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Autore: Pandroso    27/09/2016    4 recensioni
QUARTA ONE SHOT PUBBLICATA (Guest star di turno: CROCODILE)
Non importa quanto si creda crudele, ogni cuore è capace di ferirsi.
A volte, le ferite non guariscono, continuano a sanguinare, diventano più profonde, e uccidono, se si è fortunati. Ma se si sceglie di non morire, queste si tramutano in una spietata condanna.
Raccolta dedicata alla Famiglia Donquijote. NON è una Yaoi anche se... scopritelo da soli.
Dal I:
Con gli occhi, Rosinante osservava la follia di suo fratello. Col corpo ne avvertiva la perversione farsi largo attraverso le mani… e la lingua, che gli stava impastando il collo leccandolo quasi fosse stato commestibile.
«Tu sei buono, fratellino, sei buono come la mamma »
La voce di Doflamingo sembrò vibrare sulle note del tritono del Diavolo.
Dal IV:
«[...] Cosa pensi, che basti allungare uno di quei tuoi odiosi sorrisetti e Kaido ti obbedirà come una sgualdrina?»
«Fu fu fu, allora sai perché sono qui... Comunque, caro secchio di sabbia asciutta, Kaido farà di meglio: me lo succhierà tutti i giorni e gli piacerà farlo!»
Consigliata come lettura serale. Ma attenzione che i contenuti sono forti, l’ho messo pure nelle note.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Crocodile, Donquijote Doflamingo, Donquijote Family, Donquijote Rocinante, Trafalgar Law
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
Capitoli:
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ATTENZIONE: questa One Shot è sconsigliata ai minori di 14 anni. 
Inoltre, onde evitare fraintendimenti che credo potranno verificarsi, Law avrà 14 anni, due in più rispetto all'età originale. Bambino sarà un termine in alternativa a ragazzino, ma l'età è 14.
E no, l’immagine che vedete qui sotto è solo un assaggino, l’illustrazione completa la trovate alla fine del racconto.

 

 photo dofy rosy law_zpsyqyune9m.jpg

Mein Herz Brennt
 

2. Non spiare il Fenicottero.

  

 

 

Sarà un lavoro facile, gli avevano detto. Da eseguirsi tranquillamente, gli era stato spiegato a parole; lui doveva solamente introdursi nel covo dei pirati, togliere di mezzo i componenti della ciurma – sua era la scelta se lasciarli in vita o meno, poco importava – individuare il Capitano, catturare il Capitano. O prendere la sua testa (il che sarebbe stato più comodo in fase di trasporto), non faceva differenza, sull’avviso di taglia la riscossione del denaro era garantita sia che l’uomo ricercato fosse stato consegnato vivo oppure morto. 
Insieme a Baby 5, Law era stato fatto sbarcare sull’isola Orenji; grazie alla mappa che gli era stata lasciata, il ragazzino aveva localizzato il luogo da assaltare.

«Ci sono circa quindici uomini armati là fuori…» parlò Law, guardando attraverso un binocolo rivolto in direzione di un’abitazione, questa era nascosta tra la vegetazione.
«Sicuramente quelli che vedi non sono tutti i membri della ciurma, ce ne saranno altri anche all’interno» gli disse Baby 5.
Law si girò verso di lei digrignando i denti, la guardò astioso: «Lo immagino anche io, non sono stupido!»
Diventava spaventoso e cattivo, quando faceva così, e la sensibile Baby 5 ne restava vittima, zitta e coi lacrimoni a riempirle gli occhi.
«Ho deciso, provochiamoli e facciamo uscire anche gli altri pirati allo scoperto. Tu mi coprirai le spalle, Baby 5, io attaccherò direttamente il capitano Wellington» spiegò Law, seriamente determinato.
Dalla tasca dei suoi bermuda il ragazzino prese un foglio piegato in quattro parti. Lo aprì e guardò bene la brutta faccia che c’era stampata sopra, di un uomo nerboruto e dall’espressione minacciosa, con una vistosa cicatrice sulla fronte. Indimenticabile.
La taglia del pirata ammontava a dieci milioni di Berry, una sommetta cospicua da incassare, che però sarebbe stata divisa con un venti per cento a ciascuno dei bambini e la parte rimanente ad impinguare i fondi della Famiglia; così avevano promesso Trebol e Diamante. Naturalmente, dopo essersi occupati di Wellington, i due mocciosi avrebbero dovuto portar via anche il suo tesoro, ma di questo non avrebbero visto un centesimo.
«Allora, pensi di farcela?» domandò Law a Baby 5. La bambina non rispose, lui si voltò  e…  poveraccia! Con gli occhi luccicanti che aveva, le si leggeva chiaro in viso che non vedeva l’ora di essergli utile. Ma almeno lei era affidabile.
Law si sistemò meglio il cappello bianco sulla testa; il binocolo non gli serviva più, in mano stringeva un lungo pugnale, lo stesso che aveva usato per ferire Corazon, ed era passato un anno e mezzo da allora.
Baby 5, anche lei, cominciò a prepararsi, trasformando il suo corpo in un’arma letale. Un potere, il suo, che aveva assunto mangiando un particolare frutto del Diavolo, detto Arma Arma.

Erano pronti.

Quei manigoldi assonnati, che bivaccavano ignari davanti alla loro tana e che, presto, sarebbe diventata pure la loro tomba, non capirono nemmeno da quale parte cominciarono a provenire i colpi d’arma da fuoco.
Avevano appena il tempo di vedere il sangue schizzare dal proprio corpo, o da quello del compagno che avevano accanto mentre veniva impallinato.
«Ci stanno attaccando!» urlò uno di loro, prima che gli venisse aperto un terzo occhio sulla fronte con un proiettile sparato da Baby 5.  Lei aveva un’infallibile mira di cecchino.

