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Autore: Ayr    29/09/2016    4 recensioni
Duncan, Cavaliere dell'Aquila Rossa caduto in disgrazia, cerca un riscatto per la figlia Selene, tenuta prigioniera da Loyd lo Sciacallo, viscido usuraio con cui si è indebitato e l'unica occasione che gli si presenta è il Torneo delle Due Ere: uno spettacolo abominevole, sanguinoso e letale ma che permetterà a Duncan di estinguere il debito e salvare la figlia.
Per Duncan il torneo non si rivelerà solo uno scontro in cui occorre rimanere vivi, ma anche un tuffo in un passato doloroso che preferirebbe dimenticare, impregnato di sangue e segreti.
[Terza classificata nel concorso "A song of Fantasy and Science" indetto da Toms98J e MirtillyKilljoys sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Fantasy, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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V

The last fight

 

I'm gonna fight for what's right
And if it kills me tonight
I will be ready to die[1]

 
Duncan si trovava su uno di quegli aggeggi infernali che chiamavano "ascensore": una zattera sostenuta da un sistema di corde e pulegge che avrebbe dovuto portarlo fino all'arena che era stata allestita per il grande scontro. Come quel complesso di cavi e travi riuscisse a sostenere un nano in armatura completa era un mistero per lui. Sospettoso per natura nei confronti di ogni forma di tecnologia, aveva dovuto adeguarsi alle manie di spettacolarizzazione del re, nonostante avrebbe preferito di gran lunga fare il suo ingresso nell'arena in un altro modo.
Come se non bastasse, si era trovato costretto a intabarrarsi in un'armatura con intarsi d'argento che ricordavano le forme sinuose di gigli; ma non poteva permettersi di deludere le dame che gliel'avevano offerta in dono: il rifiuto sarebbe stato interpretato come un'offesa e avrebbe perso il loro favore, assolutamente fondamentale in quella fase.
Duncan esaminò per l'ennesima volta il filo di Aisinril, aspettando impaziente che quell'ascensore entrasse in funzione: non vedeva l'ora di mostrare a quel damerino presuntuoso di cosa era capace; non si sarebbe fatto umiliare e sconfiggere da un ragazzino che puzzava ancora di latte e che probabilmente non aveva mai visto una battaglia in vita sua.
La zattera sobbalzò, segno che stava per mettersi in moto, e lentamente, iniziò a salire; i cavi gemevano producendo un rumore insopportabile e coprivano le parole strillate dagli altoparlanti.
Duncan chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.
«Ricordati per chi combatti» gli aveva detto Loyd qualche giorno prima.
«Per Selene!» esclamò, stringendo l'elsa di Aisinril fino a farsi sbiancare le nocche: era pronto per dare il via alle danze.
Ad accoglierlo, assieme ad un boato che fece tremare gli spalti, fu la pioggia: una pioggia sottile e fredda ma che in poco tempo aveva trasformato la sabbia dell'arena in un pantano.
Il cavaliere imprecò tra i denti: con quell'armatura e il terreno in quelle condizioni sarebbe finito gambe all'aria in due minuti; dentro di sé maledisse le dame che gli avevano fornito quell'impiccio.
Fortunatamente si era rifiutato di indossare l'elmo o a quest'ora non avrebbe visto nemmeno la sua mano pur scuotendola a due pollici dal naso.
L'arena era una struttura circolare di legno chiaro, rinforzata da puntelli in metallo, costruita nel cortile interno delle Rocca, per questo il campo era ampio poco più di quattro metri quadrati, uno spazio davvero scomodo ed esiguo se paragonato a quello di altre arene.
Dal momento che lo scontro si svolgeva di notte, l'arena era illuminata da sfarfallanti faretti a energia elettrica; il re si godeva lo spettacolo da una tribuna protetta da teli che esibivano i colori della sua casata, verde smeraldo e nero. Duncan gli gettò una rapida occhiata, incontrando uno sguardo ostile e penetrante; come da etichetta si sprofondò in un inchino ossequioso, senza distogliere lo sguardo dal sovrano. Poi lo spostò verso la folla vociante e scorse tra gli astanti assetati di sangue il volto lungo e pallido di Loyd e accanto a lui quello spaurito di Selene. Il suo cuore perse un battito.
