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Autore: Signorina Granger    02/10/2016    12 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
I Vincitori hanno votato: dopo la terza Edizione della Memoria ce ne sarà un'ultima... solo che a sfidarsi non saranno i ragazzi dei Distretti, bensì quelli di Capitol City.
Dicono che la vendetta vada servita fredda... e gli abitanti dei Distretti hanno aspettato per più di settant'anni; perciò che gli ultimi Hunger Games abbiano inizio, possa la fortuna essere sempre a vostro favore.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tributi di Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Capitolo 2: Come dirsi Arrivederci 




  “Mamma dai... ti prego, non piangere!”    Aaron sospirò mentre sua madre stringeva contemporaneamente i due figli in un abbraccio, singhiozzando sommessamente sulla spalla del primogenito.

Piangeva il cuore ad entrambi, vederla così... li faceva solo stare peggio il pensiero di doverla lasciare.

“Aaron ha ragione mamma, non fare così... ti prometto che ci proveremo, uno di noi tornerà a casa per occuparsi di te.”    Julian rivolse alla donna un debole sorriso mentre lei lo guardava con aria malinconica, accarezzandogli i capelli castani:

“È proprio questo il punto tesoro... vorrei che tornaste entrambi!” 


Tutti e tre sapevano che sarebbe stato difficile se uno di loro avesse vinto i Giochi... come avrebbero fatto Selene e Aaron o Julian a continuare a vivere normalmente senza uno dei due fratelli Bradshaw, con la consapevolezza che uno fosse morto per permettere all'altro di tornare a casa? La famiglia si sarebbe rotta più di quanto già non fosse successo con la morte del padre, avvenuta a causa di un incendio in cui il Pacificatore aveva fatto di tutto per salvare una famiglia. 


“Anche noi mamma, ma purtroppo non è possibile... c'è stata una sola Edizione con due Vincitori nella storia, e non ha portato a nulla di positivo. Mi dispiace.” 

Julian sospirò, abbracciando la donna che si aggrappò convulsamente alle spalle del figlio più piccolo prima di fare cenno ad Aaron di unirsi all’abbraccio. Forse normalmente il maggiore tra i due non si sarebbe messo a dispensare abbracci a destra e a sinistra, anche se era solo in una stanza con la madre ed il fratello... ma quella non era decisamente una circostanza normale e non era il momento di fare l’introverso. 

Aaron si avvicinò di nuovo alla madre, che appoggiò il capo sul suo petto sospirando.

“Non litigate, ok? Dovete aiutarvi a vicenda, non voglio vedere i miei figli che lottano l'uno contro l'altro.” 


“Tranquilla mamma, baderò io a Julian.” 

“Non ho bisogno della baby-sitter!”   Julian sbuffò e sfoggiò un’espressione indignata, che venne ricompensata con un’occhiata torva da parte del fratello, che finse di non averlo sentito mentre, conscia che il loro tempo stava per finire, Selene Bradshaw si staccava dai due, sorridendo mentre aveva gli occhi ancora lucidi:


"I miei bei bambini... per lo meno vi ho potuto vedere crescere... Vi voglio bene, ricordatelo sempre.” 

“Anche noi, sei stata una mamma fantastica!”   Julian sorrise dolcemente, sentendo di dover dire alla donna quello che pensava ma che non aveva mai espresso apertamente... aveva sempre pensato che non ci fosse bisogno di ricordarle quanto fosse sempre stata fantastica, ma in quel momento sentiva di doverglielo, visto che probabilmente era l'ultima volta in cui l'aveva davanti agli occhi. 


“Si, mamma... ti vogliamo bene. E faremo di tutto affinché tu non rimanga sola, te lo prometto.” 

Il tono fermo e lo sguardo serio di Aaron fecero intuire sia a Julian che alla donna che stava dicendo sul serio, che avrebbe davvero fatto di tutto pur di tornare a casa... o far sì che il fratello minore lo facesse. 


                                                                       *


Suo padre la teneva stretta in un abbraccio, accarezzandole i capelli tinti di un acceso rosa mentre diceva qualcosa, rivolgendosi a sua madre, le sue sorelle... o forse anche a lei, ma Africa non ci stava badando più di tanto.

Teneva gli occhi chiusi, la testa appoggiata sul petto del padre mentre cercava di godersi appieno quel momento e di fissarlo nella sua memoria, affinché non potesse dimenticare la sua famiglia.
Non aveva mai minimamente valutato seriamente come fosse partecipare agli Hunger Games... non si era mai posta il problema, limitandosi a guardarli in TV con famiglia e amiche mentre si concentrava a godersi appieno la vita piena di lusso che le era stata concessa. 