Una pioggia di piombo fece piazza pulita di tutta quella marmaglia, in soli centoottanta secondi d’azione.
Del fumo bianco aveva annebbiato l’aria; qualcuno ancora in vita si lamentava strisciando a terra; Law ne approfittò per avvicinarsi al covo dei pirati. Fece un cenno a Baby 5 per indicarle di cessare il fuoco ed aspettare che venissero fuori pure gli altri: li sentiva che si stavano mobilitando per il contrattacco. 
Ma dovevano essere poco furbi i pirati della ciurma di Wellington, perché si catapultarono fuori con spade sguainate e pistole alla mano, senza studiare la posizione del nemico… Altri bersagli facili in arrivo per la bimba assassina.
Il Capitano, comunque, non era tra loro. Law non lo vide.
«Venite fuori pezzi di merda!» gridò un pirata con fare intimidatorio, però tradito dalla mano che traballava rendendogli instabile la presa sulla pistola. Egli tremava scioccato dal macabro spettacolo che gli si parava davanti: la terra era tinta di rosso, e i suoi compagni, riversi al suolo, erano sporchi dello stesso colore. Quella doveva essere opera di professionisti; i pirati si aspettavano numerosi nemici da affrontare.

Eseguendo un attacco frontale, Baby 5 uscì allo scoperto insieme a Law; si avventarono contro una ventina di uomini, i quali, vedendo arrivare due insospettabili bambini, rimasero increduli ed immobili.
Quei ragazzini, invece, si rivelarono essere piccole iene scatenate.
L’addestramento a cui Law era stato sottoposto si stava scoprendo utilissimo, grazie all’agilità appresa da Lao G e alle tecniche di spada dell’ufficiale Diamante, i nemici cadevano uno dopo l’altro, tagliuzzati dai suoi rapidi fendenti.
Un lavoro davvero facile: la carneficina era stata compiuta.
«Nessuno dei tuoi uomini è rimasto in piedi, Wellington! Ti conviene uscire e arrenderti, oppure vuoi che veniamo ad ucciderti?!»
Law era molto sicuro di sé. Baby 5, al suo fianco, aveva una pistola carica, nata modificando il suo braccio destro. Con quella, teneva sotto tiro la porta del covo.
«Ah ah, e chi saresti tu per minacciarmi?!»
Una voce gutturale li sorprese alle spalle. Law non ebbe il tempo di voltarsi, una mano gigante gli afferrò la testa. Venne sollevato e lanciato via.
«Attento Law!» Baby 5 urlò e sparò contro quel bestione, ma i suoi proiettili rimbalzarono, probabilmente anche il pirata aveva mangiato un frutto del Diavolo.

 

***

 

“Capito, Law…  Hai l’occasione per iniziare a sfogare la tua rabbia e dimostrare di cosa sei capace. Non  deludermi…”

Le parole di Doflamingo battevano riecheggiandogli nella testa, o forse era il dolore quello che premeva più forte. Con lo schianto, Law aveva trapassato una delle pareti in legno della fatiscente tana di Wellington, e giaceva in mezzo ad assi spezzate e chiodi sporgenti. Ad un occhio vedeva rosso e percepiva del liquido caldo colargli dalla fronte. Una costola si era sicuramente incrinata, faticava a prendere il respiro.
Ebbe ugualmente la forza di rimettersi in piedi. Il cappello morbido era volato lontano, da qualche parte, lo avrebbe recuperato dopo.
Raccolse il coltello.

“Non deludermi…”

«Sto arrivando, bastardo!»
Corse verso Wellington, mirando alla sua schiena, cercando di pugnalarlo a morte. Il pirata si accorse di lui e lo afferrò ancora, per il collo, e con forza bruta lo sbatté a terra.
«Volevi uccidermi eh, piccolo parassita! Adesso ti sbudello io e dopo ammazzo pure la tua amica»
Wellington tirò fuori un pugnale.
«Lascialo andare! Lascialo!» Baby 5 era disperata e sparava inutilmente.
Law armeggiava il coltello nel tentativo di infilzare il pirata e liberarsi. Quell’armadio lo stava soffocando.

“Law… ti ho convocato qui per un motivo. Ho deciso che farò di te un membro ufficiale del clan Donquijote”

Ancora parole di ‘Mingo, gli tuonavano nel cervello gravi e dispotiche.
Law non poteva arrendersi, non adesso che, finalmente, era stato accettato nella Famiglia. La sua nuova famiglia, tutto quello che possedeva, l’unico scopo della sua misera vita a breve scadenza.

 

  ***

 

La nave della DDF si trovava ormeggiata ad un chilometro dalla costa di Orenji, in attesa.
Sul ponte di coperta, affacciato al parapetto di tribordo, Corazon guardava l’isola visibilmente preoccupato. Era arrivato ad accendersi la sesta sigaretta, e tamburellava velocemente le dita sulla balaustra, come sfogo all’impazienza.
È successo qualcosa.
Law, ci stai mettendo troppo tempo...
L’idea di precipitarsi laggiù gli era incontenibile, ma non poteva muoversi di sua iniziativa. Il Demone Celeste, suo fratello, aveva affidato la missione a Law e a Baby 5.
Una scelta calcolata, quella del fenicottero: i due insieme erano forti, ma così... si faceva prima a spedirli al macello; Corazon sapeva che il suo pazzoide fratello era un fanatico del criterio vigente tra il più forte e più debole, e che, quando ne aveva l’occasione, si divertiva a metterlo in atto. Poco gli importava chi fosse a sperimentarlo.
Se si fosse fatto uccidere, Law avrebbe dimostrato di essere un debole; e ‘Mingo se ne sarebbe riempito la bocca dicendo che il destino aveva scelto per il moccioso, poiché solo ai più forti era concessa una morte prediletta.
Tieni duro, Law!

Doflamingo, intanto, se ne stava comodo su una sedia, a centellinare champagne d’annata, mangiando ostriche fresche, mentre Trebol gli riferiva i termini del contratto che avrebbero presentato ad un ingegnere edile, una volta finito il lavoro in corso sull’isola Orenji.
«Per avviare questo progetto abbiamo bisogno di fabbriche di un certo tipo, eehi eehi. Ho travato le mappe di quella che sarà la nostra nuova sede, mappe del palazzo reale, o forse potremmo installare la fabbrica su Flower Hill... Eehi! Ed ho trovato l’uomo che opererà per noi. Se ci prepariamo già da adesso, saremo pronti per un veloce impianto della struttura, appena riprenderai il tuo onorevole posto, Dofy» argomentò Trebol, il suo moccio colante era sempre lì, e dondolava.

