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Autore: EmilyW14A    22/09/2016    3 recensioni
Succede spesso di convincerci che le persone ci guardano e critichino ogni singola cosa che facciamo, ma non è così. La verità è che gli esseri umani sono tutti perfettamente egoisti e non hanno tempo da dedicare agli altri, anche se si tratta di uno sconosciuto seduto nel sedile davanti sul treno. Noi ci convinciamo che gli altri passino il loro tempo a commentare i nostri abiti, i nostri capelli, i piercings, i tatuaggi, i nostri lineamenti, il nostro fisico; in realtà nessuno si sofferma veramente a giudicare cosa fanno gli altri. Nonostante ciò, in questo momento non riesco a togliermi di dosso la sensazione che tutti i passeggeri della metropolitana si siano accorti di quello che ho appena fatto e mi stiano fissando con sguardo indagatore. Cerco di darmi velocemente un contegno, sistemo la camicia e la giacca, e proseguo nel mio cammino. Controllo l'orologio e mi accorgo che tra meno di due ore devo iniziare il turno a lavoro. Decido di fermarmi qualche fermata prima per pranzare in un posto tranquillo. Ho bisogno di riflettere da solo su tutto quello che è appena successo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Reita, Ruki, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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VI.













Come sempre sono in anticipo. È mattina presto e c'è un venticello fresco che mi scompiglia i capelli. Mi piace passeggiare per Ikebukuro e fermarmi ad osservare i passanti. È incredibile quanta gente ci sia da queste parti. È come osservare da lontano un grosso sciame di api. Osservo in questo momento lo sciame di persone che mi scorre accanto. Cerco di non farmi investire dalla massa e così cammino su un marciapiede camminando a fianco delle vetrine. Avrei potuto portarmi dietro l'ipod e le cuffie e ascoltare un po' di musica. Mi arrendo alla noia e così decido di entrare in una caffetteria all'angolo del quartiere in cui non ero mai entrato prima. È un bar molto grosso, ha tre piani, e dentro ci sono comode poltroni per sedersi e sorseggiare tè o caffè. L'ambiente è arredato con un grossi scaffali su cui sono posati tantissimi libri di ogni genere e dimensioni. I clienti possono sedersi e recuperare qualcosa da leggere mentre aspettano il loro ordine. Mi accorgo che non c'è molta gente in coda e così mi avvicino alla cassa. Ordino un latte macchiato alla cannella e mi siedo su uno sgabello alto vicino ad un tavolo di marmo. Vicino alla mia posizione noto alcuni libri gialli di autori americani. Già dal titolo e dalla copertina si capisce che sono romanzi di quarta categoria, le tipiche storie da leggere quando si è in vacanza per distrarre un po' la mente. Non sono un lettore accanito, ma preferisco dei libri più ricercati. Adoro i gialli e i thriller ma non potrei mai leggere libri così banali. Mi sembra come di star sprecando il mio tempo. Mi guardo intorno e noto che ci sono davvero pochi libri che attirano la mia attenzione. Rinuncio completamente a sfogliarne qualcuno e guardo dritto davanti a me il muro bianco decorato con degli sticker floreali. Tasto le tasche della mia giacca mentre assaporo il mio latte ancora bollente per cercare il mio telefono. Alla fine mi accorgo di averlo messo nella borsa. Osservo la mia giacca e mi rendo conto di star indossando gli stessi indumenti che avevo una settimana fa quando sono passato all'ospedale. Da quel momento ho resettato totalmente la mia mente e mi sono quasi dimenticato tutto quello che ho fatto. Domenica mattina sono uscito con Kouyou e ci siamo fatti un giro in moto. Abbiamo corso per un bel paio di ore per poi fermarci in riva al mare in un paese tranquillo nella prefettura di Kanagawa. Mi sono divertito e Kouyou aveva tremendamente ragione: ho bisogno di uscire più spesso di casa e concedermi qualche spasso. Tuttavia da quel venerdì ho totalmente rimosso tutto quello che è successo. La signora grassa, l'identikit, la fototessera, il