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Autore: lolle_dancer    06/05/2009    1 recensioni
Non so se continuerò questa storia, per farlo ho bisogno dei vostri pareri. Ne vale la pena? è la storia di Adele, figlia di una grande ballerina, e della sua passione per la danza. Un incidente purtroppo le farà cambiare strada e da bambina solare che era, diventerà una ragazza triste e cupa. Aspetto commenti e consigli! Grazie!!
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Spazio autrice: è così che si dice, no? =) dopo essermi scervellata x istallare nvu (il coso x l’html) ho deciso di pubblicare il secondo capitolo ^^ è dovere ringraziare la mia sensei-danna-sempai =) x il sostegno morale e i continui scassamenti di palle a scuola XDXD grazie anche a tutti quelli che hanno letto il primo capitolo!! Ma, x favore/vi prego/vi imploro =) , aggiungete qualche commento così so cosa va e cosa no… ok?

Grazie a tutti ^^ e buona lettura!

2. Vento portami via…

 

Mio padre aveva ragione. Trieste mi sarebbe piaciuta. Un piccolo angolo tra mare e cielo, con il vento che scompiglia i capelli e asciuga le lacrime; si, adoravo quella città.

Nonostante ci viva da nove anni, però, la Francia mi mancava… e non smettevo di pensarci. Cercavo di immaginare come sarebbe stata la vita con mia madre, ma spesso non ci riuscivo. Effettivamente sarebbe stato molto improbabile il fatto che lei mi avrebbe tenuta con se, anche senza che mi fossi rotta la caviglia quel maledetto giorno. Ad ogni modo avevo continuato a sperare che lei un giorno sarebbe ritornata a prendermi, ma quel giorno non era mai arrivato. Le uniche notizie che avevo di lei erano quelle dei giornali, sezione “Arte e cultura”. Non una lettera, non una telefonata. Almeno quando stavo da lei, mio padre aveva la decenza di farsi sentire, ma evidentemente lei era troppo occupata. Aveva sempre sostenuto che la danza era la sua vita, ma speravo di essermi almeno meritata un angolo nel suo cuore. E invece no. Sospirai, abbandonai la vista sul lungo mare e m’incamminai verso la mia nuova scuola. Il liceo linguistico mi aspettava.

Da quando vivo a Trieste, molte cose sono cambiate. Mio padre dice di non riconoscermi più, che da bambina allegra che ero sono diventata una ragazza triste e demotivata. Non ho mai dato molto peso a queste sue scenate, penso che quando si cresce si cambia e non c’è molto altro da fare.

Da quando mia madre è partita, non ho più ballato. Ogni cosa, ogni passo, ogni emozione, che mi regalava la danza classica, mi ricorda lei… finirei per piangere, e questo accade già troppe volte. Papà continua a ricordarmi che dovrei ricominciare, che un talento come il mio non andrebbe sprecato, ma lui non capisce.

Inoltre ho cambiato completamente stile, non so perchè l’abbia fatto, ma un giorno mi sono svegliata, ho guardato i miei lunghi capelli biondi, la mia faccia pulita senza una traccia di trucco, il mio armadio con vestiti uguali e scarpe uguali… e ho deciso di smetterla.

Quando sono cambiata, per così dire, mi motivavo pensando che, se un giorno mia madre sarebbe tornata, non mi avrebbe riconosciuta e forse sarebbe andata via, oppure almeno che si sarebbe resa conto di quanto mi ha fatto male e di cosa sono diventata a causa sua. Poi, con il tempo, questi stupidi pensieri sono svaniti, e mi sono resa conto che solo così potevo nascondermi.

Camminavo sotto un sole pallido mattutino; le due catene ai miei jeans larghi tintinnavano, sbattendo con la borsa a tracolla. Un vento leggero mi scosse i capelli, neri ormai da due anni e lunghi fino alle spalle.

Un paio di ragazzi mi sorpassarono ridacchiando, anche loro vestiti del mio stile, ma con motivi completamenti diversi. Mi venne la tentazione di chiedere una sigaretta, ma cercai di convincermi che non era il caso di cadere così in basso.

Mi bloccai davanti ad un edificio alto, imponente, con arcate centrali che sembravano antiche ma ristrutturate: mi trovavo davanti alla succursale del “Liceo Ginnasio Francesco Petrarca”(*), un po’ più distante dalla sede centrale. Non avevo la minima voglia di iniziare le superiori, tanto non sarebbe cambiato niente, non avrei avuto amici come non ne avevo avuti in quei nove anni in Italia. Alle elementari e alle medie qualche mio compagno di classe aveva cercato di stringere amicizia, ma all’inizio l’italiano per me era molto difficile, talmente tanto che ho dovuto perdere un anno di scuola. Anche questo piccolo particolare mi ha resa un po’ più diversa dagli altri… come se non lo fossi già.

