CAPITOLO 13
WAR IS OVER
La battaglia
infuriava feroce nella pianura, tra urla e attacchi violenti da ambo le
parti.
Il gruppo di
militari, ormai separati, cercava per quanto possibile di difendersi, di
contrastare i nemici, troppo numerosi per loro, ma nulla li avrebbe
fermati.
I corpi degli
avversari cadevano impietosamente nella polvere ormai pregna di sangue, il
fragore delle armi e delle esplosioni non aveva tregua alcuna, ma nessuno pareva
essere in vantaggio, né i valorosi soldati né i nemici, era una pericolosa
situazione di stallo.
Il vento pareva
ululare più forte a ogni nemico che cadeva, come se protestasse, ma nessuno gli
prestava attenzione, la folle furia della guerra si era ormai impadronita di
loro ma se, da una parte, si cercava di limitare al minimo le morti, dall’altra
non si risparmiavano e anzi, a ogni compagno nella polvere, la rabbia di altri
dieci si riversava sul Comandante e sui suoi
uomini.
Ma questi, non si
lasciavano abbattere e, malgrado la netta inferiorità, continuavano a
combattere.
Nell’occhio del
ciclone, Kain e Vato, accompagnati da Jean e Riza, erano riusciti a trattenere
per un poco un discreto numero di nemici, la via era libera, almeno per il
momento: “EDWARD!! ENVY!!! ANDATE!!!” urlò il moro, con tutto il fiato che aveva
in gola, “Andate da Archer!!”
aggiunse, asciugandosi con la manica la fronte.
Il biondo
alchimista si voltò di scatto verso di lui, gli occhi arrossati per il vento e
la polvere: “Cosa stai dicendo??” urlò con voce stridula, in ginocchio a terra,
“Non ce ne andiamo lasciandovi qui, non possiamo farlo!” urlò di rimando Envy,
abbattendo con un calcio un incauto avversario troppo vicino a loro e cadendo
accanto all’amico con il fiato corto, “FATE COME VI DICIAMO!!” urlò Vato,
spingendo Kain a lato per prendere il suo posto, “Se continuiamo a perder tempo
qui non ce la faremo mai! Dovete raggiungere quel bastardo e mettere fine a
tutto questo.” esclamò l’argenteo, buttandosi nella mischia, seguito a breve
distanza dal sergente maggiore.
“FALMAN!” urlarono
i due al’unisono e fecero per corrergli dietro, quando qualcuno li afferrò per
le spalle, trascinandoli via; non lo videro, ma scorsero distintamente, da
lontano, i loro compagni combattere, schiena contro schiena, nel mezzo del
furore.
“GREED, LASCIAMI
SUBITO!!” urlò Ed, cercando di divincolarsi dalla presa del fratello di Envy,
“NON POSSIAMO LASCIARLI COMBATTERE DA SOLI!! DOBBIAMO AIUTARLI!!” continuò a
urlare il biondo, fermamente tenuto per le spalle dal ragazzo più grande, “MI
HAI SENTITO? DOBBIAMO..” continuò Acciaio, ma le sue parole gli morirono in
gola, quando si ritrovò schiena a terra, a guardare il cielo scuro e le nubi
gonfie di pioggia lambite di rosso.
Una mano premeva
sul suo collo tanto forte da impedirgli quasi di
respirare.
Sopra di lui,
c’era Greed.
“Ehi, ma...”
sussurrò, cercando di muoversi quando uno schiaffo gli piombò sul
viso.
Il moro piangeva,
tenendogli le spalle fermamente a terra.
Accanto a sè,
sentiva la presenza dell’amico investigatore.
“Siete degli
stupidi..” sussurrò tra le lacrime il macchinista, lo sguardo coperto dai
capelli, “Siete solo degli stupidi... Secondo voi, vi manderebbero da soli
contro Archer se non fosse strettamente necessario? Siete gli unici che potete
farlo e...” mugolò sommessamente lui, “Nessuno di noi vorrebbe mandarvi contro
di lui, ma siete gli unici in grado di potergli tener testa, almeno sino a
quando non riusciremo a liberarci dei suoi uomini...” sussurrò con voce triste,
mentre una lacrima solitaria scivolava dai suoi occhi, andando a morire sul viso
di Ed, ancora disteso a terra.
Envy voltò il capo
verso l’amico, poi spostò delicatamente il braccio di Greed, guardandolo negli
occhi: “D’accordo niisan, andiamo.” disse con un leggero sorriso, alzandosi in
piedi, “Se dobbiamo farlo, lo faremo.” aggiunse, risoluto, aiutando
Ed.
