stata la biblioteca che il Dottore teneva ben nascosta sulla sua nave… il Tardis non era solo più grande all’interno, ma aveva anche tutte le stanze che si potessero immaginare. E la biblioteca era così immensa da perdercisi. Abbiamo cercato nella categoria “creature notturne”, in quella riguardante le “creature di pietra”, in quella degli “angeli”, “creature inquietanti”, “sistemi di difesa intelligenti”, e molti altri ancora. C’era un riferimento agli Angeli piangenti dappertutto, ma niente di diverso da quello che già sapevamo.

Quando atterriamo e John spalanca la porticina, mi rendo conto che non siamo affatto a Hyde Park, ma che davanti all’ingresso si trova la porta scura del 221B. L’aria è fresca ed è già buio… il tempo sembra essere passato in un batter d’occhio.

Vedo che John è confuso e non posso nascondere di esserlo anche io. Il Dottore sta ancora girovagando tra i comandi quando entrambi lo fissiamo in attesa di una spiegazione plausibile.

- Ho dimenticato il mio rivelatore di tempo transitorio nella tua stanza, John, ti dispiace? – Lui non accenna ad un minimo gesto contrariato e richiude la porticina dopo che ci ha lasciati da soli. Quando mi giro, il rilevatore si trova sulle sedute accanto al Dottore, intatto e senza alcun pezzo mancante. Allora mi chiedo il motivo di quella scusa assurda.

Il Dottore abbandona la console per un attimo e mi fa cenno di fare silenzio. Sente la porta al piano di sopra aprirsi, segno che John ha raggiunto il salone, e a quel punto rimette le mani sui comandi e solleva la leva. Il Tardis emette quei rumori insopportabili e poi atterra con un sobbalzo.

- Perché? Dove mi hai portato? – Il Dottore porta le mani nella tasca mentre mi raggiunge e si sistema accanto alla porta chiusa.

- Dal primo giorno che ti conosco mi sono sempre chiesto cosa ci fosse che non andava in te. Oh, per carità, sei intelligente e sei un genio, questo è decisamente perfetto. Ma io e te siamo simili. – Non so a cosa voglia andare a parare, quindi continuo ad ascoltarlo, tenendo le braccia distese lungo i fianchi e la fronte corrugata per il dubbio. Odio provare il dubbio. È strano che io non sappia dedurre niente dalle persone molto simili a me. Di persone così, per fortuna infatti, ce ne sono pochissime.

Ecco, siamo simili. A cosa vuoi arrivare Dottore?

- E per questo voglio aiutarti. Entrambi abbiamo subito qualcosa che ci ha resi simili. Vogliamo stare da soli, cerchiamo di allontanare i sentimenti, cerchiamo di non provarne, ma sono cose naturali. Sai meglio di me che certe sensazioni non si possono frenare. Come tu non puoi frenare ciò che provi per John. –

- Cosa stai cercando di… -

- Ti prego, lasciami finire. – Mi interrompe con tono severo, e io taccio come un bambino appena sgridato dalla madre. Cosa c’entra John adesso? Perché gli importa tanto? – Avevo una persona molto importante per me, una persona che mi accompagnava nei miei viaggi. L’ho messa in pericolo e l’ho persa. Si chiamava Rose Tyler. Era così intelligente, coraggiosa, avventurosa... – La mia espressione confusa non cambia, ma riesco a dedurre cosa accadde dopo, e non esito a dirlo.

- Universo parallelo. – Dico.

- Oh, già, a te non si può nascondere nulla. – Il sorrisetto nervoso che gli spunta sulle labbra mi fa rabbrividire, e non so perché.

- E tu l’amavi. –

- Terribilmente. – Risponde lui con occhi sinceri, lucidi, come se stesse per scoppiare a piangere da un momento all’altro. Da ciò posso anche capire che mai era riuscito ad ammetterlo, nemmeno a sé stesso.

Sentimentale.

Anche se… beh, è proprio una cosa spiacevole.

