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Autore: GeorgiaRose_    20/09/2016    1 recensioni
Martina Stoessel è convinta che per lei la felicità non arriverà mai. Adottata a due mesi, a undici anni è dovuta tornare in orfanotrofio per via di un evento che le ha totalmente cambiato la vita. Non si fida più di nessuno. Non parla più ai ragazzi. Non ha più degli amici. Non ha più una famiglia. È sola. Ma l’incontro, dopo cinque anni, con il suo amico di infanzia Jorge Blanco le cambierà nuovamente la vita. Nonostante l’età, verrà adottata nuovamente, proprio dalla famiglia Blanco. Jorge, da sempre innamorato di lei, le starà vicino e diventerà, in poco tempo, più di un amico. Ciò che non sa, però, è che anche Jorge ha un brutto passato alle spalle. Riusciranno, insieme, ad affrontare e a risolvere i loro problemi?
“E adesso guardami, io non so più chi sono. Scaldami, quando resto da solo. Calmami, se mi sfogo con loro. Salvami.”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jorge Blanco, Un po' tutti, Violetta
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La presentazione di me e Alex, martedì, è andata davvero bene. Alla professoressa è piaciuta tantissimo la nostra idea, più originale rispetto alle solite presentazioni PowerPoint. Si è anche congratulata con me perché ho esposto molto meglio rispetto alla volta precedente. Non me l’aspettavo, ma Alex ha saputo tranquillizzarmi, nonostante l’ancora grande imbarazzo che provo per via di domenica. Pian piano mi sto aprendo con lui e anche con tutti gli altri. Sto facendo grandi progressi e non potrei essere più fiera di me stessa.
La gioia lascia il posto alla preoccupazione quando inizio a pensare che Jorge e Cande non sono ancora tornati nonostante siano le 2 di notte. È sabato e oggi ho fatto la saggia decisione di restare a casa. Dopo l’ultima volta, non credo che tornerò molto presto in discoteca. Devo ricordarmi di dirgli che esistono anche altri posti dove andare oltre al quel luogo rumoroso e pieno di gente, ma probabilmente non mi ascolteranno.
La porta d’ingresso che si apre e si chiude mi distoglie dai miei pensieri. Jorge e Cande sono tornati.
«Fai presto, mi raccomando. È tardi.» Sento dire da Cande lungo il corridoio.
«Sì.» risponde Jorge. Di che parlano?
Subito chiudo gli occhi, facendo finta di dormire. Sento la porta della mia camera che si apre. Riconosco i passi pesanti di Jorge. Dopo pochi secondi, sento le sue labbra premere sulla mia guancia, e un piccolo ghigno subito dopo. Probabilmente sta sorridendo.
Lo sento allontanarsi e chiudere la porta, lasciandomi di nuovo sola.
Sento nuovamente la porta di casa aprirsi e chiudersi. Jorge è uscito di nuovo? Alle 2.30 di notte? Questa cosa non è normale. Mi alzo immediatamente dal mio comodo letto, ed esco dalla camera per poi entrare in quella della rossa. Ma, con mia grande sorpresa, Candelaria non è nella sua camera.
 
Dei baci umidi lungo il collo e i brividi provocati da essi, mi fanno svegliare d’improvviso. So di chi si tratta, ma faccio finta di dormire ancora, voglio che questa sensazione duri più a lungo possibile.
«Buongiorno, dormigliona!» Uff, se n’è accorto.
«Buongiorno.» dico, stropicciandomi gli occhi. «Che ore sono?» chiedo, ancora con la voce impastata, guardandolo. I capelli scompigliati, lo sguardo assonnato. È così maledettamente bello.
«Le 10.30.» risponde, con tranquillità.
«Cosa? È tardissimo.» Mi alzo immediatamente dal letto, avviandomi verso l’armadio per scegliere cosa mettere, ma Jorge mi prende per un braccio, bloccandomi.
«Oggi non andiamo al cimitero, ricordi?»
Mi rilasso. Ha ragione. Ieri Cecilia mi ha detto che oggi sarebbero venuti i nonni di Jorge e Cande e che quindi voleva una mano in cucina. Un po’ mi dispiace non andare da mia madre, ma non del tutto.
«In ogni caso è tardi! Devo aiutare tua madre!»
«C’è già Cande che l’aiuta! Dai, torna a letto. Divertiamoci un po’.» Ma cosa sta dicendo?
Ammetto che l’idea di stare ancora un po’ con lui, tanto vicini da poter sentire il respiro l’uno dell’altro, mi alletta parecch… Un momento. Ma cosa sto pensando?
«Esci dalla mia camera.»
«No, dai.»
«Esci, devo cambiarmi.»
«Un motivo in più per restare.» Sorride beffardo.
«Jorge!» Urlo quasi.
«D’accordo.» Si alza dal letto. È a petto nudo nonostante siamo alla fine di gennaio. Deglutisco, guardandolo.
Apre la porta e prima di uscire, mi dice «non mi guardare troppo, che mi sciupo.» Prendo un cuscino dal letto e lo lancio verso la sua direzione, ma Jorge riesce a chiudere velocemente la porta, e il mio lancio va a vuoto. Mi mordo il labbro inferiore sorridendo. Cosa mi sta facendo quel ragazzo?
 