I tre si
guardarono per qualche istante, e parve quasi che il tempo si fosse fermato
attorno a loro.
Erano pronti a
reagire.
In quel momento,
l’aria si fece incandescente per poi esplodere con gran fragore; la terra tremò
pericolosamente sotto i loro piedi, facendoli cadere a terra, privi di sostegno,
pareva quasi come se l’intera pianura si stesse per aprire sotto di loro: Ed fu
il primo ad alzare il capo, accorgendosi troppo tardi del dramma che stava
accadendo.
Altissime fiamme
rosse danzavano al vento forte come un uragano, arrivando quasi a lambire i rami
più discosti dei primi alberi della brughiera, gettando tutto attorno una luce
rossastra; lapilli volteggiavano qua e là, bruciando silenziosamente tutto ciò
che trovavano sul loro cammino.
Una impenetrabile
muraglia di fiamme circondava il punto in cui, sino a qualche attimo prima, vi
erano i loro compagni: non li riusciva più a vedere, ma udiva ancora chiaramete
il fragore della battaglia, le loro grida.
Il cuore di
Acciaio perse un battito.
Sgranò gli occhi,
non si capacitava di quello che stava
accadendo.
Il respiro
tremendamente affannoso non ne voleva sapere di quietarsi, non riusciva quasi
più a ragionare: il mondo attorno a lui era sparito, c’erano solo fuoco e
fiamme.
Istintivamente,
sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena, un brivido come di paura; un
attimo dopo, la sua mente si annebbiò e la sua bocca si spalancò, muta
espressione di terrore.
E poi, l’urlo, un
urlo più forte di qualunque clamore guerresco, un urlo di belva ferita,
riecheggiò nella pianura, gelando l’aria per un istante:
“ROY!!!!”.
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Nell’ufficio
amministrativo, l’aria era pesante e tesa.
Alphonse sedeva
alla scrivania, i gomiti poggiati sul piano di lavoro con aria pensierosa e
preoccupata a un tempo, lo sguardo smarrito come di chi abbia subito da poco un
forte shock emotivo.
Da quando Sheska
era ritornata con le persone desiderate, il ragazzo non aveva più aperto bocca,
non si era mosso di un centimentro.
Semplicemente
stava immobile, lo sguardo fisso dinanzi a sè.
La rossa sedeva
accanto a lui, torcendosi nervosamente le mani piccole e curate, benchè sporche
in alcuni punti di inchiostro.
Davanti a loro,
stavano tre ufficiali, due uomini e una giovane donna; i loro sguardi tradivano
la preoccupazione e la curiosità per quella chiamata improvvisa in un momento di
simile gravità ed emergenza: come mai Alphonse, in quel momento colui che
deteneva il comando delle ricerche, li aveva convocati? E perchè non aveva
rivolto loro nemmeno un cenno in quei lunghi e interminabili
minuti?
C’era sotto
qualcosa.
Maria fissò per un
istante Danny, seduto affianco a lei, non appena i loro sguardi si incrociarono,
la mora ebbe la conferma ai suoi sospetti, qualcosa non
andava.
Ne era
certa.
Ma l’immobilità
innaturale di Alphonse la lasciava spiazzata.
Come faceva a
essere così tranquillo?
Tutta quella
situazione la faceva infuriare.
“ALLORA, ALPHONSE,
COSA DIAVOLO STA SUCCEDENDO?! STIAMO SOLO PERDENDO TEMPO QUI, DOVREMMO INVECE
IMPEGNARCI NELLA RICERCA DI EDWARD, DEL COMANDANTE E DEGLI ALTRI!!” urlò
esasperata la donna, battendo i pugni sul tavolo e alzandosi in piedi, “Sono
settimane ormai che sono spariti, non sappiamo più nulla di loro!” continuò con
aria furibonda, anche se, negli occhi, si poteva leggere molto di più,
preoccupazione e ansia.
Ma nemmeno quella
sfuriata sortì l’effetto sperato, Alphonse era ancora immobile nella medesima
posizione.
E adesso la
fissava, quegli occhi d’ambra cercavano di scrutarla fin nel
profondo.
La mora conosceva
quello sguardo.
Era lo sguardo di
Edward, lo sguardo determinato del Fullmetal
Alchemist.
Era la decisione e
la forza dei due fratelli Elric.
