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Autore: SherlokidAddicted    21/09/2016    2 recensioni
[ Wholock | Johnlock ]
- Voglio sapere chi è lei e che ci fa qui. –
- Sono il Dottore! – Dice porgendomi la mano ed aspettandosi che io la stringa, cosa che però non succede. Assottiglio lo sguardo e lo scruto con attenzione mentre, deluso dalla mia mancata stretta, abbassa il braccio e lo riporta lungo il fianco.
– Il suo vero nome. –
- Beh, è questo il mio nom… -
- Non il nome con cui si fa chiamare, ma il suo vero nome, quello che nasconde a tutti da sempre, forse perché ha fatto qualcosa. Oh, allora è così! Ha fatto qualcosa di brutto, qualcosa di inaccettabile di cui si pente, talmente tanto che si vergogna ad utilizzare il suo vero nome e si nasconde dietro un titolo che la fa sentire meno in colpa di quanto vorrebbe, non è così… Dottore? – Gli occhi del mio nuovo conoscente si strabuzzano non appena mi sente pronunciare quelle parole con quel tono indagatore che mette la maggior parte delle persone che mi stanno attorno in soggezione, lui compreso.
- Oh, è proprio bravo come dicono… –
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The side of the Angels'
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John, tu mi aiuti sempre



Hyde Park stasera ha un non so che di sinistro ed inquietante. L’aria è gelida. Il mio cappotto e la mia sciarpa non avrebbero contribuito abbastanza per rendere la situazione più sopportabile. Le luci dei lampioni e le ombre che le statue formavano, facevano sembrare quel luogo adatto a degli assassini solitari come gli Angeli. Sembra una scena di un film horror, i cui protagonisti sono un medico, un detective ed un alieno con una cabina blu… mai avrei immaginato di poter pensare cosa più bizzarra di questa.

- Oh, cavolo! – Il Dottore varca la porticina dopo di noi, e l’aria fredda che lo investe gli fa sfregare le mani per scaldarsi. È tutto inutile e dubito che il suo cappotto marrone migliori la situazione. – Freschetto, eh? – Mormora alitando sulle proprie mani. – Vi direi di restare nel Tardis, ma non riusciremo a vederli e ad agire in fretta se queste due bestioline si fanno vive. – Mi si avvicina e mi passa la busta con dentro il pezzo di roccia mancante. Attorno al collo aveva un cinturino di cuoio marrone che reggeva il suo rilevatore di tempo transitorio, gli occhiali come al solito sono inforcati sul naso e nell’altra mano stringeva quello che lui chiamava cacciavite sonico. A cosa serva quel coso, però, non l’ho ancora capito.

- Il piano? – Chiede John mentre lo guarda aggirarsi poco più in là.

- Oh, vedrete, l’ho già fatto una volta con degli altri Angeli. – Dice puntando il cacciavite sul suo rilevatore. – Beeeeh, in realtà sono stato aiutato. Io ero bloccato negli anni sessanta e il Tardis era rimasto in quest’epoca. Non sapete quanto sia divertente mandare messaggi dal passato. – Si divertiva. Il Dottore trovava divertente qualunque situazione di pericolo, adorava scoprire metodi per fermare la gente pericolosa e le creature (come in questo caso).

Già, come me.

- Abbiamo quattro esche assicurate. Al resto ci penserò io. –

- Quattro, Dottore? – John inarcò confuso il sopracciglio.

- Io e te, John. Il Dottore ha specificato che erano particolarmente attratti da noi, questi Angeli. Perché abbiamo preso questo! – Dico sollevando la busta con il pezzo, in modo che possa vederlo. – La terza esca ovviamente. Per questo credo che siamo potenziali vittime. La quarta esca, molto semplice: il Tardis è un mezzo di trasporto molto potente, immagino. Chi non ne vorrebbe uno? Ma, Dottore, hai omesso una quinta esca e sei proprio tu. Se gli Angeli hanno bisogno di nutrirsi di tempo, tu sei proprio in cima alla lista con i tuoi novecento anni, o sbaglio? In più sei un Signore del Tempo, chissà quanto potrebbe giovare a loro. – Entrambi mi guardano stupiti. Non capisco come John non riesca ad arrivare a conclusioni così ovvie.