«Mamma, davvero ti fidi di Cande ai fornelli?» Jorge entra in cucina. Si è cambiato, ora indossa un maglioncino beige che gli va parecchio attillato, il che non mi dispiace.
«Ma stai zitto, sei bravo tu!» Risponde Cande.
«Lo sai che sono bravo!»
«Certo certo…» Ironizza la rossa.
«Ehi..!»
«Smettetela di battibeccare voi due!» Li riprende Cecilia.
«Se sei così bravo come dici, perché non ci dai una mano invece di stare lì a guardare?» Propongo.
«No, vi farei fare una brutta figura.» Si vanta.
«Certo, se lo dici tu.» Dico, poco convinta.
«Ora ti ci metti anche tu!»
«Ora basta, o ti rendi utile o esci dalla cucina! Grazie!» Sbotta Cecilia, sembra essersi infastidita. La capisco pienamente.
«Me ne vado, me ne vado. Non meritate la presenza di un grande chef come me tra voi.» Dice, uscendo.
«Ma quanto è stupido quel ragazzo da 1 a se stesso?» Dice Cande, facendoci ridere. Mi ha tolto le parole di bocca.
 
Il pranzo sta andando davvero bene, i genitori di Alvaro sono gentili e simpatici proprio come li ricordavo. Molte volte intervengono con qualche aneddoto su Alvaro, di quando era piccolo o di quando frequentava Cecilia. Lo stanno mettendo davvero in imbarazzo, ma ciò non sembra preoccuparli.
«Ehi, Jorge, vieni qui, ho una cosa per te.» Dice Alvaro, alla fine del pranzo. Ormai sono tutti seduti sui divanetti, mentre io guardo fuori dalla finestra. Sono attenta sul paesaggio fuori, sta per fare notte, ormai, ma le parole di Alvaro mi fanno voltare immediatamente, facendomi concentrare su di loro.
«La vedi questa?» Dice, indicando qualcosa tra le sue mani. Mi avvicino, non riuscendo a vedere cos’è. È una collana, il ciondolo è un po’ rovinato, ma non ha perso la sua bellezza. Jorge annuisce, permettendo al padre di continuare. «Vedi, questa collana appartiene alla nostra famiglia da generazioni. È tradizione che il figlio maschio la debba donare alla ragazza con cui trascorrerà tutta la sua vita.»
«Non è proprio così, Alvaro.» Interviene il nonno Bob. «In realtà la tradizione è che la collana si deve donare alla ragazza, che non abbia legami di parentela con te, che ami più di chiunque altro. Non dovete per forza stare insieme ed essere felici, anche perché in passato ciò non poteva accadere sempre per via di accordi prematrimoniali o roba del genere. Deve essere quella ragazza che ogni volta che la guardi da lontano, nello stomaco non hai farfalle, ma uno zoo intero.» Dice, ridacchiando. «Quella ragazza che sai che il tuo sorriso dipenderà solo ed esclusivamente dal suo. Quella ragazza che ogni volta che ci parli, ti faccia dimenticare il tuo passato, la tristezza. Trova qualcuno che ti cambi la vita, che la renda migliore, che sostituisca e riempia il vuoto di chi se n’è andato. Trova quella ragazza per cui valga la pena sorridere.» Wow, che belle parole. Esiste davvero una persona che potrebbe farti provare tutte queste sensazioni? Mi faccio così tante domande a cui non so rispondere; mi sento così stupida a volte.
«Ho capito, nonno, grazie.» Dice, prendendo la collana. Mi guarda per qualche secondo per poi rivolgersi di nuovo a suo nonno. «Sai, nonno, la cosa divertente e che penso di averla già trovata.» Dice, sorridendo, facendo sorridere anche agli altri.
«Jorge, non puoi saperlo ora. Quella collana è molto importante per noi. Non devi darla a chiunque, o a una ragazza di una notte. Hai capito?»
«Sì, nonno, ho capito. Grazie ancora.»
«Ehi, non è giusto! La voglio anche io una collana da poter donare all’amore della mia vita!» Si lamenta Cande. È la solita.
Si sente il campanello di casa. «Vado io.» dico, non volendo interrompere questo momento in famiglia.
Apro la porta, e mi paralizzo all’istante. Non può essere davvero lui. Come è possibile? Ha qualche ruga in più, ma il suo volto è inconfondibile.
«Martina. Sei davvero tu! Come sei cresciuta, bimba mia!» Sorride.
Indietreggio immediatamente, quasi cado. Le mani immobilizzate, la paura che mi si legge negli occhi. No, non di nuovo.
«Cosa fai qui? Via da questa casa!» Sento la voce alta di Alvaro, ma i miei occhi sono paralizzati su di lui.
«Alvaro, ti prego. È mia figlia.»  
«In questa casa non sei il benvenuto! Va via!»
Non voglio continuare a sentire la questione. Mi volto e salgo velocemente le scale.
«No, Martina, no!» Sento la sua voce, ma non mi volto.
Corro per il corridoio e mi rifugio nella mia camera. -Non piangere, Martina, non piangere.- Mi dice il mio cervello, ma non sembro ascoltarlo. Le lacrime scivolano velocemente lungo le mie guance. Perché? Perché? Perché? Stava andando tutto così bene. Perché?
Mi sento sul letto e cerco di soffocare le lacrime con il cuscino, ma tutto sembra inutile. E mi addormento con ancora le lacrime che mi bagnano il volto.
 