“Adesso calmati,
Maria. Vi spiegherò tutto.” disse, prendendo la parola per la prima volta in
quei minuti; senza aggiungere altro, si chinò leggermente di lato, prendendo
qualcosa da un cassetto e poggiando un sottile pacco di fogli dinanzi a loro,
“Abbiamo capito chi ha architettato tutto questo, e la cosa non vi piacerà.”
spiegò con tono tremante Sheska, torcendosi le dita, era sconvolta, le spalle
tremavano convulsamente, non la avevano mai vista
così.
Danny prese
delicatamente il plico, cominciando a sfogliare i documenti, i due colleghi
sbirciavano da dietro.
Non si udì nulla
per parecchi minuti, se non il fruscio delle
pagine.
“Sono passati con
l’Amestris dalla vecchia linea militare segreta dell’Ovest, nessuno ne era a
conoscenza, tranne quattro persone,” cominciò Armstrong, “Si, Bradley, Kimbley,
Hakuro e..” proseguì il biondo quando la consapevolezza dell’identità
dell’ultimo sospettato lo colpì con la forza di un pugno nello stomaco,
mozzandogli per un attimo il respiro.
Quelle grandi
gemme blu furono attraversate improvvisamente da un lampo di preoccupazione e
terrore.
Aveva
compreso.
Il Generale
incrociò gli sguardi dell’Elric e di Sheska.
“Si, Kimbley e
Bradley sono morti, di questo vi è la certezza, Kimbley è morto da tempo,
Bradley è stato giustiziato mesi fa, dopo il ritorno del Comandante con Edward.
Hakuro è stato trasferito al Nord, ho avuto la conferma che lui non può essere
da sua sorella in persona, Armstrong-dono, non può muoversi da Briggs per alcuna
ragione, è al confino da cinque anni ormai.” pigolò la rossa, sistemandosi
nervosamente i ciuffi dietro le orecchie piccole e lievemente appuntite,
“L’ultimo, invece, no. Il suo corpo non è mai stato trovato e quindi non vi è la
certezza che quell’.. quell’essere ignobile, che ha tentato di uccidere
Hughes-san sia morto.” concluse la ragazza, le lacrime che minacciavano di
straripare fuori.
“è stato Archer,
Frank Archer ha organizzato tutto questo e ora, gli altri sono in
pericolo.”.
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Edward non si era
mai sentito così svuotato in vita sua.
Si era accasciato
a terra senza un moto, come se qualcuno gli avesse sparato a bruciapelo e gli
avesse trafitto il cuore.
Forse, avrebbe
sentito meno male.
Era inginocchiato
sulla nuda terra, i pugni stringevano tra le dita sottili fili d’erba ormai
avvizzita, secca come il suo cuore, ormai
distrutto.
Cosa avrebbe fatto
d’ora in poi?
Come avrebbe
potuto spiegare a Elycia, a Glacier…
A
Eric.
Ma
soprattutto…
Come avrebbe fatto
lui ad andare avanti?
Per un attimo, una
furia quasi animalesca prese possesso di lui, mettendo radici nel suo cuore
ormai inaridito; con uno scatto, alzò il capo.
Nei suoi occhi,
c’era la furia di una bestia priva di ragione e
controllo.
Batté con violenza
le mani, sotto lo sguardo allibito degli amici e creò una lunga lancia dal
terreno; la punta brillava sinistramente alla cupa luminescenza delle altissime
fiamme.
“Ed-nii…” sussurrò
sconvolto Envy, alzandosi a fatica in piedi, sorreggendosi al fratello
maggiore.
Allungò lentamente
la mano, cercando di sfiorargli la spalla, ma si ritrasse subito, come se si
fosse scottato.
Il vento termico
si era fatto più forte, i lapilli danzavano nell’aria attorno a loro, le nuvole
si erano fatte più scure e compatte.
L’unica luce era
quella dell’incendio.
Un brivido scosse
Greed, che stringeva a sé il corpo affaticato del fratellino, guardava il
compagno con occhi sbarrati, nelle sue pupille si leggeva chiaramente lo
sgomento per l’accaduto e la paura che provava.
Aveva
paura.
Edward gli faceva
paura in quelle condizioni.
La lunga mantella
ormai stracciata, sventolava superba sulla schiena del ragazzo, come se fosse
stata una bandiera, la sua bandiera.
La bandiera di un
vendicatore.
“Greed, ti affido
il resto. Io vado” sussurrò con voce profonda, colma di
odio.
“D..Dove?” riuscì
a chiedere, si sentiva la gola improvvisamente
riarsa.
