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Autore: Black Angel    01/04/2005    5 recensioni
Sono solo favole, nulla più. Le novelle di coloro che abitano queste lande, le fiabe delle loro vite intrecciate dai fili dell'oscuro peccato: figli della Morte e quelli della Luna, amanti del sangue e amanti della lussuria, animi che sognano la fine eterna ed altri che cercano disperatamente la propria libertà... Solo favole, nulla più. Una fiaba ad ogni capitolo nella speranza che non vi perdiate nella follia di queste lande senza ritorno...
Genere: Dark, Drammatico, Horror, Malinconico, Mistero, Thriller, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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4. Bad Wendy

 

Non appena i suoi piedi tornarono a terra una sensazione dolce le invase il cuore: sono tornata a casa, si disse. Sentì i due fratelli giungere poco dopo di lei, e sui loro volti ben chiara era la gioia del ritorno, anche se un po’ di malinconia serpeggiava ancora nei loro cuori. L’Isola CheNonC’è sarebbe rimasta sempre nella loro memoria e con lei tutte le avventure meravigliose che in essa avevano passato.

Facendo meno rumore possibile, John e Michel si nascosero sotto le coperte, per allietare la mamma al suo arrivo. Chissà quanto sarebbe stata contenta a vederli lì, di nuovo nei loro letti, come se nulla fosse successo in quei giorni...come se tutto fosse stato un sogno.

< Wendy, mettiti anche tu sotto le coperte > le disse John, a bassa voce

< Sì, ora arrivo > rispose lei, andando incontro alla finestra.

Doveva salutarlo…ancora un volta prima di lasciarlo.

Il vento danzava dolcemente con le tende azzurre che coprivano la finestra aperta; buone carezze toccavano il suo vestito da notte, logorato e sporco come non mai; freschi sospiri allietavano il suo viso, stravolto per il lungo viaggio in volo che avevano appena compiuto.

Cautamente scostò le tende, trovandosi davanti il volto fanciullo che mai sarebbe invecchiato.

< Peter… > sussurrò, accostando una mano alla sua gota, ma egli si scostò bruscamente, indietreggiando di un poco. I suoi occhi, splendenti come il cielo del suo mondo lontano, la guardavano con astio, trafiggendole il cuore ancora immaturo, ma già segnato da tante emozioni.

< Peter… > ripeté, con voce tremante di sofferenza. Non voleva salutarlo così: voleva conservare un ultimo ricordo felice < Mi dimenticherai, Peter? > chiese, timorosa della risposta.

Gli occhi del ragazzo parvero raddolcirsi un poco < No… > rispose secco, girando, poi, il viso da un lato

< Sono contenta > disse Wendy, con un sorriso pieno di tristezza < Perché neanch’io lo farò >

Il volto, di solito sempre arrogante, del fanciullo tornò a guardarla: nei suoi occhi, l’astio era scomparso, mettendo a nudo la sua fragilità. Con movimenti fluidi si avvicinò alla giovane, che ancora sostava davanti alla finestra. Una delle sue mani si posò sulla lunga chioma bruna, in cui s’intrecciavano fili d’erba e terriccio ancora fresco.

< Non ci sarà un’altra Wendy nel mio cuore > le disse, per poi allontanarsi velocemente < Andiamo Campanellino > esclamò, trovando il suo solito tono da capitano < Terza stella a destra e poi dritto…fino al mattino >.

E Wendy vide allontanarsi quel giovane volante, che mai più avrebbe rivisto, ma che sempre avrebbe vissuto nella sua memoria e nel suo cuore…

Avrebbe raccontato la sua storia ai suoi figli, ed essi l’avrebbero raccontata ai loro figli, ed essi ai loro figli, e così via…tramandata di generazione in generazione. E tutti avrebbero iniziato la storia con…

< Tutti i bambini crescono. Tutti tranne uno…>

 

Chiudo il libro e con un sospiro mi sciolgo nell’abbraccio gentile della poltrona. La mia mano ancora indugia sulla copertina di cuoio di questo manoscritto, che è il mio più prezioso tesoro, e le mie dita giocano con le lettere dorate che compongono il nome di questo mio scrigno.

