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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    07/05/2009    3 recensioni
"Notte buia, senza luna né stelle. Nuvole oscure gravide di pioggia lambivano il cielo notturno. Il deposito ferroviario di South City era immerso nel buio e nel silenzio. Rottami metallici formavano grossi ammassi sparsi disordinatamente qua e là, vecchi tranci arrugginiti di rotaie buttati alla rinfusa sul terreno duro e ghiaioso. Vecchi vagoni ormai in disuso stavano ribaltati e semi distrutti qua e là, i vetri distrutti. Un ombra scivolava silenziosamente tra i rottami, nascondendosi e mimetizzandosi nel buio: era una figura agile e snella; un pallido raggio di luna, sbucato dalle nubi nere, lo illuminò per un istante, mostrando una fluente capigliatura mora e due profondi occhi di un lucente viola, in mano teneva una pistola, era solo un ragazzo." SALVE! Shun è tornata!! Beh, coloro che hanno seguito una mia vecchia fic sanno che mi era spiaciuto molto quando la conclusi. Ecco, ora la sottoscritta si è imbarcata in una nuova avventura! BACK TO THE EXPRESS è il ricominciare del viaggio, del nostro viaggio. Del viaggio dell’AMESTRIS EXPRESS. Questa storia è dedicata a colei che mi ha fatto sorridere, che ha approvato la nascita di questo seguito, che ha dato l’input per la storia. È dedicata a SHIKADANCE. È solo merito suo se questa storia ha visto la luce. Beh, che dire, divertitevi e godetevi questo nuovo viaggio!!! UN BACIO SHUN EPILOGO ONLINE!!! PRESTO, UN CAPITOLETTO SPECIALE!!!
Genere: Romantico, Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Envy, Nuovo personaggio, Roy Mustang, Un pò tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 13

WAR IS OVER

La battaglia infuriava feroce nella pianura, tra urla e attacchi violenti da ambo le parti.

Il gruppo di militari, ormai separati, cercava per quanto possibile di difendersi, di contrastare i nemici, troppo numerosi per loro, ma nulla li avrebbe fermati.

I corpi degli avversari cadevano impietosamente nella polvere ormai pregna di sangue, il fragore delle armi e delle esplosioni non aveva tregua alcuna, ma nessuno pareva essere in vantaggio, né i valorosi soldati né i nemici, era una pericolosa situazione di stallo.

Il vento pareva ululare più forte a ogni nemico che cadeva, come se protestasse, ma nessuno gli prestava attenzione, la folle furia della guerra si era ormai impadronita di loro ma se, da una parte, si cercava di limitare al minimo le morti, dall’altra non si risparmiavano e anzi, a ogni compagno nella polvere, la rabbia di altri dieci si riversava sul Comandante e sui suoi uomini.

Ma questi, non si lasciavano abbattere e, malgrado la netta inferiorità, continuavano a combattere.

Nell’occhio del ciclone, Kain e Vato, accompagnati da Jean e Riza, erano riusciti a trattenere per un poco un discreto numero di nemici, la via era libera, almeno per il momento: “EDWARD!! ENVY!!! ANDATE!!!” urlò il moro, con tutto il fiato che aveva in gola, “Andate da Archer!!” aggiunse, asciugandosi con la manica la fronte.

Il biondo alchimista si voltò di scatto verso di lui, gli occhi arrossati per il vento e la polvere: “Cosa stai dicendo??” urlò con voce stridula, in ginocchio a terra, “Non ce ne andiamo lasciandovi qui, non possiamo farlo!” urlò di rimando Envy, abbattendo con un calcio un incauto avversario troppo vicino a loro e cadendo accanto all’amico con il fiato corto, “FATE COME VI DICIAMO!!” urlò Vato, spingendo Kain a lato per prendere il suo posto, “Se continuiamo a perder tempo qui non ce la faremo mai! Dovete raggiungere quel bastardo e mettere fine a tutto questo.” esclamò l’argenteo, buttandosi nella mischia, seguito a breve distanza dal sergente maggiore.

“FALMAN!” urlarono i due al’unisono e fecero per corrergli dietro, quando qualcuno li afferrò per le spalle, trascinandoli via; non lo videro, ma scorsero distintamente, da lontano, i loro compagni combattere, schiena contro schiena, nel mezzo del furore.