“A uccidere quel
bastardo.” replicò semplicemente.
Un momento dopo,
era scomparso e nell’aria si udì il grido di guerra di uno spirito distrutto dal
dolore, uno spirito alla ricerca di vendetta.
“ARCHER!!!!”.
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Eric correva il
più velocemente possibile nella brughiera, cercando di concentrarsi sulla strada
da percorrere, ignorando il penetrante odore di bruciato che aleggiava nell’aria
e che sembrava quasi opprimergli i polmoni.
Un fumo acre e
pesante si stava diffondendo per il bosco, riducendo a poco a poco la
visibilità, il ragazzo si sentiva stanco e affaticato, ma non poteva fermarsi, o
tutto sarebbe stato vano.
Non poteva
abbandonare lo zio e i suoi nuovi amici.
Non se lo sarebbe
mai perdonato.
Un improvviso
colpo di tosse gli mozzò il respiro, costringendolo a sorreggersi a un tronco
per non cadere rovinosamente a terra, la gola gli bruciava terribilmente e gli
occhi pizzicavano per le lacrime.
Calmatosi un poco,
si asciugò la bocca con la manica lurida e si rimise in piedi a fatica,
ansimando: “Devo uscire di qui, oppure rischio di fare una brutta fine.” mormorò
tra sé e sé, deviando la sua strada; la via adesso era più nitida, il fumo si
era quasi del tutto diradato, segno che si era lasciato ormai alle spalle il
focolaio di incendio.
Qualcosa era
accaduto.
E non era sicuro
che fosse opera del Fuhrer.
Con sollievo, si
accorse di essere ormai alla fine di quel cupo bosco e uscì finalmente all’aria
aperta, respirando a pieni polmoni.
Ma si bloccò,
vedendo ciò che gli si parava davanti.
La pianura era
avvolta dalle fiamme che ormai avevano quasi del tutto carbonizzato la zona, ma
riuscì a distinguere, riversi a terra privi di sensi, lo zio e il
Fuhrer.
Poco lontano,
anche tutti gli altri.
Restò interdetto
per qualche secondo prima di realizzare cosa stava veramente accadendo lì; senza
pensarci due volte, scattò in avanti, raggiungendoli tra le
fiamme.
Si chinò sui due, sembravano quasi non
respirare.
Controllò
rapidamente le loro funzioni vitali.
Erano vivi, per
fortuna.
A fatica, riuscì a
portarli tutti via da quell’inferno di fuoco e fiamme; si guardò attorno, i
corpi dei nemici bruciavano nei roghi che aveva provocato il loro capo, nessuno
si era salvato.
Nessuno.
Eric stava in
piedi, come a difesa di quei compagni coraggiosi che avevano rischiato la vita
anche per lui, non voleva lasciarli, erano indifesi a qualunque attacco; i sensi
tesi a percepire il minimo rumore, gli occhi verdi come il mare saettavano qua e
là, nella vana ricerca dei tre compagni
mancanti.
Serrò forte i
pugni sino a farsi male.
Tutto quel
dolore…
Quella
sofferenza…
Cosa mai avevano
fatto per meritarsi tutto quello?
Ma il bruno non
seppe rispondersi.
Improvvisamente,
un gran tossire alle sue spalle lo fece voltare e la sua attenzione si spostò su
una figura, ancora rannicchiata a terra, che cercava però disperatamente di
mettersi seduta; i corti capelli neri, spettinati più del solito, la pelle
solcata di graffi e ferite varie e un braccio abbandonato lungo il
corpo.
Il Comandante era
messo piuttosto male.
Roy Mustang era
ancora vivo.
Altri sommessi
colpi di tosse fecero capire al ragazzo che anche gli altri stavano
bene.
Eric sospirò di
sollievo, accucciandosi accanto a loro: “Come state?” chiese con un debole
sorriso, “Avete rischiato grosso.” aggiunse con un risolino imbarazzato, nel
vano tentativo di stemperare la tensione che si era creata. Hughes alzò la
testa, incrociando le iridi gemelle del nipotino: “Tu cosa ci fai qui?” chiese
con cipiglio serio lui, mettendosi seduto, “Ti avevamo detto di restare al
treno, cough..” tossì ancora il tenente colonnello, piegandosi su sé
stesso.
Eric lo tenne
dritto: “Eravamo preoccupati per voi, ma Pride-san non voleva lasciare Lust-chan
da sola e così sono venuto solo io, per fortuna sono arrivato appena in tempo.
