Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: John Spangler    26/09/2016    0 recensioni
Dopo aver lasciato la piccola città di Cocoyashi, Nami Watanabe e sua madre si trasferiscono nella metropoli di Loguetown, una delle perle della California meridionale, per iniziare una nuova vita. Tra amori, drammi e problemi vari, le loro vicende si intrecceranno con quelle degli altri abitanti di Loguetown, mentre intanto il boss mafioso Crocodile conduce nell'ombra i suoi loschi affari, con la collaborazione del Joker. Come andrà a finire? Lo scoprirete solo leggendo questa storia.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'A Thousand Pieces'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Interludio 4: La ragazza col cappello da cowboy

 

6 Febbraio 2003

Ohara, Alaska, USA

Un condominio in periferia

 

La bambina dai capelli neri raccolse quanto più fiato poteva, chiudendo gli occhi ed esprimendo mentalmente un desiderio. Poi lasciò andare tutto, e le otto candeline della torta che aveva davanti si spensero in un colpo. Riaprì gli occhi e sorrise, mentre l'altra persona presente nella stanza applaudiva.

 

- Bravissima! Buon compleanno, Robin!-

 

Il nome della bambina era Robin Nico, e proprio quel giorno compiva otto anni. L'altra persona, invece, di anni ne aveva molti di più. Si chiamava Brynden Clover, ed era un professore di storia in pensione. Abitava nell'appartamento di fronte a quello in cui vivevano Robin e sua madre Olvia. Era in buoni rapporti con tutti gli altri condomini, che si rivolgevano spesso a lui per chiedergli consigli. Oltre a questo, si occupava anche di fare da insegnante alla piccola Robin (Olvia aveva scelto di farla istruire in casa. Nonostante questo, Robin riusciva comunque a interagire con gli altri bambini della sua età) e spesso anche da babysitter, quando sua madre era occupata. Robin lo considerava un amico.

 

Quella mattina, Olvia aveva ricevuto la visita di un uomo che a Robin non piaceva per niente, il signor Spandam. Era un uomo viscido e antipatico, che veniva a trovare spesso la madre di Robin, e quando succedeva i due rimanevano chiusi in casa per ore. Lei era felice perchè così poteva passare più tempo col vecchio Clover, ma non le piaceva l'idea di sua madre in casa con quell'uomo. Cosa facevano, poi? Leggevano libri? Discutevano di faccende da adulti? Robin non lo sapeva. Sapeva soltanto che, quando il signor Spandam se ne andava, sua madre aveva sempre dei soldi in più e un'espressione molto triste. Aveva provato a chiedere delucidazioni, ma Olvia era sempre rimasta sul vago, limitandosi ad affermare che Spandam era soltanto un uomo gentile che le stava aiutando a sbarcare il lunario (Non erano mai state ricche. In più, il padre di Robin era morto parecchio tempo prima, tanto che lei quasi non lo ricordava, e le due Nico potevano contare solo sul misero stipendio da cassiera di supermercato di Olvia. La donna aveva cercato più volte di trovare un lavoro migliore, ma non aveva avuto fortuna).

 

E stando a quanto le avevano detto i suoi vicini di casa e gli altri abitanti di Ohara che conosceva, il signor Spandam e la sua famiglia aiutavano un sacco di persone. Robin aveva però l'impressione che ci fosse qualcosa sotto. Se gli Spandam aiutavano davvero la gente, dovevano essere buoni. Questo però contrastava con altre voci che aveva sentito a loro riguardo, voci che parlavano di brutte cose successe a chi era rimasto indietro con dei pagamenti o aveva cercato di parlare di loro alla polizia. Appena ne avesse avuta la possibilità, Robin avrebbe cercato di approfondire la questione.

 

Quello però non era il momento adatto. Ora doveva solo pensare a godersi il suo compleanno.

 

- Mmh...la torta sembra buonissima, professore.- esclamò la bambina.

 

- Aspetta di assaggiarla. Credimi, ti leccherai i baffi.-

 

- Ma io non ho i baffi.-

 

- Vorrà dire che ti cresceranno apposta per l'occasione.- I due risero.

 

- Prima di mangiare la torta, però, c'è una cosa che dobbiamo fare. Chiudi di nuovo gli occhi.- Robin ubbidì. Sentì l'anziano trafficare con qualcosa, e pochi secondi dopo parlò di nuovo.

 

- Brava, ora puoi riaprirli.- Brynden Clover porse alla bambina un oggetto di forma rettangolare, avvolto da una carta di colore bianco e con un fiocchetto rosso.- Tieni, Robin, questo è il tuo regalo.-

 

Robin prese il regalo e iniziò a strappare ansiosa la carta. Era eccitatissima. Con quella forma e quel peso, poteva trattarsi soltanto di una cosa. Tolse l'ultimo strato di carta, e la sua ipotesi fu confermata. Era un libro. Si sentì al settimo cielo. Lei adorava i libri.

 

- Un libro...grazie, professore.- esclamò felice.

 

- Di niente, piccola.-

 

Diede un'occhiata alla copertina e lesse il titolo.- "I racconti del Poignee Griffe". Che nome strano.- commentò.

 

- E' un libro di favole. E' stato scritto quattrocento anni fa da un esploratore francese di nome Noland Montblanc.- disse Clover.

