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Autore: Sam__    19/09/2016    5 recensioni
[Swan Queen/ Long AU / OOC]
Innamorarsi e ritrovarsi con il cuore spezzato, imparare ad amare ancora, voler restare sul fondo ma contemporaneamente voler essere disperatamente salvati, scoprire la propria sessualità, stringere amicizie con persone che non ti aspettavi, sognare in grande, fare progetti, litigare, urlare, piangere …
Storia su come l’adolescenza può essere un gran casino!
I dolci sedici anni, vissuti da Emma e Regina.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Neal Cassidy, Regina Mills, Robin Hood
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7.
Una sorta di.

 

Si può avere un capitolo preferito della propria fanfiction?
Perché questo è decisamente il mio! ♥

 
 
 
Erano passate settimane da quel giorno.
Le cose erano cambiate in meglio ed ora procedevano alla grande.
Regina aveva allentato i rapporti con i suoi amici, o sarebbe meglio dire che loro li avevano allentati con lei.
Ma le andava bene se a loro andava bene così, dopotutto ammetteva finalmente che era piacevole la compagnia di Emma.
Stava facendo progressi a scuola, grazie all’aiuto costante e paziente di Emma che non faceva altro che spronarla a studiare:
“Ne sei totalmente capace, è che ti manca la voglia!”
Regina era nauseata dal numero di volte in cui sentiva quella frase ogni giorno.
Ed Emma era arrivata ormai a costringerla a studiare.
Quel giorno, non era diverso, l’unico cambiamento era l’orario anticipato con cui Regina si era presentata a casa sua.
“Esiste il telefono per avvertire.” Affermò Emma dopo che aprì la porta e alla sua vista si presentò Regina.
Quest’ultima teneva lo sguardo basso “disturbo?”
La bionda le fece cenno di entrare “giusto in tempo per la merenda.”
Regina non si ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta che aveva sentito la parola merenda.
Era sempre fuori casa impegnata a fare altro per pensare a mangiare.
Seguì Emma in cucina e si accomodò nello sgabello del bancone, mentre la bionda si mise ai fornelli.
“Assaggerai la mia cosa preferita al mondo: cioccolata calda con cannella!”
“Il piccante con il  dolce?” storse il naso in segno di disgusto.
“Non ne potrai più fare a meno, fidati!”
“L’ultima volta che ho fatto merenda sarà stata … quando ero piccola, suppongo.”
“Non preoccuparti, prenderai anche questa mia abitudine.” Le sorrise la ragazza.
Anche quest’abitudine? Non ne aveva presa alcuna!
Si, David la trovava lì ogni giorno non appena rincasava da lavoro e non ne sembrava più affatto sorpreso.
Mary Margaret non la invitava più a restare a cena, il suo posto a tavola era scontato.
Emma le rivolgeva sempre i saluti di Neal non appena chiamava, senza che lei avesse ancora accennato della sua presenza, perché era già sicuro che si trovasse lì.
Doveva ammettere che da fuori poteva sembrare un’abitudine. O comunque, per le persone più care ad Emma, lo era.
E Regina … non ci aveva mai pensato!
Non sapeva nemmeno se le piacesse ma era così naturale, quotidiano … abitudinario stare lì, che non c’era nemmeno bisogno di porsi questo problema.
Non aveva mai avuto una costante nella sua vita, qualcosa che si ripetesse ogni giorno.
Con i suoi amici era sempre in cerca di nuove avventure, facevano sempre cose diverse.
Perfino rifugiarsi a bere al Rabbit Hole era qualcosa di saltuario.
E a pensarci bene non si era mai sentita così al sicuro con nessuno e da nessuna parte.
Avere la certezza di poter contare sempre su qualcuno? Era bello.
“Cosa è successo?” le chiese Emma, richiamandola dai suoi pensieri.
“Cosa?”
“Perché sei in anticipo?”
“I miei urlavano e sono uscita. Non mi andava di starli a sentire.” Scrollò le spalle Regina.
“Non sei uscita, sei venuta da me.”