piccolo take away vicino casa mia. È come se il mio cervello stia cercando di difendersi da pensieri scomodi. Forse sono solo spaventato. Ma da cosa? E perchè proprio ora che sono riuscito a evitare un fallimento? Improvvisamente tutto quello che l'impiegata mi ha detto mi torna in mente come un'illuminazione o come il sogno della notte prima che riaffiora prepotentemente alla mente durante la giornata. Mi ricordo tutto. Ha detto che è un maschio, alto 1.62 cm, età compresa tra i 30 e i 35 anni. E nella tasca della giacca ho una sua foto. Solo in questo momento realizzo di non averla mai guardata attentamente. La sfilo con lentezza dalla tasca guardandomi in torno con aria furtiva. Nessuna sa cosa sto facendo eppure ho il terrore che qualcuno si alzi improvvisamente dal tavolo e urli 'Lei è un impostore!'. So che è una cosa totalmente impossibile, ma non riesco a non essere spaventato. Ho veramente violato la legge e ora mi ritrovo ad avere i dati personali di un perfetto sconosciuto. Prendo un bel respiro e mi soffermo a osservare la foto tessera. Non ricordavo fosse messa così male. È sbiadita, poco nitida e sull'angolo destro in alto c'è una macchiolina marrone; forse è caffè, o forse si è macchiata strofinandola nella busta di carta grezza della cartella clinica. Fatto sta che, per ora, è tutto quello che ho, ed è un indizio importantissimo. La foto è così sbiadita che praticamente si nota solo un viso dalla carnagione molto chiara, due occhi grandi e allungati, labbra rosee, e capelli lunghi fino alle spalle. I lineamenti sono poco marcati a causa dello sbiadimento e non riesco a vedere la dimensione del naso e delle labbra. Riguardando meglio la foto nel suo insieme sembra la tessera di uno di quei giochi da tavola, la cui immagine è sfuocata e con un punto interrogativo nel centro, e in cui i giocatori si sfidano per indovinare a chi appartiene quel volto. Probabilmente nemmeno esiste un gioco di questo tipo.
Tiro un sospiro quasi impercettibile osservando ancora quella piccolissima foto. Se non fosse che la signora mi ha espressamente detto che il mio donatore è un uomo, avrei detto, a giudicare dalla fototessera, che la persona fotografata è di sesso femminile. I capelli sono davvero lunghi per essere di un uomo e sembrano mossi. Non riesco a identificare il colore, sembrano castano chiaro, ma probabilmente la sfumatura è dovuta al flash con cui è stata scattata la foto. Riesco a scorgere la forma delle spalle e sembrano abbastanza piccole per essere quelle di un uomo. Però la signora mi ha detto che la sua altezza non supera i centosessantadue centimetri, quindi la persona che sto cercando sicuramente non è un uomo molto alto né grosso.
Termino la mia bevanda asciugandomi i lati della bocca con un fazzoletto di carta. Tiro fuori dalla borsa una delle mie pasticche, ne recupero accuratamente una e la ingoio con un bel sorso di acqua. Mando giù con un'espressione disgustata. Mi sento strano. Da una parte so di essere a metà strada e di aver raggiunto un buon obbiettivo, ma dall'altra mi sento ancora in alto mare. Realizzo di star cercando un ago in un pagliaio. Come posso trovare una persona possedendo qualche misera informazione su di essa e una fototessera malconcia? Non posso certo attaccare dei volantini per strada chiedendo se qualcuno avesse visto l'uomo che sto cercando...mi caccerei solamente in guai più grossi. Non posso fare nulla. Non ci sono altri ospedali da visitare. Non posso più mettere piede nel Jikei Hospital se non voglio finire in manette nel giro di pochi minuti. Devo trovare una soluzione; non posso abbandonare proprio ora. Dopo tutti gli sforzi fatti. Ma come posso intervenire? Non ho un nome, né un luogo, né un quartiere. Per quanto ne so quell'uomo potrebbe essere morto e trovarsi sotto terra da un bel po' di anni. In fondo è passato davvero tanto tempo. Magari si è sposato e ora vive all'estero con la sua famiglia. E io, sarei davvero disposto a fare un viaggio così lungo solo per incontrare un perfetto sconosciuto?