Il fuoco scoppietta allegro nel camino, diffondendo un caldo protettivo per tutta la stanza, e illuminando, con luci e ombre, ogni angolo di questo luogo, per me paradisiaco: la mia personale Isola CheNonC’è.

Qua, in compagnia della favola che ho sempre amato, del fuoco caldo e di lui…il mio Peter Pan.

Ora dorme, tra le pieghe della mia gonfia gonna rossa, con un sorriso soave sul suo volto di eterno fanciullo.

Si addormenta sempre quando leggo la sua storia. Crolla prima di poter udire la fine: la separazione tra Wendy e Peter…lei crescerà, mentre lui rimarrà un eterno bambino.

 

“Ma la nostra favola finirà in modo diverso, vero Peter?

La tua Wendy non tornerà da quegli adulti cattivi…lei rimarrà bambina…con te…”

 

Tolgo le ciocche platino dal volto del mio bell’addormentato, e il suo respiro mi solletica le dita, come volerle accarezzare per un tacito ringraziamento. Mi chino e poggio un leggero bacio sulla sua guancia diafana, ora tinta di fuoco grazie ai riflessi del camino. Appena mi stacco lui s’immerge di più tra le pieghe del tessuto, con un mugolio soddisfatto ed io continuo ad accarezzare i suoi capelli, coccolandolo come dal nostro primo incontro continuo a fare. Non ricordo quanto tempo è passato da quel giorno…so che è tanto, tanto tempo.

Anche allora, come tutt’oggi, avevo tredici anni e lui aveva, e ha, la mia stessa età.

Anche allora eravamo chiusi in quest’orfanotrofio, dove i nostri genitori ci abbandonarono per poi non tornare mai più…entrambi…

Ignoravo di avere un fratello quando c’incontrammo la prima volta, e ignoravo che mio fratello fosse il medesimo ragazzo che sgattaiolò nel dormitorio femminile nel cuore della notte. Coraggiosamente sfidò le rigide regole imposte dalle suore, che proibivano l’accesso in quest’ala dell’orfanotrofio da parte dei fanciulli (la stessa cosa valeva per le fanciulle, per quanto riguardava il dormitorio maschile, che comunque erano meno ardite sulla questione). Una volta all’interno di quella sala, per lui territorio proibito, si mise a girovagare in mezzo ai letti alla ricerca di una fanciulla: io.

Mi svegliai grazie al suo respiro che batteva sul mio volto, e mi ritrovai il suo volto a pochi centimetri di distanza dal mio. Non reagii: stetti immobile a osservare quei due occhi azzurri, che curiosi mi osservavano.

- Tu sei Wendy? – mi chiese, in un flebile sussurro. Annuì, involontariamente.

- Io sono Peter – si presentò – Proprio come il protagonista della storia che racconti di più – mi disse con un sorriso compiaciuto sul volto

- Conosci le storie che racconto? – chiesi meravigliata

- Certo! Io e i ragazzi ci fermiamo spesso ad ascoltarle – saltò in piedi sul mio letto, provocando brusche onde del materasso – Sono belle e avventurose e…- fui costretta a interromperlo, premendo una mano sulla sua bocca. Se le suore ci avessero scoperto…oh, quante frustate avrebbero dato a entrambi!

- Non parlare a voce alta - gli dissi, mentre lo costringevo a sedersi nuovamente - O le suore ti scopriranno -

Egli annuì, e io lo liberai da ciò che gli fermava le parole, costrette in bocca

- Dimmi, ora, perché sei venuto qui? - chiesi

- Non riesco a dormire! – mi rispose, sincero – Raccontami una storia –

Fu la prima volta che me lo chiese…ma non sarebbe stata l’unica…

Dal giorno successivo io e Peter diventammo inseparabili: lui m’insegnava a tirare di fionda, a giocare con le biglie, ad arrampicarmi sugli alberi e io, in cambio, raccontavo favole a lui e ai nostri bimbi sperduti.