“Senza volerlo … cioè esco solo per venire qui ultimamente, mi è venuto automatico …” farfugliò.
La bionda sorrise “va bene se volevi venirci, eh.”
Regina sorrise a sua volta “mi piace stare qui.”
“Mi fa piacere sentirlo.”
“Però … non voglia che ti senta obbligata o altro … se hai da fare o non vuoi che stia qui tutto questo tempo, io-“
Emma le si avvicinò, prendendole le mani nelle sue “no no, Regina! Io voglio che tu stia qui tutto quel tempo.”
Si accorse di quello che aveva detto e di come lo si poteva recepire “insomma, più stai con me, più posso tenerti lontana dai guai.” Aggiunse immediatamente, sciogliendo poi quel contatto come se ne fosse rimasta scottata.
All'improvviso trovava equivoci ovunque. Perché?
Si okay, non avevano mai avuto un contatto fisico. O almeno, un contatto fisico voluto e coscienzioso.
Era una sua amica, o almeno quasi sua amica … beh, una sorta di amica.
Perché mai avrebbe dovuto provare imbarazzo nel toccarla o nel dirle una cosa carina?
Oh, già.
Non aveva mai abbracciato un’amica, figuriamoci una sorta di.
Eppure, le era venuto così istintivo che le faceva quasi paura.
 
Dal canto suo, Regina, rimase stupita da quello che era appena successo.
Insomma, non era da loro.
E quel silenzio imbarazzante che c’era adesso?
Peggio di peggio.
“Esco fuori per una sigaretta.”
“Riuscirò a toglierti quest’abitudine!” le rispose Emma.
Eccola: la sua abitudine!
“Non dirmi mai cosa devo fare.” L’ammonì, uscendo fuori.
Si era appena accorta di avere un’abitudine e no, non se la sarebbe fatta portare via.
All’improvviso si rese conto di agognare qualcosa di suo soltanto, da non condividere con nessuno e che soprattutto non avesse a che fare con Emma.
E quella era l’unica cosa.
Era sua. Soltanto sua.
Il suo personale distacco da chiunque.
Al momento sentiva il bisogno di rifugiarsi dentro una sigaretta, se fosse stato possibile.
Non era sicura che sentirsi parte di qualcosa grazie a ogni cosa nella quale Emma fosse in mezzo, era un sentimento giusto.
E se l’avesse persa? Il suo sentirsi parte del mondo sarebbe andato in frantumi.
Non era più bello avere la certezza di contare sempre su qualcuno.
Non era neanche una certezza.
Si sentì così tanto soffocare che anche se aveva appena finito la sigaretta, aveva voglia di accenderne subito un’altra.
Ma l’arrivo di Emma la troncò sul nascere “la cioccolata è quasi pronta!” esordì.
“A dire il vero, devo andare.”
“Cosa? Perché? Sei appena arrivata.”
“Non mi sento bene.”
“Una ragione in più per restare.”
“Emma!”
“Regina, dove vorresti andare? Vieni da casa quindi non credo proprio tu voglia tornarci. Chiamerai i tuoi amici? Non credere che io ti lasci andare se non sono certa di dove sei e soprattutto a fare cosa.”
“Non starmi così addosso!” sbraitò, facendo un passo indietro.
“Non sto facendo un bel niente. Queste sono le regole e tu lo sai. Che cosa c’è che non va? Stavi bene pocanzi.”
Non voleva spingerla al limite, non era da lei pressare qualcuno ma doveva farlo.
Doveva far sfogare Regina Mills.
E quest’ultima non riusciva nemmeno a respirare dalla vicinanza di Emma.
Si sentiva sottratto il proprio spazio personale.
“Parlami.” La spronò la bionda.
“Voglio andare via.”
Emma le afferrò un braccio, per evitare che scappasse.
“Lasciami.”
Quel contatto adesso era così diverso. Né voluto, né istintivo in un momento di conforto.
“Regina, che è successo?”
“Non devo dirlo a te!”