L’informazione che l’Ufficiale di Fiori aveva appena riferito al Capitano era una succulenta notizia per Rosinante; ma il tempo passava spietato e la vita di quei bambini era più importante per il Tenente Colonnello.
‘Mingo ascoltava Trebol attentamente; però, stava anche osservando il fratellino, dal momento stesso in cui lo aveva visto inchiodarsi là sopra a guardare fisso l’orizzonte.
Possibile che fosse preoccupazione? Rosinante odiava i bambini.
Il fenicottero lo conosceva bene, così bene che pure da lontano capiva quanto era agitato.
E questo lo infastidiva, lo turbava, lo faceva proprio incazzare.
Succhiò rumorosamente un’altra ostrica, ingollandola satollo.
«Trebol, quanto tempo abbiamo prima dell’appuntamento con questo tizio?» domandò il diavolo rosa al suo fedele servitore.
«Tre ore e mezza Signorino, la prossima isola non è molto lontana da qui, ci vorranno due ore per arrivare, eehi!»
«Perfetto»
Doflamingo si alzò, dirigendosi da Corazon. Gli arrivò alle spalle, ed insinuando il naso aquilino fra i ciuffi biondi che coprivano le orecchie di suo fratello minore, bisbigliò suadente:

«Non farmi ingelosire... Rosy»

Scandì le poche parole con una calma contrastante all’urgenza che si era impadronita e scalpitava nel cuore di Rosinante. 
Sbigottito dalla sua voce, arrivata troppo vicina ed imprevista, il Pierrot di Cuori si girò e sfiorò il viso del fratello, per poco, il tempo limite per avvertirne il calore della pelle. 
Doflamingo si scansò subito, a scrutare meglio il cielo, in cerca di… nuvole.
Ce n’erano abbastanza fino alla costa, secondo i suoi calcoli.
«Pica, Diamante e anche tu Corazon, io vado avanti, voi seguitemi, sono stanco di aspettare quei due impiastri»
Saltò in equilibrio sulla balaustra e, articolando le dita dinoccolate, tirò i suoi fili.
Questi arrivarono lontani, penetrarono le nuvole; in breve, il cielo venne invaso da uno sciame di filamenti. Brillavano al sole, articolati ad intelaiare una strada invisibile che correva tra la luce, l’aria e il vapore acqueo.
Il fenicottero volò via, leggero.
Fu così rapido che Corazon lo vide diventare un punto nel cielo, e già planava sull’isola.
Poteri divini, al servizio di un demone. Del Demone Celeste.

 

***

 

«Basta, fermati!» la piccola Baby 5 mitragliava Wellington senza riuscire a toglierlo di dosso da Law, il quale aveva lasciato la presa sul coltello e non reagiva.
Le urla della compagna gli giungevano ovattate, stava perdendo i sensi e sarebbe stato sventrato; quell’animale gli stava schiacciando la gola.
Il ragazzino annaspava scosso da movimenti involontari, i suoi occhi vagavano senza senso alla ricerca di aria ma, guardando casualmente oltre l’orribile faccia del pirata, tra le chiome degli alberi, egli vide il sole emanare una luce abbacinate e paradisiaca, poi, apparve qualcosa lassù, Law ne fu testimone: proprio lì, nel cielo sopra di lui, c’era una creatura, era sospesa nel vuoto.
Il piccolo Trafalgar pensò di star  morendo, ne era sicuro, quella figura ultraterrena doveva essere un angelo giunto per traghettarlo dai suoi genitori; o probabilmente no, era diventato cattivo lui, oramai. Non meritava più il paradiso.
Tanti sforzi per nulla, però, si sentiva soddisfatto, non sarebbe schiattato nel dolore provocatogli dalla malattia. Sapeva che fare il pirata gli avrebbe regalato una morte diversa.
«No!!!» la bambina gridò a squarciagola, la punta del pugnale brandito dal pirata stava per conficcarsi nello stomaco di Law.
Baby 5 si coprì gli occhi.

Un colpo di tosse cacciò fuori del sangue scuro e denso, mischiato con della saliva.
Law si ritrovò a guardare l’ingombrante corpo di Wellington penzolargli sopra la testa; dalla bocca barbuta del pirata stava gocciolando del sangue, che finì ad insozzargli il viso.
Con uno scatto, il bestione venne issato, portato in alto, come quando si pesca una balena, arpionandola.
Law non capì cosa stesse accadendo: l’uomo aveva il torace trafitto da… fili?!
La carcassa ingombrante di Wellington fu scaraventata lontano e l’angelo ricomparve, era ancora in cielo. Law lo osservò scendere su di lui, a braccia aperte, in un vortice di piume rosa.
Perse i sensi.

 

***

 


Corazon si sarebbe volentieri enucleato gli occhi con le proprie mani, ma gli servivano e, purtroppo, non poteva fare a meno di osservare suo fratello maggiore stare chino, a tenere il corpicino ferito del piccolo Trafalgar: lo aveva fra le braccia, accoccolato sulle cosce, e gli accarezzava i capelli sconvolti ed impolverati, sistemandoglieli da un lato.
Addirittura, Doflamingo gli toglieva dal viso alcune schegge di legno; gli si erano conficcate nella pelle a causa dei bestiali trattamenti del “fu” pirata Wellington; e con un fazzoletto, il fenicottero ripuliva il sangue che quest’ultimo aveva sputato addosso a Law.

'Mingo lo faceva apposta, l’Ufficiale di Cuori ne era convinto. Non era apprensione quella a cui Corazon stava assistendo, il diavolo rosa non possedeva un briciolo di umanità, e tutti i suoi gesti, apparentemente premurosi, erano privi d’amore. 
Somigliavano di più ai tocchi sapienti di un medico legale, che cercava di scoprire a causa di quali agenti era dovuto il rigor mortis della vittima.
Ma, fortunatamente, Law respirava ancora.
In quelle condizioni, il ragazzino era solo uno strumento che il fenicottero usava per irritare Rosinante. Riuscendovi.
«Non preoccuparti, Ros’ – se ne uscì ‘Mingo, stirando un ghigno sulla guancia destra – ti prometto che stringerò anche te, tra le mie ginocchia, quando ne avrai voglia. Fu fu fu»
Al Demone Celeste non sfuggiva nulla. Corazon abbassò gli occhi, remissivo, e andò a dare una mano agli altri ufficiali, per raccattare il maltolto.
Doveva stare molto attento, Sengoku aveva ragione, quel ragazzino, a lungo andare, lo avrebbe fatto scoprire.