Ovviamente le suore non vedevano di buon’occhio questa amicizia tra una fanciulla e una marmaglia di ragazzi, così provarono più volte a dividerci, ma tutti i loro sforzi furono vani: per quanto ci punissero, ci separassero, ci sgridassero, io e Peter tornavamo sempre insieme, e continuavamo a essere felici in compagnia dei bimbi sperduti.

Quest’ultimi, però, iniziarono a lasciarci, uno per uno. Essi non potevano più rimanere bambini per sempre: ora, gli obbligavano a crescere! Li obbligavano diventare adulti…

 

“Cos’hanno di così speciale gli adulti, Peter? Essi sono crudeli, cattivi, meschini…

Sono proprio loro che ci hanno portato via i nostri bimbi: quelle dame, dai sontuosi abiti, pronte a regalare dolci biscotti, a noi proibiti dalle suore; accompagnate da gentiluomini carichi di buoni sorrisi.

Loro li hanno portati via per farli crescere! Loro…li hanno obbligati a crescere…

Ma noi non cresceremo, vero Peter? Noi rimarremo sempre bambini, perché noi siamo gli ultimi rimasti…”

 

Piano piano, infatti, tutti i nostri bimbi sperduti ci abbandonarono per diventare adulti, mentre io e Peter rimanevamo sempre fanciulli.

Piano piano, le suore presero a rimproverarci più severamente, urlando che ormai eravamo grandi e che non dovevamo più comportarci come bambini.

Piano piano, vedevamo gli altri bambini farsi sempre più piccoli e minuti…

Poi, un bel giorno, di punto in bianco, le suore ci trascinarono in questa stanza e ci chiusero qui dentro.

All’inizio eravamo confusi: non capivamo il motivo di quell’improvvisa scelta, non capivamo perché ci avessero privato della possibilità di correre per i prati. Però eravamo felici: eravamo ancora insieme, in questa nuova Isola CheNonC’è! Eravamo ancora insieme…

 

“Tu non mi abbandonerai mai, vero Peter? Mi resterai sempre vicino…”

 

Iniziarono a pulirci con attenzione, a farci curare da veri dottori, a vestirci con abiti che avevamo visto solo indosso a quelle dame e a quei signori che venivano a rapire i nostri bimbi sperduti, a nutrirci con ogni leccornia, a viziarci con ogni giocattolo e libro che desideravamo.

Non riuscivamo a capire perché, ora, venivamo trattati da piccoli lord. Finché non arrivò quel giorno, in cui la verità ci fu sbattuta davanti agli occhi, senza alcun preavviso, senza alcuna dolcezza…

 

“Gli adulti sono tutti meschini, vero Peter? Ma noi non lo diventeremo. Noi saremo sempre buoni, perché saremo per sempre bambini…”

 

Ricordo che era una bella giornata: luminosa, fresca, profumata come una delle tante giornate di primavera. Gli altri bambini giocavano allegramente per il giardino, mentre io e Peter eravamo costretti a restare in quella piccola stanza, rimpiangendo le dolci carezze della verdeggiante erba di Maggio. Ma presto ci lasciammo alle spalle quei rimpianti, e ci mettemmo a giocare.

Giocavamo ai pirati e Peter era in netto vantaggio, anche a causa dei vestiti tanto comodi che indossava, al contrario di me, costretta in un sontuoso abito carico di pizzi e merli. Saltavamo da un letto all’altro, brandendo le nostre spade di legno, gridando – All’erta marrano! – o – Ti ucciderò vile canaglia! -.