Un nuovo boato indicò l'ingresso nell'arena di Lucian, nemmeno l'elfo aveva badato a spese e aveva deciso di fare la sua apparizione in grande stile: ostentava un'armatura semplice ma di grande effetto, la parte sinistra era decorata con spuntoni d'acciaio che somigliavano vagamente alla cresta di un drago, come se la creatura si fosse avvolta attorno al braccio e si fosse addormentata su di esso; il volto del ragazzo era nascosto da un elmo con intarsi di un blu brillante, su cui, al posto del cimiero, un drago spalancava le sue fauci d'oro.
Come sempre, il nano trovò l'abbigliamento dell'elfo esagerato e completamente fuori luogo.
Lucian salutò la folla e s'inchinò al re; con un elegante gesto della mano si sfilò l'elmo, lasciando libera la chioma nivea. Un coro di sospiri e acclamazioni si levò dalla folla.
Duncan per tutta risposta sputò nella sabbia e allargò le gambe, mettendosi nella posizione di guardia.
«Hai fretta di cominciare, nano» osservò Lucian, facendo scattare gli artigli.
«Prima iniziamo, prima finiamo» rispose il cavaliere. Era già stanco e sudato, la pioggia gli entrava negli occhi impedendogli di vedere bene e quello schifo di stivali di metallo non facevano presa sul terreno sdrucciolevole come avrebbero dovuto. Per l'ennesima volta mandò al diavolo tutti quelli che lo avevano costretto in quella situazione.
Sia l'elfo sia il nano aspettavano il segnale del re, che avrebbe dato inizio allo scontro.
«Questo è lo scontro decisivo che decreterà il guerriero che sarà degno del titolo di Eroe delle due Ere e del premio di ventimila grifoni in palio. Fate sentire la vostra vicinanza e il vostro calore» un fragore assordante esplose dalla folla, quando si fu placato, Eldor riprese a parlare «Che lo scontro abbia inizio e che vinca il migliore!»
Un gong risuonò da qualche parte, spandendo il suo canto grave nell'aria umida della notte.
I due contendenti rimasero a studiarsi per qualche secondo, nell'attesa che l'altro facesse la prima mossa. Duncan non si fidava ad attaccare, l'armatura era ingombrante e lo impacciava nei movimenti, girò in tondo, cercando una falla nella guardia di Lucian, ma l'elfo era coperto su ogni lato. Doveva attaccare, fare una finta e provare a costringere l'avversario a scoprirsi, ma era rischioso: se si fosse avvicinato troppo Lucian avrebbe potuto infilzarlo.
Il nano strinse la presa sulla spada, una goccia di sudore, o di pioggia, rigò la tempia e andò a infilarsi nell'armatura.
Senza preavviso Lucian attaccò: con un agile balzò si lanciò verso di lui, gli artigli sguainati che puntavano verso la gola non protetta, ma Duncan riuscì a schivare all'ultimo e ripristinò la distanza di sicurezza con una goffa piroetta, facendo perno sulla gamba di metallo, che emise uno scricchiolio preoccupante, ma non cedette.
L'elfo caricò di nuovo, sempre mirando alla gola del nano e questa volta fu il terreno scivoloso a salvare il cavaliere: lo stivale slittò nel fango e Duncan si trovò in una posizione di semi-spaccata con il balenio argenteo degli artigli che scintillava sopra di lui, dove poco prima si trovava la sua testa. Approfittò della situazione e mosse la spada dal basso verso l'alto, Lucian riuscì ad evitare l'assalto ma perse l'equilibrio e finì con la faccia nella melma; l'elfo riemerse imprecando e sputacchiando, un coro di risate si levò dalla folla. Duncan ne approfittò per rimettersi in piedi.
Era consapevole di avere lo sguardo di tutti su di sé, in particolare gli occhi di re Eldor non lo avevano perso un solo istante, così come quelli di Loyd. Si sentiva come se avesse un bersaglio sulla schiena, come se lo avessero nel mirino. Era consapevole del fatto che il re lo volesse morto e iniziava a sospettare che Lucian fosse il sicario designato per lui. Il nano gettò uno sguardo ostile e determinato al suo sovrano: non sarebbe morto senza combattere.
L'elfo caricò per la terza volta, aveva il volto ricoperto di fango e gli occhi accesi di rabbia, Duncan riuscì a schivarlo di nuovo con una piroetta.
«Questi gentili signori non vogliono una danza pittoresca, Duncan» sibilò l'elfo «vogliono il sangue»
«Non il mio» rispose seccato il nano
«Allora smettila di fare la principessina e attacca!» replicò Lucian «O forse hai paura di me?»
Duncan capì cosa stava cercando di fare: non potendo colpirlo con le lame lo colpiva nell'orgoglio, lo provocava, pungendolo sull'onore e sul coraggio, voleva farlo arrabbiare e voleva che attaccasse alla cieca. Ma ci voleva ben altro per fargli perdere la testa.
Lucian puntò i piedi, pronto per un altro assalto, per lui l'armatura pareva non avere alcun peso, si muoveva agile e sinuoso come un felino, gli occhi ridotti a due fessure, luminosi, come quelli di un predatore e un sorriso sardonico che gli increspava le labbra.