- Per questo mi stai spingendo a buttarmi con John? – Lui non risponde, e lo capisco perché è una domanda con una risposta troppo ovvia. – Non vuoi che perda l’occasione. –

- Ho capito che non vuoi metterlo in pericolo ma non riuscivo a spiegarmi perché. Sì, avrete avuto situazioni terrificanti da affrontare, ma non era quello. Stai cercando di farti avanti, ma qualcos’altro ti blocca. – Fa una pausa abbastanza lunga e snervante, poi lo vedo girarsi verso la console e sospirare pesantemente. – Così ho impostato il Tardis sulla tua linea temporale e, visto che dalla tua bocca non sarebbe mai uscito nulla a riguardo, sono andato a controllare di persona. –

Vuol dire che… oh.

Non dice altro, si limita ad allungare un braccio per aprire la porticina, e capisco che è un invito ad uscire.

Se ha visto ciò che penso, probabilmente mi trovo proprio nel posto in cui tutto è successo, tanto tempo fa. Ma come potrebbe questo aiutarmi? Come quella scena orribile potrebbe sbloccarmi?

Appena metto piede fuori, l’aria gelida mi travolge e sono costretto a stringermi nel cappotto. È buio e l’odore dell’erba tagliata mi fa storcere il naso. Non mi trovo sul luogo che avevo immaginato. Tutto intorno a me è così familiare che mi accorgo che quelli che ho addosso non sono brividi di freddo. Di fronte a me c’è la casa a due piani in cui per tutta l’infanzia ho vissuto. Adesso non appartiene più alla mia famiglia, ma riesco a vederla quasi nuova come lo era trent’anni fa. L’intonaco non è ingiallito, le piante e i cespugli sono perfettamente curati, l’odore e la vista del tagliaerba fa presupporre che un lavoro di giardinaggio era appena stato concluso. Riconosco la finestra, l’unica da cui trapela un po’ di luce, della mia cameretta. Riesco perfino a vedere l’ombra di un bambino riccioluto che legge un libro. Diamine, sono proprio io. Probabilmente è molto tardi, visto che ero solito rimanere sveglio mentre il resto della casa crollava tra le braccia di Morfeo.

Mi giro per un attimo verso il Tardis e, appoggiato alla porta, il Dottore mi fa segno di andare avanti. Riconosco l’albero su cui papà aveva costruito per me e Mycroft quella meravigliosa casetta. Ovviamente ero solito stare lì da solo, oppure costringevo mio fratello a scendere perché volevo i miei spazi. C’è stata una volta in cui lo spinsi giù dalla scaletta, facendogli slogare il braccio. I miei non mi permisero di salirci per un mese intero come punizione.

Percorro il vialetto in pietra chiara che conduce all’ingresso posteriore, ma non del tutto, infatti mi fermo a metà strada quando mi accorgo di essere osservato. All’angolo del giardino vi è un’ombra. All’inizio non capisco di cosa si tratta, ma poi riesco a scorgere la coda scodinzolante, le orecchie lunghe e pelose, il muso, la lingua che sobbalza ad ogni sospiro e il guinzaglio che lo tiene ancorato alla sua cuccia che io avevo completamente dipinto di blu.

Barbarossa.

Rivederlo mi fa rimanere pietrificato, e sono talmente stupito che non mi accorgo del Dottore che adesso è accanto a me.

- Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere rivederlo. So che per quell’incidente non hai avuto modo di salutarlo come si deve. – Ha visto tutto. È tornato indietro nel tempo e ha assistito al momento in cui Barbarossa, dopo essere fuggito dalla paura per colpa dei fuochi d’artificio, fu investito da quel camion. Mi ricordo che lo cercammo ovunque, e che quando lo vidi disteso sulla strada non riuscì nemmeno a reggermi in piedi dalla disperazione. Non avevo potuto salutarlo.

All’inizio mi viene da chiedermi “perché non hai fatto qualcosa per salvarlo?”, ma poi mi rendo conto che come Signore del Tempo è responsabile di qualunque cambiamento. Avrebbe potuto creare un paradosso, come lo chiamava lui.

- Avvicinati. – Mormora il Dottore, dopo aver capito che sarei rimasto immobile a fissarlo senza qualcuno a spronarmi. Mi riesce difficile rispondere, ho prima bisogno di tossicchiare per riprendermi da quella visione.