Ora però era tutto cambiato... e forse non avrebbe più vissuto insieme alla sua famiglia nella loro grande e bellissima casa, circondata da cose belle. 

Quando riaprì gli occhi Africa vide sua sorella minore guardarla con gli occhi lucidi, mentre la maggiore tra le tre sorelle Garrett la teneva per mano quasi come se volesse consolarla. 


“Mi dispiace, Fify... Ti vogliamo bene, non dimenticarlo. È comunque andranno le cose, saremo fieri di te.”  Il padre le diede un bacio sulla nuca mentre la ragazzina annuiva distrattamente, ordinandosi mentalmente di non versare lacrime prima di avvicinarsi alle sorelle, abbracciandole contemporaneamente:

“Promettetemi una cosa, ragazze... non dimenticatemi.” 

“Tranquilla Fify, sei perfettamente scolpita nei nostri cuori.” 


Sentendo le parole della sorella maggiore Africa sorrise appena, chiedendosi se fosse sincera o se stesse solo cercando di non ferirla... un singhiozzo sommesso le fece capire che la sua sorella era sull’orlo delle lacrime mentre la teneva stretta, le braccia che le circondavano la vita come se volesse impedirle di andarsene e lasciarla. 

“Ciao piccoletto... ti voglio bene, pensami ogni tanto... e tifa per me, mi raccomando.”   Africa abbasso lo sguardo, sorridendo alla sorella prima di strizzarle l'occhio e spettinarle i capelli, sperando che non vedendola in lacrime anche la piccola di casa non ne avrebbe versate.

La bambina annuì, mormorandole di rimando che le voleva bene prima che la porta di aprisse, facendo comparire una delle guardie personali della Paylor sulla soglia della stanza. 

Doveva andare, lo sapeva e lo sapeva anche la sua famiglia... Africa sorrise, rivolgendo a genitori e sorelle il suo ultimo saluto prima di girare sui tacchi e seguire la guardia fuori dalla stanza. 
Le sembrò di sentire un singhiozzo mentre percorreva il corridoio... sua madre stava frode piangendo? Se la immaginava benissimo, in lacrime e stretta tra le braccia di suo padre... ma non voleva assolutamente pensarci e scacciò in fretta quell’immagine dalla mente, decidendo di concentrarsi su altro anche se le risultò incredibilmente difficile. 


                                                                          *


Si sentiva un mostro.
Amanda Lace si sentiva un mostro, ma non poteva farci nulla: le veniva da sorridere. Sua madre piangeva davanti a lei, incurante del trucco che si sarebbe rovinato forse per la prima volta...

Sua madre piangeva, la stessa donna che guardava sempre gli Hunger Games e che esultava quando un Tributo che non le piaceva moriva... 

I suoi genitori adoravano gli Hunger Games, passione che la figlia non aveva mai condiviso... una volta l'avevano costretta a guardarli ed era dovuta correre in bagno a vomitare dopo aver assistito alla cruenta morte di un ragazzo, sgozzato dai Favoriti. 

Beh, ora guarderete la vostra figlioletta... non siete contenti? 


I genitori di Amanda erano entrambi Stilisti, e forse li avrebbe visti durante la Sfilata o alle Interviste... ma di certo gli Strateghi avrebbero fatto in modo che nè la madre nè il padre seguissero proprio lei, per evitare che potessero restare in contatto anche nella fase preparatoria dei Giochi. 


Amanda abbracciò entrambi con la consapevolezza che non li avrebbe mai più rivisti... perché infondo lo sapeva, proprio come lo sapevano loro: non sarebbe tornata casa, sentiva che sarebbe morta nell’Arena.

Che quella fosse la punizione per i suoi genitori, che avevano riso e gioito per anni davanti ai massacri? Forse, non ne era sicura... ma se era così di certo se l’erano meritato.

Solo, si chiedeva perché il destino l'avesse messa in mezzo.    


                                                                             *


“Ehy, piccola... vieni qui.” 

Malgrado tutto riuscì a sorridere, anche se si chiede dove avesse trovato la forza per farlo... 

Chelsea, la sua sorellina, obbedì e le si avvicinò, stringendo le mani dalle unghie dipinte di vivaci colori tra quelle della sorella maggiore, che le sorrise dolcemente mentre si era inginocchiata sul pavimento davanti a lei, in modo da essere alla sua stessa altezza.

“Non devi guardare i Giochi, me lo prometti? Solo la parte iniziale... prima dell’Arena. E anche se forse non tornerò a casa, sappi che ti voglio bene, ok?” 

“Anche io ti voglio bene April.”   Sorrise, accarezzando i capelli della bambina, ancora del loro colore naturale a differenza di quelli della sorella maggiore, tinti di viola.