“GREED, LASCIAMI SUBITO!!” urlò Ed, cercando di divincolarsi dalla presa del fratello di Envy, “NON POSSIAMO LASCIARLI COMBATTERE DA SOLI!! DOBBIAMO AIUTARLI!!” continuò a urlare il biondo, fermamente tenuto per le spalle dal ragazzo più grande, “MI HAI SENTITO? DOBBIAMO..” continuò Acciaio, ma le sue parole gli morirono in gola, quando si ritrovò schiena a terra, a guardare il cielo scuro e le nubi gonfie di pioggia lambite di rosso.

Una mano premeva sul suo collo tanto forte da impedirgli quasi di respirare.

Sopra di lui, c’era Greed.

“Ehi, ma...” sussurrò, cercando di muoversi quando uno schiaffo gli piombò sul viso.

Il moro piangeva, tenendogli le spalle fermamente a terra.

Accanto a sè, sentiva la presenza dell’amico investigatore.

“Siete degli stupidi..” sussurrò tra le lacrime il macchinista, lo sguardo coperto dai capelli, “Siete solo degli stupidi... Secondo voi, vi manderebbero da soli contro Archer se non fosse strettamente necessario? Siete gli unici che potete farlo e...” mugolò sommessamente lui, “Nessuno di noi vorrebbe mandarvi contro di lui, ma siete gli unici in grado di potergli tener testa, almeno sino a quando non riusciremo a liberarci dei suoi uomini...” sussurrò con voce triste, mentre una lacrima solitaria scivolava dai suoi occhi, andando a morire sul viso di Ed, ancora disteso a terra.

Envy voltò il capo verso l’amico, poi spostò delicatamente il braccio di Greed, guardandolo negli occhi: “D’accordo niisan, andiamo.” disse con un leggero sorriso, alzandosi in piedi, “Se dobbiamo farlo, lo faremo.” aggiunse, risoluto, aiutando Ed.

I tre si guardarono per qualche istante, e parve quasi che il tempo si fosse fermato attorno a loro.

Erano pronti a reagire.

In quel momento, l’aria si fece incandescente per poi esplodere con gran fragore; la terra tremò pericolosamente sotto i loro piedi, facendoli cadere a terra, privi di sostegno, pareva quasi come se l’intera pianura si stesse per aprire sotto di loro: Ed fu il primo ad alzare il capo, accorgendosi troppo tardi del dramma che stava accadendo.

Altissime fiamme rosse danzavano al vento forte come un uragano, arrivando quasi a lambire i rami più discosti dei primi alberi della brughiera, gettando tutto attorno una luce rossastra; lapilli volteggiavano qua e là, bruciando silenziosamente tutto ciò che trovavano sul loro cammino.

Una impenetrabile muraglia di fiamme circondava il punto in cui, sino a qualche attimo prima, vi erano i loro compagni: non li riusciva più a vedere, ma udiva ancora chiaramete il fragore della battaglia, le loro grida.

Il cuore di Acciaio perse un battito.

Sgranò gli occhi, non si capacitava di quello che stava accadendo.

Il respiro tremendamente affannoso non ne voleva sapere di quietarsi, non riusciva quasi più a ragionare: il mondo attorno a lui era sparito, c’erano solo fuoco e fiamme.

Istintivamente, sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena, un brivido come di paura; un attimo dopo, la sua mente si annebbiò e la sua bocca si spalancò, muta espressione di terrore.

E poi, l’urlo, un urlo più forte di qualunque clamore guerresco, un urlo di belva ferita, riecheggiò nella pianura, gelando l’aria per un istante: “ROY!!!!”.

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Nell’ufficio amministrativo, l’aria era pesante e tesa.

Alphonse sedeva alla scrivania, i gomiti poggiati sul piano di lavoro con aria pensierosa e preoccupata a un tempo, lo sguardo smarrito come di chi abbia subito da poco un forte shock emotivo.

Da quando Sheska era ritornata con le persone desiderate, il ragazzo non aveva più aperto bocca, non si era mosso di un centimentro.

Semplicemente stava immobile, lo sguardo fisso dinanzi a sè.

La rossa sedeva accanto a lui, torcendosi nervosamente le mani piccole e curate, benchè sporche in alcuni punti di inchiostro.

Davanti a loro, stavano tre ufficiali, due uomini e una giovane donna; i loro sguardi tradivano la preoccupazione e la curiosità per quella chiamata improvvisa in un momento di simile gravità ed emergenza: come mai Alphonse, in quel momento colui che deteneva il comando delle ricerche, li aveva convocati? E perchè non aveva rivolto loro nemmeno un cenno in quei lunghi e interminabili minuti?

C’era sotto qualcosa.