 

- Quattrocento anni? Ma è vecchissimo!-

 

- Esatto. Ed è anche estremamente raro. In tutto il mondo, sono rimaste soltanto dieci copie di questo libro.-

 

- Ma...professore, perchè me lo ha regalato? Un libro così dovrebbe stare in un museo.-

 

- Può anche darsi, ma se lo avessi fatto sarebbe rimasto lì in una teca a prendere polvere, e un pò alla volta tutti se ne sarebbero dimenticati. In questo modo, invece, ci sarà qualcuno che potrà leggere e apprezzare il contenuto. E quel qualcuno sei tu, Robin.-

 

La giovane Nico era rimasta a bocca aperta.- Io...non so cosa dire, professore.-

 

- Non devi dire niente. Devi soltanto goderti il tuo regalo. A proposito, che ne diresti se leggessimo insieme una delle storie?-

 

La bambina sorrise.- E' una buona idea.-

 

- Allora aprilo. Tu sarai il narratore, e io farò le voci dei personaggi.-

 

Robin annuì. Aprì il libro e iniziò a leggere uno dei racconti.- Tanto tempo fa, nel magico regno di Tontatta, viveva il popolo dei nani...-

 

- Ahhh...-

 

Quel gemito improvviso la distolse dalla lettura. Alzò lo sguardo e vide che Clover si era portato una mano al petto, all'altezza del cuore, e aveva il braccio sinistro che tremava leggermente.- Robin, cara...potresti prendere il telefono e chiamare un'ambulanza? Credo di non sentirmi tanto bene...-

 

***

 

Stesso luogo

Due anni dopo

 

Sdraiata sul letto della sua stanza, al buio, Robin cercava di prendere sonno. Ci stava provando da più di quattro ore, e ormai dubitava di riuscirci. Quella sera avrebbe dovuto uscire con delle amiche, ma all'ultimo minuto aveva cambiato idea. Si sentiva troppo depressa, una cosa che le capitava spesso nell'ultimo periodo. Per la precisione, da quando il professor Clover era morto.

 

Ancora ricordava quel giorno orribile di due anni prima, quando aveva accompagnato il suo amico in ospedale. La sirena dell'ambulanza, le facce preoccupate dei medici e di sua madre, i mugolii del professore. Era rimasta quasi un'ora nella sala d'attesa, poi la notizia era arrivata come un fulmine a ciel sereno: il professor Brynden Clover era morto per un colpo al cuore. I medici non avevano potuto fare niente per salvarlo.

 

Robin aveva pianto per quella che le era sembrata un'eternità, e aveva passato i giorni successivi nella depressione più nera. La morte di Clover l'aveva devastata. Era stato quasi come un padre per lei. Un uomo buono come pochi. Perchè era dovuto morire, quando tanti altri individui orribili erano vivi e vegeti e facevano ciò che volevano? Non era giusto!

 

Dato che Clover non aveva altri parenti, gli Spandam si erano presi il suo appartamento (Arrivando così a possedere l'intero condominio) e avevano buttato via quasi tutto quello che c'era dentro. Robin era riuscita a salvare solo poche cose, tra cui il libro che l'uomo le aveva donato per il suo ottavo compleanno. Per lei era un tesoro inestimabile, e lo aveva conservato con estrema cura.

 

Inoltre, Olvia aveva dovuto trovare qualcun altro che si occupasse di fare da insegnante e babysitter a sua figlia. Un altro inquilino del loro condominio, il signor Haredas, si era offerto volontario per entrambi i compiti. Haredas era un altro professore in pensione, vecchio amico del defunto Clover. Un brav'uomo anche lui, era piaciuto subito a Olvia, un pò meno a Robin. Non che le stesse antipatico, ma agli occhi della bambina nessuno avrebbe mai potuto sostituire il vecchio Clover.

 

Adesso, due anni dopo, in quello che un tempo era un giorno che avrebbe festeggiato volentieri (Aveva deciso di non celebrare più il suo compleanno), la giovane Nico continuava la sua battaglia contro il sonno. Rannicchiata in posizione fetale, si girò per l'ennesima volta sul letto, quando all'improvviso sentì delle voci provenire da un'altra parte della casa.

 

Robin aprì di scatto gli occhi. Aveva riconosciuto quelle voci. Erano sua madre e il signor Spandam. Accidenti, era venuta a trovarla proprio quando lei aveva deciso di rimanere a casa. Non doveva assolutamente farsi vedere! Decise di rimanere nella sua stanza, sperando di non aver bisogno di andare in bagno e che quell'uomo se ne andasse presto.

 

Dopo un pò, sentì di nuovo le due voci, stavolta provenienti dalla stanza di Olvia. Erano troppo vicine per essere ignorate, e così Robin si mise ad ascoltare quel che dicevano.

 

- Mi è venuta voglia di qualche piccolo cambiamento...- sentì dire Spandam. La sua voce le faceva venire i brividi.

 

- Non la soddisfo più?- Sua madre sembrava preoccupata.

 

- Ma no. Sei fantastica come sempre, pasticcino. Il fatto è che vorrei anche qualcosa di nuovo, di tanto in tanto.-

 

- Tutto quello che vuole, signor Spandam.-

 

- Cara, ti ho già detto che puoi darmi del tu e chiamarmi Joffrey. Siamo più che in confidenza, ormai.-

 

Joffrey?, pensò la bambina. Che nome strano.

 

- V-va bene. Cosa ti piacerebbe...Joffrey?-

 

- Ci sto pensando da un pezzo. Ecco...vorrei che mi facessi conoscere un pò meglio tua figlia. L'ho vista in giro per la città, l'altro giorno. Sta diventando davvero molto bella, proprio come te. Magari una di queste sere potremmo...-

 

Seguì qualche attimo di silenzio, in cui Robin riflettè sulle parole del signor Spandam. Cosa voleva quell'antipatico da lei?

 

Poi, all'improvviso...

 

- NON AZZARDARTI A TOCCARE MIA FIGLIA, PEZZO DI MERDA!-

 

Seguirono delle urla e rumori di oggetti che si rompevano. La mora si rizzò a sedere sul letto, e ascoltò tutto con occhi sbarrati. Cosa stava succedendo? Perchè sua madre e il signor Spandam stavano facendo tutto quel chiasso? Poi ci fu un rumore che non riuscì a identificare, e subito dopo un urlo disumano che gelò il sangue alla giovane Nico. Sembrava la voce di Spandam. Doveva andare a vedere, forse era successo qualcosa di brutto!