Ridevamo, cadevamo, ci rialzavamo, ci colpivamo a vicenda, gridavamo e poi ancora ridevamo.

Eravamo felici, perché ancora eravamo insieme…

Proprio mentre saltavamo da una parte all’altra della stanza, evitando con maestria le pile di libri e di giocattoli sparsi per la stanza, ecco aprirsi la pesante porta di quercia, che ci divideva dal resto del mondo: sull’uscio sostava l’esile figura della Madre Superiora dell’orfanotrofio.

In rarissime occasioni i bambini potevano vederla, eppure chi aveva avuto la fortuna di avere anche un solo breve incontro, ricordava a lungo quel volto gentile, cosparso di aura fatata, che si distaccava nettamente dai volti duri e spigolosi delle altre donne. Io stessa la incontrai un’unica volta, e ancora ricordavo la bellezza del suo volto e la profonda dolcezza che esso emanava, anche se quel giorno il velo di zucchero dei suoi occhi, azzurri come frammenti rubati al cielo, era stato mischiato con un pizzico di tristezza.

I suoi capelli erano perpetuamente coperti dal velo nero, che contraddistingueva le donne del Signore, ma due ciuffi sbucavano sbarazzini da quella prigionia, mostrando il colore dorato di quella chioma celata.

Ci si avvicinò con una camminata talmente sinuosa, che fu in grado d’ipnotizzarci. Sia io che Peter, infatti, ci sedemmo immediatamente su uno dei letti, come mossi da un muto ordine, mentre le altre suore abbandonavano la nostra Isola, lasciando solo la Superiora.

Essa si fermò solo quando ci fu dinnanzi, permettendoci di scoprire quelle profonde linee che le rigavano il volto. Stava invecchiando…

Ci sorrise mitemente, aumentando il numero di linee che deturpavano il suo bel viso fatato.

- Buongiorno – ci salutò, donando una carezza a entrambi. Quanto buone erano le sue mani! Quanto caldo era il suo gesto…materno…

 

“E’ stata furba, vero Peter? Prima ci ha donato bianchi granelli di zucchero, per poi avvelenarli con l’acido di un limone. Crudele! Ci ha ingannato!”

 

Dopo averci incantato con la sua polvere luccicante, iniziò a raccontarci una storia…una strana storia…

Ci spiegò che lei, ancora giovane, s’era presto sposata con il Signore, che aveva dovuto rinunciare all’amore terreno per mantenere puro quello spirituale. Ma lei non era stata una buona sposa…aveva tradito il suo buon marito con un affascinante giovane scrittore: lo incontrò casualmente la prima volta, e poi, senza che neanche se ne accorgesse, cominciò a incontrarlo con sempre maggior frequenza, finché non era diventata una sporca peccatrice, unendosi a quel corpo dalle sembianze angeliche.

Sentivo la voce della Madre Superiora sempre più sofferente, mentre le sue mani pallide stringevano tremanti quelle mie e di Peter, ancora intenti ad ascoltare la sua strana favola…

Continuò dicendo che il Signore l’aveva punita e allo stesso tempo benedetta per quel tradimento: dopo mesi erano, infatti, venuti alla luce i due frutti della sua peccaminosa unione. Due bellissimi frutti dai capelli dorati come quelli degli angeli, e dagli occhi azzurri come il cielo di primavera, stagione in cui avevano aperto gli occhi quei figli del male. Ma anche se erano figli del male, lei non poteva fare a meno di amarli perché erano suoi figli! I suoi adorati figli…

Chiese alla Madre Superiora di quel tempo di accettarli tra i bambini dell’orfanotrofio, così che potesse almeno vederli crescere da lontano.

