Fanfic su artisti musicali > The GazettE
Segui la storia  |       
Autore: EmilyW14A    28/09/2016    3 recensioni
Succede spesso di convincerci che le persone ci guardano e critichino ogni singola cosa che facciamo, ma non è così. La verità è che gli esseri umani sono tutti perfettamente egoisti e non hanno tempo da dedicare agli altri, anche se si tratta di uno sconosciuto seduto nel sedile davanti sul treno. Noi ci convinciamo che gli altri passino il loro tempo a commentare i nostri abiti, i nostri capelli, i piercings, i tatuaggi, i nostri lineamenti, il nostro fisico; in realtà nessuno si sofferma veramente a giudicare cosa fanno gli altri. Nonostante ciò, in questo momento non riesco a togliermi di dosso la sensazione che tutti i passeggeri della metropolitana si siano accorti di quello che ho appena fatto e mi stiano fissando con sguardo indagatore. Cerco di darmi velocemente un contegno, sistemo la camicia e la giacca, e proseguo nel mio cammino. Controllo l'orologio e mi accorgo che tra meno di due ore devo iniziare il turno a lavoro. Decido di fermarmi qualche fermata prima per pranzare in un posto tranquillo. Ho bisogno di riflettere da solo su tutto quello che è appena successo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Reita, Ruki, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
VII.
















Sono senza fiato. Questa volta non ce la posso fare. Non può sempre finire bene, non c'è sempre un lieto fine. Prima o poi arriva la fine, quella orribile, dolorosa e cruenta. I demoni ti afferrano e ti trascinano con loro all'inferno e tu sei costretto a bruciare per l'eternità. Lo sento. Questa volta è la fine. Ho sbagliato tutto. Io stesso sono sbagliato. Lascerò che mi prenda. Non vedo l'ora e sono sincero. È così facile arrendersi. Perchè combattere e lottare se è dannatamente doloroso e difficile? È così piacevole abbandonarsi al nemico e lasciarsi abbracciare dalla morte. Deve essere bellissima la Morte. Fin da piccolo l'ho sempre immaginata come una bellissima signora vestita di nero, con un abito di seta lucida e pieno di ricami. Capelli bianchissimi e lucenti e pelle diafana, il volto perennemente coperto da un pesante velo di tulle e trina. Quando ero un bambino immaginavo che questa bellissima donna abbracciasse ogni singolo essere umano e lo portasse con sé nel mondo dei morti. Anche io voglio essere stretto nel suo freddo abbraccio e lasciarmi guidare nell'aldilà.
Sento un grugnito alle mie spalle. È una splendida notte di luna piena; riesco a scorgere le stelle e anche qualche costellazione. È bellissimo l'universo. Sento i suoi artigli afferrarmi, avvicinarmi a lui e scrutarmi attentamente prima di affondare i suoi denti nelle mie carni. Sento il suo fiato caldo respirarmi sul viso. Vedo solo due occhi gialli che mi fissano affamati. È la fine.
Mi sveglio quasi cadendo dal letto e sento un forte dolore ai polmoni e alla testa. Apro gli occhi e la bocca in cerca di aria. Ho bisogno di respirare forte e di calmare il ritmo del mio cuore. Sono sudato  e sento le mie membra stanche come dopo una folle corsa. Mi sento male e non riesco ad abituare i miei occhi al buio. Vedo delle linee rosse e verdi nella mia camera come se delle pistole laser fossero puntate in ogni angolo della stanza. Sento ancora il sapore della paura sulla lingua e l'odore pesante del suo alito caldo. Sono morto? Mi tocco le braccia, il petto, la faccia. No, sono ancora vivo.