- Esatto! – Dice il Dottore con un sorrisetto, poco prima di distogliere lo sguardo. John è in imbarazzo. Si è sentito inferiore per un po’… e ora il senso di colpa mi attanaglia. – Beeeeh, non so quanto ci metteranno, quindi che ne dite di una tazza di tè? Ho una cucina spettacolare qui dentro! Ci aiuterà a scaldarci. – Dice battendo due colpi sulla porta della cabina. Non ci dà il tempo di rispondere, perché continua a parlare. – Le preparo, quindi. Tenete gli occhi aperti! E comunque, se dovessero arrivare, il rivelatore emetterà un bel “ding”. Occhio al “ding”! – Detto ciò, scompare all’interno del Tardis, lasciando la porticina socchiusa.

- Stiamo per diventare le potenziali vittime degli Angeli piangenti e lui pensa a fare il tè. – John ridacchia mentre pronuncia quelle parole e prende posto su una panchina proprio lì accanto.

- Già. – Accenno una risata anche io mentre prendo posto accanto a lui, continuando a tenere lo sguardo fisso sul pezzo di roccia che avremmo usato come esca.

- Siete simili, in certi aspetti. –

Non sai quanto, John… non sai quanto.

- Dici? –

- Sì. – Non rispondo. Mi limito a guardarmi intorno e il parco è vuoto. Di solito anche di notte è possibile che alcune persone si rechino qui per fare jogging, andare in bicicletta, portare a spasso i cani o semplicemente per passeggiare. Questa sera no. È come se la gente sapesse di un potenziale pericolo nei paraggi… nonostante siano soltanto le dieci di sera.

John sembra nervoso, agitato. Si guarda intorno per cercare di trovare delle parole che non riesce a dire. Non è agitato per gli Angeli. È un soldato, la paura non lo scalfisce ormai così tanto. Il nervosismo è per qualcos’altro.

- Mi è… capitato di chiacchierare da solo con il Dottore, questa mattina. – Poco dopo si fa sfuggire una risatina nervosa. – Ma lo sai già questo. –

- Sì, ero l’argomento della chiacchierata. – Lui si zittisce e comincia a torturarsi le mani fra di loro, fissando un punto indefinito sul terreno.

- Non abbiamo parlato solo di te. – Mormora poi puntando gli occhi nei miei. I nostri sguardi si incatenano all’improvviso ed entrambi siamo sicuri di leggerci dentro, senza bisogno di dire nulla. Ma ciò che percepisco ha bisogno di conferme… voglio che parli. – Mi ha chiesto di raccontargli di me. Ha visto che sono diventato cupo e si è preoccupato. Così gli ho parlato di Mary. E sai cosa ha detto dopo? – Scuoto la testa in segno di negazione, e lui continua a parlare. – “Non sei sembrato tanto psicologicamente distrutto dal lutto, in questi giorni. Io non ho notato niente.” Ed è da qui che siamo arrivati a parlare di te. – Non so che dire. Non so a cosa vuole andare a parare e non mi piace non sapere. – Secondo lui sei stato tu a farmi dimenticare il dolore ed io credo che… -

Aspetta, il Dottore ha rivelato a John ciò che io gli ho segretamente confessato su di lui?

- Cosa ti avrebbe detto? – Il mio tono allarmato lo stupisce, e da quella reazione capisco che il Dottore ha tenuto la bocca chiusa sull’argomento e che mi sono totalmente sbagliato.

- Solo che la tua compagnia mi ha aiutato a dimenticare. –

- Oh! – Dico distogliendo lo sguardo sulla cabina. Riuscivo ad individuare movimento all’interno. Il Dottore stava facendo avanti e indietro in attesa.

- Però poi gli ho detto che… - si blocca, quasi come se quelle parole successive gli facessero paura, o forse credeva che avrebbero fatto paura a me.

- Cosa, John? –

Parla, ho bisogno di sapere.

Sussulto, perché John ha battuto i pugni sulle ginocchia in modo aggressivo, poi ha scosso la testa e ha strizzato gli occhi. Che diavolo sta succedendo? Cosa non riesce a dirmi? E perché continuo a farmi domande senza trovare alcuna risposta?

- Non ce la facevo più, Sherlock. Dovevo dirlo a qualcuno. – Il pezzo di roccia mancante perde del tutto il suo significato per me, infatti lo abbandono sulla panchina accanto a me e rivolgo la mia attenzione solo a lui. – E il Dottore, beh… lui mi sembrava così affidabile che gli ho confessato tutto. –

- Cosa gli hai confessato? – A quel punto mi ritrovo i suoi occhi che mi fissano, guardano i miei in attesa che io, forse, capisca. Però non mi esprimo… mi sembra di non riuscirci.