Controllo l'orologio. Mi accorgo che sto per fare tardi e così abbandono i miei pensieri accantonandoli in un angolo della mia mente. Esco dalla caffetteria rimettendo la fototessera nella tasca fidata della giacca. Arrivo davanti alla pasticceria, leggo l'insegna, 'LOVELY DONUTS' e mi sento a casa. È piacevole vedere qualcosa di familiare dopo essermi perso in mille pensieri. Inspiro profondamente e entro dalla porta sul retro. Trovo Yuu ad aspettarmi mentre si cambia nel piccolo spogliatoio.
“Uh chi si rivede! Giornata storta anche oggi?”
“No Yuu oggi tutto tranquillo. Tu come stai?”
“Bene, non mi lamento dai. Akira lo sai che se vuoi parlare io sono sempre qui. Puoi scrivermi quando vuoi e se ti va usciamo a berci una birra.”
“Va bene Yuu, ne terrò di conto.” dico sorridendo.
“Bravo. E oggi, siccome ti vedo bello carico, ti mando direttamente in sala a pulire tutto il pavimento” dice lui dandomi una pacca sulla schiena.
“Cosa? Ma non toccava a me oggi preparare le torte? Abbiamo due ordini per due torte di compleanno” dico sfogliando l'enorme agenda del personale su cui sono scritti tutti gli appuntamenti e gli ordini dei clienti.
“Nah, tranquillo ce ne occupiamo io e Masami-san. Il locale è tutto tuo!” dice facendomi la linguaccia.
“Shiroyama questa me la paghi” dico allontanandomi dalla cucina e entrando in sala.
Yuu sa quanto odio pulire in terra e rimettere a posto tutto il locale. Il posto non è tanto grande, questo è vero, ma detesto dover fare tutte queste cose “di contorno”. La cosa che amo di più è cucinare. E sinceramente ci tenevo a preparare quelle due torte di compleanno.
Me ne faccio una ragione e inizio ad accendere le luci della sala, la cassa elettronica e le luci del bancone. Mi armo di sgrassatore, detersivo per i vetri e detersivo per i pavimenti. Parto dalle vetrine e spruzzo il vetro con cura. Pulisco le porte di entrata, il vetro del bancone e le decorazioni alle pareti. Do una pulita veloce ai tavoli e sedie e infine mi soffermo a spazzare e passare lo straccio in terra. In un'ora e mezzo mi ritengo soddisfatto e così rimetto tutto a posto. Mi accorgo che mancano solo dieci minuti all'orario di apertura e così corro ad infilarmi il grembiule con il logo del nostro negozio.
Poco dopo le ore 9 iniziano ad entrare le prime clienti: sono quattro studentesse universitarie che si accomodano ad un tavolo nell'angolo della stanza. Ordinano quattro cheesecake al macha, un caffè e tre frullati di frutta. Arrivo al loro tavolo portando tutto su un vassoio.
“A chi lascio il caffè?”
“A me!” risponde con voce flebile la ragazza con i capelli a caschetto.
Le porgo il bicchiere di vetro bollente facendo attenzione che non si scotti. “Tenga” le dico sorridendo. La vedo arrossire di rimando mentre le sue amiche iniziano a ridere e a darsi gomitate a vicenda. Le sento ancora ridere alle mie spalle e sussurrarsi cose tra di loro. Torno alla cassa riponendo il vassoio su una mensola. Trovo la faccia compiaciuta di Yuu ad aspettarmi. “Fatto conquiste eh? Quella con i capelli corti sembra carina anche se forse sono troppo giovani per te Suzuki. Sei vecchio ormai!”
Rispondo alla provocazione di Shiroyama tirandogli un pugno sullo stomaco.
“Porca miseria Suzuki! Un po' più forte e mi potevi spaccare il fegato” dice massaggiandosi la pancia.
“Beh non penso proprio che sia colpa mia se il tuo fegato andrà in frantumi. Piuttosto smettila di bere birra ad ogni ora del giorno” dico ripiegando con cura delle tovagliette.