Prendo un bel respiro e mi alzo in posizione eretta. So già cosa mi aspetta. Una lama affilata mi trapassa il cervello, sento un dolore lancinante. Mi alzo dal letto di fretta per arrivare in bagno il prima possibile. Inciampo e cado. Sento un dolore così forte nella mia testa che sembra che stia scoppiando da un momento all'altro. Provo a muovere qualche muscolo ma sento che il mio corpo e terribilmente immobilizzato. Sento i crampi alle braccia e ad un piede. Urlo anche se so che nessuno può aiutarmi. Cerco di respirare il più lentamente possibile. Rimango disteso in terra per minuti interminabili. È buio pesto nella mia stanza e l'unica fonte di luce deriva da led rosso della mia sveglia digitale. Quel colore rosso mi dà estremamente fastidio. Sembrano degli schizzi di sangue proiettati sulla parete bianca della mia camera da letto. Provo ad alzarmi lentamente e raggiungo con molto sforzo il bagno. Allungo un braccio verso il mobile delle medicine. Apro un'anta e con poca grazia afferro la scatola dei calmanti. Nel farlo, faccio cadere altre confezioni nel lavandino provocando un rumore assordante. Ingoio una pasticca, due, tre. Bevo acqua fino a sentire lo stomaco completamente pieno. Mi guardo allo specchio rassegnato: ho un aspetto terribile. Non mi taglio la barba da giorni, ho i capelli spettinati e la faccia di qualcuno che non se la sta passando bene.
Mi sciacquo velocemente il viso e vado in salotto. Non ho più sonno e così, notando che i due pappagalli sono svegli, decido di dare una pulita alla loro gabbia. Ripulisco i sassolini del suolo dalle feci e dal cibo mangiucchiato, cambio il dosatore dell'acqua con dell'acqua pulita e i piccoli semi nelle vaschette. Keiji e Oscar sembrano ringraziarmi per il trattamento emettendo dei piccoli gorgoglii gutturali e io in tutta risposta accarezzo delicatamente il piumaggio del loro ventre. È tiepido ed è molto piacevole. Mi ricorda la coperta rossa di lana in cui mia madre avvolgeva me e mia sorella quando eravamo piccoli e ci addormentavamo davanti alla televisione.
Decido di tornare a letto ma di non addormentarmi e così prendo il libro che ho abbandonato da mesi sul mio comodino e inizio a leggerlo dal punto in cui ho posto il segnalibro.
Quando chiudo il libro e leggo l'orario sul display del mio telefono mi accorgo che è già mattina inoltrata. Sono le otto e io ho finito di leggere un romanzo intero. Sapevo che l'assassino era l'autista personale della vittima. Nella maggior parte dei casi è sempre così. Sto iniziando a stufarmi dei polizieschi e degli ispettori. Forse dovrei iniziare a leggere libri totalmente diversi.
Decido di andare ad allenarmi nella palestra del mio quartiere. Fare esercizio mi aiuta a rilassarmi e a scacciare via lo stress e la depressione. Non ho voglia di visitare nessun analista o psichiatra. Prendo fin troppi farmaci. Non voglio una cura. Mi basta solo continuare a fare quello che faccio e non pensare a cose futili come l'amore, il matrimonio e la famiglia. Infilo tutto l'occorrente nel borsone sportivo color blu chiaro. Mi preparo indossando abiti sportivi. Recupero le cuffie e il mio fedele mp3 ed esco finalmente di casa. Cammino di fretta così da evitare di incontrare facce conosciute. Non passeggio quasi mai per il mio quartiere, se non per andare al supermercato a fare la spesa e non amo molto parlare con i miei vicini. Nel mio condominio non ho stretto amicizia con nessuno. Preferisco stare per conto mio perchè non sopporto le domande degli altri e ancora meno le mie risposte. Non è facile vivere sul filo del rasoio. Potrei morire in qualunque momento; anche tra due ore. Perchè devo sprecare il mio tempo a parlare con gli altri?
Le porte scorrevoli si aprono davanti a me e vengo immediatamente investito da una folata di aria fresca proveniente dal condizionatore. Appena entro dentro la palestra lancio un'occhiata all'orologio e poi mi soffermo a salutare la ragazza della reception. È molto simpatica e lavora qui da molti anni.
“Buongiorno signor Suzuki”
“Buongiorno signorina Mikoto” rispondo appoggiando le mani alla mensola del bancone. Aspetto che la ragazza mi porga la chiave del mio armadietto personale.
“Si allena presto oggi?”
“Sì ho deciso di iniziare così la giornata” dico fissandola negli occhi.
“Ottima decisione!” dice lei sorridendo.