Ricordai cosa mi avevano detto in segreteria il giorno dell’iscrizione e aspettai nell’atrio che qualcuno arrivasse. C’erano pochi gruppetti di ragazze, ma ancora nessun professore o qualcuno che ne avesse solamente l’aria. Un ragazzo che non doveva avere più di trenta anni c’era, ma pensai subito che si trattasse di un bidello o qualcosa del genere.

Circa dieci minuti dopo l’atrio divenne più affollato e arrivò un uomo con i capelli grigi che si rivelò essere il preside. Dopo il solito discorso di apertura e balle varie ci lasciò ai nostri professori, un gruppetto di gente vicino a lui. Chiamarono prima le sezioni dell’indirizzo classico e poi quele del linguistico, quando arrivarono alla mia, sezione C, il bidello alzò la mano e ci fece segno di seguirlo.

Magari il prof è già in classe” pensai, ma quando arrivammo alla nostra aula, lui entrò con noi e si diresse verso la cattedra. Con mormorii e frasi di stupore prendemmo posto ed io mi precipitai verso l’ultima fila.

-Buon giorno ragazze- iniziò. “Perfetto, niente ragazzi niente risse tra le ragazze per accapigliarseli” -Io sono il vostro professore di matematica-

Ero ancora ferma alla fase del buon giorno e soltanto dopo realizzai le sue ultime parole. “COOSA?? Questo sbarbino è un professore? Iniziamo bene!”. Tra i vari gruppetti iniziarono commenti stupefatti, una ragazza davanti a me si girò di scatto, mi squadrò con aria di sufficienza e poi iniziò a sussurrare quanto fosse figo con la mia vicina di banco. “Davvero un bell’inizio…”

Il primo giorno fu di puro cazzeggiamento come al solito, i problemi si presentarono con la professoressa di italiano e storia. Ci accolse con un sorriso che sembrava molto forzato e si sedette alla cattedra.

-Prima di iniziare a dirvi del programma di quest’anno volevo conoscervi un po’- Quelle parole mi congelarono. “Eccheccazzo! Odio le presentazioni! La gente non sa mai farsi i cazzi propri”. Tutta la classe parlò, ascoltai abbastanza svogliata a parte le due ballerine di danza classica che mi fecero venire subito voglia di alzarmi e andarmene. Poi il giro arrivò all’ultimo banco, il mio.

-Ehm... io sono Adele Giorgi e ho sedici anni…-

-Che scuola hai fatto prima, cara?- mi chiese la prof guardandomi attraverso i suoi occhiali rotondi.

-Nessuna, ho perso un anno di scuola alle elementari…- molte mi guardarono come per dire di aver capito tutto, ma non avevano afferrato niente. Per evitare che mi considerassero già dal primo giorno una “un po’ strana” mi affrettai ad aggiungere -…per via della lingua…-

-Ah si? Dove vivevi prima?- “Cogliona!!!” Regola numero uno: rispondi alle domande solo lo stretto necessario. Regola numero due: mai dare risposte che possono portare ad altre domande.

-Ehm… in Francia, con mia madre- “Testa di cazzo!!!”  Regola numero tre: mai nominare la mamma.

-Hai una mamma francese! Che bello! Il papà è italiano allora- “Che perspicace…”.

-Già…- segno che la conclusione era terminata. Mi lasciai cadere sulla sedia, passai una mano tra i capelli e diedi un’occhiata fuori. Una nuvola copriva il sole e si poteva vedere in lontananza il luccichio del mare. “Vent me donné voie…” (**).

Al cambio dell’ora la mia vicina di banco si girò verso di me, mi guardò per un po’ poi si decise a parlare.

-Ehm…ciao Adele, io sono Elena- disse allungando una mano con un sorriso.

 -Si… piacere…- le strinsi la mano senza sembrare troppo scortese.

-Allora? Come ti sembra?- “E ora cosa rispondo? Un bello schifo! Ecco cosa mi sembra…”

-Beh… sinceramente ancora non mi sono fatta un’idea precisa…- “Rimani vaga...”.

-Oh, si…. Certo…- sembrava fosse finita li, due parole di commiato e via, ma poi tornò alla carica.

-E… come mai siete andati via da Parigi?- “Perchè?? Qual è il tuo problema?? Ho la faccia di una che vuole parlare? No! Non mi sembra… e se ce l’ho dimmelo, così mi trucco di più!”

-Beh…- “Sai com’è… mia madre mi ha piantato per una tournee e ora vivo con un padre che non ha la minima idea di come si cresce una figlia!” –Mia madre doveva partire per… lavoro… e quindi sono venuta qua da mio padre… sai… sono divorziati…- “Vai che ora iniziano le frasi fatte!!!”

-Oh, mi dispiace… beh, ma ad ogni modo Trieste non è male, no?- aggiunse con un largo sorriso.

-Si… mi piace come città…- “Ti prego fa che entri un prof… anche un bidello va bene… o un calabrone che la faccia scappare a gambe levate…”

Il calabrone non arrivò, ma l’insegnante di inglese si per fortuna.

 

* Questo liceo esiste veramente!! XD W google!!! Ha un indirizzo classico e uno linguistico =)

** In francese “Vento portami via…”

  
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