Maria fissò per un istante Danny, seduto affianco a lei, non appena i loro sguardi si incrociarono, la mora ebbe la conferma ai suoi sospetti, qualcosa non andava.

Ne era certa.

Ma l’immobilità innaturale di Alphonse la lasciava spiazzata.

Come faceva a essere così tranquillo?

Tutta quella situazione la faceva infuriare.

“ALLORA, ALPHONSE, COSA DIAVOLO STA SUCCEDENDO?! STIAMO SOLO PERDENDO TEMPO QUI, DOVREMMO INVECE IMPEGNARCI NELLA RICERCA DI EDWARD, DEL COMANDANTE E DEGLI ALTRI!!” urlò esasperata la donna, battendo i pugni sul tavolo e alzandosi in piedi, “Sono settimane ormai che sono spariti, non sappiamo più nulla di loro!” continuò con aria furibonda, anche se, negli occhi, si poteva leggere molto di più, preoccupazione e ansia.

Ma nemmeno quella sfuriata sortì l’effetto sperato, Alphonse era ancora immobile nella medesima posizione.

E adesso la fissava, quegli occhi d’ambra cercavano di scrutarla fin nel profondo.

La mora conosceva quello sguardo.

Era lo sguardo di Edward, lo sguardo determinato del Fullmetal Alchemist.

Era la decisione e la forza dei due fratelli Elric.

“Adesso calmati, Maria. Vi spiegherò tutto.” disse, prendendo la parola per la prima volta in quei minuti; senza aggiungere altro, si chinò leggermente di lato, prendendo qualcosa da un cassetto e poggiando un sottile pacco di fogli dinanzi a loro, “Abbiamo capito chi ha architettato tutto questo, e la cosa non vi piacerà.” spiegò con tono tremante Sheska, torcendosi le dita, era sconvolta, le spalle tremavano convulsamente, non la avevano mai vista così.

Danny prese delicatamente il plico, cominciando a sfogliare i documenti, i due colleghi sbirciavano da dietro.

Non si udì nulla per parecchi minuti, se non il fruscio delle pagine.

“Sono passati con l’Amestris dalla vecchia linea militare segreta dell’Ovest, nessuno ne era a conoscenza, tranne quattro persone,” cominciò Armstrong, “Si, Bradley, Kimbley, Hakuro e..” proseguì il biondo quando la consapevolezza dell’identità dell’ultimo sospettato lo colpì con la forza di un pugno nello stomaco, mozzandogli per un attimo il respiro.

Quelle grandi gemme blu furono attraversate improvvisamente da un lampo di preoccupazione e terrore.

Aveva compreso.

Il Generale incrociò gli sguardi dell’Elric e di Sheska.

“Si, Kimbley e Bradley sono morti, di questo vi è la certezza, Kimbley è morto da tempo, Bradley è stato giustiziato mesi fa, dopo il ritorno del Comandante con Edward. Hakuro è stato trasferito al Nord, ho avuto la conferma che lui non può essere da sua sorella in persona, Armstrong-dono, non può muoversi da Briggs per alcuna ragione, è al confino da cinque anni ormai.” pigolò la rossa, sistemandosi nervosamente i ciuffi dietro le orecchie piccole e lievemente appuntite, “L’ultimo, invece, no. Il suo corpo non è mai stato trovato e quindi non vi è la certezza che quell’.. quell’essere ignobile, che ha tentato di uccidere Hughes-san sia morto.” concluse la ragazza, le lacrime che minacciavano di straripare fuori.

“è stato Archer, Frank Archer ha organizzato tutto questo e ora, gli altri sono in pericolo.”.

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Edward non si era mai sentito così svuotato in vita sua.

Si era accasciato a terra senza un moto, come se qualcuno gli avesse sparato a bruciapelo e gli avesse trafitto il cuore.

Forse, avrebbe sentito meno male.

Era inginocchiato sulla nuda terra, i pugni stringevano tra le dita sottili fili d’erba ormai avvizzita, secca come il suo cuore, ormai distrutto.

Cosa avrebbe fatto d’ora in poi?

Come avrebbe potuto spiegare a Elycia, a Glacier…

A Eric.

Ma soprattutto…

Come avrebbe fatto lui ad andare avanti?

Per un attimo, una furia quasi animalesca prese possesso di lui, mettendo radici nel suo cuore ormai inaridito; con uno scatto, alzò il capo.

Nei suoi occhi, c’era la furia di una bestia priva di ragione e controllo.

Batté con violenza le mani, sotto lo sguardo allibito degli amici e creò una lunga lancia dal terreno; la punta brillava sinistramente alla cupa luminescenza delle altissime fiamme.