- E sono cresciuti… - ci aveva sussurrato con voce roca, mentre lacrime rigavano il suo volto – Sono cresciuti, splendenti come il sole, belli come la luna…- continuò, accarezzando con le mani tremanti i nostri visi, mascherati d’incredulità. Avevamo saputo la verità…

 

“Siamo fratelli Peter, figli di una donna che non ci ha voluto…Lei è cattiva, vero Peter? Ma io non sarò mai cattiva, non ti preoccupare. Perché io rimarrò sempre bambina”

 

Peter sconvolto mi guardava, mentre cacciavo in malo modo quella donna che ci aveva rivelato di essere la nostra comune genitrice, la stessa donna che ci aveva privato dell’amore di una reale famiglia. Quando fu sulla soglia della porta si voltò a guardarci e quello che disse ci colpì…dritto al cuore…

- Vi prego, bambini miei…crescete -

 

“Crescere? Perché dobbiamo crescere, Peter? Si sta così bene da bambini…”

 

Nei giorni successivi la vitalità di Peter si spense: rimaneva sempre più spesso nascosto sotto le coperte in un silenzio sommerso nelle lacrime. Lentamente smise di giocare, di ascoltare le mie favole. Iniziò a rifiutare il cibo, diventando sempre più pallido e consumato, aumentando la sua somiglianza con uno spettro tormentato. Anche quando m’infilavo nel suo letto, accarezzandolo dolcemente nel dormiveglia, le sue lacrime non si placavano, e, a poco a poco, iniziò a staccarsi completamente da me, rifiutando ogni mio più piccolo gesto.  

E io soffrivo…soffrivo perché non potevo salvarlo da quell’abisso nero in cui aveva scelto di cadere.

Ma alla fine…alla fine Peter si risvegliò. Un giorno, così, d’improvviso, lui era tornato il Peter di sempre: sorridente, allegro, pronto a giocare, mangiare, ascoltare le mie storie, ad accettare di nuovo le mie carezze.

E ora, lui è qui con me, che si muove per uscire dal sonno. Presto i suoi occhi di cristallo si aprono incontrando il mio volto, piegato premurosamente sul suo

- Peter? – lo chiamo, togliendogli dal volto le ciocche dorate

- Wendy sei qui – mi sussurra lui, accarezzandomi le gote, arrossate per l’eccessivo calore della stanza.

Mi sfiora delicatamente, come se stesse toccando un sogno, ma poi sorride notando che non il mio corpo non è inconsistente.

- Ho fatto uno strano sogno…- mi spiega, scuotendo vigorosamente la testa – Noi due…ecco…beh, non fa niente…- lascia cadere il discorso, con un nuovo sorriso che gli piega il volto.

 

“Vuoi lasciarmi, Peter? Vuoi abbandonarmi per andare in quel mondo che odiamo?…il mondo degli adulti…”

 

- Non mi lascerai mai, vero Peter? –

Quella domanda esce spontanea dalla mia bocca, mossa dalla paura di separarmi da quell’eterna creatura immortale, come me…

I suoi occhi mi guardano interrogativi, quasi non capisse ciò che gli ho appena chiesto. L’ansia deve aver storpiato il mio volto, perché presto la sua risata riecheggia nell’aria, come a volermi risollevare

- Non potrei mai lasciarti, Wendy – mi rassicura, tornando a posare le mani sulle mie gote.

Tiro a forza un sorriso, per dirgli che la sua risposta mi ha soddisfatto. Ma quella teatrale piega del mio volto sparisce quando le labbra di Peter sfiorano, con delicata innocenza, le mie, per poi ritirarsi intimorite.

- Resterò sempre qui con te, Wendy – mi dice, tornando a poggiare la testa sulle mie gambe e spargendo

i suoi fili dorati sulla mia gonna bordò, per poi immergersi nuovamente tra le pieghe di rosso velluto

- Resterò per sempre bambino insieme a te. E tu, Wendy? -

Con lentezza la mia mano, poggiata ancora sulla rilegatura del libro che mi ero deliziata a leggere, prende ad accarezzare quel volto che rilassato s’appoggia sul mio grembo.