 

Allarmata, Robin corse fuori dalla sua stanza e andò in quella di sua madre. Aperta la porta, si trovò davanti uno scenario catastrofico: i pezzi di una sedia giacevano a terra, accanto a quelli che dovevano essere i frammenti di un vaso. Il resto della mobilia era in condizioni simili. Si accorse che il signor Spandam era sdraiato a terra in una strana posizione. Sua madre, invece, era in piedi accanto al letto e ansimava. Indossava una vestaglia nera, delle scarpe con i tacchi alti e della biancheria intima che Robin non aveva mai visto prima. Fissava l'uomo a terra con un'espressione strana, un misto di odio e disgusto, ma quando si accorse della presenza di sua figlia ne assunse subito una di stupore.- Robin...che ci fai qui? Non dovevi uscire con le tue amiche?-

 

La bambina non rispose, troppo sconvolta da quello che i suoi occhi stavano contemplando.- Mamma, che è successo?-

 

Lo sguardo di Olvia andò da sua figlia al corpo dell'uomo a terra.- Niente, Robin. Io e il signor Spandam abbiamo...abbiamo avuto una discussione molto accesa.-

 

Robin notò una pozza di liquido scuro che si stava lentamente allargando sotto la testa dell'uomo.- Ma...è sangue, quello?-

 

Olvia si irrigidì, ma non rispose. Alla fine si inginocchiò davanti a Robin e la strinse in un abbraccio, per poi guardarla dritta negli occhi.

 

- Robin, dimmi la verità. A te piace stare qui?-

 

La bambina si prese un secondo per riflettere, poi fece cenno di no con la testa.- No, non mi piace.- Era vero. Ohara non era mai stata una bella città, e dopo la morte di Clover per Robin era diventata anche peggio.- Perchè me lo chiedi?-

 

Olvia baciò sua figlia sulla fronte.- Prendi una valigia e raccogli tutte le tue cose, tesoro. Ce ne andiamo da questo postaccio.-

 

***

 

Whisky Peak, Texas, USA

Sei mesi dopo

 

Dopo aver lasciato in fretta e furia Ohara, Olvia e Robin si erano dirette in Canada, per la precisione nella città di Toronto, dove viveva il fratello della donna. Avevano impiegato due settimane per arrivare a destinazione, e una volta lì avevano avuto una brutta sorpresa: il fratello di Olvia era morto pochi giorni prima. Avevano fatto appena in tempo a visitare la sua tomba, che la sua vedova, Roji, le aveva allontanate in malo modo, rifiutandosi perfino di accoglierle nella sua casa almeno per qualche giorno (La cosa aveva parzialmente rallegrato Robin: sebbene avesse visto poche volte la zia Roji nel corso della sua vita, doveva ammettere di trovarla parecchio antipatica. E a giudicare dagli sguardi che si erano scambiati lei e Olvia, doveva essere lo stesso anche per sua madre).

 

Pertanto, avevano trascorso un periodo a vagabondare tra varie città del Canada, finchè Olvia non aveva deciso di spostarsi a sud. Avevano attraversato tutta la East Coast, per poi decidere di andare in Texas. Durante il viaggio, avevano sentito parlare molto bene di una cittadina chiamata Whisky Peak, e si erano dirette lì cariche di speranze.

 

Ora erano lì da quattro giorni, e finora non gli era andata tanto male. Olvia aveva preso in affitto un piccolo appartamento, il cui proprietario le aveva anche trovato un lavoro come cameriera in una tavola calda. I clienti erano perlopiù uomini del posto, una mandria composta da camionisti, operai e agricoltori, e le davano sempre delle buone mance. Le loro maniere, però, lasciavano molto a desiderare. Si esibivano sempre in concerti di rutti e peti che davano il voltastomaco alla piccola Robin, e tutti approfittavano di ogni minima occasione per pizzicare il sedere di Olvia o palparle il seno (Ed era proprio dopo aver fatto queste cose che solitamente le lasciavano la mancia). La donna sopportava tutto stringendo i denti e ripetendo a Robin che prima o poi se ne sarebbero andate anche da lì.

 

Purtroppo, la donna non era riuscita a trovare qualcuno che si occupasse di Robin, così era costretta a portarsela al lavoro. Alla bambina non dispiaceva. Sempre meglio che rimanere sola a casa senza far nulla.

 

Adesso, la giovane Nico si aggirava tra i tavoli in cerca di qualcosa di interessante, osservando la clientela che affollava il locale. Era un'abitudine che aveva preso per combattere la noia, e che lei considerava alla stregua di uno studio antropologico. Osservare i comportamenti delle persone poteva servirle a capire meglio sè stessa e il mondo che la circondava.

 

Finora, aveva capito solo che Darwin aveva ragione. L'uomo si era evoluto dalle scimmie. E alcuni individui avevano conservato molte caratteristiche dei loro antenati.

 

D'un tratto, un oggetto su un tavolo vuoto attirò la sua attenzione. Si avvicinò per guardare meglio, e vide che era un cappello da cowboy bianco. Era davvero molto bello. Si chiese come le sarebbe stato. Dopo una rapida riflessione, decise che non avrebbe fatto male a nessuno se lo avesse provato un pò. Lo prese e se lo calò sulla testa. Le stava un pò largo, ma per il resto andava bene. Doveva solo trovare qualcosa che le facesse da specchio e...

 

- Dereshishishi! Che cosa abbiamo qui, una piccola cowgirl?-

 

A parlare era stato un uomo alto, leggermente sovrappeso e con una folta barba nera. Somigliava vagamente all'attore italiano Bud Spencer, che lei aveva visto in alcuni film alla TV qualche tempo prima. La stella che portava sulla camicia e la pistola nella fondina ne denotavano l'appartenenza alle forze dell'ordine. E a giudicare dalla direzione da cui era venuto, doveva essere appena uscito dal bagno.

 

L'omone si avvicinò a Robin e le sorrise.- Ma lo sai che stai proprio bene col mio cappello, piccola?-

 

- E' suo? Non lo sapevo...-

 

In quel momento, arrivò Olvia.- Cosa succede?-

 

- Niente, mamma, stavo solo...- iniziò Robin.