“Promettimi una cosa, piccola... non fare in modo che la mamma o chiunque altro ti faccia venire strane idee, ok? Mi hai detto che vuoi fare la Stilista, promettimi che ci proverai e che avrai successo.” 

“Te lo prometto. Mi mancherai!”   Chelsea annuì prima di abbracciarla, facendola sospirare mentre, alle loro spalle, i genitori erano impegnati in una discussione.

O meglio, sua madre parlava quasi senza prendere fiato mentre suo padre era visibilmente nervoso: gli dispiaceva per lui, era sempre stato ansioso e si preoccupava sempre che le sue figlie si cacciassero nei guai... ed ora stava per guardare la sua primogenita andare al patibolo.


“Anche tu... ti penserò Chelsy, fallo anche tu ogni tanto.” 


Con un lieve, amaro sorriso April si alzò, sapendo che sua sorella avrebbe passato la vita a cercare di ricordarla, a chiedersi come sarebbe stato diventare grande sotto la sua supervisione... come sarebbe stato diventare adulte insieme. 

Peccato, non l'avrebbero mai saputo... lei non sarebbe mai diventata una giornalista, ma forse sua sorella al contrario sarebbe riuscita ad esaudire il suo desiderio... lo sperava, April lo sperava davvero. 

La ragazza si rivolse ai genitori e sua madre, stranamente, si zittì mentre la osservava.

Non avevano mai avuto un ottimo rapporto, diverse com’erano.. sua madre era sempre impegnata è molto arrogante, cosa che non era mai andata del tutto giù ad April.

La ragazza apri la bocca per salutarli ma la donna fece un gesto con la mano, zittendola all’istante: Melody Fisher, la raffinata ed elegante donna di successo che era, le aveva fatto segno di avvicinarsi senza dire nulla.

Quasi sconcertata April obbedì, non riuscendo a credere a quello che la madre stava facendo finché non fu effettivamente tra le sue braccia. 

"Ti voglio bene, April.” 


La ragazza sbattè le palpebre un paio di volte prima di sorridere appena, ricambiando le parole della madre con un pensiero fisso nella mente: ci erano voluti gli Hunger Games tra i ragazzi di Capitol per far sciogliere sua madre, anche solo per cinque minuti. 


“Anche io mamma.” 


                                                                           *


“Non fare quella faccia... cercherò di tornare, te l'assicuro. Con un po’ di fortuna, tra un mese al massimo mi rivedrai.” 

Black sorrise, ma suo fratello continuò a guardarlo con gli occhi carichi di una tristezza quasi dolorosa, come se fosse sicuro che quello fosse un addio, e non un arrivederci.


“Lo spero tanto Black... farò il tifo per te, ovviamente. So che hai le possibilità per vincere, quindi impegnati... per favore.” 

White sospirò e il fratello sorrise, annuendo prima di avvicinarglisi e abbracciarlo, per una volta: si volevano bene, ma erano così diversi che di rado si manifestavano affetto l'un l'altro... il bianco e il nero, i due fratelli Hole rispecchiavano appieno i loro nomi, a volte odiandosi ma esercitando comunque un’innegabile attrazione l'uno verso l’altro, esattamente come i colori da cui prendevano i nomi. 

“Lo farò senz’altro... gliela farò vedere alla Ghiandaia Imitatrice, di che pasta sono fatti i Capitolini... specialmente gli Hole.” 

Black sorrise quasi come se non fosse poi così preoccupato o afflitto di dover entrare nell'arena... o forse in realtà lo era, ma non voleva mostrarsi debole nemmeno con suo fratello, che lo conosceva meglio di chiunque. 


“So che lo farai... ma quando sarai lì e tutti assumerà una prospettiva diversa ricordati che ti voglio bene, comunque vadano le cose.” 

Lo sguardo laconico di White, così come il suo tono serio e quasi afflitto, fecero riflettere il fratello anche in seguito, quando lascio la stanza insieme ad una guardia che l'avrebbe condotto al Centro Immagine. 

Suo fratello gli aveva forse fatto intendere che, qualunque cosa sarebbe successa nell’Arena e anche se fosse cambiato tramutandosi in un mostro, lui sarebbe stato sempre e comunque dalla sua parte? 

Non ne era del tutto sicuro, ma Black sperò di non aver frainteso... 
                                                              

                                                                           *


Probabilmente quelli furono i cinque minuti più lunghi della sua vita, ma Brittany non lo disse mai ad alta voce. 

Teneva la gambe distese davanti a se mentre aspettava, seduta su una fredda sedia di metallo attaccata alla parete. Con le mani, incapaci di stare ferme, continuava a torturarsi l’orlo della camicia o le maniche, continuando a rigirarle e srotolarle.