- Resterò per sempre bambina…con te…-

*

Non riesco a trattenere le lacrime, che, impetuose, si sciolgono dai miei occhi, fissi a osservare quella dama, ormai ventenne. Ma nonostante il suo corpo sia quello di una donna pronta a nozze, la sua mente è rimasta quella di una fanciulletta di tredici anni.

Le lacrime accarezzano le mie guance, mentre i miei occhi s’appannano, privandomi di quell’immagine per me tanto dolorosa, che sono costretta a osservare solo attraverso una piccola finestrella che si apre su questa spessa porta di quercia. So che se mi vedrebbe, la sua fragile mente crollerebbe del tutto. E allora la guardo da lontano, rattristandomi di quell’illusione in cui è caduta la mia bambina.

I lunghi capelli dorati cadano morbidi sulla sua schiena, coperta del nero pizzo del lutto; i suoi occhi, una volta splendenti come diamanti, ora sono vuoti, privati d’anima, fissi a guardare un punto vuoto sulle sue ginocchia, e su quel punto continua a danzare la sua mano, in ritmiche e dolci carezze, dedicate al nulla. E infine il suo sorriso, quello che storpia mostruosamente quel volto, facendolo sembrare quello di una folle.
Ma in fondo non è questo che è diventata la mia bella bambina?

Da peccatrice creai quei due bellissimi frutti, e il Signore mi punì rendendoli folli, proibendo alle loro menti di crescere, seguendo i loro corpi. Quando raggiunsero i 16 anni, fui costretta a separarli dagli altri bambini, chiudendoli in questa stanza, che loro rinominarono l’Isola CheNonC’è…

Oh, Johnatan, in loro si è riversata tutta la tua dolce fantasia! Quella fantasia che mi spinse ad amarti e che ora ha maledetto i nostri due splendidi figli!

Per due anni interi li tenni chiusi in questa stanza, senza alcun contatto con l’esterno, nella speranza che guarissero da questa loro pazzia. Ma la mia speranza era del tutto vana: loro continuavano a rimanere due bambini, e come tali continuavano a comportarsi.

Disperata e distrutta da quella situazione, tanto dannosa per le mie due creature, decisi di raccontarli tutto: raccontai a entrambi la mia, la loro storia e…feci il mio primo errore: sconvolsi le loro menti, delicate come cristalli. Gli avevo spaventati rivelandoli che la loro peggiore paura si era trasformata in realtà: stavano crescendo!

Con quelle mie parole in testa, i miei due bambini, reagirono in maniere completamente differenti: mentre, infatti, Wendy rinnegava con forza l’evidenza, nel cuore di Peter il seme del dubbio aveva piantato le sue radici, sospendendolo in una dimensione che sostava tra follia e sanità mentale. Immerso in quella confusione, però, iniziò a perdere tutta la sua vitalità, arrivando a rifiutare sonno, cure, cibo e le attenzioni che la dolce sorella era solita dedicargli.

Così facendo, Wendy si disperava dalla sofferenza, sentendosi impotente davanti alla “malattia” del gemello. Impotente…come una bambina!

E, nel contempo, il dolore dei miei due piccoli, mi straziava il cuore, me lo lacerava lentamente, me lo stracciava con perverso piacere. Così, mi vidi costretta a intervenire una seconda volta, mossa, questa volta, dal desiderio di placare quell’auto-distruzione, a cui i miei figli si erano dedicati. E sbagliai, per la seconda volta…questa volta fatalmente…

Nuovamente cercai di essere persuasiva, usando il comune tono che una madre usa con i frutti del proprio ventre, spiegandoli di nuovo tutto, con maggiore calma e pazienza, come se realmente mi trovassi davanti a due bambini.

Questa volta, quando terminai, non venni cacciata in malo modo dalla mia bella fanciulla, la quale fu preceduta dall’annunciò che Peter decise di darci:

- Io voglio crescere…mamma…-

Se in me, quelle quattro semplici parole, avevano fatto nascere una nuova e splendente gioia, le stesse avevano distrutto definitivamente il cuore della sorella, e, peggio ancora, la sua mente, già instabile.