Tepore... C’era un calore che da molto tempo Law non avvertiva attorno a lui, gli ricordava i suoi genitori.
Le carezze, le sentiva, erano delicate, sembravano quelle di sua madre. Udì pure delle voci, ma non riuscì a riconoscerle. Certo era che qualcuno lo stava abbracciando. Voleva aprire gli occhi per vedere chi fosse e si aspettava di incontrare un viso familiare; poco importava se era stato spedito nell’aldilà, a lui quel calore piaceva, gli serviva.
Rinsavì lentamente, la vista era annebbiata, non distingueva bene le figure. Protese le mani alla ricerca di un contatto rassicurante, ed arrivò a sfiorare un volto. Si aggrappò al collo di questa persona e, contemporaneamente, spezzò il cuore di chi da lontano lo stava osservando con gli occhi straziati, nascosti dietro un trucco pesante come quello di una prostituta.

«Law, sei cosciente...»

Law era finalmente cosciente, e circondato da un morbido nido di piume rosa, e stretto dalle mani di Doflamingo.
Le piume emanavano un asfissiante profumo di fiori, molto intenso, lo stesso che poteva trovarsi all’interno di una camera ardente.
La faccia del fenicottero gli era così vicina che, per la prima volta, Law poté distinguere la forma degli occhi che quell’uomo nascondeva sempre dietro lenti scure. 
Provò un acuto brivido di paura.
Le nostalgiche sensazioni sgorgarono via all’istante, seguendo il ruzzolo col quale Law si divincolò per scappare dalle grinfie del fenicottero.
Gli occhi che aveva appena scorto erano così... così…
«Stavi per essere ucciso, Law» ‘Mingo parlò, mozzandogli i pensieri con la sua voce.
Wellington…  già, ma dov’era?
Law fece un girotondo su se stesso e lo trovò poco lontano, annegato in una pozza di sangue. Capì che doveva essere stato Doflamingo a stecchirlo, però, non ricordava come; era svenuto.
«I-io ho fallito, mi dispiace» disse costernato, la voce impastata.
«Fu fu fu, tu e Baby 5 avete fatto un ottimo lavoro: nessuno tra questi scarti è ancora in vita, e l’oro è nostro, tieni»
Il fenicottero, con un sorriso bianchissimo, gli porse il cappello perduto durante la battaglia. Law lo prese, incerto, e se lo ficcò in testa, con l’orlo a coprirgli gli occhi perché stava per mettersi a piangere. E lui non doveva, non era mica stupido come Baby 5, che era andata ad aggrapparsi direttamente alla gamba del Capo. Che frignona!
Law non pianse.

«Dofy, abbiamo preso tutto il tesoro, che ne facciamo di Wellington?» domandò Pica, l'Ufficiale di Picche; era un colosso con una voce squittente. Ridicolo, ma guai a prenderlo in giro.
«Lo lasciamo alle mosche» rispose ‘Mingo.
«Come? Lasciamo qui dieci milioni di Berry?!» proruppe Diamante, avido da fare schifo.
Il fenicottero si girò a guardare nuovamente il cadavere del pirata: «Quel sacco di letame non ce lo voglio sulla mia nave», tono perentorio, nessuno discusse.
Diamante si limitò a fare spallucce e sbuffò sommessamente, dieci milioni erano dieci milioni, porca miseria!
«Avanti, muoversi, si torna a bordo! Corazon, dammi una mano a portare questi forzieri. Ah, spero davvero che dentro non ci siano solo spade arrugginite, ma qualche bel pezzo d’oro!» era sempre Diamante a fare la parte dell’accattone.

 

  ***

 

Nel tardo pomeriggio, il clan Donquijote sbarcò sull’isola Kōsei, come programmato da Trebol, non un minuto di ritardo.
Doflamingo e gli ufficiali erano in “visita” presso la villa del bravo ingegnere.
Baby 5 continuava a ripeterlo: «I grandi hanno detto di aspettare qui!», lei era la più ubbidiente in quel trio di marmocchi “sotto naia”.
«Ma così ci annoieremo, giochiamo a qualcosa!» propose Buffalo.
«Va bene, Law tu a cosa vorresti giocare?» gli chiese Baby 5, per tentare di inserirlo nel discorso.
«... A niente», il ragazzino se ne stava seduto su una panchina fuori dall’ingresso della lussuosa villa, ricurvo dalla solita tristezza, e anche dall’ansia: era indeciso se dire o non dire, probabilmente loro non lo avrebbero capito, certe cose non si posso immaginare, te le devi trovare davanti e farci i conti; e Law, in quel giorno, aveva scoperto lo sguardo del fenicottero restandovi impreparato.
«Sei davvero noioso tu, allora raccontami come è andata oggi, si vede che ti hanno pestato per bene, eh eh!»
Buffalo tentò di provocarlo, ridendo dei cerotti e dei lividi che spopolavano addosso al sopravvisuto di Flevance; era invidioso di lui, che era stato scelto al suo posto per una missione con Baby 5. Insomma, chi si credeva di essere?! Era solo una gavetta idiota che si stava montando la testa perché il Capo aveva manifestato un po’ di simpatia nei suoi confronti!
«Non mi va di dirti nulla, Buffalo, se ti interessa fattelo raccontare da lei che ha visto tutto, io ad un certo punto sono pure svenuto» Trafalgar lo liquidò in breve.
Sì, Buffalo odiava l’intero pacchetto, con anche quel modo di fare arrogante. 
Law si allontanò da loro, senza dire dove stava andando e facendo intendere che non desiderava essere seguito; non si girò neppure quando Baby 5 gli rammentò di tornare presto, per non fare arrabbiare il Signorino.