Come vi sentite?” ripetè il bruno, squadrandoli con occhio critico, “Tutto ok…
Grazie amico.” disse Jean, facendo sdraiare Riza sulle sue gambe, malgrado le
proteste di quest’ultima.
Tutti si
zittirono.
“Dov’è Ed?” riuscì
solo a chiedere Roy, accorgendosi della mancanza del piccolo
Alchimista.
L’onice si
specchiò nel verde, attraversato da un lampo di incertezza e dubbio: “Non lo so…
Quando sono arrivato, c’eravate solo voi qui e…” ma le sue spiegazioni furono
interrotte da una voce sollevata, “RAGAZZI! SIAMO QUI!” urlò Greed, comparendo
tra le fiamme.
Sulle spalle
portava qualcosa.
Qualcuno.
Subito, Roy si
rizzò in piedi, malgrado la stanchezza.
Greed trasportava
il fratellino semisvenuto sulle spalle.
“Ehi, ma tu cosa
fai qui??” esclamò, sorpreso nel vedere Eric accanto a loro, “Pride-san mi ha
mandato qui ad aiutarvi, dal treno abbiamo udito lo scoppio e visto le fiamme.”
disse solo, aiutandolo a distendere Envy sull’erba soffice; sin dal primo
momento, le condizioni del ragazzo apparivano piuttosto gravi, sembrava essere
passato attraverso chissà cosa.
Un taglio profondo
sul capo aveva smesso di sanguinare, lasciando però un profondo segno scarlatto
sulla cute pallida, un debole respiro esalava dalle sue labbra
livide.
“Edward è lassù,
contro Archer, non possiamo lasciarlo combattere da solo.” disse con voce
debole, stringendo forte la mano del minore dei suoi fratelli, sentendosi lo
sguardo indagatore e ferito del Fuhrer addosso; dopo averlo coperto con la
giacca, il gemello si alzò in piedi, muovendo qualche passo verso il campo di
battaglia: “Non muovetevi di qui, sono stato chiaro? Vado a recuperare Edward e
ritorneremo.” disse solo, facendo per correre
via.
“F..Fermo!”.
Una voce imperiosa
lo bloccò; Roy si era alzato, il braccio ferito legato al collo: “Vado io,” si
offrì lui, “è per me che quel bastardo ha scatenato questo inferno, per
vendicarsi, non è necessario che vada tu.” affermò serio, il viso solcato di
piccole stille di sudore freddo, gli mancava il respiro, non riusciva a
distinguere bene le forme.
Era
esausto.
Ma ciononostante,
doveva proteggere Edward e tutti loro.
Non riuscì però
nel suo intento perché un dolore lancinante al petto lo fece stramazzare a terra
e, un momento prima di cadere nuovamente nell’oblio, udì la voce addolorata di
Greed sussurrargli una mesta richiesta di scusa, prima di scappare verso il
campo.
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Edward sentiva
male dappertutto, come se centinaia e centinaia di spilli gli si conficcassero
nelle carni martoriate da fuoco, fiamme e tagli, rubandogli a poco a poco quella
esigua vita rimastagli.
Rannicchiato a
terra, il Fullmetal Alchemist non aveva quasi più la forza di lottare, i suoi
automail completamente distrutti.
E ora, Archer
sembrava trionfare su di lui, indifeso e incapace di reagire al minimo
attacco.
Che quella fosse
veramente la fine?
Fine ingloriosa
per un’Alchimista di Stato come lui, lui, che si era tirato fuori da situazioni
ben peggiori di quella, lui, che era sopravvissuto così tante volte alla morte,
lui, che aveva perso.
Perso.
Era un
perdente.
Questo si
ripeteva, mentre, con la coda dell’occhio, guardava la parte di carne del viso
del suo aguzzino contrarsi in una smorfia gioiosa di follia: “Tu, moccioso,
credevi veramente di potermi sconfiggere? Si, lo ammetto, sei stato proprio
bravo a giungere sin qui, un moccioso normale non sarebbe mai arrivato nemmeno a
metà del viaggio, ma ora, per te, è la fine.” sussurrò con tono cattivo,
chinandosi su di lui, “Tu e Mustang pagherete per quello che mi avete fatto.”
bisbigliò mellifluo, mollandogli un calcio sul fianco martoriato.
Edward
urlò.
E ancora calci si
abbattevano su di lui, e pugni, udiva il sibilo sinistro dei cuscinetti a sfera
mentre i colpi si abbattevano violentemente su di
lui.