“Si invece! A chi lo dirai? Ci fumerai sopra? Andrai a bere? O magari a farti scopare da Robin per levartelo dalla testa?”
A quelle parole gli occhi di Regina si infiammarono, la spinse con rabbia “tu non sai niente!” ma Emma aveva ancora la mano ancorata al suo braccio e nell’andare indietro si portò dietro Regina che per impatto d’urto le si scontrò addosso facendola cadere a terra.
Ma nonostante la caduta, Emma non mollò la presa.
Era decisa. Stavolta non si fuggiva.
“Cazzo, lasciami!” si dimenò Regina, cercando di alzarsi da sopra Emma.
“Parla con me!” ribatté la bionda, sdraiata sotto Regina.
“No! Perché dovrei?”
“Perché io sono la causa per il quale stai facendo così!”
“Non gira sempre tutto intorno a te!”
E più Regina cercava di liberarsi dalla sua presa, più Emma la rafforzava.
“Vedila così: prima parli, prima sarai libera.”
Regina strinse il pugno del braccio che era libero e guardò Emma con una rabbia che pensò di darle un cazzotto così forte che le avrebbe sicuro fatto allentare la presa.
Alla bionda non passò inosservato quel gesto
“Vuoi picchiarmi? Avanti! Ce l’hai con me, no? Fallo!”
Certo, incitarla non era il modo migliore per evitare che la picchiasse davvero.
Ma Regina doveva sfogarsi, e andava bene qualsiasi modo.
E dentro di sé, si fidava inspiegabilmente di lei.
“Non dirmi mai quello che devo fare!”
“Lo so, me l’hai già detto! Ma non ti lascerò andare. Ne hai bisogno, Regina, sfogati. O scoppierai in un momento non opportuno e con qualcuno che non saprà come gestirlo.”
“Cosa ti fa pensare che tu sappia gestirmi? Non sei nessuno per me!”
“Sei qui invece che in qualsiasi altro posto. Quindi qualcuno sono. Non mi consideri nemmeno una tua amica? D’accordo. Ma sono una sorta di. Noi siamo una sorta di.”
“Una sorta di che cosa?”
“Non lo so, lo scopriremo magari.”
Si erano calmate.
Regina si era calmata.
Ma Emma non era ancora sicura di mollare la presa su quel braccio.
E rimanevano lì sul pavimento, l’una sopra l’altra.
“Che cosa è successo?”
La mora scosse il capo, come a dire che non ne valeva la pena.
“Hai fatto raffreddare la cioccolata calda! Mi devi una spiegazione.”
Regina sorrise a quelle parole, e quel sorriso ne fece spuntare uno anche sul volto di Emma.
“Ho paura di non avere qualcosa di mio.” Ammise, dopo aver preso coraggio.
 “Tutto ciò che sono ha sempre avuto a che fare con qualcuno … e adesso ha tutto a che fare con te. E non è che non mi piaccia, anzi, mi fa sentire al sicuro che tu abbia questa specie di controllo sulla mia vita ma … quando hai detto che mi avresti fatto perdere l’abitudine di fumare … mi è parso come mi volessi togliere la mia unica e sola abitudine, qualcosa di esclusivamente mio che non avessi preso da nessuno.”
“Regina … tu non sei quello che fai. E non devi essere necessariamente una persona abitudinaria! Non ti tolgo te stessa se ti aiuto a smettere di fumare, ti tolgo una brutta abitudine che puoi rimpiazzare con una nuova o con nessuna, se preferisci.”
La mora annuì, non ancora certa nonostante la spiegazione di Emma.
“Non era mia intenzione farti sentire nessuno al di fuori di quello che fai.”
Seguì un silenzio che non era imbarazzante come quello precedente, sebbene la posizione nella quale si trovavano.
Era un silenzio che incideva le parole di Emma dentro Regina, facendola pensare a cosa avrebbe voluto dire dopo.
“Mi piacciono le abitudini.” Fu proprio lei a rompere quel silenzio, facendo sorridere Emma “non ne ho mai avute quindi non lo sapevo … ma queste mi piacciono!”