“Ed-nii…” sussurrò sconvolto Envy, alzandosi a fatica in piedi, sorreggendosi al fratello maggiore.

Allungò lentamente la mano, cercando di sfiorargli la spalla, ma si ritrasse subito, come se si fosse scottato.

Il vento termico si era fatto più forte, i lapilli danzavano nell’aria attorno a loro, le nuvole si erano fatte più scure e compatte.

L’unica luce era quella dell’incendio.

Un brivido scosse Greed, che stringeva a sé il corpo affaticato del fratellino, guardava il compagno con occhi sbarrati, nelle sue pupille si leggeva chiaramente lo sgomento per l’accaduto e la paura che provava.

Aveva paura.

Edward gli faceva paura in quelle condizioni.

La lunga mantella ormai stracciata, sventolava superba sulla schiena del ragazzo, come se fosse stata una bandiera, la sua bandiera.

La bandiera di un vendicatore.

“Greed, ti affido il resto. Io vado” sussurrò con voce profonda, colma di odio.

“D..Dove?” riuscì a chiedere, si sentiva la gola improvvisamente riarsa.

“A uccidere quel bastardo.” replicò semplicemente.

Un momento dopo, era scomparso e nell’aria si udì il grido di guerra di uno spirito distrutto dal dolore, uno spirito alla ricerca di vendetta.

“ARCHER!!!!”.

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Eric correva il più velocemente possibile nella brughiera, cercando di concentrarsi sulla strada da percorrere, ignorando il penetrante odore di bruciato che aleggiava nell’aria e che sembrava quasi opprimergli i polmoni.

Un fumo acre e pesante si stava diffondendo per il bosco, riducendo a poco a poco la visibilità, il ragazzo si sentiva stanco e affaticato, ma non poteva fermarsi, o tutto sarebbe stato vano.

Non poteva abbandonare lo zio e i suoi nuovi amici.

Non se lo sarebbe mai perdonato.

Un improvviso colpo di tosse gli mozzò il respiro, costringendolo a sorreggersi a un tronco per non cadere rovinosamente a terra, la gola gli bruciava terribilmente e gli occhi pizzicavano per le lacrime.

Calmatosi un poco, si asciugò la bocca con la manica lurida e si rimise in piedi a fatica, ansimando: “Devo uscire di qui, oppure rischio di fare una brutta fine.” mormorò tra sé e sé, deviando la sua strada; la via adesso era più nitida, il fumo si era quasi del tutto diradato, segno che si era lasciato ormai alle spalle il focolaio di incendio.

Qualcosa era accaduto.

E non era sicuro che fosse opera del Fuhrer.

Con sollievo, si accorse di essere ormai alla fine di quel cupo bosco e uscì finalmente all’aria aperta, respirando a pieni polmoni.

Ma si bloccò, vedendo ciò che gli si parava davanti.

La pianura era avvolta dalle fiamme che ormai avevano quasi del tutto carbonizzato la zona, ma riuscì a distinguere, riversi a terra privi di sensi, lo zio e il Fuhrer.

Poco lontano, anche tutti gli altri.

Restò interdetto per qualche secondo prima di realizzare cosa stava veramente accadendo lì; senza pensarci due volte, scattò in avanti, raggiungendoli tra le fiamme.

 Si chinò sui due, sembravano quasi non respirare.

Controllò rapidamente le loro funzioni vitali.

Erano vivi, per fortuna.

A fatica, riuscì a portarli tutti via da quell’inferno di fuoco e fiamme; si guardò attorno, i corpi dei nemici bruciavano nei roghi che aveva provocato il loro capo, nessuno si era salvato.

Nessuno.

Eric stava in piedi, come a difesa di quei compagni coraggiosi che avevano rischiato la vita anche per lui, non voleva lasciarli, erano indifesi a qualunque attacco; i sensi tesi a percepire il minimo rumore, gli occhi verdi come il mare saettavano qua e là, nella vana ricerca dei tre compagni mancanti.

Serrò forte i pugni sino a farsi male.

Tutto quel dolore…

Quella sofferenza…

Cosa mai avevano fatto per meritarsi tutto quello?

Ma il bruno non seppe rispondersi.

Improvvisamente, un gran tossire alle sue spalle lo fece voltare e la sua attenzione si spostò su una figura, ancora rannicchiata a terra, che cercava però disperatamente di mettersi seduta; i corti capelli neri, spettinati più del solito, la pelle solcata di graffi e ferite varie e un braccio abbandonato lungo il corpo.