 

- Sua figlia ha preso il mio cappello, signora, e io le stavo solo facendo notare quanto le stesse bene.- la interruppe l'uomo.

 

- Robin, quante volte ti ho detto di non prendere le cose degli altri senza permesso?- la rimproverò Olvia.

 

- Ma mamma, volevo solo provarlo, non pensavo di...- si schermì la bambina.

 

- Signora, non si preoccupi. Sua figlia non ha fatto nulla di male.- intervenne in sua difesa il barbuto.

 

- Ma avrebbe dovuto comunque chiederle il permesso, signor...ehm, mi scusi, ma non conosco il suo nome.-

 

- Sceriffo Howard Sauro, per servirla. Tutelo la legge in questa città e nel circondario da dieci anni. A proposito, non mi sembra di avervi mai incontrate, prima d'ora.-

 

Robin strabuzzò gli occhi. Lo Sceriffo locale. Questa non se l'aspettava. Forse era davvero nei guai.

 

- Ci siamo trasferite qui da poco. Io sono Olvia Nico, e lei è mia figlia Robin.-

 

- Hmm...mi sembrava che vi somigliaste. Comunque, sono felicissimo di fare la vostra conoscenza. Questa città aveva proprio bisogno di due belle donne in più.-

 

Olvia arrossì leggermente e sorrise, e Robin iniziò a provare una punta di simpatia per il grosso Sceriffo.

 

- Comunque, per quanto riguarda il cappello...- accennò Olvia.

 

- Le ho già detto di non preoccuparsi, signora.- la interruppe lo Sceriffo con un cenno della mano.

 

- La prego comunque di perdonare mia figlia, Sceriffo. E' solo una bambina...-

 

- Ma non c'è nessun problema, signora. Anzi, sa che le dico? Sua figlia può anche tenerselo, il cappello. Le sta così bene che sarebbe un peccato toglierglielo.-

 

- E lei...-

 

- Dereshishishi! Che problema c'è? Ne prenderò un altro. Ne ho a decine uguali, in centrale.-

 

Robin non credeva alle sue orecchie. Poteva tenersi il cappello! Lo Sceriffo cominciava a piacerle. Doveva essere proprio una brava persona.

 

- Grazie mille, Sceriffo!- esclamò entusiasta la bambina, sorridendo per la prima volta dopo mesi.

 

L'uomo le diede un buffetto sulla guancia.

 

- L-la ringrazio anch'io, Sceriffo.- Olvia tese timidamente la mano verso il suo interlocutore.

 

- Prego, signora.- Lo sceriffo prese la mano che gli offriva Olvia e la sfiorò con le labbra, producendosi in un piccolo inchino.- E mi chiami pure Howard.-

 

- E lei...può chiamarmi Olvia.-

 

Robin si accorse che sua madre era arrossita di nuovo. Dal modo in cui guardava lo Sceriffo, capì che doveva piacere anche a lei. E la cosa doveva essere reciproca, a giudicare dall'espressione dell'omone.

 

La gioia della bambina aumentò. Forse, il loro soggiorno a Whiskey Peak non sarebbe stato temporaneo o brutto come avevano pensato.

 

***

 

Whiskey Peak, Texas, USA

Per le strade della città

10 Marzo 2013

 

Proprio come Robin aveva sospettato quel giorno nella tavola calda, la permanenza delle due Nico a Whisky Peak fu molto diversa rispetto a quanto avevano avuto in mente all'inizio.

 

Tanto per cominciare, sua madre iniziò a frequentare lo Sceriffo Sauro, finendo per sposarlo un anno dopo. La cosa, oltre a riempire di gioia le due Nico, ebbe anche l'effetto di rendere più gentili i clienti della tavola calda. Nessuno di loro si sarebbe azzardato a fare il cretino con la donna dello Sceriffo, che nonostante il suo carattere gentile aveva una forza mostruosa e poteva farti passare un brutto quarto d'ora se non rigavi dritto (Confermando così la sua somiglianza con Bud Spencer e i suoi personaggi). L'unico idiota che ci aveva provato, un predicatore ambulante proveniente dall'Alabama, era rimasto in ospedale per una settimana, e dopo era scappato dalla città come se avesse Satana in persona alle calcagna.

 

Robin aveva fatto amicizia con alcuni bambini del posto, finendo per integrarsi completamente nella vita di Whisky Peak. Aveva anche iniziato a frequentare la scuola (Dietro insistenza dello Sceriffo). Grazie alla sua elevata intelligenza se l'era cavata alla grande, riuscendo ad ottenere il massimo dei voti in tutte le materie. Anche al liceo era andata così, e quando si era diplomata i professori si erano tutti complimentati con lei. Con i voti che aveva avrebbe potuto andare in qualunque college del paese, ma aveva deciso di prendersi un periodo di riposo e riflessione, per decidere meglio cosa fare della propria vita.

 

Ora, Robin camminava diretta verso casa, le mani in tasca e fischiettando una canzone di cui non ricordava il titolo. Era reduce da una lunga passeggiata fuori città (Amava camminare in mezzo alla natura).

 

Negli ultimi anni Robin era cambiata parecchio, anche fisicamente. Se da piccola era semplicemente carina, ora era diventata una bellezza che faceva girare la testa a tutti i maschi del posto. Quando andava da qualche parte si accorgeva sempre di come la guardavano, dei commenti che facevano pensando che lei non li sentisse e dei fischi che a volte emettevano. Tuttavia, erano pochi quelli che ci provavano. Avevano tutti troppa paura dello Sceriffo Sauro.

 

Ma anche se avesse avuto una fila di pretendenti lunga un chilometro, a Robin non sarebbe importato più di tanto. Certo, ricevere attenzioni la lusingava sempre, ma il fatto era che a lei piacevano le donne. Era una cosa che aveva scoperto di recente, e non aveva detto nulla neanche a sua madre. Come tante altre ragazze della sua età, aveva attraversato una breve fase sperimentale, prima di capire chi era davvero. Quella fase si era ormai conclusa, e lei era pronta ad affrontare la sua vita. C'era una biondina di nome Califa che lavorava nella biblioteca della città, e che le lanciava sempre delle occhiate eloquenti. Robin aveva intenzione di chiederle di uscire, appena ne avesse avuto l'occasione.