“E potrai cambiarle in ogni momento se non ti piaceranno più.”
Regina le sorrise. Non sapeva spiegare nemmeno a se stessa come quella ragazza sapesse sempre rivoluzionare il suo modo di vedere le cose.
“Non fa bene dire le cose invece di tenersele dentro?” le chiese la bionda.
“Abbastanza.” E già che c’era “credo che mi piaccia tanto stare qui o nella tua vita, per la tranquillità che la circonda. A casa mia ci sono sempre urla, i miei amici si divertono solo con il pericolo e non ho un ragazzo che mi chiami solo perché gli manco.”
“Questa è invidia, Regina.” La canzonò Emma.
“No, non volevo suonasse così!” s’allarmo la ragazza.
“Ti sto prendendo in giro, ho capito come doveva suonare.”
Ma sentiva comunque il bisogno di spiegare “farne parte mi piace.”
“Ne sono contenta ma … ti dispiacerebbe farmi alzare? Devo spegnere il fuoco, così la cioccolata sarà l’unica cosa andata a male.”
Regina si accorse solo in quel momento che la presa di Emma sul suo braccio non c’era più, e che se ne stava seduta a cavalcioni su di lei come fosse una cosa normale.
“Oh merda, giusto! Scusa!” si alzò all'istante.
“Tutto okay” rispose Emma, tirandosi su “eri presa dalla confessione.”
“Ho solo notato che mi sento bene a parlare di quello che provo.” Si giustificò.
“Quindi avevo ragione.”
“Non lo dirò mai.”
“Mi devi comunque una cioccolata.” Disse Emma, dal momento che quella che aveva preparato si era bruciata per esser rimasta troppo tempo sopra il fuoco.
Non poteva certo immaginare che cosa sarebbe successo.
“Con la cannella, immagino.”
“Esattamente.” Rispose, dirigendosi verso la cucina per spegnere il fornello.
“Andiamo da Granny? Ovviamente pago io.”
“Fammi solo prendere la giacca.”
 
Erano appena entrate da Granny quando una voce che Regina conosceva fin troppo bene, richiamò la sua attenzione.
“Sembra che Regina Mills esca solo con gli sfigati ormai.” Sprezzò Malefica.
Regina si girò verso la provenienza del suono, trovandola al tavolo con Crudelia e Ursula.
“E’ un piacere vederti, Mal!” s’avvicinò “e voi due? Credevo che le cose fossero cambiate.
“Lo sono, ma non abbiamo abbandonato i vecchi amici per questo.” Rispose Crudelia.
“Oh, andiamo! Io non vi ho abbandonato.”
“No? Come lo chiami passare più tempo con quell’insulsa piuttosto che con le tue uniche amiche?” rispose Malefica.
“Anche voi potete passare del tempo con me a prescindere da Emma, lo sapete.”
“Ora è Emma.” Lo sputò fuori come fosse veleno “credevo chiamassi per nome solo le persone con cui avevi confidenza.”
“Già. Adesso Emma è mia amica.”
“Ma davvero? Credevo gli amici fossero quelli che ti stanno accanto quando fa così male da non poter respirare.” Che colpo basso che diede Ursula, non la credeva a questi livelli.
Emma vide gli occhi di Regina svuotarsi a quelle parole.
Aveva gli occhi marrone scuro, quasi neri, non si poteva capire quando rispecchiavano un’emozione.
Ma sapendoci guardare dentro, ti saresti accorto che erano gli occhi marroni più profondi che avresti mai potuto incrociare.
Ed Emma, sapeva guardare eccome.
Tanto che vide quegli splendidi occhi, perdere la poca luce che avevano riacquistato in quegli ultimi giorni.
“Regina, lasciamo perdere la cioccolata.” Le disse, distraendola dal baratro immenso in cui stava per entrare.
La mora scosse il capo, voltandosi si avvicinò al bancone e domandò alla vecchia signora che gestiva il locale due cioccolate calde con cannella da portare via.