“Ho capito Akira-san, per questa volta hai vinto tu, ma non pensare che non mi vendicherò” urla sparendo nel retro bottega. Sorrido e torno a concentrarmi sul tavolo delle quattro ragazze. Sembrano intente a raccontarsi qualcosa di veramente interessante visto che nessuna di loro muove un muscolo. Quando si accorgono che le sto fissando tutte e quattro scoppiano a ridere e la ragazza con il caschetto arrossisce fino alla punta delle orecchie. Nascondo una risata e torno a concentrarmi sul mio lavoro. Mentre aspetto l'arrivo di altri clienti, inganno il tempo mettendomi a tagliare in porzioni simmetriche le torte esposte in vetrina.




 
~





Esco dal negozio alle 13 in punto. Sono annoiato e decido di prendere l'autobus per tornare a casa. Sono davvero stanco e non ho voglia di camminare fino alla fermata della metro. Il dottore mi ha detto di non esagerare con lo stress e in caso mi affaticassi troppo devo raggiungerlo subito e farmi cambiare la prescrizione delle medicine. Mi siedo su un sedile solitario nelle ultime file del bus e guardo fuori dalla finestra. Senza neanche rendermene conto mi ritrovo di nuovo tra le mani la fototessera sbiadita. La osservo.
'Chi sei? Come ti chiami?'  penso tra me e me. Attendo una risposta nella mia mente che ovviamente non arriva. Guardo nuovamente fuori dalla finestra ammirando il paesaggio urbano. Adoro Tokyo anche se è una città caotica e piena di persone. Mi piace sentirmi parte di qualcosa, mi piace sapere che sono al mondo per uno scopo preciso e che mi è stata data una seconda possibilità che non posso sprecare. Sento di star facendo la cosa giusta anche se so di essere in alto mare.
Torno a fissare la piccola tessera che ho tra le mani. 'Dove sei?' chiedo nuovamente nella mia mente.
“Qui!” dice una voce femminile dietro di me. Mi volto di scatto preso alla sprovvista e sobbalzo spaventato. “Masato vieni subito qui!” urla la donna ad un bambino che corre ridendo per tutto l'autobus. “Non azzardarti più a correre dove vuoi in un posto così affollato! Devi stare accanto alla tua mamma!” dice la signora a voce più bassa.
Li osservo dal mio posto a sedere senza farmi notare. Il bambino è piccolo, dimostra sì e no 8 anni. Porta i capelli a caschetto, rasati alla base della nuca e ai lati. La sua pettinatura lo fa assomigliare ad un piccolo fungo e questo lo rende molto buffo. Sorride mostrando una fila di denti piccoli e bianchi interrotta da dei grossi spazi irregolari tra dente e dente. La madre è una signora con i capelli neri e lunghi fin sotto le spalle raccolti in una coda disordinata. È una bella donna anche se il suo visto mostra una bellezza spenta e sciupata. I capelli vicino alle tempie sono color grigio scuro e vicino agli occhi si notano delle piccole rughe; eccetto per queste piccole imperfezioni, la donna ha dei bellissimi lineamenti e un sorriso accomodante. Mi ricorda un po' mia madre quando era più giovane. È sempre stata una bellissima donna e ha sempre dimostrato molti meno anni di quelli effettivi. Se mio padre non l'avesse abbandonata quando io ero molto piccolo, probabilmente sarebbe stata una donna ancora più bella e solare. Tuttavia ho sempre ammirato e apprezzato la bellezza di mia madre. È una bellezza elegante e seria e di tutti i suoi pregi io ho ereditato solamente i lineamenti molto regolari del viso. Il naso devo averlo ereditato da mio padre ma non ne sono sicuro e non lo saprò mai. Quell'uomo lasciò la nostra famiglia quando io avevo solo quattro anni. Non ricordo niente di lui, se non una figura alta che indossava sempre un lunghissimo cappotto color beige scuro. Non riesco a ricordare la sua faccia né la sua voce. Quando me lo immagino, immagino solo un lungo giaccone e dei pantaloni perfettamente stirati. Questo è tutto quello che so di mio padre. Non l'ho mai più visto e non so nemmeno se è vivo o morto. Mia madre si è sempre rifiutata di cercarlo e quando ero più piccolo e provavo a chiedere informazioni agli uffici della nostra prefettura notavo che non approvava minimamente le mie azioni e così dopo un po' smisi. Ammetto che ora ho perso totalmente l'interesse di cercarlo. Lui non c'era quando mia madre aveva bisogno, non c'era quando mia sorella si è sposata o quando io mi sono ammalato. Per me è come se non fosse mai esistito.