Il biondo
credette, seriamente, per un attimo, di morire.
Il dolore era
troppo intenso, non avrebbe retto ancora a
lungo.
Inaspettatamente,
proprio mentre si stava per abbattere su di lui il colpo mortale, udì un sibilo
sfiorargli delicatamente l’udito e qualcosa si infisse nel terreno, davanti a
lui, come una difesa.
Aprì debolmente un
occhio.
Una figura snella
stava dinanzi a lui.
“Ed-kun, tutto
bene?” gli chiese Greed, seriamente preoccupato per lui, non allentando però
neppure di un secondo lo sguardo sull’avversario, “Alzati, non lasciarti
abbattere, dobbiamo farla finita con questa storia, ormai è finita, poi ce ne
torneremo a casa.” gli sorrise benevolo, tendendogli la
mano.
Il biondo sembrò
tornare per un attimo alla vita.
Si.
Dovevano porre
fine a tutto quello.
Radunò le ultime
forze rimastegli per mettersi in piedi, sorreggendosi all’amico per le cattive
condizioni in cui versava il suo arto meccanico; il suo cuore aveva ripreso a
pompare sangue a pieno ritmo, l’adrenalina in circolo si mischiava con il caldo
rosso liquido, rinvigorendolo.
“S..Si, hai
ragione,” asserì con voce tremante il biondo, “Devo porre fine a tutto questo.”
disse, e gli occhi si colmarono di nuova
decisione.
Durante tutto quel
tempo, però, Archer era rimasto completamente
paralizzato.
Paralizzato da
quell’arrivo repentino.
Paralizzato da
quel ragazzo coi capelli scuri che era venuto a proteggere il suo
nemico.
Qualcosa che il
suo cuore non riusciva ad accettare.
Come
mai…
Come
mai…
Come mai lo stava
proteggendo?
No, Acciaio e
Mustang dovevano morire.
Era colpa loro se
LUI era morto.
E
ora…
Perché LUI stava
proteggendo il SUO assassino?
“PERCHÉ!?!?!” urlò
furioso Archer, balzando come una tigre sui due giovani, “PERCHÉ LO STAI
PROTEGGENDO, KIMBLEY!?! LUI TI HA UCCISO!!” ululò l’ex tenente colonnello,
estraendo la sua spada, “MUORI, EDWARD ELRIC!”.
Il tempo parve
fermarsi per un attimo.
Una lama affilata
si infisse nel petto di carne dell’androide, strappandogli un’espressione ferita
e sorpresa, la macchina che ormai più nulla aveva di umano, fissò lo sguardo sul
giovane gemello, seduto come sconvolto sul terreno erboso, dietro la schiena del
biondo Elric; un fiotto si scuro sangue eruttò dalle labbra dell’ex ufficiale,
macchiando il terreno di cremisi.
Ma, prima di
accasciarsi a terra, ormai privo di vita, egli scoccò un’ultima occhiata a
Greed, un occhiata colma di dolcezza malcelata, colma di parole mai
dette.
Con un tonfo
sordo, quel corpo martoriato cadde a terra.
Edward, ansante,
si ergeva in piedi dinanzi a lui.
La lancia ancora
infissa nel petto dell’avversario.
Edward Elric aveva
vinto.
La battaglia era
finita.
Avevano
vinto.
Ce l’avevano
fatta.
“Ghh…”.
Privo ormai di
forze, Acciaio mugolò di dolore prima di lasciarsi cadere a terra; ma la sua
caduta rovinosa fu fermata dall’amico, che lo prese delicatamente al volo,
evitandogli il contatto col freddo suolo: “Ci sei riuscito..” sorrise il
gemello, “C..Ci siamo riusciti… N…Non avrei mai potuto.. Farcela…. Senza di
voi.. Grazie..” tossì, un rivoletto vermiglio scivolò giù dall’angolo della
bocca. Greed lo pulì velocemente: “Grazie a te,
Edward.”.
Una dolce brezza,
prese a soffiare.
Sotto il suo
leggero tocco, le nubi si diradarono, lasciando il posto a un velluto di
incredibile bellezza, trapunto di splendide
stelle.
Si, era
finita.
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La stanza era
nella penombra, tranne che per un piccolo abat-jour sul
comodino.
Un silenzio
delicato regnava nella stanza, rotto di quando in quando da un leggero
sospirare.
Sul letto a due
piazze, sedeva una figura umana, adagiata su soffici
cuscini.