Quando sentì la presenza di Emma accanto, le disse “non mi piace dovere qualcosa a qualcuno. E con te ho abbastanza debiti.”
“Favore!” la corresse la bionda “mi devi solo un favore.”
Dopo aver preso le cioccolate ed essere uscite da Granny’s, tornarono a casa di Emma senza spiccicare più una parola.
Regina era turbata dai suoi pensieri, ed Emma non sapeva cosa le passava per la testa quindi aveva paura di fare un passo falso con qualsiasi cosa avesse detto.
Arrivate a casa, la ragazza tentò ugualmente “ti va di parlarne?”
Regina scosse il capo.
“Mi riferivo alla cioccolata.”
La mora abbozzò un sorriso “buona.”
“Buona? Solo buona? Buona non riesce ad esprimere tutta la sua bontà. Avresti dovuto dire deliziosa; squisita; prelibata; gustosissima; eccellente!”
“Okay credo di aver afferrato il concetto.”
Emma capì che Regina non aveva proprio voglia di parlare, in generale.
“D’accordo... si è fatta l’ora per studiare. Vado un attimo di sopra a chiamare Neal. Fai come fossi a casa tua, lo sai.” Si diresse al piano superiore.
La mora si guardò intorno, e notò il pentolino con dentro la cioccolata bruciata.
Che lei aveva fatto bruciare.
Emma ci avrebbe messo un po’ prima di tornare giù con i libri, quindi si rimboccò le maniche e avvicinandosi al lavello prese spugna e detersivo, per poi iniziare a raschiare la cioccolata rimasta appiccicata nel pentolino.
Non aveva mai lavato un piatto in vita sua, ed ora eccola lì, a farlo in una casa in cui non avrebbe mai immaginato di entrare.
Emma tornò di sotto pochi minuti dopo “che stai facendo?” chiese perplessa, avvicinandosi a Regina.
“Rimedio al mio casino.”
“Avevi già rimediato con la cioccolata calda da Granny’s.” rispose, levandole il pentolino dalle mani e abbandonandolo sul lavello “vai a sederti che iniziamo.”
“Se devi lasciarla lì, fammela sciacquare e posare.”  assodò la mora. 
“Lascio sempre le cose in giro, tranquilla.”
“Ah! Ecco un’abitudine che non voglio prendere.” Sorrise.
“Ma se sei più incasinata di me.”
“Solo nello spirito! Per il resto sono la persona più ordinata del mondo.”
“Ah-ah!”
Regina le fece una smorfia e tornò a sciacquare il pentolino per poi riporlo nella credenza.
“Ci voleva tanto?”
“Ti ho lasciato lavare quel pentolino a una condizione.”
“Ma davvero? E quando mi avresti avvertita?”
“Stavo per farlo ma hai preferito prendere iniziativa e lavare quel pentolino, quindi hai inconsciamente acconsentito alla condizione che stavo per proporti.” Spiegò decisa Emma.
“Molto convincente! Dimmi di cosa si stratta e forse accetterò.”
“Gioco delle 20 domande!” esclamò con un sorriso.
“Non se ne parla!”
“Ci aiuterà a conoscerci meglio.”
“E’ tardi dovremmo studiare.”
“Quando mai hai voluto studiare? Andiamo, Regina!” piagnucolò.
“Davvero vuoi arrivare impreparata domani a scuola?”
Emma sapeva a che gioco stava giocando e a malincuore ammetteva che l’avrebbe lasciata vincere.
Ma una battaglia, non era la guerra.
“D’accordo. Dopo lo studio, giocheremo.”
“Giocheremo solo quando avrai qualcosa da offrirmi in cambio.”
Emma la guardò sbalordita “scherzi? Rifugio e aiuto a casa mia ogni pomeriggio cosa è per te?”
Regina rise “okay come vuoi, pur di non studiare!”
La bionda alzò gli occhi al cielo in tutta risposta.
“Ma! Ci servono delle regole.” Continuò l’altra.