 

***

 

Una sfumatura di nero più intensa del solito gli dipingeva l’umore, Law aveva un muso tanto lungo che se non ci faceva attenzione poteva inciamparci sopra. 
Camminava nel cortile della villa, nel giardino; questo era gradevolmente curato, con le siepi alte che componevano un labirinto intorno all’edificio e sulle quali crescevano bianchi gelsomini.
Law avanzava accarezzandone distrattamente i petali, o meglio, sradicava tutti quelli che gli capitavano tra le dita; non gli piaceva il bianco che si diffondeva a piccole macchie sul verde brillante delle siepi, ce n’era troppo.
Decapitando i fiori, lasciava ai suoi piedi una scia di petali morti, sembrava un macabro rituale.
Ma attorno a lui, si armonizzava il suono della natura viva, come lo scrosciare dell’acqua da una sorgente che non vedeva, e che doveva essere nei paraggi, il ronzio di alcune api, il canto eufonico degli uccelli.
Law li vide volare oltre il labirinto. 
Loro erano liberi. Lui no. 
Non bastava viaggiare, muoversi, e fare cose cattive per vendicarsi e provare a credersi libero.
Lei era sempre lì, a divorarlo lentamente dall’interno, a lucidargli  la mezza luna di ferro.
Un singhiozzo spontaneo, un accumulo di sofferenza, lo colpì a sorpresa. Lui lo ricacciò dentro, c’era abituato.

Giunto di fronte ad un arco rivestito di rose, pure queste bianche, Law lo attraversò e, passando oltre la siepe che lo obbligava a scegliere la sinistra o la destra, si trovò in uno spazio largo e circolare con al centro una fontana.
S’avvicinò a questa e vi guardò dentro, c’erano persino i pesci rossi nella vasca; ma ciò che lo incuriosì  fu la scultura di un’esile figura femminile: si ergeva nel mezzo della vasca, la posa immobile, ed era vestita con un peplo leggero. La statua teneva in mano uno specchio. Lo specchio era vero.
Law vide il suo riflesso chiudersi nella lastra riflettente; guardandosi, si accorse che macchie eburnee avevano iniziato a scolorirgli la pelle del viso, come albugine su un frutto da buttare, e le iridi scure dei suoi occhi avevano cambiato colore, erano diventate di un grigio innaturale e mortifero.
Si toccò le guance e le sentì gelate, ruvide al tatto.
No, Lei non era affatto nascosta, anzi, gli porgeva la clessidra del tempo, vuotandogliela contro.
Law non voleva più specchiarsi, si sentì ripugnante. Lo specchio lo metteva in trappola.

Sparisci, sparisci adesso!

Raccolse da terra alcuni sassi e cominciò a scagliarli mandando in pezzi il suo riflesso.
Gridò ad ogni sasso lanciato. Ogni urlo bruciò la sua gola, bombardandogli l’anima senza pietà.
Non aveva nulla in cui credere. E nella disperazione, si era rivolto ad uomo che aveva riacceso in lui la speranza: era questa la disgrazia, averla ritrovata faceva più male che averla perduta:

“Se avrai fortuna… Tra i frutti del diavolo che ti capiteranno potrebbe esserci quello che ti salverà la vita”

Un’idiozia.
Sperare di poter sopravvivere… doveva toglierselo dalla testa.
«Mamma, papà, Lami… io non ce la faccio! Io… Io ho… »
Il piccolo Law era esausto, si strinse fra le proprie braccia. Crollò in ginocchio.
Credeva d’aver consumato tutte le sue lacrime a Flevance, in quella notte infausta, invece, scoprì di averne ancora e di non aver, purtroppo, perduto la sua umanità. La paura di morire.

Nonostante i forti singhiozzi, che gli sconquassavano le membra deboli e stanche, un rumore attirò la sua attenzione; Law ne cercò con gli occhi la fonte, e guardando in alto si accorse che, dalla finestra di una delle facciate della villa, che dava proprio su quello spicchio di giardino, c’era Corazon. 
Il pagliaccio stava affacciato. Era l'unico spettatore silenzioso e indesiderato di quel dramma.
«Che cosa ci fai lassù, si può sapere?! Dannato spione, vattene via!»
Law provò vergogna, era stato colto nel suo più intimo momento di debolezza.
«Ma chi ti credi di essere, eh?! Anche se un anno fa non hai detto nulla, non pensare che questo mi metta in soggezione, potrei riprovarci, capito Corazon!»
Si stava riferendo al giorno in cui l’Ufficiale, non dicendo a Doflamingo da chi in realtà era stato pugnalato, gli aveva salvato la vita da morte certa; cioè, immediata, perché a morire quel ragazzino doveva morire.

«Oltre ad essere muto sei anche sordo?! Vattene, smettila di guardarmi! Sparisci anche tu!»
Law afferrò un sasso e lo tirò verso la finestra, ma era troppo alta, non ci arrivò. Continuò lo stesso a lanciarne altri, voleva mandare in frantumi anche il pirata imbellettato, non sopportava la sua faccia, in essa vi vedeva riflessa la gravità della sua condizione. E non gli serviva la compassione di nessuno.
«Perché non te vai?! Eh?! Perché non mi lasci in pace?! PERCHÉ?!»

Raccolse l'ennesima pietra e poi, uno, due, tre spari, soverchiarono le sue grida con un fragore assordante.
Law rimase immobile, col pugno chiuso a mezz’aria.
Tornò a mirare la finestra: Corazon era sparito; al suo posto c’era il vuoto e una tenda che veniva scomposta in malo modo dal vento. 

 

***

 

