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Autore: PanStitch    28/09/2016    2 recensioni
Salve cari lettori,
la mia storia parla principalmente della coppia Harley/Joker e ne analizza il pensiero distorcendolo leggermente da quello che il film vuole fare intendere. Io adoro questa coppia ed è così che mi immagino la loro storia d'amore: malata, triste, profonda e dannatamente sbagliata ma perfetta e splendida al tempo stesso.
La storia parte dal principo, senza grossi salti temporali. Spero di regalarvi una buona lettura.
Ps: le frasi in verde sono tratte dal film e/o dal fumetto e dunque sono di proprietà intellettuale degli autori.
Genere: Azione, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn, Joker, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A mad, mad love.'
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“Adesso disegnate un grande arco con le gambe ed unite i vostri piedi...questa sarà la vostra ancora, il vostro lucchetto, la vostra sicurezza. Rilassatevi e portate una mano alla volta al petto…bravissime. Adesso lasciate andare le braccia e tenete i palmi verso l’esterno. Inspirate…espirate…sentite la colonna che si allunga...”
Harleen si trovava in un’enorme stanza bianca, vuota ad eccezione di nove grandi amache colorate sul quale erano appese altrettante donne. Un enorme specchio copriva ogni parete permettendo ad ogni allieva di osservare l’istruttrice. Con il dorso delle mani poteva sentire il freddo pavimento di finto parquet fin troppo vicino alla sua testa. Una musica rilassante che sembrava provenire dal nulla si diffondeva in tutto l’ambiente creando un’atmosfera unica, indescrivibile.
Cominciò a sentirsi la testa pesante, poi leggera...come una piccola piuma bianca trasportata in alto dal vento. Le sembrò di librarsi fra le nuvole, come un'aquila che plana dolcemente su una verde valle solcata da un fiume; quasi riusciva a vedere le ombre argentee sotto di lei.
Chiuse gli occhi e cominciò a meditare…







Si trovava al centro della stessa grande stanza ma gli specchi, le amache, le compagne di corso...ogni cosa era scomparsa.
Fece qualche passo in avanti ma non si mosse di un solo centimetro. Provò ancora, poi ancora e di nuovo...niente.
L'ansia cominciò lentamente a scavarle il petto, rendendole difficile respirare.
Cominciò a correre ma la stanza sembrava non avere limiti, ovunque guardasse vedeva solo un bianco accecante. Non riusciva a capire se fosse colpa di tutto quel bianco, che creava attorno a lei un' ansiogena illusione ottica, o se davvero stava correndo sul posto.
Si guardò i piedi per assicurarsi di non essere impazzita e solo allora si accorse che anche il pavimento era sparito.
Cadde.
Cadde nel vuoto per metri e metri, per poi trovarsi ancora in piedi al centro della stessa stanza.
Si mise ad urlare, ma dalla sua bocca non uscì nemmeno un sibilo.
Lacrime argentee cominciarono ad accarezzarle le guance, mentre un calore fastidioso le corrodeva i polmoni.
"Perchè stai piangendo?" una voce conosciuta, dal nulla, sembrò rimbombare per tutta la stanza.
"Dove sei?" pensò ed il suono della sua voce riecheggiò nel nulla.
Una mano bianca, fredda, le afferrò la spalla. Aveva un tocco delicato, rassicurante...ma al tempo stesso spaventoso.
Si voltò alla ricerca del suo interlocutore ma non vide nessuno.
"Fatti vedere!" pensò ancora.
Un arco nero comparve per qualche secondo nella parete di fronte a lei, lasciandolo entrare per poi sparire nel nulla. Aveva un bastone da tip tap in mano e lo roteava con disinvoltura; portava un cilindro nero in testa ed un vecchio smoking viola, sgualcito e scolorito, in contrasto con le lucidissime scarpe da cerimonia. I capelli verdi, i denti di metallo e le cicatrici lo rendevano grottesco ma al tempo stesso affascinante.
La sua risata malata echeggiò nel bianco.
"Siamo dentro la sua testa, dottoressa Quinzel." disse con un grosso sorriso impresso sul volto. "Si sente impotente, vero? Non potersi muovere, non essere in grado di parlare e sentire l'aria che si fa pesante, che ti soffoca...deve essere frustrante." continuò, con tono divertito.
Lei si sdraiò a terra in posizione fetale. Si sentiva completamente impotente, l'aria era diventata talmente pesante da schiacciarle il petto.
"Vedi, Harleen..." cominciò a camminare verso di lei con passo lento ma deciso, la girò, le afferrò il mento e le sollevò il viso portandolo al suo. "Questa è la rappresentazione della tua vita. Ogni giorno ti senti soffocare dalla monotonia, ti senti impotente davanti alle leggi etiche e sociali...tu sei malata ed io sono la tua medicina."
La donna tentò di opporsi, muovendo la testa e contorcendosi come un verme preso all'amo.
"Avanti piccola, così! Mi piace quando si ribellano..." esclamò l'uomo accarezzandole la guancia con il dorso della mano. "Siamo fatti l'uno per l'altra, a me piace punire ed a te essere punita..."
"Smettila! NON TOCCARMI!" trillò lei, alzandosi in piedi e scoprendo di poter finalmente parlare. "Sei solo uno psicopatico..."
"Mi costringi a dimostrartelo..."
Sentì le mani dell'uomo stringerle il collo e le sue capole batterono violentemente contro qualcosa che prima non c'era: un muro sembrava essersi materializzato dietro di lei.
Lo vide ghignare con soddisfazione, avvicinare il viso al suo e ricominciare a parlare; i battiti del suo cuore aumentarono rapidamente.
"Ti ricorda qualcosa questo, Harleen?"
Sentì il pavimento tremare...chiuse gli occhi e quando li riaprì si rese conto di essere tornata nella stanza numero 37. Ancora pareti bianche...e quella luce accecante che le pungeva gli occhi.
Tentò di divincolarsi; il suo respiro si affievoliva, la gola bruciava come dopo aver fumato una sigaretta per la prima volta ed il cuore sembrava volergli esplodere nelle orecchie.
"Non ti lascerò andare via, bambina...tu sei mia adesso."
Lei smise di lottare, lui si avvicinò ancora a lei. Il calore del suo corpo, in contrasto con le sue mani gelate, le regalò un brivido piacevole lungo la schiena.
"Hai paura di me?" domandò, guardandola dritta negli occhi.
"No." rispose con voce ferma e decisa, eliminando il piccolo spazio che separava le loro labbra.







"Harley...HARLEY!" gridò preoccupata Scarlett, la sua vicina di casa, facendola cadere dall'amaca per lo spavento. "Va tutto bene? Sono quasi venti minuti che sei appesa a testa in giù! Sembravi in una specie di...trance...mi hai spaventata. Eri così...bianca..."
Harleen si alzò in piedi, massaggiandosi la schiena.
Osservò la folla radunata intorno alla sua postazione, si voltò verso la giovane donna pallida e slanciata, fissò la sua riccissima chioma rossa per qualche secondo e la guardò dritta nei suoi grandi occhi a palla. Era così bella e delicata, con quel fisico da ballerina classica ed il viso da volpe.
"Tutto bene Scarlett, va tutto più che bene..."

  
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