“Il gioco ha già delle regole: non si risponde a una domanda con un’altra domanda. E si deve sempre rispondere a quello che è stato chiesto, senza eccezioni.”
Regina sapeva perfettamente cosa Emma le avrebbe chiesto, era il principale motivo per il quale voleva assolutamente fare quello stupido gioco.
Se avesse accettato, sapeva che sarebbe stato come fare una confessione a cuore aperto.
Ne era davvero pronta?
Se lo era, perché le serviva una costrizione sottoforma di gioco?
Emma notò quel silenzio e decise che avrebbe saputo, in un modo o nell’altro.
“Se vuoi tirarti indietro, puoi farlo.” Scrollò le spalle “capirò se non credi di esserne capace.”
Sapeva che tasto aveva toccato, così come lo sapeva la mora.
Non bisognava avere una laurea per essere capace di giocare a quello stupido gioco.
La provocazione di Emma era a dir poco ridicola in quel contesto.
Ma decise che l’accettava.
Voleva sapere a cosa si riferiva Ursula? Che glielo chiedesse, allora.
In fondo anche Regina aveva qualche domanda da farle.
“D’accordo. Giochiamo!” dichiarò, vedendo Emma esultare “ma inizio io.”
La ragazza annuì.
“Il tuo modo di essere è stato influenzato?”
“Si.”
“Da chi?”
“Regina, tocca a me.”
La mora sorrise “giusto.”
“Ursula, a cosa si riferiva?”
“A una cosa che mi è successa … quindi, da chi?”
“Da tutto quello che ho vissuto. E cosa ti è successo?”
“Il ragazzo che amavo è andato via. Cosa hai vissuto?”
“Molti traumi … chi era?”
“Daniel Colter. Che tipo di traumi?”
“Cambio continuo di famiglie adottive.  Parlami di lui.”
“Non è una domanda.” Rispose con durezza, abbassando lo sguardo.
“Non vuoi sapere del fatto che sono stata adottata?” Emma riacquistò lo sguardo di Regina su di sé “parlami di lui ed io ti parlerò di questo.”
Era davvero inutile tirarsi indietro a quel punto.
“Abitava qui fino a poco tempo fa … un anno e sei mesi fa.” Non le andava proprio di fingere che approssimativamente ricordava il tempo da quando era andato via, dal momento che teneva conto anche dei giorni “eravamo cresciuti insieme, il mio primo amico … il mio primo amore. Ma lui non piaceva molto a mia madre … diceva che non era abbastanza per me, e che non avrebbe mai dovuto trascinarmi con sé. E’ stato lui a farmi conoscere i miei attuali amici.” Sorrise quando un ricordo nitido fece capolinea nella sua mente “e forse era pure troppo per me. Era fantastico! Mi faceva sentire sempre la persona più importante, mi faceva ridere come nessuno era mai riuscito a fare … e faceva quelle cose piccole, sai, i gesti che nessuno nota ma tu li noti se li fa la persona a cui presti la tua totale attenzione. Quando conobbe Robin, e poi Killian, non mi lasciò indietro. E quando venne a sapere delle loro amiche, me le fece conoscere e creammo questo gruppo. Non ha mai pensato di abbandonarmi … mi amava.” Il suo sorriso non vacillo un attimo a quella consapevolezza “io sicuramente amavo lui.” Aggiunse.
 “Dov’è adesso? Ti prego non dirmi che …”
“E’ andato via.”  Un brivido le percorse la schiena a ricordare la prima volta in cui ebbe una paura tale da farle tremare le gambe “la sua famiglia da un giorno all’altro si è trasferita. Colpa di mia madre, ovviamente. Li ha praticamente costretti.” Spiegò con un sorriso beffardo.
“Mi dispiace …”
“Oh, ti prego Emma.”
“Cosa?”
“Odio quando la gente dice mi dispiace perché non sa che dire. Non è vero che ti dispiace, non c’eri, non lo conoscevi e non ci conoscevi. E’ una cosa che si dice tanto per, e la odio. Non me ne faccio un bel niente.”