Le sorrido di rimando e la saluto mentre tiro fuori il piccolo badge dal mio portachiavi. Lo appoggio al led luminoso del computer e passo i tornelli ritrovandomi in un corridoio color arancione sgargiante. Lo percorro, giro a destra, passo davanti ad una sala vetrata con le luci ancora spente e gli attrezzi appoggiati in un angolo, e finalmente raggiungo gli spogliatoi maschili. Entro e mi accorgo di non esser stato il solo ad avere la buona idea di allenarsi di prima mattina. Trovo altri quattro uomini intenti a cambiarsi gli abiti e indossare la tuta sportiva. Uno di loro è completamente nudo e non posso negare di non riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Ha un corpo bellissimo...mi ricorda quelle statue greche che ho sempre ammirato nelle enciclopedie di storia dell'arte. Non ha un fisico nè  enorme nè snello. Ha un corpo proporzionato e armonico. Deve essere molto più giovane di me, dimostra all'incirca ventotto o ventinove anni. La faccia pulita, i capelli neri e piuttosto corti, gambe snelle e toniche. Osservo il suo corpo cercando di non farmi scoprire. Ha il petto glabro così come anche le braccia. Le gambe e il pube invece sono ricoperti di una peluria nera e lunga ma poco folta. Si volta per recuperare un paio di auricolari dalla tasca del suo borsone e posso osservare il suo volto. Ha dei lineamenti seri, lo sguardo crucciato e le labbra leggermente piegate in un broncio. Nel complesso ha un volto bellissimo, sembra uno di quei modelli che si trovano nelle prime pagine dei magazine di moda. Il suo volto è così bello da sembrare disegnato nella maniera più raffinata possibile dal più illustre dei pittori. Il naso, la bocca, gli occhi. Tutto emana una delicata e sensuale armonia. Continuo a guardarlo mentre mi cambio velocemente. Lo vedo sparire dietro la porta d'uscita dei camerini.
Mi dirigo in bagno a sciacquarmi il volto e a rinfrescarmi i capelli. Mi guardo allo specchio: nella mia faccia ci sono ancora tracce dell'incubo di ieri notte. È sempre così. Non riesco a liberarmene...è come se io sia costretto a restare perennemente una vittima. Ma perchè non muoio mai? Perchè il mio cacciatore mi raggiunge ma non riesco a morire? Eppure mi sono lasciato andare da tempo ormai. Mi sono abbandonato allo scorrere lento ed estenuante della vita. Non ho più paura della morte, sto solo aspettando che venga a prendermi per abbracciarmi e portarmi con sé. Penso a queste cose mentre percorro la distanza che mi separa dai camerini alla sala attrezzi. Entro e corro a recuperare un tappetino di gomma e lo stendo in terra per fare dello stretching. Mentre allungo i muscoli mi guardo intorno e cerco con lo sguardo il ragazzo di prima. Lo trovo vicino ai bilancieri davanti ad un enorme specchio. Sta alzando un bilanciere da 30kg mentre osserva il suo riflesso. Continuo a scrutare il suo corpo e imprimo nella mia mente ogni lineamento o curva del suo petto e delle sue braccia. Solo dopo un bel po' di minuti mi accorgo di esser stato scoperto: il ragazzo ora mi sorride dal riflesso dello specchio e mi fa cenno di avvicinarmi. Mi alzo e ripongo il tappetino cercando di nascondere l'imbarazzo. Lo raggiungo mostrandomi il più distaccato possibile.
“Perchè mi stavi fissando?” mi chiede lui senza nemmeno guardarmi.
“Mah nulla ero solo concentrato. Mi chiedevo come facessi a riscaldare i muscoli alzando un bilanciere di quel tipo” dico convincendomi che fosse un'ottima scusa.
“Beh 15kg per parte non sono così tanti e direi che è più che sufficiente come riscaldamento.”
“Fa' attenzione però...è vero che non sono molto pesanti ma i tuoi muscoli potrebbero risentirne” parlo mentre mi infilo i guanti di stoffa protettivi.  “Per primo si parte con i pesi da 10kg, poi piano aumenti il carico. Se non fa questo procedimento sforzi i muscoli e fai soffrire i legamenti”
“Ehi ma sei venuto a farmi la predica? Comunque ti ringrazio amico” dice lui ridendo. Mostra una dentatura bianchissima e perfettamente allineata. Questo ragazzo è sicuramente un modello o un aspirante tale. Mi allontano per proseguire il mio esercizio cercando di non fissarlo. Mi concentro e faccio una serie di esercizi. Mi sposto verso gli attrezzi. Salgo sul tapis roulant e imposto la velocità e il tempo. Corro per trenta minuti senza fermarmi; sono così sudato che la canottiera si è appiccicata al mio corpo. Continuo ad allenarmi su altri attrezzi e mi accorgo che il ragazzo di prima mi sta facendo un cenno con la mano. Mi tolgo un auricolare dall'orecchio e abbasso il volume della musica.