- Potrebbe non riconoscermi… non mi ha mai visto così. –

- Oh Sherlock! Non sai che darei io per poter rivedere Rose. Smettila e cammina! – Titubante, gli lancio un’occhiata preoccupata. Ma le sue parole mi spingono a fare il primo passo e in poco tempo arrivo davanti al cane, che confuso piega la testa verso sinistra. Probabilmente dal mio odore avrà capito chi sono… Ma sarà strano per lui vedermi cresciuto all’improvviso. Quando ero piccolo come quel piccolo me alla finestra, mi ricordo che per tranquillizzarlo mi bastava chiedergli di mettersi seduto, così lo faccio. Penso che mi abbia riconosciuto subito perché inizia a scodinzolare energicamente e ad emettere guaiti felici. Non esito un secondo prima di mettermi in ginocchio ed iniziare a riempirlo di coccole come non lo facevo da troppo, troppo tempo.

- Ciao, bestiolina. – Non credo di aver mai espresso così tanta dolcezza con una sola frase… ma con quel cane era sempre stato così.

Cosa sono queste gocce che mi stanno attraversando le guance, adesso?

- No, no. Non sono triste, è solo che per te deve essere passata qualche ora, mentre io non ti vedo da trent’anni. Fa un certo effetto. – Sussurro quelle parole mentre Barbarossa inizia a leccarmi le guance, facendomi ridere felicemente e nervosamente allo stesso tempo.

Posso percepire il Dottore ancora immobile accanto a me. Non credo che comunque stia assistendo attentamente alla scena. È un tipo un po’ sensibile. Probabilmente lo stava facendo prima, ma per evitare di commuoversi ha iniziato a guardare altrove, fingendo di fare la guardia nel caso fosse arrivato qualcuno.

- Sai, è proprio bello rivederti, mi sei… -

Mancato.

Non finisco la frase. Sono piuttosto occupato a cercare di mantenere le mie emozioni. Mi mordo le labbra quasi fino a farmi male mentre accarezzo il pelo liscio e appena lavato di Barbarossa. Sento gli occhi bruciare, ma riesco a non farmi sfuggire nemmeno un singolo singhiozzo. Non voglio farlo.

- Hai spento la luce in camera tua, stai per uscire in giardino. Sherlock, dobbiamo evitarlo. È un paradosso troppo grande se lui ti vede. – Vengo quasi strattonato da un braccio, ma io mi ribello quasi immediatamente. Ho capito che potrebbe esserci un pericolo se il piccolo me mi vede… ma ho bisogno di salutare per bene quella creatura senza nessun intoppo.

Inutile, il piccolo Sherlock è vicino.

Mi limito a lasciare un leggero bacio sulla testolina del cane, poi mi lascio trascinare dal Signore del Tempo verso la cabina. I miei occhi non si staccano da Barbarossa nemmeno per un secondo, mentre lo vedo abbaiare e guaire tristemente verso di me. Sparisce dalla mia vista solo quando la porticina si chiude davanti ai miei occhi. Barbarossa smette di abbaiare solo perché il Dottore ha fatto partire la cabina non appena ci ha messo piede. Adesso c’è solo il rumore assordante di quest’ultima.

- Mi dispiace, Sherlock. – Mi dice, sinceramente dispiaciuto, mentre io sono ancora impietrito a fissare la porta.

- Non importa. – Mormoro dopo qualche secondo di silenzio.

D’un tratto nella mia mente tutto si fa più chiaro ed inizio a ricordare:

Scendo velocemente le scale. Il rumore di passi mi aveva fatto rabbrividire. E adesso anche Barbarossa ha iniziato ad abbaiare all’improvviso. Non so perché faccia così, di solito a quest’ora sta bello e fermo nella sua cuccia, a dormire.

Raggiungo velocemente il prato fresco del giardino e attraverso il percorso di pietra fino ad arrivare davanti al cagnolino, che sembra talmente agitato da farmi preoccupare. Ma non è spaventato, è come se avesse visto qualcosa che gli ha fatto piacere. Non credo che però si tratti di un gatto, o di un cagnolino abbandonato che passava nelle vicinanze. Di solito quelli nemmeno li guarda.