«Vi prego, non fateci del male, io non posso garantirvi nulla, non posso firmare questo progetto, va contro le leggi del Governo Mondiale!»: fu l’appello di un uomo in lacrime.
«Sentito Pica? Le leggi del Governo Mondiale! Forse lo sciocco ancora non ha capito con chi ha a che fare, ah ah ah! Siamo noi la legge, qui! E adesso, firma!» e questa fu l’arringa intimidatoria di Diamante, seguita dalle risate acute dell’ufficiale di picche.
La sala in cui si discuteva non era molto grande, tuttavia, Señor Pink si stava fumando il terzo sigaro, riempiendo l’ambiente di fumo. Gladius andò ad aprire le finestre.
«Eehi eehi, te lo diciamo per un’ultima volta: firma il contratto!», stavolta era stato Trebol a far la voce grossa. Aveva preso i fogli con le sue luride mani appiccicose e li aveva sbattuti sul tavolino basso posto di fronte all’uomo incravattato che non voleva apporre su di essi alcun nome.
Da più di due ore, la Famiglia aveva occupato la villa e cercava di portare avanti una trattativa impossibile col padrone di casa poco collaborativo. L’ostinazione portava a conclusioni inimmaginabili, ma anche no: il maggiordomo e la servitù giacevano sgozzati sul lucido pavimento in marmo, erano stati i primi a pagarne le conseguenze.
Pensare a quale sarebbe stata la prossima mossa di quella banda di assassini, era scontato.
«Vi prego, rivolgetevi a qualcun altro, io non posso, non posso firmare!»
«Ah, quindi non puoi – Doflamingo non aveva prestato attenzione alla conversazione fino a quel momento, era rimasto in disparte ad osservare la libreria presente nel salottino mentre rifletteva sulla momentanea assenza di Corazon; c’era anche un orologio a pendolo ad attirare la sua curiosità; ma quei continui no, no e ancora no, in sottofondo, lo avevano annoiato – Di’ la verità:  tu puoi ma non vuoi firmare»
L’uomo piangeva sommesso, muoveva la testa a far intendere l’ennesimo diniego. Al suo fianco c'era una donna che lo abbracciava, era terrorizzata ed inerme quanto lui.
Il fenicottero piegò la bocca, nauseato; gli esseri umani e il loro finto perbenismo, quanta viltà.
«Ehi – ‘Mingo raggiunse il povero ingegnere, gli era di fronte, lo osservava dall’alto verso il basso come più gli piaceva – Tu credi di essere un uomo giusto, vero? E noi siamo i cattivi. Allora lascia che ti spieghi un concetto molto semplice: i tuoi sani princìpi, che difendi con tanto coraggio, hanno costretto i miei uomini a comportarsi in modo atroce, guarda, guarda come sono dispiaciuti per colpa tua – fra i membri della ciurma si diffuse un brusio di maligne sghignazzate – Su, contiamole: uno, due… cinque persone sono morte, e si sono sacrificate per te. Tutte queste preziose vite sprecate per una semplice firma. Un po’ egoista da parte tua, non trovi? E ancora non ti basta. Adesso mi chiedo, dov’è la giustizia quando serve?! Quest’uomo vuole il sangue di altri innocenti per salvare la sua onestà!... Fu fu fu, sai... mi ricordi mio padre. Ma tu sei fortunato, perché si dà il caso che anch’io sia un egoista, come te – Doflamingo infilò una mano sotto le piume rosa, dai pantaloni tirò fuori la sua pistola, quella delle esecuzioni – Quest’affascinante signora è tua moglie?»
«No! No! Ti prego! Lasciala stare, prendi me! Prendi me, ma la-»

BANG! - BANG! - BANG!

«Sì, era tua moglie. Fu fu fu… Bene, ragazzi aiutatelo a firmare e ripulite lo schifo, ci fermeremo qui per qualche giorno prima di ripartire. Mi piace questa casa, pacchiana ma accogliente»

Trattativa conclusa.

 

***

 

Trafalgar Law tornò alla villa dopo essersi calmato.
Il cielo era  buio, col sole tramontato da un pezzo.
Trovò alcuni membri della Famiglia indaffarati a spostare preziosi oggetti, che venivano accatasti fuori dall’ingresso dell’edificio: quello era il momento della razzia, c’era anche un orologio a pendolo lì in mezzo.
«Alla buonora Law! Che fine hai fatto?» gli chiese Jora andandogli incontro. La donna aveva in mano un pacco chiuso con la carta e legato con dello spago.
«Mi ero perso» mentì, senza curarsi d’essere convincente; e non ce ne fu bisogno, Jora passò oltre: «Va’ a mangiare qualcosa, sembri non reggerti in piedi, e trovati un posto dove dormire, ci fermeremo qui per alcuni giorni, ordini del Signorino... A proposito, ti ha lasciato questo, prendi»
Jora gli mollò il pacco che aveva in mano. Era pesante. Law lo aprì immediatamente; Doflamingo aveva pensato a lui, magari poteva trattarsi della cura per la sua patologia.
Sfilato lo spago e strappata la carta, Law trovò solamente dei libri. Ne lesse distrattamente alcuni titoli: anatomia, chirurgia, chimica. Gli scintillarono gli occhi, tra quelli ce n’era uno che ricordava avere visto anche nella biblioteca di suo padre.
«Il Signorino ha detto che sono un regalo per te, ricordati di ringraziarlo, non capita spesso che faccia certi doni, deve volerti molto bene»
 A Law era tornato un timido sorriso, tuttavia insufficiente: a che serviva studiare se doveva morire? Tutto quel sapere non lo avrebbe salvato, e non aveva nemmeno il tempo per diventare un medico chirurgo.
Sembrava una presa in giro.

Nonostante, pensò lo stesso di andare a cercare un posto dove iniziare a leggerli, lo avrebbero distratto.
Di appetito non ne aveva; ne sentiva sempre meno, probabilmente era colpa della malattia che incombeva; così, in cerca di una camera tranquilla, Law salì le scale del terzo piano e arrivò in un lungo corridoio.
Finestre a sinistra, camere a destra, soffitto alto: l’architettura  si diffondeva in profondità a comporre una suggestiva prospettiva frontale.
Law provò ad abbassare la maniglia della prima stanza, era chiusa a chiave. Passò alla seconda, chiusa anche questa; stava per sfondare la porta di quella a seguire, ma si bloccò. 
Udì dei rumori, provenivano proprio da quella camera. Doveva essere occupata.
Incuriosito, Law si avvicinò alla porta e poggiò l’orecchio su di essa, a contatto con la pelle il legno era freddo e fastidioso.
Sentì qualcuno parlare:

«Credi di essere stato carino?… Me ne sono accorto anche sulla nave. Vieni qui»

La voce era troppo bassa, Law non capì a chi potesse appartenere.

«Mi prendo quello che voglio, quello che è mio... E voglio tutta Dressrosa»

Poi un tonfo, e silenzio.
Law tirò via l’orecchio, pareva non vi fosse più nulla da ascoltare ma, dopo pochi minuti, sentì altro provenire da quella stanza: un cigolio reiterato, non solo, qualcuno, lo distingueva bene, stava respirando con affanno, come quando si correva troppo o si salivano le scale velocemente.
Curioso, col corridoio vuoto alle sue spalle che sembrava volerlo inghiottire nella penombra, cercò di guardare dal buco della serratura: le luci all’interno della camera erano accese, si vedeva una poltrona, su cui era adagiata una informe macchia nera, e si scorgeva l’angolo di un letto.
I rumori non cessavano: divennero intensi con un ritmo opprimente.
Inaspettatamente, nella sua stretta visuale, spuntarono due mani, ad aggrapparsi sul ciglio del letto che vedeva di scorcio. Law seguì le braccia tese che sostenevano un torace nudo e ricurvo verso il basso.
I particolari anatomici appartenevano ad una sola persona, che aveva la schiena deturpata da numerose cicatrici.