Era la prima persona che Emma conosceva a reagire così a un mi dispiace.
“Volevo solo darti conforto. Non ti conoscevo ma ti conosco adesso, e questa è la cosa che ti ha resa così … superficiale. Ti avrei voluto conoscere quando avevi perennemente quel sorriso con il quale parlavi poco fa. Ma ero troppo occupata ad essere finalmente felice, quindi, il mio mi dispiace è per non essere arrivata prima.”
“Non avresti fatto la differenza. Avevo chi mi consolava, ma non era lui. Tu non sei lui. Nessuno è lui.”
“Sembra che Robin sia qualcuno.” Mormorò.
“Non parlare di questioni che non sai.”
“Parlamene tu, allora.”
“E’ il tuo turno, se non ricordo male.”
Emma sospirò.
Regina aveva ragione.
“Beh non c’è molto da dire..il mio cognome è diverso da quello dei miei genitori, te ne sarai accorta.
Appartiene alla prima famiglia che mi ha adottato. Avevo nove anni. Già, nove anni in un orfanatrofio e la mia prima famiglia mi riporta indietro dopo cinque mesi, come fossi un oggetto rotto da cambiare.”
“Non sei un oggetto rotto da cambiare.” Sentì il bisogno di precisare la mora.
Emma sorrise “mi hanno già convinto di questo, ma ti ringrazio.”
“Quante famiglie hai cambiato prima di arrivare qui?”
“Sette.”
“Wow.”
“Dicono tutti che causavo problemi … la verità è che si aspettavano che io non fossi una bambina come le altre solo perché dovevo sempre essergli grata di essere stata adottata.” Sputò fuori con una smorfia “ma poi sono arrivata qui … ed avevo così paura a fare qualsiasi cosa, pure di respirare. Ma Mary Margaret e David erano così diversi, mi hanno insegnato cos’è il divertimento, cosa vuol dire essere bambini.” Sorrise.
“Alla fine è proprio vero che il sangue non fa un legame.” Commentò Regina “e perché mi hai detto che ti lasci toccare solo da Neal?”
La bionda deglutì “perché gli unici momenti nei quali mi hanno sempre toccata erano quando arrivavo in una nuova famiglia, con un abbraccio, e quando mi abbandonavano nuovamente in orfanotrofio con un altro abbraccio. E’ stato difficile fidarsi di ogni abbraccio da mia madre e mio padre, ma ancor di più di quelli da parte di Neal … è l’unica persona, al di fuori della mia famiglia, da cui mi lascio toccare perché ormai so per certo che non se ne andrà.”
Regina annuì e a quello seguì il silenzio da entrambe le parti.
Un silenzio che non era imbarazzante, ma confortante.
Entrambe avevano bisogno di assimilare quello che era appena successo.
Regina non aveva mai raccontato a nessuno di Daniel, le persone che lo sapevano era perché lo conoscevano.
Emma invece aveva raccontato la sua infanzia a Neal, ovviamente.
Ma quello che entrambe si chiedevano era perché avevano avuto questo bisogno reciproco di conoscersi, di sapere, di capire.
Del resto si sa, non ti interessa capire qualcosa se non ti affascina.
Ed Emma era affascinata dalla persona che Regina era, come quest’ultima lo era dalla vita della bionda.
Erano due universi opposti.
E c’era questa curiosità di capire come stessero le cose dall’altra parte, del perché sembravano così dannatamente interessanti.
La porta d’ingresso di Casa Nolan si aprì in quel momento.
“Buonasera ragazze!” esclamò Mary Margaret entrando in casa.
Emma guardò l’orologio “è passato tutto questo tempo?” chiese sconvolta.
“Tu e le tue fantastiche idee.” La incolpò Regina.
“Okay okay non importa possiamo ancora studiare qualcosa, iniziamo subito.” Andando a sedersi davanti il tavolo da pranzo.
“Avete un’oretta il tempo che cucino e che papà rientri.” Le informò sua madre.
“Regina vieni a sederti, muoviti!”