Il Comandante era messo piuttosto male.

Roy Mustang era ancora vivo.

Altri sommessi colpi di tosse fecero capire al ragazzo che anche gli altri stavano bene.

Eric sospirò di sollievo, accucciandosi accanto a loro: “Come state?” chiese con un debole sorriso, “Avete rischiato grosso.” aggiunse con un risolino imbarazzato, nel vano tentativo di stemperare la tensione che si era creata. Hughes alzò la testa, incrociando le iridi gemelle del nipotino: “Tu cosa ci fai qui?” chiese con cipiglio serio lui, mettendosi seduto, “Ti avevamo detto di restare al treno, cough..” tossì ancora il tenente colonnello, piegandosi su sé stesso.

Eric lo tenne dritto: “Eravamo preoccupati per voi, ma Pride-san non voleva lasciare Lust-chan da sola e così sono venuto solo io, per fortuna sono arrivato appena in tempo. Come vi sentite?” ripetè il bruno, squadrandoli con occhio critico, “Tutto ok… Grazie amico.” disse Jean, facendo sdraiare Riza sulle sue gambe, malgrado le proteste di quest’ultima.

Tutti si zittirono.

“Dov’è Ed?” riuscì solo a chiedere Roy, accorgendosi della mancanza del piccolo Alchimista.

L’onice si specchiò nel verde, attraversato da un lampo di incertezza e dubbio: “Non lo so… Quando sono arrivato, c’eravate solo voi qui e…” ma le sue spiegazioni furono interrotte da una voce sollevata, “RAGAZZI! SIAMO QUI!” urlò Greed, comparendo tra le fiamme.

Sulle spalle portava qualcosa.

Qualcuno.

Subito, Roy si rizzò in piedi, malgrado la stanchezza.

Greed trasportava il fratellino semisvenuto sulle spalle.

“Ehi, ma tu cosa fai qui??” esclamò, sorpreso nel vedere Eric accanto a loro, “Pride-san mi ha mandato qui ad aiutarvi, dal treno abbiamo udito lo scoppio e visto le fiamme.” disse solo, aiutandolo a distendere Envy sull’erba soffice; sin dal primo momento, le condizioni del ragazzo apparivano piuttosto gravi, sembrava essere passato attraverso chissà cosa.

Un taglio profondo sul capo aveva smesso di sanguinare, lasciando però un profondo segno scarlatto sulla cute pallida, un debole respiro esalava dalle sue labbra livide.

“Edward è lassù, contro Archer, non possiamo lasciarlo combattere da solo.” disse con voce debole, stringendo forte la mano del minore dei suoi fratelli, sentendosi lo sguardo indagatore e ferito del Fuhrer addosso; dopo averlo coperto con la giacca, il gemello si alzò in piedi, muovendo qualche passo verso il campo di battaglia: “Non muovetevi di qui, sono stato chiaro? Vado a recuperare Edward e ritorneremo.” disse solo, facendo per correre via.

“F..Fermo!”.

Una voce imperiosa lo bloccò; Roy si era alzato, il braccio ferito legato al collo: “Vado io,” si offrì lui, “è per me che quel bastardo ha scatenato questo inferno, per vendicarsi, non è necessario che vada tu.” affermò serio, il viso solcato di piccole stille di sudore freddo, gli mancava il respiro, non riusciva a distinguere bene le forme.

Era esausto.

Ma ciononostante, doveva proteggere Edward e tutti loro.

Non riuscì però nel suo intento perché un dolore lancinante al petto lo fece stramazzare a terra e, un momento prima di cadere nuovamente nell’oblio, udì la voce addolorata di Greed sussurrargli una mesta richiesta di scusa, prima di scappare verso il campo.

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Edward sentiva male dappertutto, come se centinaia e centinaia di spilli gli si conficcassero nelle carni martoriate da fuoco, fiamme e tagli, rubandogli a poco a poco quella esigua vita rimastagli.

Rannicchiato a terra, il Fullmetal Alchemist non aveva quasi più la forza di lottare, i suoi automail completamente distrutti.

E ora, Archer sembrava trionfare su di lui, indifeso e incapace di reagire al minimo attacco.

Che quella fosse veramente la fine?

Fine ingloriosa per un’Alchimista di Stato come lui, lui, che si era tirato fuori da situazioni ben peggiori di quella, lui, che era sopravvissuto così tante volte alla morte, lui, che aveva perso.

Perso.

Era un perdente.