“Mi hai detto qualcosa?” domando.
“Sì! Posso allenarmi con te?”
Faccio un cenno con la testa di rimando e lui si avvicina a me. Spengo l'mp3 e lo ripongo in tasca e osservo lui fare lo stesso.
“E' difficile trovare qualcuno che si allena a quest'ora e che se ne intenda di strumenti e attrezzi”
“Figurati anche a me fa piacere parlare con qualcuno”
Mentre continuiamo ad allenarci parliamo del più e del meno, del nostro lavoro, dei nostri hobby e dei nostri gusti personali. È un ragazzo simpatico tutto sommato, si chiama Jonathan Okamoto e lavora come ragazzo immagine in una profumeria. Mi ha spiegato che sua madre gli ha dato questo nome perchè ispirata dalla cultura statunitense dopo un lungo viaggio a Los Angeles. Mi ha raccontato della sua famiglia dicendomi che tutte le sue sorelle sono diventate delle modelle di successo e vivono a New York mentre i suoi genitori possiedono una grande azienda che produce salse di soia per il mercato occidentale. Nonostante la ricchezza economica della famiglia mi ha confessato di sentirsi molto solo e triste. Non vede le sorelle da anni e non ha nessun tipo di rapporto con i genitori. A causa del lavoro che fa non ha molti amici e non può avere una relazione fissa e stabile. Non è poi così lontano da me, tranne che io ho scelto così e non mi lamento. La vita non è altro che il frutto delle nostre scelte, e le nostre scelte in verità non derivano mai da noi stessi ma da quello che fanno gli altri. Nel mio caso io non ho scelto un bel nulla, mi sono adattato a quello che la vita mi ha dato: un corpo instabile e un tumore mortale.
A fine allenamento rientriamo nei camerini insieme e ci dirigiamo verso le docce. Entriamo in due cabine poco distanti tra loro e continuiamo a parlare di argomenti futili. Finisco prima di lui, così esco dal box doccia e avvolgo il mio corpo in un grosso asciugamano blu scuro. Lo vedo uscire pochi secondi dopo sorridendomi. Si avvicina a me con passo lento e cadenzato.
“Mi ha fatto piacere parlare con te Akira. Sei un un uomo simpatico e alla mano. Ogni tanto è bello parlare con qualcuno quando ci si allena, non credi? Purtroppo sono costretto a salutarti subito perchè ho un impegno lavorativo tra meno di un'ora e devo scappare. Ci becchiamo allora!” mi dice sparendo dietro l'anta del suo armadio. Lo vedo cambiarsi in tutta fretta mentre io sono ancora nudo e bagnato. Mi asciugo alla meglio e apro il mio armadio. Aspetto che Jonhatan esca insieme ad altri uomini presenti nel camerino, mi assicuro che nessuno mi veda e ingoio veloce 3 pasticche. Sono medicine che salvaguardano i miei muscoli dopo uno sforzo fisico. Le butto giù con un po' di acqua del rubinetto e corro a cambiarmi. Mi asciugo i capelli frettolosamente e in dieci minuti mi ritrovo nel corridoio arancione. Esco dai tornelli e consegno la chiave a Mikoto salutandola.
“Arrivederci”
“Arrivederci e buona giornata”
Appena passo le porte scorrevoli mi ritrovo catapultato nel traffico cittadino e sento un forte senso di nausea. Mancano ancora tante ore prima dell'inizio del mio turno e così decido di tornare a casa a posare il borsone e farmi una passeggiata.
Quando rientro nel mio appartamento un odore di chiuso pizzica le mie narici. Decido di aprire le finestre per far entrare un po' di ossigeno e una buona dose di inquinamento. Lavo i piatti della sera prima e quelli della colazione, preparo i panni sporchi per una lavatrice e ripiego alcuni abiti puliti. Quando ho finito mi soffermo e mi siedo sul divano. Raccolgo una rivista di musica posata sul tavolino di vetro davanti a me e nel farlo sento cadere qualcosa in terra. È la fototessera.