Ma, se non stava guardando un mostro e non stava sognando ad occhi aperti, doveva esserci sicuramente una seconda persona lì dentro; Law si accorse di un altro paio di braccia: sbucarono da un lenzuolo e si chiusero a stringere il corpo sfregiato.
Continuò a guardare spinto da un bizzarro interesse.
Una debole vocina dentro di lui gli suggerì di andarsene, Law non la ascoltò. Fu un errore: per pochi secondi, scorse e riconobbe la faccia di un uomo. Non portava gli occhiali, ma era lui
Law lo vide muoversi agitato, a fare pressione col torace sul corpo deturpato ch'era sotto di lui, e che dondolava resistendo con fatica alle spinte. 
Ogni movimento era accompagnato da uno scricchiolio del letto e da un gemito, o viceversa.
Law non capì cosa di quel che stava guardando lo impressionasse, o forse aveva capito ma non voleva pensarci. Era capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Provò il bisogno di vomitare la cena che non aveva mangiato.
Distratto e scioccato, allentò la presa sui libri che teneva fra le braccia; ne caddero due, che rovinarono pesantemente sul pavimento.
Il cigolio cessò.
Law allontanò il viso dalla serratura.
Temette di essere stato scoperto; non ce la faceva a muoversi e scappare, era impaurito e le sue gambe si erano ancorate al pavimento.
Sbirciò nuovamente nel piccolo foro: adesso, qualcuno lo stava guardando, e da vicino, c’era solo la porta a dividerli. Sì, era un occhio quella sfera lucida con le palpebre che sbattevano ripetutamente ogni due secondi. Un occhio dalla pupilla piccola come la cruna di un ago e con l'iride mostruosamente bianca.
Law ne riconobbe la forma immediatamente, sapeva bene chi c’era dall’altra parte.
Soffocò in tempo le sue urla tappandosi la bocca con la mano.
Via, via, via! Doveva andarsene subito da lì.
Si piegò per raccogliere i libri che gli erano caduti, e orrore, da incubo: la porta cominciò a tremare, dei fili lunghi e neri come capelli si allungarono passando sotto di essa. Uscivano anche dal buco della serratura, in una matassa inquietante che si stava avvicinando a lui. Sembrava che fosse la porta stessa a sputarli fuori, minacciando di spalancarsi all’improvviso. E questo non doveva accadere.
Law lasciò perdere i libri, i fili lo stavano per catturare, una ciocca gli si annodò attorno alla caviglia. Dio, come stringeva! E… erano affilati! Quei maledetti fili lo stavano tagliando. Vide il sangue sgorgare appena e macchiargli il calzino.

Aiuto!

Sfilando il piede dalla scarpa – che raccolse appena fu libero –  senza preoccuparsi di ferirsi ulteriormente,  Law riuscì a scappare; il suo istinto di sopravvivenza ebbe la meglio sul panico.
Claudicante e col cuore che non batteva più, fuggì spaventato ed estremamente confuso.
Alle sue spalle udì diffondersi l’eco di una sottile risata da Joker.

Il corpo di Wellington, trafitto e tagliato...  Law non riusciva a non pensarci.

 

***

 

Per due lunghi giorni Trafalgar Law resistette al bisogno di raccontare ciò che aveva visto e non parlò con nessuno.  
Durante le quarantotto ore non ebbe neanche l'occasione di incontrare Doflamingo. Una fortuna, perché ne era a dir poco terrorizzato. 
Corazon anche sembrava essere sparito.
Tenendosi lontano dal terzo piano, il ragazzino aveva però trovato un posto dove rintanarsi: era lo studio dell’ingegnere edile.
Law non sapeva neppure che faccia egli avesse, non lo aveva mai visto, poiché, a detta di Buffalo, l’uomo era stato portato via da Lao G e Machvise mentre urlava frasi come “è colpa mia, sono un uomo cattivo, firmerò tutto quello che volete”.
La stanza era pulita e ordinata, gli ricordava lo studio medico di suo padre, mancava  l’odore del disinfettante.
Lì, poteva stare tranquillo e studiare.
Alcuni argomenti non gli erano nuovi, li aveva già trattati, ma erano studi che andavano oltre la portata di qualunque ragazzino della sua età, e lui aveva solamente quattordici anni; possedeva un quoziente intellettivo al di fuori della norma, smisurato.
Un'intelligenza rara che aveva  impressionato persino il diavolo rosa, il quale, dopo essersene accorto, aveva insistito, mostrando un ignoto e morboso interesse, affinché il piccolo Trafalgar completasse la sua formazione.

Law stava per riprendere a leggere dal capoverso, quando sentì dei passi provenire dal corridoio esterno.
La porta si aprì alle sue spalle; lui non si voltò. Sapeva chi era, lo immaginò dall’intenso profumo di fiori – di rose soprattutto – che invase la stanza.
«Ciao Law, ti stavo cercando... Ho trovato questi, avevo detto a Jora di consegnarteli e mi pare che l’abbia fatto, perché vedo che gli altri ce li hai tu»
Doflamingo sbatacchiò sul tavolo un paio di libri. Law non fiatò. C’era rabbia nell’aria. 
I tomi che ‘Mingo gli aveva portato erano quelli che aveva abbandonato davanti alla porta dei segreti inconfessabili.
Era stato riconosciuto... Ora, Aveva paura di ricevere una punizione.