Questo si ripeteva, mentre, con la coda dell’occhio, guardava la parte di carne del viso del suo aguzzino contrarsi in una smorfia gioiosa di follia: “Tu, moccioso, credevi veramente di potermi sconfiggere? Si, lo ammetto, sei stato proprio bravo a giungere sin qui, un moccioso normale non sarebbe mai arrivato nemmeno a metà del viaggio, ma ora, per te, è la fine.” sussurrò con tono cattivo, chinandosi su di lui, “Tu e Mustang pagherete per quello che mi avete fatto.” bisbigliò mellifluo, mollandogli un calcio sul fianco martoriato.

Edward urlò.

E ancora calci si abbattevano su di lui, e pugni, udiva il sibilo sinistro dei cuscinetti a sfera mentre i colpi si abbattevano violentemente su di lui.

Il biondo credette, seriamente, per un attimo, di morire.

Il dolore era troppo intenso, non avrebbe retto ancora a lungo.

Inaspettatamente, proprio mentre si stava per abbattere su di lui il colpo mortale, udì un sibilo sfiorargli delicatamente l’udito e qualcosa si infisse nel terreno, davanti a lui, come una difesa.

Aprì debolmente un occhio.

Una figura snella stava dinanzi a lui.

“Ed-kun, tutto bene?” gli chiese Greed, seriamente preoccupato per lui, non allentando però neppure di un secondo lo sguardo sull’avversario, “Alzati, non lasciarti abbattere, dobbiamo farla finita con questa storia, ormai è finita, poi ce ne torneremo a casa.” gli sorrise benevolo, tendendogli la mano.

Il biondo sembrò tornare per un attimo alla vita.

Si.

Dovevano porre fine a tutto quello.

Radunò le ultime forze rimastegli per mettersi in piedi, sorreggendosi all’amico per le cattive condizioni in cui versava il suo arto meccanico; il suo cuore aveva ripreso a pompare sangue a pieno ritmo, l’adrenalina in circolo si mischiava con il caldo rosso liquido, rinvigorendolo.

“S..Si, hai ragione,” asserì con voce tremante il biondo, “Devo porre fine a tutto questo.” disse, e gli occhi si colmarono di nuova decisione.

Durante tutto quel tempo, però, Archer era rimasto completamente paralizzato.

Paralizzato da quell’arrivo repentino.

Paralizzato da quel ragazzo coi capelli scuri che era venuto a proteggere il suo nemico.

Qualcosa che il suo cuore non riusciva ad accettare.

Come mai…

Come mai…

Come mai lo stava proteggendo?

No, Acciaio e Mustang dovevano morire.

Era colpa loro se LUI era morto.

E ora…

Perché LUI stava proteggendo il SUO assassino?

“PERCHÉ!?!?!” urlò furioso Archer, balzando come una tigre sui due giovani, “PERCHÉ LO STAI PROTEGGENDO, KIMBLEY!?! LUI TI HA UCCISO!!” ululò l’ex tenente colonnello, estraendo la sua spada, “MUORI, EDWARD ELRIC!”.

Il tempo parve fermarsi per un attimo.

Una lama affilata si infisse nel petto di carne dell’androide, strappandogli un’espressione ferita e sorpresa, la macchina che ormai più nulla aveva di umano, fissò lo sguardo sul giovane gemello, seduto come sconvolto sul terreno erboso, dietro la schiena del biondo Elric; un fiotto si scuro sangue eruttò dalle labbra dell’ex ufficiale, macchiando il terreno di cremisi.

Ma, prima di accasciarsi a terra, ormai privo di vita, egli scoccò un’ultima occhiata a Greed, un occhiata colma di dolcezza malcelata, colma di parole mai dette.

Con un tonfo sordo, quel corpo martoriato cadde a terra.

Edward, ansante, si ergeva in piedi dinanzi a lui.

La lancia ancora infissa nel petto dell’avversario.

Edward Elric aveva vinto.

La battaglia era finita.

Avevano vinto.

Ce l’avevano fatta.

“Ghh…”.

Privo ormai di forze, Acciaio mugolò di dolore prima di lasciarsi cadere a terra; ma la sua caduta rovinosa fu fermata dall’amico, che lo prese delicatamente al volo, evitandogli il contatto col freddo suolo: “Ci sei riuscito..” sorrise il gemello, “C..Ci siamo riusciti… N…Non avrei mai potuto.. Farcela…. Senza di voi.. Grazie..” tossì, un rivoletto vermiglio scivolò giù dall’angolo della bocca. Greed lo pulì velocemente: “Grazie a te, Edward.”.

Una dolce brezza, prese a soffiare.