- Che succede, eh? – Mi abbasso a fare i grattini dietro alle sue orecchie, come piace a lui. Gli chiedo di sedersi e lui si tranquillizza all’istante, scodinzolando felice alla mia vista. – Non devi fare casino all’una del mattino. Mamma, papà e Mycroft dormono e non sopportano quando tu abbai nel cuore della notte. – Il cane piega la testa verso sinistra ed io gli sorrido. – Sì, lo so che tu non li sopporti quando loro parlano durante il giorno, nemmeno io. Una cosa reciproca, a quanto pare. – Sospiro e sgancio il guinzaglio dal suo collare. – Credo che per questa notte tu possa dormire nella mia stanza. Non si arrabbiano troppo se domani dico loro che è un esperimento! – Detto ciò, ci avviamo dentro casa ed io richiudo la porta.

Ora mi spiego il perché di quel comportamento così strano di Barbarossa, quella notte. Aveva visto me. Era così felice solo quando vedeva me.

E poi, ricordo perfettamente quella notte. Era il giorno prima che morisse. Il 31 dicembre 1986, prima della notte di Capodanno.

Uno scossone mi porta alla realtà, il Tardis è appena atterrato. Saranno passati circa due minuti per John, infatti non è ancora sceso dall’appartamento. Ne approfitto dunque per tornare ad una normale espressione fredda e calcolatrice. Devo smetterla di provare queste insulse emozioni tutte in una volta.

- Ho guardato in camera mia ma non c’è nessun rilevatore… - John entra nella cabina ma, dopo aver posato lo sguardo su di me, la sua espressione muta all’improvviso. È maledettamente preoccupato. Forse il pallore da lenzuolo è ancora presente sulla mia pelle già abbastanza chiara.

- Stavo per avvertirti, l’ho trovato qui sul Tardis. Scusa del disturbo. – Dice il Dottore mentre è ancora attento ad armeggiare sui comandi. John però sembra non ascoltarlo, perché è troppo concentrato sulla mia faccia.

Si avvicina con lentezza. Lui sa che qualcosa non va, so che lo percepisce. Ormai tra noi due è così: sentiamo il dolore dell’altro come se fosse nostro. Mi sfiora un braccio con le dita, titubante all’inizio, forse per paura di una mia cattiva o, addirittura, schifata reazione. Ma sono immobile, il mio sguardo sembra tranquillizzante per lui, perché poco dopo la stretta si fa più forte sulla mia spalla. Accenna un sorriso dolce, lo fa per tirarmi su e stranamente ci riesce, perché due secondi dopo sorrido anche io. Non mi chiede nulla perché sa che non gli direi la verità, quindi si limita a cercare un argomento adatto a farmi distrarre.

- Quindi adesso si va ad Hyde Park per attirare gli Angeli? –

- Certo. Sarà pericoloso. –

- Stai cercando di scoraggiarmi? –

- No, ti sto reclutando. -  Mi sorride divertito e scuote esasperato la testa.

- Possiamo andare? – Dice il Dottore, dopo essersi ancorato alla leva che ci avrebbe fatti partire. Entrambi annuiamo. La mano di John è sulla mia spalla, ancorata ancora come poco fa. Il Tardis parte e mentre guardo John che mi sorride, non posso fare a meno di pensare ai soliti discorsi di Mycroft sul restare coinvolti. Il Dottore ha fatto un ottimo lavoro a portarmi lì. E ora credo di aver capito ciò che voleva farmi intendere: ovvero che Mycroft può andare a fanculo, che John non è Barbarossa. E che se per una volta resto coinvolto, non importa.



Note autrice:

Ho avuto giusto il tempo di pubblicare, dato che sto uscendo e avrò una giornata pienissima. Mercoledì ci sarà il prossimo aggiornamento.
Fatemi sapere cosa ne pensate. Ne approfitto per ringraziare i seguiti, i preferiti e i ricordati per aver sopportato così a lungo questa storiella ahahahaha.
Alla prossima!

 
  
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