Ricordo ancora la felicità infantile che custodivo nel cuore, quando quella notte m’immersi nel sonno.

Ma il lustro della gioia tramontò su un mare rosso di sangue…

La mattina seguente fui svegliata dalle urla di alcune giovani novizie, incaricate di portare la colazione ai miei due fanciulli. Non compresi cosa esse balbettassero tra le grida e le lacrime, ma capì all’istante che qualcosa di terribile era successo…qualcosa che nemmeno la Confessione avrebbe potuto lavare dal mio cuore.

Corsi verso l’ Isola CheNonC’è, senza curarmi minimamente di essere ancora in veste da notte. L’immagine straziante, che lì mi accolse, mi colpì in pieno stomaco, con la stessa forza di un calcio: i muri, i pavimenti, i letti, i giocattoli…tutto era imbrattato di uno scuro liquido rubino: sangue!

Lo stesso che s’allargava, come un lago, attorno alle uniche due figure presenti all’interno: vi era Wndy, i capelli dorati imbrattati con quel liquido denso, che le macchiava anche il volto diafano; tra le braccia reggeva il corpo inerme di Peter, sommerso dal suo stesso sangue, a cui era stato aperto completamente il torace, mostrando gli organi interni, ormai non più pulsanti. Poco più in là, vicino alla mano riversa del mio bambino, un coltello annegava nel rosso.

Eppure non era tutto quel sangue a rendere così straziante quella scena, di per se raccapricciante: era quello sguardo azzurro, privo d’anima, fisso a guardare l’altro sguardo zaffiro, privo di vita.

Tre giorni dopo fu celebrato il funerale. Chiesi esplicitamente che fosse il mio bambino fosse seppellito con degna cerimonia funebre, nonostante egli fosse nato dal peccato e fosse morto da un altro peccato. A quella cerimonia io e poche suore, che s’erano affezionate ai miei due gioielli proibiti, eravamo presenti. Neanche Wendy era lì con noi, poiché, nonostante lei stessa abbia martoriato quel corpo, posseduta da una cieca furia diabolica, ancora vede la figura del fratello, come s’egli non l’avesse mai abbandonata.

Anche se il suo corpo è qui, infatti, la sua mente è persa in altri luoghi…proprio come se fosse morta…

E di nuovo le lacrime prendono a scivolare sul mio volto, mentre il mio corpo cade in ginocchio, oppresso dalle pene e dai Mea Culpa che aleggiano su di me.

Li amavo…amavo entrambi…

I miei due frutti del mio ventre, figli di un tradimento peccaminoso, eppure belli e splendenti come angeli. Come potevo non amarli? 

E loro sono morti…morti per causa mia, poiché volevo strapparli da quel loro mondo, troppo perfetto per essere reale; poiché volevo farli crescere per farli fuggire al più presto da questo orfanotrofio, che, anche se non dovrei mai dirlo, da solo sofferenza alle piccole creature abbandonate; poiché volevo sentire l’egoistico sentimento della soddisfazione, che una madre prova per il proprio figlio…

Ti ho tradito, mio Signore…ho sporcato con il peccato il Nostro Sacro Matrimonio, e, peggio, ho amato follemente quel peccato…

E tu mi hai punito! Mi hai punito facendomi macchiare del sangue di quell’amato peccato! Mi hai punito facendomi assistere, impotente, alla fine dei miei due figli, che avrei dovuto odiare poiché creature di un atto malefico…Ma come può una madre odiare i propri figli?

Dimmelo, Signore, perché in te ancora io confido!

Dimmelo, Signore, perché io, anche dopo tutto questo, continuo ad amarli!

Dimmelo, Signore…ti prego, dimmelo…

 

Pater Noster

  
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