Sotto il suo leggero tocco, le nubi si diradarono, lasciando il posto a un velluto di incredibile bellezza, trapunto di splendide stelle.

Si, era finita.

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La stanza era nella penombra, tranne che per un piccolo abat-jour sul comodino.

Un silenzio delicato regnava nella stanza, rotto di quando in quando da un leggero sospirare.

Sul letto a due piazze, sedeva una figura umana, adagiata su soffici cuscini.

Tra le braccia, era sdraiato un ragazzo, i lunghi capelli biondi spettinati sparsi disordinatamente sul braccio dell’altro, che li carezzava con delicatezza; lo stringeva a sé, piano ma con amore, una calda coperta gli avvolgeva il busto nudo e fittamente bendato.

Privo di un braccio e di una gamba, sembrava una bambola rotta.

Ormai da giorni, Edward dormiva e il suo era un sonno molto profondo, il suo organismo, già in precedenza fortemente debilitato, necessitava di un lungo e intenso riposo.

Da giorni, Roy passava le sue giornate in quella stanza, vegliando sul biondo e accudendolo nelle minime cose; per i primi tempi, il giovane, roso dalla febbre, era tormentato da ulteriori incubi, si agitava nel sonno e nelle sue condizioni, non potendo muoversi da solo, sarebbe stato peggio.

Ma ora, che la febbre era sparita, il ragazzo dormiva finalmente tranquillo.

Ogni tanto si svegliava e questa per il Comandante era una gioia, poteva rivedere, anche se solo per pochi minuti, il sorriso del più giovane, quel sorriso che lo aveva fatto innamorare come un ragazzino.

Una folata di vento gelido penetrò dalla fessura lasciata dalla finestra semichiusa, facendo rabbrividire il piccolo addormentato, che si strinse maggiormente a lui.

A malincuore, il Comandante lo poggiò sul materasso e si allungò verso la finestra per chiudere l’anta; un soffio di vento si insinuò sotto il suo pigiama, strappandogli un brivido, erano ancora in pieno Ovest, quel clima rigido non scherzava; si attardò a guardare fuori dal vetro il paesaggio notturno scorrere dinanzi a sé, la fronte calda poggiata contro la superficie fredda e liscia, non accorgendosi di un leggero movimento alle sue spalle.

“Che ore sono.. Roy..?”

Una voce stanca giunse alle orecchie dell’ex Taisa, che si girò di scatto nell’udirla: il Fullmetal Alchemist era seduto davanti a lui, ravvolto nella pesante coperta; il peso dei due arti ancora presenti lo sbilanciava non poco e questi cercava di ovviare alle mancanze puntellandosi con il ginocchio.

Gli occhioni dorati ancora gonfi di sonno erano socchiusi leggermente, puntando su di lui con curiosità.

L’altro non disse nulla, si limitò a tendere le braccia, permettendogli di accoccolarsi: “Sono le due di notte. Come stai?” gli chiese dopo qualche minuto di silenzio, “Sono stato meglio, ma non mi posso lamentare.” replicò il più giovane, rannicchiandosi maggiormente, “Mi sento strano senza entrambi gli automail.” ammise lui, guardando con malinconia il vuoto lasciato dai due arti, “non posso nemmeno muovermi come voglio.” sbuffò, portando il moncherino del suo sinistro sotto la coperta; il moro scoppiò in una risata sommessa, “E pensare che tu odi i tuoi automail.” scherzò lui, “Comunque, non è poi una tragedia, una volta a casa vorrà dire che Winry avrà del lavoro in più!” esclamò allegro, “Non sei contento?”.

Edward rabbrividì: “Mi ucciderà… non solo ho distrutto gli automail, ma sono riuscito anche a danneggiare l’aggancio, questa volta sono morto.” tremò il biondino.

Due dita gli sollevarono leggermente il mento, facendogli alzare lo sguardo; le labbra di Roy si posarono sulle sue, avviluppandole in un dolce bacio. Edward era stato preso alla sprovvista, ma si sarebbe vendicato, oh, se lo avrebbe fatto. Un leggero morso al labbro inferiore gli portò la vendetta tanto desiderata.

L’altro si ritrasse con un risolino divertito: “Vedo con piacere che stai bene, se ti diverti a fare questi scherzi stupidi.” fece, falsamente offeso, massaggiandosi la parte lesa; Edward gli sorrise, prima di andare a stendersi nella sua parte di letto, “Non è l’ora, io ho ancora sonno..” fece, sbadigliando sonoramente.