- Non sai dedurlo? – Mi chiede con una risatina nervosa. – Deduci sempre tutto ma quando si tratta di cose del genere, non capisci. –

John, ti prego.

- Potrei aver capito, ma ho bisogno che tu lo dica. – I suoi occhi sono lucidi, e quando gli afferro la mano, lui non esita a ricambiare la stretta, accennando una leggera carezza con il pollice. – Dillo, John. –

- Sherlock… - Fa un sospiro e ritorna immantinente il silenzio. Ne ho abbastanza. Voglio proprio reagire a modo mio, ma prima devo capire se ciò che ho dedotto corrisponde alla realtà: le sue mani sono sudate, a lui sudano le mani quando è nervoso ed agitato. Ha quel suo solito tic alla gamba, quella del suo passato problema psicosomatico. Quel tic sta a significare non solo che è nervoso, ma che ha paura, paura di un rifiuto, paura di essere respinto. Guarda altrove, evita il mio sguardo per lo stesso motivo, ma quando ho guardato i suoi occhi ho notato le pupille dilatate, ma non perché qui ci sia il buio della notte. Sono esageratamente dilatate, tanto che le sue iridi appaiono come un anello blu sottilissimo.

Ne sono certo adesso.

Posso agire.

E lo faccio.

Mi sporgo quel tanto che basta per azzerare le nostre distanze. Le mie labbra toccano le sue e per un attimo credo di sentire un mancamento. Solo dopo qualche secondo mi rendo conto che… che non ho mai baciato nessuno in vita mia e che quello che sto facendo per me è una cosa totalmente nuova. Mi sento un bambino inesperto e non so come continuare, non so come fare a mandare avanti le cose.

John, d’altronde, è rimasto pietrificato quasi quanto me, ho notato che ha sbarrato gli occhi quando mi sono avvicinato, è rimasto sorpreso da quella mia mossa repentina. Per un attimo mi viene il panico. E se non è quello che vuole? E se le mie deduzioni sono sbagliate? E se il suo nervosismo è dovuto ad altro? Non posso più rimediare, ormai ho agito.

Le mie paure vengono del tutto spianate quando sento la mano di John che si poggia delicatamente sulla mia nuca. Sento che non è più teso come una corda di violino. Si è rilassato e tiene gli occhi chiusi, mentre io sono ancora immobile incapace sul da farsi. Ma lui è John Watson.

John, tu mi aiuti sempre.

Infatti, inizia a guidarmi e ad istruirmi a dovere con il movimento lento delle sue labbra sulle mie, regalandomi il primo bacio migliore che avessi mai potuto ricevere in tutta la vita.

Non sembra poi tanto difficile, perché i movimenti successivi vengono naturali. Ognuno si appropria del labbro dell’altro e lo succhia avidamente, fino a sentire la pelle intorpidirsi.

Le sue labbra sottili sono belle come le immaginavo.

Le sue mani si sono spostate al mio collo ed i suoi pollici si preoccupano di accarezzare delicatamente la linea della mia mascella, facendomi rabbrividire senza controllo.

Io sono rimasto immobile. Le mani sono poggiate alla seduta della panchina, ma non perché io non voglia toccarlo, non voglia accarezzare il suo viso, il suo collo o le sue spalle… ma perché sono talmente in estasi da non accorgermi di niente.

Ci stacchiamo con un leggero schiocco ed io ho ancora gli occhi chiusi. Sto cercando di immagazzinare nel mio palazzo mentale ciò che è appena successo, e mi mordo le labbra al solo pensiero. Non è stato un bacio appassionato, nessuno dei due ha esplorato la bocca dell’altro con la lingua, le nostre lingue sono rimaste al loro posto. È stato un bacio a stampo, lungo, emozionante, da brividi.

Sento ancora le sue mani prendersi cura del mio viso, lo incorniciano e lo accarezzano come se fosse la cosa più preziosa al mondo.
Quando i miei occhi si aprono, i suoi ci si ancorano subito, e mi sorride. È felice, molto felice. E lo sono anche io.

- Era questo che volevi dirmi? – Chiedo in sussurro, ancora senza fiato.

- Sì. – Mi risponde con una leggera risata, mentre imbarazzato abbassa lo sguardo. – Sì, era proprio questo. – Io gli sorrido per un attimo, poi abbasso lo sguardo e porto la mano sulla sua che ancora è posizionata sulla mia guancia.