Un rapido guizzo, una finta che spiazzò Duncan e gli artigli d'argento che portarono con sé parte della sua guancia destra e del naso. Il nano si morse la lingua fino a sentire il sapore metallico del sangue, il dolore era esploso improvvisamente in una miriade di scintille brucianti.
L'elfo danzò lontano da lui e si permise di fare lo sbruffone: con fare baldanzoso soffiò sulle punte degli artigli macchiate di cremisi e finse di lucidarsele sull'armatura, scatenando un ovazione da parte del pubblico.
Il Cavaliere ripulì il viso dal sangue come meglio poté e strinse i denti, la parte destra del volto bruciava maledettamente, ma ancora di più bruciava l'umiliazione di permettere che quel ragazzino lo prendesse in giro così spudoratamente, questo non lo avrebbe più permesso.
Strinse i denti e si rimise in posizione di guardia, l'elfo gli rivolse un sorriso di scherno e lo invitò ad attaccare.
Duncan caricò, eseguì una finta e un affondo che però andò a vuoto, Lucian era riuscito abilmente a evitarlo, il sorriso dell'elfo si allargò, era più determinato che mai a finire il nano.
Duncan riuscì a schivare l'attacco successivo e, approfittando della distanza ravvicinata, con uno scatto del polso colpì il fianco sinistro di Lucian, rimasto scoperto. La lama della spada incontrò la resistenza dell'armatura, ma sulla coscia, protetta solo da uno strato di cuoio, si fece largo tra la pelle e la carne. Lucian uggiolò di dolore e si allontanò, reggendosi con una mano la gamba offesa.
«Non fai più tanto lo sbruffone, adesso» lo prese in giro Duncan.
L'elfo emise un ringhio bestiale e scattò, il nano lo seguì a ruota, la spada dritta davanti a sé come una lancia: entrambi erano consapevoli del fatto che quello sarebbe stato l'ultimo, letale assalto.
Prima si erano solo punzecchiati, avevano giocato un po' per saggiare ciascuno la tecnica dell'altro, per scovarne i punti deboli e le mancanze, questo era il momento decisivo.
Un dolore lancinante esplose alla spalla sinistra, dove gli artigli di Lucian erano riusciti a penetrare oltre lo spallaccio, il nano digrignò i denti mentre un urlo atroce, di sofferenza, squarciò l'aria.
Lucian abbassò lo sguardo verso il suo addome e tra le piastre che componevano l'armatura scorse con orrore la lama della spada di Duncan che si stava imbevendo del suo sangue. Il nano rigirò la lama e un rivolo scarlatto colorò le labbra dell'elfo.
«Non è ancora finita, nano» gemette, mostrando i denti in un grottesco sorriso cremisi, e con un movimento fulmineo dall'alto verso il basso, tagliò l'aria davanti a sé e puntò alla trachea di Duncan. Il nano riuscì ad allontanarsi in tempo, estraendo la spada con un colpo secco, ma dimenticandosi degli artigli conficcati nella sua spalla sinistra, che si tennero un bel po' di stoffa e carne. L'elfo era crollato a terra agonizzante e guardava attonito le sue viscere fuoriuscire assieme al sangue e mischiarsi alla pioggia e al fango.
Duncan si teneva la spalla e respirava a fatica; il suo rantolio di sorpresa si mozzò a metà, così come il suo respiro. Con orrore portò una mano alla gola e la trovò coperta di sangue. Gli artigli erano riusciti ad aprire uno squarcio. Duncan si afferrò il collo, cercando di fermare l'emorragia. Gli occhi gli si riempirono di lacrime, che presto si confusero con la pioggia.
Cadde, mordendo la terra fangosa con le labbra insanguinate e la bocca gli si riempì di melma. Impotente sentiva la vita fluire da lui assieme al suo sangue e al suo respiro. Nessuno sarebbe venuto a salvarlo, l'avrebbero lasciato morire, completamente svuotato.
Sentì l'altro spirare in un patetico rantolio. Volse la testa verso le tribune e cercò con lo sguardo la sua Selene, voleva vederla per un'ultima volta. Una lacrima gli rigò il volto, facendosi largo tra il sangue e il fango; la consapevolezza di aver fallito lo devastò, prostrandolo più di un colpo di spada.
Duncan spirò, il nome di Selene rimasto sospeso sulle labbra.



 



[1] Lotterò per ciò che è giusto/ E se stasera mi ucciderà/ Sarò pronto a morire (Skillet, Hero) 


Angolo dell'autrice:
In caso vi siate domandati che aspetto avessero i personaggi, e anche se non ve lo siete chiesti, vi lascio le immagini da cui ho tratto ispirazione ^^
Duncan
Lucian
Althea
Selene

   
 
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