Un attimo dopo, si era nuovamente addormentato, i capelli sudati sparsi sul cuscino, in disordine, il colorito del viso leggermente arrossato, e non per la febbre.

Roy sospirò, accomodandosi nella sua metà e coprendo entrambi con una pesante trapunta.

Lo avvicinò maggiormente alla propria metà letto, scoprendo leggermente il viso per permettergli di respirare: “Sei un pazzo, mame-chan, sei proprio un pazzo.” constatò semplicemente, baciandogli la fronte sudata e calda.

La luce fu spenta e la stanza ripiombò nell’oscurità.

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Finalmente Ed, all’alba del quarto giorno dalla partenza, fece il suo ingresso nella sala da pranzo per fare colazione con gli altri; aiutandosi con una stampella. Roy era rimasto a letto, la sua gamba ferita era più grave della sua e il biondo non voleva che la sforzasse inutilmente per portare lui in spalla.

Diamine, non era un bambino, dopotutto.

Era magro da far paura quando lo rividero, quel mattino,dopo tanti giorni passati incosciente e se, da una parte, c’era sollievo per la sua ripresa, dall’altra anche preoccupazione.

“Ehi, Ed, non pensi sia meglio restare a letto? Non mi sembra tu stia bene.” propose Pride, divorando un biscotto; l’amico sorrise, sedendosi davanti a lui alla grande tavolata comune, “Sto bene, ho solo fame.” lo rassicurò, versandosi una tazza di caffè bollente per svegliarsi, “basta minestrine!” esclamò esasperato.

Lust scoppiò a ridere: “Tutta salute, dovevi rimetterti in sesto, moccioso! E non venire a dirmi che le mie minestrine non sono buone perché stavolta la paghi cara!” saltò su Envy.

L’intero vagone si lasciò andare alle risate.

All'improvviso, udirono come uno strano rumore; azzittendosi, si accorsero che qualcosa si stava avvicinando a loro.

E poi, una voce conosciuta, familiare: “Ehi!! Del treno!!”.

L’Amestris, fino a un momento prima lanciato a gran velocità verso Central, rallentò a poco a poco sino a fermarsi.

Tutti si assieparono ai finestrini.

Erano ormai nelle pianure della capitale, il Sole non era ancora del tutto sorto, ma il lieve ceruleo del cielo e la luce rosata facevano presagire una bella giornata.

Fuori, sulle rotaie parallele alle loro, vi era un altro mezzo a vapore, recante le insegne del Governo.

Un uomo robusto li salutava dalla testa, il viso solcato da lacrime di commozione.

“è il Generale Armstrong!” esclamò felice Jean, battendo le mani, “E ci sono anche Sheska, Ross e Brosh!” intervenne Falman, “sono venuti a recuperarci, ma come hanno fatto?” si chiese Pride.

“non ha importanza, siamo a casa, dopotutto!” gioì Hughes, abbracciando il nipote.

Edward fissava malinconicamente fuori dal finestrino, l’unica persona che voleva veramente vedere non c’era.

Anche Roy rientrò nel salotto, salutando allegramente gli amici riuniti fuori quando una voce di ragazzo risuonò cristallina nell’aria: “NIISAN!!!”.

Ed si voltò e scorse la zazzera disordinata del fratellino e la sua sagoma asciutta sbracciarsi verso di lui.

Un tremulo sorriso si dipinse sul suo visetto stanco.

Erano tornati a casa.

FINITO!!

Si, miei cari, questo è l’ultimo capitolo!!

C-Cosa sono quelle faccine tristi??

Su, non piangete… Non è il caso, sapete? Sono tornati tutti, stanno bene!!

Che volete di più!?!

Vabbè, se proprio vi fa stare meglio…

Forse una sorpresa in serbo per voi la ho…

Ma prima…

GRAZIE!

GRAZIE DI CUORE A TUTTI VOI!

GRAZIE PER AVERMI ACCOMPAGNATO IN QUESTO LUNGHISSIMO VIAGGIO ATTRAVERSO AMESTRIS.

GRAZIE DI TUTTO!

PER I MOMENTI BELLI, PER QUELLI TRISTI.

GRAZIE DAVVERO.

Sono contenta di aver dato retta a Shika, grazie di cuore amica mia!

Questo capitolo, però, lo voglio dedicare a una persona speciale, una persona a cui tengo tanto.

Himitsu-san, ti dedico l’epilogo, te lo avevo promesso, no?

Beh, mi spiace, ma dobbiamo salutarci.

Ma non temete, presto avrete mie notizie.

UN BACIONE

SHUN

   
 
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