E quest’ultima controvoglia raggiunse Emma.
 
Il giorno dopo, sempre allo stesso orario e sempre nella stessa casa, Regina aspettava Emma che come consueta abitudine si aggiornava con Neal durante la pausa studio.
La bionda arrivò di corsa in cucina “Regina!”
La mora sobbalzò.
“Prima che me ne dimentichi ancora: devi uscire con me e Neal!” disse, per poi tornare indietro da dove era venuta dal momento che aveva ancora il suo ragazzo al telefono.
Lasciando Regina nella confusione più totale.
“Io non vengo da nessuna parte.” Chiarì subito quando Emma tornò.
“Ti ho solo accennato la questione, lasciami spiegare.” Le disse, accomodandosi sul divano accanto a lei “Neal vuole che tu e Robin veniate a cena con noi, vuole ringraziarti per ciò che hai fatto ma dal momento che sarebbe imbarazzante uscire solo con noi, porta con te Robin.”
La mora la guardò attonita “Che cosa avrei fatto?”
“Quando mi hai portato a casa tua nel tuo giorno.”
“Aaah! Beh non  c’è bisogno di ringraziarmi, davvero. Tu hai fatto lo stesso per me.”
“Neal ci tiene. Pensa che tu sia una persona totalmente diversa da quella che pensava e desidera conoscerti meglio. Vista anche la quantità di tempo che passi in mia compagnia.” Si spiegò meglio “e credo sia una bellissima idea! Meriti di conoscerlo e viceversa.”
“Molto carino ma vedi, io e Robin non siamo tipi da queste cose…voglio dire, non stiamo nemmeno insieme.”
“Quindi Robin non è qualcuno…”
“Lui è mio amico.”
“Ci vai a letto.” Constatò la bionda.
“Mai sentito parlare degli amici di letto? E’ accertato che nel 75% dei casi, un’amicizia dove si condivide anche un rapporto intimo si rafforzi.”
“Sembrate intimi anche fuori dal letto.”
“Ti ho già detto di non parlare di cose che non sai.”
“Invece ne parlo eccome affinché tu sia sincera! Io vi ho visto, la volta in cui siamo andate a prenderli al conservatorio…eri felice di vederlo, gli sei corsa incontro e lui aveva un sorriso alla tua vista! Ti ha abbracciato sollevandoti da terra e facendoti volteggiare!”
“Porca vacca perché devi sempre prendere seriamente qualsiasi cosa! Ero felice vederlo come ero felice di vedere tutti loro.”
“Lasciatelo dire da una che guardava dall'esterno e non era distratta da attenzioni altrui…ho pensato perfino che fosse davvero il tuo ragazzo.”
“Beh non lo è!”
“Almeno hai mai provato? A prenderla seriamente, a pensare a una relazione.”
Regina pensò che no, non ci aveva mai pensato.
Ma non perché non le era mai venuto in mente, semplicemente perché non voleva una relazione con Robin quindi non le interessava mettersi in testa il tarlo del E se.
Robin era troppo per lei.
Troppo idiota, troppo immaturo.
A volte perfino prepotente quando voleva ad ogni costo qualcosa.
Andava a letto con chiunque.
E poi puzzava di foresta, nemmeno ci vivesse.
Non le piaceva, anche se ci faceva sesso.
Quello era uno sfogo, qualcosa da fare con qualcuno con cui pressoché si fidava.
“Non voglio provare, non mi interessa.” Spiegò.
“Come puoi dirlo se non hai mai provato?”
“Non mi piace come persona okay?” lo disse con un disgusto che fece sorprendere anche lei, non voleva uscisse proprio in quel modo “e comunque essere il mio ragazzo non farebbe una grande differenza.”
“D’accordo. Portalo almeno da amico, o porta chi vuoi, va bene? L’importante che ci sarai. Desidero davvero che Neal ti conosca meglio e che tu conosca lui.”
Regina sbuffò per poi annuire.
Arrendendosi al potere che quella ragazza incominciava ad avere su di lei.
 
  
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