 

Tutto sommato, la mora poteva dirsi felice.

 

Arrivata in vista della sua casa (O meglio, la casa dello Sceriffo Sauro, in cui lei e sua madre erano andate ad abitare), la ragazza imboccò il vialetto sul retro, quando all'improvviso si accorse che una delle finestre era aperta, e che dall'interno della casa provenivano degli strani rumori. Si fermò e aguzzò le orecchie.

 

- Finalmente abbiamo finito!-

 

La ragazza sussultò. Di chi era quella voce? Erano forse entrati dei ladri in casa? Meglio controllare prima di chiamare la polizia.

 

Si avvicinò alla casa e strisciò lungo il muro, silenziosa come un ninja. Arrivò fino ad una finestra aperta e ci si nascose sotto, stando ben attenta a non farsi scoprire, e si mise in ascolto.

 

- Certo che quel bestione menava di brutto. Credo di avere una costola rotta.- disse una prima voce.

 

- Anch'io. Meno male che avevo portato la pistola.- disse una seconda, maschile come la prima.

 

Pistola? Robin cominciò ad avere paura. Cosa era successo mentre lei non c'era?

 

- Comunque, l'importante è che sia tutto finito. Hai fatto le foto che aveva detto il capo?-

 

- Certo, e gliele ho anche inviate. Per una volta, immagino che sarà felice.-

 

- Vorrei ben vedere, con quello che questa qui ha fatto a suo figlio...-

 

Figlio?, pensò Robin. Che diavolo sta succedendo?

 

- Ma alla fine ha avuto quello che si meritava.-

 

Un'ondata di terrore attraversò il corpo di Robin. Quelle parole non potevano significare nulla di buono.

 

- Quello che non capisco è perchè il capo ha voluto aspettare così tanto. Non poteva ordinarci di agire appena l'abbiamo trovata?-

 

- Glielo avevo chiesto anch'io. Mi aveva risposto che era meglio lasciar passare un pò di tempo, e colpire quando meno se lo aspettano.-

 

- Mmh...ha una sua logica.-

 

Robin stava cominciando a tremare come una foglia. Se prima aveva solo il sospetto che fosse successo qualcosa di brutto, ora ne aveva la certezza.

 

- A proposito, che aveva detto il capo riguardo alla figlia di Olvia?-

 

- Aveva detto di ucciderla solo se la trovavamo in casa. Tanto, quando tornerà qui e vedrà tutto questo casino, non potrà certo capirlo che siamo stati noi. Sembrerà una rapina finita male.-

 

Una lacrima attraversò una guancia di Robin.

 

- Perfetto.- Ci fu uno sbadiglio.- Dai, ora possiamo anche andarcene.-

 

- Prima vorrei fare un altro controllo, non si sa mai.-

 

- L'abbiamo già fatto prima, ed era tutto a posto.-

 

- E se ci fosse caduto qualcosa e non ce ne fossimo accorti? Credo che dovremmo fare un controllo un pò più accurato...-

 

- Non cominciare, Jango. Dai, andiamocene da qui. Abbiamo già visto ovunque, e non abbiamo lasciato manco una traccia.-

 

- Vabbè, se lo dici tu, Fullbody.-

 

- Certo. Io sono quello intelligente dei due, ricordi?-

 

- Sicuro. Tanto intelligente che quella volta a Dallas non ti sei accorto che quella puttana era un uomo.-

 

- E smettila di tirare fuori 'ste vecchie storie del cazzo!-

 

- Letteralmente.-

 

I due uomini risero sguaiatamente. Robin li sentì iniziare a spostarsi da dov'erano e si nascose in fretta dietro la casa, vicino ai bidoni della spazzatura. Aspettò finchè non sentì i due uscire dalla casa. Poi li sentì mettere in moto un'auto e allontanarsi a tutta velocità. Fu allora che decise di rientrare in casa. Doveva scoprire cos'era successo.

 

Col cuore che le batteva all'impazzata, la ragazza aprì lentamente la porta di casa ed entrò. Una rapida occhiata le rivelò che tutto era stato messo a soqquadro. E più andava avanti, più era peggio. Le cornici con le foto di famiglia erano state fatte a pezzi, i cassetti dei mobili tirati via e spaccati in due. La cucina sembrava essere stata appena devastata da un uragano, e il salotto era nelle stesse condizioni.

 

Ma il peggio doveva ancora arrivare.

 

- Howard!-

 

Robin sentì il mondo crollarle addosso. Ai piedi delle scale che portavano al piano di sopra, giaceva il corpo dello Sceriffo Howard Sauro. La ragazza corse verso di lui, sperando che fosse ancora vivo. Purtroppo non era così: il suo petto non si muoveva, e una grossa macchia di sangue in corrispondenza del cuore le tolse ogni dubbio.

 

- No...Howard...-

 

La ragazza rimase immobile a contemplare il cadavere della seconda figura paterna della sua vita. Le sembrava quasi impossibile che fosse morto. Howard Sauro, lo Sceriffo di Whisky Peak, colui che poteva intimidire un uomo semplicemente con lo sguardo...morto. Quel gigante buono, che aveva cambiato in meglio la vita sua e di sua madre...

 

A quel punto tornò in sè.- Mamma!- esclamò. A giudicare da quello che avevano detto i due uomini, anche Olvia doveva essere in casa. Il pensiero di quello che potevano averle fatto la fece rabbrividire. Scavalcò il cadavere dello Sceriffo e corse di sopra.

 

- Mamma! Mamma, dove sei?-

 

Nessuna risposta. Poi le venne in mente di andare a controllare in camera da letto. Si diresse lì più in fretta che poteva e spalancò la porta già socchiusa.