Torno a posare lo sguardo sulla madre dai capelli lunghi e il bambino con la pettinatura buffa. Il piccolo tira forte un lembo della giacca di sua madre e saltella ridendo. “Guarda mamma c'è un poliziotto! Guarda quanto è alto!!!” dice lui eccitato. È così contento che sembra che qualcuno gli abbia appena regalato la bici dei suoi sogni. Il bambino indica qualcosa con la manina e io istintivamente seguo la direzione del suo dito. Un poliziotto vestito in uniforme è appena salito sul bus e si guarda intorno con aria sospetta. I poliziotti sembrano tutti uguali quando sono in servizio, non solo fisicamente ma anche nelle espressioni. Hanno la faccia seria e sembrano perennemente arrabbiati o scocciati da qualcosa. Lo osservo attentamente e in quel preciso istante un'idea mi balena nella mente. Mi appare un nome e un'immagine come se qualcuno avesse acceso rapidamente la luce in una stanza e l'avesse spenta pochi secondi dopo.
'Perchè non ci ho pensato prima?' dico tra me e me mentre scendo alla mia fermata lanciando un'ultima occhiata alla mamma e al bambino con la buffa pettinatura.
Percorro la strada di ritorno con un passo più affrettato del solito.

















Bubusettete! Eccomi qua lettori e lettrici. Sono tornata ad aggionare dopo quattro giorni di inferno. Ho riniziato i corsi all'università da solo una settimana e sono già stressata e con solo quattro ore di sonno alle spalle per giorno. Mi sento male al solo pensiero di dover affrontare la tesi di laurea a breve :< non voglio pensarci. Ma bado alle ciance! Stanno iniziando a succedere cose. Il nostro protagonista si è finalmente deciso a fare un passo avanti. Ha studiato la fototessera e ha finalmente dato un volto al suo donatore anche se purtroppo la foto non è nitida ed è un po' vecchiotta...chissà dove sarà quella persona, chissà come sarà fisicamente e chissà come si chiama. Abbiamo capito che la pasticceria Lovely Donuts ha un gruppetto di clienti fisse che torna spesso a fare merenda in quel delizioso bar soprattutto perchè c'è un pasticciere molto...affascinante <: hehe mica sceme u_u Nell'ultima parte Akira sembra molto triste...questa ricerca lo ha deluso così tante volte che ha sempre paura di essere sull'orlo del fallimento. E' triste perchè capisce di essere vicino al traguardo ma allo stesso tempo è ancora lontano. Dove sarà questa persona...e chi è soprattutto?
Ma, domanda fondamentale, cosa ha capito Akira seduto sul sedile di un bus? Sparate tutte le ipotesi del mondo; si accettano scommesse eheheh.
Mi prendo ancora spazio per una piccola annotazione: mi piacerebbe spiegare brevemente come è nata questa ff. La storia è nata in un posto ahimè molto brutto...in un ospedale precisamente. In quel periodo mi trovavo lì per stare vicino ad una persona cara che era in fin di vita. Ho trascorso tutte le vacanze di Natale all'ospedale, Capodanno compreso. L'ultimo dell'anno non c'era quasi nessuno nei reparti tranne me e qualche altro signore. Dopo un paio di ore sono finita a conversare con un uomo che mi raccontava che si trovava lì perchè sua madre era molto malata e aveva avuto la leucemia. Non so bene poi cosa è successo nella mia testa...mi sono addormentata la sera di Capodanno e ho sognato tutta la fanfiction dall'inizio alla fine...ed ora, eccomi qui. Ho scritto questo per far capire quanto sia importante per me la storia...soprattutto perchè è nata in un momento particolare e quindi mi sento molto legata ad essa. Ma ora la smetto di parlare troppo e vi ringrazio per la lettura. Al prossimo capitolo /cuoricini/
   
 
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