Bussano alla porta. Non so quanto tempo sia passato, ma sono ancora sul letto, con il volto bagnato. Mi fa leggermente male il collo, probabilmente per la posizione scomoda con cui mi dono addormentata.
«Martina, sono io. Posso entrare?» Non rispondo alle parole di Jorge. «Martina, rispondi, ti prego.» La sua voce sembra stanca e preoccupata, ma non ci faccio molto caso. «Martina se non rispondi, entro.» Ancora non rispondo. Probabilmente non voglio che capisca che ho pianto, o, ancora più probabile, il mio inconscio mi sta dicendo che voglio che entri. «Ok, non mi lasci scelta.»
Sento la porta aprirsi e chiudersi. Dei passi avvicinarsi. La molla del letto che si abbassa. È seduto accanto a me ora.
«Ehi.» dice, con voce calma. «Come stai?» non rispondo. Come dovrei stare? «Hai ragione, domanda stupida. Ma sai, non so esattamente cosa dire o cosa fare. Aiutami ad aiutarti, Martina.»
Mi alzo col busto dal letto, sedendomi di fronte a lui. Le lacrime scendono ancora ma non mi importa. Mi butto tra le sue braccia. E lui subito mi accoglie.
«Vorrei solo essere qualunque cosa ti faccia star bene.»
«Sii te stesso. Tu mi fai star bene.» Gli dico, e non posso credere di averlo fatto davvero. Ma è così. Un suo abbraccio è riuscito a calmarmi come niente era mai riuscito a farlo. Anche solo la sua presenza in questa stanza. Le sensazioni e le emozioni che mi fa provare mi hanno travolta completamente, come un uragano, e non so davvero come uscirne. Anche se, credo di voler stare in questa tormenta per sempre.
 
Scendo le scale, un’altra stressante settimana di scuola sta per iniziare. Fortunatamente mancano solo quattro mesi al termine. Svegliarsi presto e lo studio non fanno per me.
«Buongiorno.» Dico, entrando in cucina.
Dopo il solito “rituale” di prendere la mia tazza da sotto il naso di Jorge, la colazione continua tranquillamente.
«Jorge, oggi non vado a lavoro, puoi prendere la mia auto, se vuoi.» Dice Alvaro a suo figlio, mentre aiuta Cecilia a togliere la tavolo.
«Grande, pà! Grazie.» dice, prima di risalire le scale.
In cucina siamo rimasti solo io e i due padroni di casa. Mi sembra il momento giusto per parlarne.
«Alvaro, Cecilia…» Li chiamo, attirando la loro attenzione. «Sentite, mi sapete dire perché… cioè, perché lui ieri era qui?»
Cecilia mi fa un sorriso amaro per poi rispondere. «Ha avuto un giorno di uscita per via di buona condotta. Ovviamente, era scortato da due poliziotti.»
«Ah… Ho-o capito, grazie.» Dico, prima di girarmi, pronta per tornare di sopra per prepararmi, ma la voce di Alvaro mi fa voltare nuovamente.
«Martina, non devi preoccuparti. Non si avvicinerà più a te, non ti farà più del male. Hai capito?»
Annuisco lentamente e lo ringrazio con un flebile sorriso, per poi uscire dalla camera.
 