La raccolgo immediatamente come fosse il tesoro più raro e prezioso. Ci soffio sopra per mandare via ogni residuo di sporco e mi soffermo ad osservarla con molta cura. Compio gli stessi movimenti con lo sguardo: osservo i tratti delicati e poco nitidi, i capelli color castano nocciola, il colore rosa delle labbra e le spalle minute dell'uomo. La macchia marrone nell'angolo destro in alto cattura la mia attenzione e la guardo insistentemente come se prima o poi lei potesse svelarmi qualcosa di importante. Continuo a fissare la tessera per così tanto tempo che mi rendo conto di aver totalmente impresso nella mia mente ogni singolo tratto o particolare di quella foto mal ridotta. Più la guardo e più sento di avere un'immagine nella mente; se qualcuno mi chiedesse di disegnarla ad occhi chiusi è molto plausibile che ci riuscirei senza il minimo sforzo. Sono giorni ormai che la fisso senza sosta. Gli concedo uno sguardo in ogni momento della giornata: quando mi sveglio, quando sorseggio il caffè, prima di andare a letto. Mi sento uno psicopatico ma non posso farne a meno. Ormai sono a metà del mio percorso e non posso farmi vincere dal rimorso e dal fallimento. Kouyou mi dice che ormai è diventata quasi una sfida personale. Lui è l'unico che sa quello che sto facendo. Gli ho spifferato tutte le mie motivazioni e lui come sempre mi ha capito con uno sguardo e non mi ha giudicato né minacciato di mandare a monte i miei piani. È l'unica persona che mi capisce veramente e non è un caso che io e lui siamo sempre stati compagni di vita fin da quando eravamo dei ragazzi. Kouyou è l'unico che è rimasto dopo tutto questo tempo, è l'unico che ha sempre cercato di farmi sentire vivo, anche quando ero morto. E poi ha ragione, ormai è diventata una sfida personale. Voglio riuscirci e posso farcela.
Mentre affondo nei miei pensieri fisso con insistenza il mio telefono posato disordinatamente sul divano e penso che finalmente le mie domande possono trovare delle risposte.












Buonasera lettori e lettrici! Spero che ve la stiate passando bene o sicuramente meglio di me visto che sto avendo una settimana terribile. Sono esausta e infatti ho controllato molto velocemente il capitolo e in caso ci fossero errori mi scuso ma non ho la forza nè il tempo di controllare. Prometto che per i prossimi capitoli sarò più precisa. Ma veniamo alla storia...oh oh oh! è spuntanto un nuovo personaggio! Jonathan <3 un ragazzo bellissimo, un modello, un dio della bellezza. Nemmeno il nostro Akira ne è rimasto indifferente ;;  e ci credo...come dargli torto? E' un ragazzo bellissimo e sembra anche molto simpatico, triste e solitario. Assomiglia un po' al nostro protagonista; voi che dite? Gli ho dato un nome americano per un motivo molto preciso: c'è una porzione di giapponesi che sono così occidentalizzati da scegliere nomi europei o americani per i propri figli. Da come abbiamo letto i genitori di Jonathan sono persone molto aperte nei confronti dell'Occidente e poi tutta la sua famiglia sembra davvero molto più americanizzata del solito. In Giappone ci sono delle persone che  sono molto occidentalizzate, in particolare in certi settori come ad esempio la moda o la cucina u.u devo ammettere che ho un debole per Jonathan....vi rendete conto che è bellissimo e gentilissimo? ;_; accidenti a me. 
Ma a proposito: cosa ne è della ricerca di Akira? Ha abbandonato ogni speranza? Giocherà la sua ultima carta? Qualcosa stravolgerà i suoi piani? 
Eheheheh vedremo tutto nel prossimo capitolo.
(p.s.: vi avviso che dal prossimo capitolo in poi vi ritroverete a leggere capitoli luuuunghissimi perchè mi sono lasciata prendere un po' la mano :3 e perchè ormai siamo nel vivo della storia)
/lancia glitter ovunque/
Alla prossima!
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > The GazettE / Vai alla pagina dell'autore: EmilyW14A