 

Quello che trovò fu mille volte peggio di ciò che aveva visto finora. Sua madre era sdraiata sul letto, nuda, in una pozza di sangue. I suoi vestiti giacevano strappati in un angolo, e sulle gambe e il petto aveva segni di morsi e graffi. Quei mostri dovevano averla violentata, prima di ucciderla.

 

Col cuore in gola, la giovane Nico andò verso il letto. Fu allora che si accorse che Olvia era ancora viva.

 

- Mamma...-

 

Olvia emise un gemito di dolore e girò la testa verso sua figlia.- Robin...-

 

- Mamma...cosa ti hanno fatto...-

 

La donna non rispose. Robin si chinò verso di lei e le scostò una ciocca di capelli dal viso.- Perchè...perchè ti hanno fatto questo?- disse singhiozzando.

 

- Erano...uomini degli Spandam...volevano vendicarsi.- mormorò la donna, aggiungendo subito dopo: - Howard...-

 

Robin decise di non rispondere, ma Olvia capì lo stesso.- Anche lui...nngh...-

 

- Non sforzarti, mamma. Vado a chiamare un'ambulanza.-

 

- Non servirebbe a niente...sto per...-

 

- No, mamma, non dirlo neanche!- Robin era disperata. Non poteva perdere anche sua madre.

 

Olvia sospirò, raccolse le ultime forze che le rimanevano e fissò sua figlia negli occhi.- Robin...quei mostri potrebbero tornare...scappa...ormai non c'è più niente che ti leghi a questa città...-

 

- No, mamma, NO!-

 

La donna sorrise.- Ti voglio bene, Robin.- E in quel momento la vita lasciò del tutto il corpo di Olvia.

 

Robin fissò a lungo il cadavere della donna che le aveva dato la vita. Poi, quasi senza rendersene conto, uscì dalla stanza.

 

In un attimo, il suo mondo era cambiato. Se fino a mezz'ora prima era una giovane donna felice e piena di speranze per il futuro, ora non era più così. Le persone più importanti della sua vita erano morte. Prima Clover, poi Howard Sauro, e infine sua madre. Non aveva più nessuno al mondo. Era sola.

 

Non poteva fare altro che seguire l'ultimo consiglio di sua madre. Prese un grosso zaino e vi infilò dentro tutto ciò che poteva servirle per sopravvivere, inclusi due dei suoi oggetti più preziosi: il libro di favole di Brynden Clover e un ciondolo con una foto dei suoi genitori scattata il giorno del loro matrimonio. Prese anche i pochi soldi che riuscì a trovare. Alla fine indossò il cappello di Howard Sauro e disse una breve preghiera, per poi mettersi a correre, mentre le prime gocce di un fiume di lacrime iniziavano a rigarle il viso.

 

Robin uscì di corsa dalla casa, piangendo a dirotto, senza guardarsi indietro.

 

***

 

10 Ottobre 2013

Lungo un'autostrada della California del sud

 

Robin passò i mesi successivi a girovagare per il sud degli Stati Uniti, senza mai fermarsi troppo a lungo in un posto. Dormiva dove poteva, spesso in ricoveri per senzatetto. I soldi che aveva all'inizio finirono in fretta, e così fu costretta a rubare. La sua dieta si ridusse drasticamente, e in poco tempo lei divenne praticamente uno scheletro. Per spostarsi tra una città e l'altra si faceva dare dei passaggi da chi capitava. Era molto pericoloso, però, e un paio di volte avevano anche cercato di violentarla, ma grazie ad un coltello a serramanico che aveva rubato in un negozio era riuscita ad evitarlo. Purtroppo, durante una di queste colluttazioni il suo cappello da cowboy si era rovinato, e lo aveva riposto nello zaino. Alla prima occasione avrebbe cercato qualcuno che potesse ripararlo.

 

Adesso, era appostata dietro un paio di grosse rocce, con in mano un binocolo, intenta a sorvegliare la strada in attesa che arrivasse qualcuno a cui chiedere un passaggio. Aveva preso quest'abitudine dopo il secondo tentativo di stupro da parte di un camionista. Evitava gli uomini, da soli o in gruppo, scegliendo solo donne o famiglie con bambini. A volte però non arrivava nessuno, ed era costretta ad andare a piedi.

 

Robin non si era mai sentita così male. Era stanca, affamata e aveva voglia di piangere, ma non ne aveva la forza. Aveva perso tutte le persone a lei più care, e il mondo sembrava deciso a rendere la sua vita un inferno. Spesso, prima di addormentarsi, aveva pregato il Signore di farla morire nel sonno, in modo da non dover più soffrire. Ma non era successo. Perchè? Perchè lei era ancora viva, mentre i suoi cari erano tutti morti? Perchè doveva soffrire in quel modo? Cosa aveva fatto di male?

 

Le sue domande non avevano ancora ricevuto una risposta.

 

Ciò nonostante, lei andava avanti lo stesso, anche se ormai avveniva principalmente per inerzia. Non aveva più molta voglia di vivere (E l'ipotesi del suicidio le sembrava sempre più allettante).

 

Perchè?, pensò la ragazza guardando nelle lenti del binocolo. Perchè proprio io?

 

Singhiozzò e cercò conforto nei ricordi dei bei momenti passati con il professor Clover, sua madre e lo Sceriffo Sauro.

 

All'improvviso sentì il rumore di un'auto che si stava avvicinando da ovest. Puntò il binocolo in quella direzione e scrutò attentamente il contenuto del veicolo. Una famiglia. Bene. Le famiglie erano sicure.

 

Riposto il binocolo nello zaino, uscì dal suo nascondiglio e si fermò sul ciglio della strada, agitando un braccio per attirare l'attenzione della famigliola.

 

L'auto si fermò proprio davanti a lei. Era una vecchia station wagon grigia, con un mucchio di bagagli sul tetto tenuti insieme da delle funi. All'interno vi erano un uomo e una donna, e sul sedile posteriore due bambini troppo occupati a giocare tra di loro per prestare attenzione a tutto il resto.