Tra le braccia,
era sdraiato un ragazzo, i lunghi capelli biondi spettinati sparsi
disordinatamente sul braccio dell’altro, che li carezzava con delicatezza; lo
stringeva a sé, piano ma con amore, una calda coperta gli avvolgeva il busto
nudo e fittamente bendato.
Privo di un
braccio e di una gamba, sembrava una bambola
rotta.
Ormai da giorni,
Edward dormiva e il suo era un sonno molto profondo, il suo organismo, già in
precedenza fortemente debilitato, necessitava di un lungo e intenso
riposo.
Da giorni, Roy
passava le sue giornate in quella stanza, vegliando sul biondo e accudendolo
nelle minime cose; per i primi tempi, il giovane, roso dalla febbre, era
tormentato da ulteriori incubi, si agitava nel sonno e nelle sue condizioni, non
potendo muoversi da solo, sarebbe stato peggio.
Ma ora, che la
febbre era sparita, il ragazzo dormiva finalmente
tranquillo.
Ogni tanto si
svegliava e questa per il Comandante era una gioia, poteva rivedere, anche se
solo per pochi minuti, il sorriso del più giovane, quel sorriso che lo aveva
fatto innamorare come un ragazzino.
Una folata di
vento gelido penetrò dalla fessura lasciata dalla finestra semichiusa, facendo
rabbrividire il piccolo addormentato, che si strinse maggiormente a
lui.
A malincuore, il
Comandante lo poggiò sul materasso e si allungò verso la finestra per chiudere
l’anta; un soffio di vento si insinuò sotto il suo pigiama, strappandogli un
brivido, erano ancora in pieno Ovest, quel clima rigido non scherzava; si
attardò a guardare fuori dal vetro il paesaggio notturno scorrere dinanzi a sé,
la fronte calda poggiata contro la superficie fredda e liscia, non accorgendosi
di un leggero movimento alle sue spalle.
“Che ore sono..
Roy..?”
Una voce stanca
giunse alle orecchie dell’ex Taisa, che si girò di scatto nell’udirla: il
Fullmetal Alchemist era seduto davanti a lui, ravvolto nella pesante coperta; il
peso dei due arti ancora presenti lo sbilanciava non poco e questi cercava di
ovviare alle mancanze puntellandosi con il
ginocchio.
Gli occhioni
dorati ancora gonfi di sonno erano socchiusi leggermente, puntando su di lui con
curiosità.
L’altro non disse
nulla, si limitò a tendere le braccia, permettendogli di accoccolarsi: “Sono le
due di notte. Come stai?” gli chiese dopo qualche minuto di silenzio, “Sono
stato meglio, ma non mi posso lamentare.” replicò il più giovane,
rannicchiandosi maggiormente, “Mi sento strano senza entrambi gli automail.”
ammise lui, guardando con malinconia il vuoto lasciato dai due arti, “non posso
nemmeno muovermi come voglio.” sbuffò, portando il moncherino del suo sinistro
sotto la coperta; il moro scoppiò in una risata sommessa, “E pensare che tu odi
i tuoi automail.” scherzò lui, “Comunque, non è poi una tragedia, una volta a
casa vorrà dire che Winry avrà del lavoro in più!” esclamò allegro, “Non sei
contento?”.
Edward rabbrividì:
“Mi ucciderà… non solo ho distrutto gli automail, ma sono riuscito anche a
danneggiare l’aggancio, questa volta sono morto.” tremò il
biondino.
Due dita gli
sollevarono leggermente il mento, facendogli alzare lo sguardo; le labbra di Roy
si posarono sulle sue, avviluppandole in un dolce bacio. Edward era stato preso
alla sprovvista, ma si sarebbe vendicato, oh, se lo avrebbe fatto. Un leggero
morso al labbro inferiore gli portò la vendetta tanto
desiderata.
L’altro si
ritrasse con un risolino divertito: “Vedo con piacere che stai bene, se ti
diverti a fare questi scherzi stupidi.” fece, falsamente offeso, massaggiandosi
la parte lesa; Edward gli sorrise, prima di andare a stendersi nella sua parte
di letto, “Non è l’ora, io ho ancora sonno..” fece, sbadigliando
sonoramente.
Un attimo dopo, si
era nuovamente addormentato, i capelli sudati sparsi sul cuscino, in disordine,
il colorito del viso leggermente arrossato, e non per la
febbre.
Roy sospirò,
accomodandosi nella sua metà e coprendo entrambi con una pesante
trapunta.