Fortunatamente questo lunedì è passato in fretta. Anche se, ammetto che la scuola è stato un ottimo diversivo per non pensare alla giornata di ieri. Mio padre, Jorge… Mi fido di Alvaro, so che non permetterà mai che qualcuno mi faccia del male. Eppure, questa sensazione di paura e trambusto non riesce ad andare via, come se il mio cuore la trattenesse con forza. Ora che ci penso, però, c’è stato un momento in cui queste due sensazioni mi hanno lasciato. Sono così confusa. Vorrei poter parlare con qualcuno e capire cosa mi sta succedendo. Ma, pensandoci, ho qualcuno con cui confidarmi. Mi alzo dal letto e abbandono la mia camera. Busso alla porta della stanza di fronte ed entro subito dopo un «Avanti» squillante.
«Tinitaa!» Mi sorride raggiante, facendomi segno di sedermi accanto a lei, sul suo letto.
«Cande, ho un urgente bisogno del tuo aiuto.» Le dico.
«Uh, la cosa sembra seria. Dimmi tutto.» Prende un cuscino e se le posiziona sulle gambe incrociate per poi appoggiarci sopra i gomiti.
«Ecco, io non so come iniziare.»
«Dall’inizio, magari.» Ironizza, ma non ha tutti i torti.
«Ti è mai capitato di abbracciare qualcuno e sentirti al riparo?» Le chiedo. Un sorriso dolce si stampa sulla sua faccia.
«Certo. Moltissime volte.»
«E sai spiegare questa cosa? Perché succede?» Alza un sopracciglio, quasi come se le facesse strano che io non sappia rispondere a queste domande. «Okay, ascolta, io sono completamente inesperta, in qualsiasi campo. Aiutami, ti prego.» Ride per questa mia ultima affermazione. Sembro davvero disperata.
«Okay, ascoltami, non so esattamente perché succede, anche perché dipende con chi ti succede, se c’è un legame di parentela o altro. Ciò che posso garantirti, però, è che la persona o le persone con cui ti succede sono molto importanti per te…»
Non la lascio continuare che la interrompo «È che con lui è tutto così diverso, tutto ha una luce migliore.»
«Aah, ma quindi è un lui!» Esclama sorpresa, ma qualcosa mi dice che già avesse capito di chi si tratta.
«Sì, è un lui.»
«Okay, fammi capire esattamente ciò che provi. Le cose si fanno interessanti.» Sghignazza.
«Non lo so esattamente. Ma lui mi fa sorridere sempre, nonostante tutti i problemi, se solo lo vedo mi sento meglio, tutti i problemi vanno via e rimane solo lui. Anzi, rimaniamo solo io lui. Poi è molto dolce…» Sto divagando.
«Ehi ehi ehi! La nostra Tini è innamorata!» Esclama.
«Cosa? No, non sono innamorata. Non so nemmeno cosa voglia dire essere innamorati.»
«Non lo sai, e infatti sei qui a chiedere spiegazioni.» Ride. Ha ragione.
«Sei seria, Cande? Io bho, non ci posso credere. E poi non credo che lui ricambi.»
«Tini, ma non devi preoccuparti per questo. Ma ti vedi? Sei fantastica, sia fuori che dentro e se lui non lo vede, allora non ti merita.»
«Dici?» Chiedo, insicura come al solito.
«Ma certo! Devi avere la forza di rischiare, e superare la paura. Quindi sei praticamente obbligata ad andare a parlare con lui.» Cos’è questa dittatura?
«E se va male?»
«E se va bene?» Chiede. «Il bicchiere non è sempre mezzo vuoto, Martina. So che la tua vita non è stata tutta rose e fiori, e questa deve essere un’incentiva in più per migliorarti.»
«Credo che tu abbia ragione, Cande.»
«Io ho sempre ragione.» Si vanta.
«Sì, certo, Scoiattolo.» Dico, ironizzando, andando verso la porta.
«Ehi! Non chiamarmi così!»
«D’accordo, Scoiattolo.» Oddio, mi sembro Jorge.
«Smettila.»
Sorrido, guardandola. «Grazie, Cande.»
«Questo e altro per te.» Ricambia il sorriso.
Esco dalla camera. Deglutisco. Devo parlare con lui.

 

*Angolo Autrice*
Ehi, ragazzuooli! Come state? Spero beeene. A me la scuola sta già stressando e stiamo solo all'inizio... Nonostante ciò, sono riuscita ad aggiornare :D Che brava che sono u.u Comuuuunque, non voglio allungarmi troppo, anche perché devo studiare. Buona lettura :* (Anche se in teoria leggete prima il capitolo e poi l'angolo autrice ma okay xD) Tanti beesooos :**

  
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