 

- Serve aiuto?- le chiese il guidatore, un uomo di mezza età calvo e coi baffi.

 

- Sì, per favore. Vorrei un passaggio fino alla prossima città.-

 

- Hai avuto un incidente?- chiese la donna, paffuta e dai capelli biondi, probabilmente la moglie dell'uomo.

 

- No, sto solo...sto girando l'America in autostop. Voglio conoscere meglio il mio paese.-

 

- Ho capito. Comunque, noi stiamo andando a Loguetown. Per te va bene?-

 

- Va benissimo. Allora potreste darmi un passaggio fino a lì, per favore?-

 

- Ma certo, salta su.-

 

Robin entrò nell'auto e si accomodò sul sedile posteriore. I due bambini la guardarono per un attimo, e poi ripresero a giocare. Fatte delle rapide presentazioni (I nomi dei due adulti erano Lulu e Laura Peepley, mentre i bambini si chiamavano Dori e Brogi. Robin diede loro un nome falso che si era inventata qualche giorno prima, Katarina Devon), l'auto si avviò verso la città di Loguetown.

 

***

 

15 Ottobre 2013

Loguetown, California, USA

La casa di James Brook

 

Robin si svegliò e per prima cosa si guardò attorno in cerca di eventuali pericoli. Poi si ricordò che non si trovava sotto un ponte, o da qualche parte in mezzo al deserto. Era in una casa vera, in un letto vero, e invece dei soliti vestiti puzzolenti indossava un morbido pigiama azzurro. Guardò le lenzuola e la coperta che la coprivano e le accarezzò con la punta delle dita. Quasi non le sembrava vero.

 

Il giorno prima, Padre Urouge, il prete che l'aveva sorpresa a rubare e che per certi aspetti le ricordava Howard Sauro, le aveva presentato due dei suoi parrocchiani. Un bizzarro individuo di nome Sergei Ivankov, e un vecchietto con una pettinatura afro che si era presentato come James Brook. Nonostante la sua diffidenza iniziale, i due uomini si erano rivelati molto simpatici. Entrambi le avevano fatto delle offerte interessanti: Ivankov un posto di lavoro nel suo negozio di antiquariato, mentre Brook si era detto disponibile ad ospitarla in casa sua.

 

Padre Urouge le aveva parlato molto bene dei due, e quel poco che aveva visto finora le aveva fatto una buona impressione. Erano così gentili e simpatici, diversi dalla maggior parte delle persone che aveva incontrato nell'ultimo periodo. Sebbene una parte di lei continuasse a ripeterle di stare attenta, aveva deciso di fidarsi di loro.

 

Non le avevano messo fretta. Robin era andata a dormire a casa del signor Brook, e più tardi quel giorno sarebbe andata a dare un'occhiata al negozio del signor Ivankov. Se si fosse trovata bene in entrambi i posti, sarebbe rimasta. 

 

Finora non aveva avuto motivo di lamentarsi. La casa del signor Brook era davvero molto bella (Anche se forse qualcun altro l'avrebbe giudicata raccapricciante). Era accogliente, arredata con gusto, e aveva la biblioteca più grande che avesse mai visto. C'era anche un bel cane (Vedendola, le era corso incontro scodinzolando e le era saltato addosso, facendola quasi cadere. Per fortuna non aveva cattive intenzioni).

 

La ragazza stava seriamente pensando di rimanere. Forse era un rischio, ma per quanto tempo ancora poteva andare avanti facendo l'autostop e dormendo dove capitava? Quel tipo di vita le avrebbe fatto fare una brutta fine, se...se non ci avesse pensato lei prima.

 

Robin si accorse solo in quel momento di non aver pensato al suicidio neanche una volta, da quando era lì. Padre Urouge, Ivankov e Brook le avevano trasmesso delle sensazioni di tranquillità. Sensazioni che non aveva più provato da...dai tempi di Whisky Peak.

 

La mora sospirò. Forse era un segno divino.

 

Il suo stomaco brontolò, e la giovane Nico decise di rimandare a più tardi le riflessioni. Prima doveva mettere qualcosa sotto i denti.

 

Sul volto le si dipinse lentamente un sorriso. Sì, una bella colazione era proprio quello che ci voleva.

 

Scese dal letto e, a piedi nudi, andò in bagno. Si diede una rinfrescata, e subito dopo scese le scale per andare in cucina.

 

Trovò il signor Brook seduto al tavolo a leggere un giornale. Davanti a lui, i resti di una colazione frugale.

 

Sentendola arrivare, l'anziano alzò la testa e sorrise.- Buongiorno, Robin.-

 

- Buongiorno, signor Brook.- 

 

- Hai passato una buona notte?-

 

- Sì. Era...era da tanto che non dormivo così bene. Lei, invece?-

 

- Ho dormito bene anch'io, anche se non per molto. Yo-hohoho! Alla mia età le ore di sonno sono sempre di meno! Ma adesso siediti, cara. Ti preparo la colazione.-

 

- Non è necessario, posso farlo da sola.-

 

- Eh no! Ci penso io, sei mia ospite. Che razza di padrone di casa sarei, altrimenti?- L'anziano chiuse il giornale e si alzò in piedi.- Dai, siediti.-

 

La ragazza si accomodò su una delle sedie.

 

- Dimmi, cosa preferiresti mangiare? Frutta, pancake, o una tradizionale colazione all'inglese con uova e pancetta?-

 

La mora si prese un attimo per riflettere.- Ecco...vorrei dei pancake, un pò di frutta e del caffè, grazie.-

 

- Arrivano subito, cara. Yo-hohoho!-

 

Robin osservò l'anziano mentre trafficava con gli attrezzi della cucina. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che qualcuno le aveva preparato da mangiare? Non lo ricordava.