Lo avvicinò
maggiormente alla propria metà letto, scoprendo leggermente il viso per
permettergli di respirare: “Sei un pazzo, mame-chan, sei proprio un pazzo.”
constatò semplicemente, baciandogli la fronte sudata e
calda.
La luce fu spenta
e la stanza ripiombò nell’oscurità.
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Finalmente Ed,
all’alba del quarto giorno dalla partenza, fece il suo ingresso nella sala da
pranzo per fare colazione con gli altri; aiutandosi con una stampella. Roy era
rimasto a letto, la sua gamba ferita era più grave della sua e il biondo non
voleva che la sforzasse inutilmente per portare lui in
spalla.
Diamine, non era
un bambino, dopotutto.
Era magro da far
paura quando lo rividero, quel mattino,dopo tanti giorni passati incosciente e
se, da una parte, c’era sollievo per la sua ripresa, dall’altra anche
preoccupazione.
“Ehi, Ed, non
pensi sia meglio restare a letto? Non mi sembra tu stia bene.” propose Pride,
divorando un biscotto; l’amico sorrise, sedendosi davanti a lui alla grande
tavolata comune, “Sto bene, ho solo fame.” lo rassicurò, versandosi una tazza di
caffè bollente per svegliarsi, “basta minestrine!” esclamò
esasperato.
Lust scoppiò a
ridere: “Tutta salute, dovevi rimetterti in sesto, moccioso! E non venire a
dirmi che le mie minestrine non sono buone perché stavolta la paghi cara!” saltò
su Envy.
L’intero vagone si
lasciò andare alle risate.
All'improvviso,
udirono come uno strano rumore; azzittendosi, si accorsero che qualcosa si stava
avvicinando a loro.
E poi, una voce
conosciuta, familiare: “Ehi!! Del treno!!”.
L’Amestris, fino a
un momento prima lanciato a gran velocità verso Central, rallentò a poco a poco
sino a fermarsi.
Tutti si
assieparono ai finestrini.
Erano ormai nelle
pianure della capitale, il Sole non era ancora del tutto sorto, ma il lieve
ceruleo del cielo e la luce rosata facevano presagire una bella
giornata.
Fuori, sulle
rotaie parallele alle loro, vi era un altro mezzo a vapore, recante le insegne
del Governo.
Un uomo robusto li
salutava dalla testa, il viso solcato da lacrime di
commozione.
“è il Generale
Armstrong!” esclamò felice Jean, battendo le mani, “E ci sono anche Sheska, Ross
e Brosh!” intervenne Falman, “sono venuti a recuperarci, ma come hanno fatto?”
si chiese Pride.
“non ha
importanza, siamo a casa, dopotutto!” gioì Hughes, abbracciando il
nipote.
Edward fissava
malinconicamente fuori dal finestrino, l’unica persona che voleva veramente
vedere non c’era.
Anche Roy rientrò
nel salotto, salutando allegramente gli amici riuniti fuori quando una voce di
ragazzo risuonò cristallina nell’aria:
“NIISAN!!!”.
Ed si voltò e
scorse la zazzera disordinata del fratellino e la sua sagoma asciutta
sbracciarsi verso di lui.
Un tremulo sorriso
si dipinse sul suo visetto stanco.
Erano tornati a
casa.
FINITO!!
Si,
miei cari, questo è l’ultimo capitolo!!
C-Cosa
sono quelle faccine tristi??
Su,
non piangete… Non è il caso, sapete? Sono tornati tutti, stanno
bene!!
Che
volete di più!?!
Vabbè,
se proprio vi fa stare meglio…
Forse
una sorpresa in serbo per voi la ho…
Ma
prima…
GRAZIE!
GRAZIE
DI CUORE A TUTTI VOI!
GRAZIE
PER AVERMI ACCOMPAGNATO IN QUESTO LUNGHISSIMO VIAGGIO ATTRAVERSO
AMESTRIS.
GRAZIE
DI TUTTO!
PER I
MOMENTI BELLI, PER QUELLI TRISTI.
GRAZIE
DAVVERO.
Sono
contenta di aver dato retta a Shika, grazie di cuore amica
mia!
Questo
capitolo, però, lo voglio dedicare a una persona speciale, una persona a cui
tengo tanto.
Himitsu-san, ti dedico l’epilogo, te lo avevo promesso,
no?
Beh,
mi spiace, ma dobbiamo salutarci.
Ma non
temete, presto avrete mie notizie.
UN
BACIONE
SHUN