«Law, tu non lo sai, ma tra le cose che non sopporto di questa detestabile fogna che è il mondo, c’è il disordine… e ci sono anche i ficcanaso, cerca di non dimenticarlo»
Doflamingo gli poggiò una mano sul cappello, come ad accarezzare un animaletto ubbidiente. Un animaletto che avrebbe mantenuto il silenzio.
Il piccolo Trafalgar avvertì la nausea lievitare, gli tornarono in mente i gemiti da mal di pancia, l'occhio, il cigolio... i fili. Trattenne il respiro; strizzò le palpebre contando mentalmente fino a dieci e sperò che il fenicottero sparisse.
Purtroppo la magia non esisteva, e le fate che aiutavano i bambini in difficoltà erano bugie a cui lui non credeva più da molto tempo.
«Cosa stai studiando?» gli chiese ‘Mingo.
«L’iper…  l’ipertrofia ventricolare»
Le sue labbra tremavano senza che riuscisse a fermarle.
«Fu fu fu… Tu diventerai un bravo chirurgo, se sopravvivrai»

Le fate non esistevano ma, al loro posto, c’era un clown un po’ sbadato e dal tempismo impeccabile.
Corazon entrò nello studio dell'ingegnere, attualmente studio del dott. Trafalgar Law
Aveva in mano un lumacofono e un bigliettino.
Quando Law lo vide arrivare, il suo cuore si riempì inaspettatamente di gioia.
«Che c'è?», lo accolse Doflamingo. Rosinante prima gli passò il bigliettino, che il fenicottero lesse velocemente, e poi il lumacofono. 
Doflamingo compose un numero, passarono una decina di secondi e qualcuno alzò la cornetta. Chiunque ci fosse dall’altra parte, non ebbe il tempo di parlare.
«Hai accettato la mia offerta. Ti consegnerò il contratto firmato, tu fammi trovare pronto quello che ti ho chiesto» disse 'Mingo, allontanandosi di qualche metro da suo fratello.

Law, perdonami. Mi dispiace che tu sia capitato in questa maledetta Famiglia.

Pensò Rosinante. Aveva l’animo a brandelli, perché negli occhi dell'unico sopravvissuto alla tragedia di Flevance c’era un’altra sofferenza a cui rimediare.
L’Ufficiale gli sorrise col vero volto del Tenente Colonnello. In quel momento, oltre ad essere l’ombra di suo fratello maggiore, Rosinante non poteva fare di più.  
Law ne restò spiazzato, non gli aveva mai visto una simile espressione sul volto.

«Corazon, avresti dovuto farmelo sapere prima. Ce ne andiamo da qui, oggi!»
Doflamingo aveva smesso di parlare al lumacofono, uscì in fretta dallo studio.

L’Ufficiale di Cuori ne approfittò per fare un simpatico occhiolino al ragazzino, prima di sparire inseguendo suo fratello.
Law capì: era nuovamente in debito con quel bislacco pagliaccio: lo aveva salvato per la seconda volta da un fenicottero cattivo.

Forse a lui potrò raccontare tutto... 

 

 

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EDIT del 29/09/2016 c'è un brano che ho scovato e va a braccetto col momento in cui Law vaga per il labirinto della villa, solo musica, niente testo, io ve lo consiglio: LINK CLICCA

Non odiatemi se questa One-Shot è venuta fuori tanto lunga, ma era mia intenzione torturarvi.
E stavolta, abbiamo anche Law attivo (anzi, è proprio in azione).
Dunque: Wellington, Law e Baby 5 in missione, il contratto da firmare, e i libri che Doflamingo dà a Law, ho estrapolato tutto dalle vignette dei flashback (potete trovarle nel volume 76 del manga italiano, e al capitolo n. 763 Dichiarazione di umanità, del fumetto in rete) e con queste però ci ho farcito la mia pappa acida, legando gli avvenimenti tra loro.
I nomi delle isole sono inventati, ed hanno significato se tradotti dal giapponese.
Le frasi di ‘Mingo pensate da Law sono state prese dal manga.
Scopo del capitolo: infittire il legame tra i tre, mi piace credere che sia Mingo che Corazon stiano lì a contendersi Law e che il ragazzino cominci a temere il fenicottero (l’ho fatto troppo cattivo? Ma lui è cattivo, il fenicottero intendo).
Ok, dati i contenuti che potrebbero essere male intesi, mi era d'obbligo modificare l’età di Law a anni 14.
Ma comunque per rendere più soft gli avvenimenti ho tentato di mantenere un'aria implicita. Se ho intaccato la vostra sensibilità mi tolgo da ogni responsabilità, visti gli  avvertimenti fuori dalla storia e nella storia.
Dofy è uno psicopatico omicida, ho voluto mantenermi su questa linea. Inoltre, non potevo non incominciare ad introdurre i suoi loschi piani per Dressrosa.
A proposito del Fenicottero, quando parla all’ingegnere e dice “mi ricordi mio padre” fate caso che sembra ricalcare la scena del Joker di Heath Ledger, nel film The Dark Knight, e lui diceva così: «You remind me of my father, I hate my father!». Cioè, è stata pura casualità. Ma mi fa ridere. ^^
Non so perché mi sono fissata col fatto che Doflamingo voglia tutto pulito, ricordate: nella scorsa One Shot si ripuliva dal trucco e dal sangue del fratello, in questa pulisce il sangue dal viso di Law, e poi ordina ai suoi uomini di togliere i cadaveri a terra... è un uomo sporco dentro e pulito fuori.
Per gli occhi di Law: sono convinta che il grigio delle sue iridi sia dovuto al progredire della malattia, e che dopo aver mangiato il frutto Ope Ope, siano rimaste così, come anche le occhiaie sotto i suoi occhi.
Per gli occhi di 'Mingo: oddio cosa darei per vederlo senza occhiali! *__* Io mi sono immaginata che li abbia bianchi, magari poco più scuri del bianco della sclera. Ma comunque impressionanti.
Chi se ne intende di iconografia, avrà riconosciuto nella statua con lo specchio, la figura della Prudenza, gli manca  il serpente. Però mi sono ispirata a lei (perché c’ha lo specchio ^^ e mi serviva, ah ah ah)!
Sì, l’illustrazione è mia, dedicata alle fan del trio (ma perché a ‘Mingo ho messo l’anello all’anulare sinistro? Boh! ^^) Io spero vi piaccia, ho tentato di riassumere la tensione in un'immagine.
Attendo vostri pareri, non fatemi male. E un GRAZIE ENORME a chi legge, recensisce, preferisce, segue, ricorda e sostiene questa storia!

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