 

Poco dopo, nell'aria si diffuse l'odore del caffè e dei pancake, e lo stomaco della ragazza brontolò di nuovo. Adesso pensiamo solo a mangiare, disse tra sè e sè.

 

Una volta che Brook le ebbe portato la colazione, Robin divorò tutto con la rapidità di un piranha. Non rimasero neanche le briciole dei pancake.

 

- Però. Ne avevi, di fame.- commentò l'anziano dalla sedia di fronte a Robin.

 

- Sì. Ho mangiato pochissimo, negli ultimi mesi. Non faccio un pasto completo da non so nemmeno io quanto.- Un velo di tristezza le calò sul viso.- Quando Padre Urouge mi ha trovata, non mangiavo da tre giorni.- 

 

L'anziano annuì.- Non hai avuto una bella vita, a quanto ho capito.-

 

- Esatto.-

 

- Ti va di parlarne?-

 

Robin si girò verso Brook.- P-parlarne?-

 

- Sì. Potrebbe farti bene.-

 

- Io...non so, non ho mai parlato con nessuno della mia vita. Anche con Padre Urouge sono rimasta sul vago.-

 

Brook le accarezzò una mano.- Non devi sentirti obbligata a parlare, Robin. Se però hai voglia di farlo, io sono sempre a disposizione.-

 

La ragazza si ritrovò a contemplare il volto dell'anziano. Aveva uno sguardo gentile, di quelli che ispiravano fiducia. Le ricordava un pò il professor Clover.

 

E se mi sono fidata di Clover, pensò la mora, forse posso fidarmi anche di lui.

 

- Va bene. Ma la avverto, non è una bella storia.- Brook annuì e le strinse la mano. Lei prese un bel respiro e si schiarì la voce.

 

- E' iniziato tutto dieci anni fa, nella città di Ohara, in Alaska. E' lì che sono nata...-

 

E fu così che Robin raccontò a Brook tutto quello che le era successo negli ultimi anni, senza omettere alcun particolare. Quando ebbe finito, diversi minuti dopo, si accorse di sentirsi stranamente meglio.

 

- Mio Dio...Robin, non avrei mai immaginato che...ti chiedo scusa. Deve essere doloroso ripensare a tutto questo.- disse l'anziano, sinceramente dispiaciuto.

 

- Un pò, ma...mi ha anche fatto bene, come aveva detto lei. Era da tanto che non mi confidavo con qualcuno.-

 

- Lieto di esserti stato d'aiuto, allora.-

 

Robin annuì e bevve un altro sorso di caffè, svuotando la tazza.- Signor Brook, volevo chiederle una cosa...-

 

- Dimmi, cara.-

 

- Ecco...perchè mi ha accolta nella sua casa? Fino a ieri lei non mi conosceva, e per quanto ne sa io potrei anche essere una criminale.-

 

- Una criminale, tu? Yo-hohoho, questa è davvero bella!- Brook cominciò a ridere a crepapelle, smettendo quando notò l'espressione di Robin.- Scusa, è solo che...voglio dire, è vero che fino a ieri non ti conoscevo, ma non ci vuole niente per capire che sei una brava ragazza. Basta guardarti in faccia.

 

- Riguardo al motivo per cui ho scelto di ospitarti...beh, mi sembrava la cosa giusta da fare. E poi, da quando mia moglie Cindry è morta, qui in casa siamo rimasti solo io e Lovoon. Per quanto possa volere bene a quel cagnone, devo dire che non è un granchè, come conversatore.-

 

Robin ridacchiò.- Immagino che vorrà sempre parlare di ossi e gatti da inseguire.-

 

- E non solo. Continua a raccontare di quella volta che ha inseguito il postino e gli ha strappato il didietro dei pantaloni con un morso. E' stata la prima volta che ho visto delle mutande coi fiorellini addosso a un uomo.-

 

Nella cucina risuonò la risata dei due.

 

Robin doveva ammettere che l'anziano cominciava davvero a starle simpatico. Fece una piccola pausa e dopo riprese a parlare.- Signor Brook...è sicuro che per lei non sia un problema se resto qui?-

 

- Sicurissimo, perchè dovrebbe esserci un problema?-

 

La mora prese una decisione.- Allora io...rimarrò qui. E credo proprio che accetterò anche il lavoro che mi ha offerto il signor Ivankov.-

 

- Benissimo, Iva ne sarà entusiasta!-

 

Per la prima volta da quando aveva lasciato Whisky Peak, Robin cominciava a sentirsi bene. Non solo fisicamente, ma anche a livello emotivo. Stranamente, però, le stava venendo voglia di piangere.- Io...non so proprio come ringraziarvi...lei, signor Brook, e anche il signor Ivankov e Padre Urouge...-

 

- Ma cara, non c'è bisogno che ci ringrazi.-

 

E fu allora che Robin decise di lasciarsi andare del tutto. Chiuse gli occhi e iniziò a piangere. Ma a differenza delle altre volte, stavolta piangeva di felicità.

 

Brook si alzò in piedi, andò vicino a Robin e la abbracciò, stringendola più forte che poteva.

 

- Non hai più nulla da temere, Robin. Questa adesso è casa tua.-

 

 

NOTA DELL’AUTORE: Di tutti i capitoli che ho scritto finora, questo qua è il mio preferito. Mi sono divertito un mondo a scrivere le disavventure di Robin. Del resto, lei è il mio personaggio preferito, quindi non poteva essere altrimenti. A voi com’è sembrato?

 

Nel caso ve lo stiate chiedendo, i nomi che ho dato a Spandam e Clover sono un piccolo riferimento a quel capolavoro che è il Trono di Spade. Se non avete mai visto questa serie, vi consiglio di farlo (e anche di dare un’occhiata ai libri su cui si basa).

 

A proposito del Trono di Spade, tra di voi ci sono per caso dei fan? Ve lo chiedo perché ho una mezza idea di scrivere un crossover con One Piece, e non mi dispiacerebbe qualche dritta.

 

E per oggi è tutto. Ci rivediamo tra due settimane!

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: John Spangler