- Credo sia lo stesso anche per me. –

- Credi? –

- Ne sono sicuro. –

- Non è uno dei tuoi esperimenti, vero? – Sollevo lo sguardo stupito e scuoto la testa con decisione.

- Assolutamente no… sono sincero. –

- Bene, perché ricordati che sono un medico militare e potrei romperti tutte le ossa solo chiamandole per nome se solo vengo a sapere che non è così. – La sua minaccia mi fa sollevare l’angolo delle labbra. Anche lui ne è divertito. - Sai, comincio a pensare che il Dottore ci abbia lasciati soli di proposito. – Non ho il tempo di rispondere, perché quest’ultimo arriva alle nostre spalle con il rilevatore appeso al collo. È evidente che il “ding” sta andando avanti da un bel pezzo, ma eravamo troppo presi l’uno dall’altro che non ce ne siamo minimamente accorti.

- Mi dispiace interrompervi, ragazzi. – Dice sollevando l’oggetto davanti ai nostri nasi. – Ma abbiamo un problema in arrivo. – Ci alziamo di scatto e cominciamo a guardarci intorno con il cuore in gola. – Se sono davvero loro, ed immagino proprio di sì, allora voi dovrete restare qui. – Il Dottore corre verso il Tardis ed apre la porticina, restando immobile sull’uscio, in attesa.

- Oh, il pericolo tutto a noi, vero? – John sembra nervoso mentre lo dice, ha paura. Ma non deve averne. Mi fido del Dottore e so che farà di sicuro qualcosa per aiutarci e per evitare che entrambi diventiamo delle vittime.

- Non essere sciocco, John! – Esclamiamo in contemporanea. Ancora quella strana sintonia. Non ne sono infastidito.

- In poche parole: i nostri Angeli sono in due, Sherlock ne attirerà uno da un lato e tu dall’altro. Al resto ci penso io, senza il Tardis non possiamo fermarli, ed immagino che voi non sappiate guidarlo, quindi direi che è la soluzione più accettabile, non credi? – John muove leggermente la testa come per dare ragione al nostro amico. I nostri occhi vagano comunque per il parco, saettano da un punto all’altro alla ricerca di creature che all’apparenza sembrano solo delle innocui statue di pietra.

Passano secondi, passano minuti. Ma nulla. Il “ding” continua incessantemente a frullarci nelle orecchie, ma stiamo tutti in silenzio. Quando
il tempo passa ed ancora non c’è traccia di nessun Angelo, John sbuffa ed incrocia le braccia al petto.

- Dottore, sei sicuro che il tuo rilevatore funzioni? Qui non c’è nessuno. –

- Il mio rilevatore funziona beniss… -

- Ragazzi! – Esclamo tenendo gli occhi fissi sulla chioma folta del cespuglio che distanziava circa cinque metri da noi. Per un attimo ho sentito il fruscio delle foglie, un rumore di trascinamento abbastanza forte da farmi presupporre che non si trattava di uno scoiattolo o di un qualche altro animale.

Intorno però non si vedeva nulla del genere.

- Che succede, Sherlock? – La voce di John mi costringe a girare la testa verso di lui, ma appena il mio sguardo torna sul cespuglio, dietro di esso lo vedo. L’Angelo è comparso dal nulla e tiene le mani davanti agli occhi. Quell’immagine inquietante mi fa indietreggiare fino a sbattere contro quelle che sembrano le spalle di John. Anche lui è pietrificato dalla paura, probabilmente perché ha visto l’altro Angelo venirgli incontro.

Ciò che ho davanti sembra l’immagine che Amber ha scattato, la foto che il Dottore tiene nel Tardis, attaccata sul suo scanner.

- Continuate a fissarli, continuate a fissarli! – Urla il Dottore mentre si precipita all’interno della cabina.

Noi restiamo immobili, ma ogni volta che battiamo le palpebre, quei mostri continuano ad avvicinarsi sempre di più.

E adesso? Dottore, e adesso?



Note autrice:
Ci siamo, ecco il nuovo capitolo. Qui abbiamo proprio una vera e propria svolta nella storia. Ma le cose non finiscono qui.
Sappiate comunque che mancano davvero pochi capitoli alla fine.
Spero vi piaccia, al prossimo capitolo di sabato, baci.
  
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