Accanto a lei c'era un ragazzino più piccolo di lei, che se ne stava in silenzio mentre teneva gli occhi scuri fissi sul muro davanti a loro e le braccia conserte, in un chiaro atteggiamento di chiusura. 

Non che Brittany avesse molta voglia di chiacchierare a sua volta... ma si chiedeva se anche lui non avesse i genitori, proprio come lei. 
In realtà c'era qualcosa di familiare in lui... Brittany si chiese dove potesse averlo già visto e arrivo alla conclusione che forse l'aveva incontrato proprio all’orfanotrofio dove aveva passato buona parte della sua vita.


“Nemmeno tu hai qualcuno da salutare?” 

“Già.”   David si strinse nelle spalle, come se la cosa non gli pesasse affatto. Brittany si voltò verso di lui, osservandolo con attenzione e cercando di ricordare se per caso l'aveva visto di recente... ma niente, sembrava che quel ragazzino fosse sparito dalla sua memoria negli ultimi anni.

Forse era stato adottato e aveva perso i genitori durante le rivolte? 


“Per caso ci conosciamo? Hai un'ora familiare.” 

“Nemmeno tu hai nessuno da salutare, quindi può darsi che tu mi abbia visto all’orfanotrofio. Ci sono stato per un bel po’, fino a quattro anni fa.” 

“Quindi ti hanno adottato?” 

“No... me ne sono andato e basta.” 

David si strinse nelle spalle, facendole capire che non c'era nient’altro da dire sulla questione. Brittany annuì, afferrando il messaggio e lasciando cadere l'argomento: come lei, nemmeno lui era stato adottato... ma un bel giorno sembrava che avesse deciso di andarsene, anche se era solo un bambino. 


Mentre aspettavano che i loro “compagni” salutassero le loro famiglie, nessuno dei due disse altro, facendo calare di nuovo un silenzio quasi tombale nel lungo corridoio mentre entrambi si chiedevano come dovesse essere dire addio ai propri genitori o ai propri fratelli... se non altro, loro non dovevano subire quel supplizio, anche se ad entrambi non sarebbe dispiaciuto avere qualcuno da cui sperare di tornare a casa, qualcuno per cui lottare fino alla fine. 


                                                                               *

“Mi mancherai.” 

“Anche tu.” 

Faye sospirò, allontanandosi leggermente dalla sorellina per guardarla in faccia, accarezzandole dolcemente i capelli prima di alzare lo sguardo sul fratello di 8 anni che guardava le due tenendosi a leggera distanza.

“Elih... comportati bene con lei in mia assenza, ok? Io non ci sarò più a controllarvi, fai il bravo.” 

Con sua somma sorpresa il bambino annuì, evitando per una volta di replicare in malo modo come era solito fare. Si volevano bene certo, ma non andavano molto d'accordo... il bambino si divertiva moltissimo a fare dispetti e scherzi alla sorellastra maggiore, che teneva che ora se la sarebbe presa con Hope, la piccola di casa di soli 4 anni. 


“Tranquilla Faye... Elih farà il bravo, te lo garantisco.”   Mentre si rialzava Faye rivolse al suo patrigno un debole sorriso, che ricambiò prima di abbracciarla. 

“Vorrei che la mamma fosse qui.” 

“Io no... si disperdere sapendoti nell’Arena... forse è meglio così.” 

Jacob le accarezzò i capelli, sospirando prima di darle un bacio sulla fronte, come quando era piccola prima che si addormentasse. 


La ragazzina annuì con un cenno del capo prima di abbracciarlo, mormorando un “ti voglio bene” appena udibile mentre Hope assisteva alla scena, per sua fortuna non pienamente consapevole di quello che stava succedendo... o che stava per succedere.

Staccandosi dal patrigno Faye si rivolse ad Elih, sorridendogli prima di avvicinarsi al bambino che la guardava di rimando:

“Ciao piccola peste... mi mancheranno i tuoi scherzi diabolici. Cerca solo di non far dannare tuo padre e Hope, ok?” 

“Tu dove vai Faye?” 

“Non in un bel posto Elih... e forse non tornerò mai a casa, quindi promettimi che farai il bravo.” 

Il bambino annuì, guardandola e cercando di capire le sue parole: nessuno si era mai fermato a spiegargli chiaramente la storia degli Hunger Games, per sua fortuna... e Faye non aveva nessuna intenzione di spiegargli cosa le sarebbe successo, non certo in quel momento. 

“Te lo prometto. Quindi tornerai più?” 

“Ho paura di no... però sappi che ti voglio bene, combina-guai che non sei altro.” 


Faye sorrise prima di abbracciare il fratellino, mentre alle loro spalle Hope si era avvicinata al padre e lo stava chiamando, tirandogli anche l’orlo della giacca per attirare la sua attenzione.

L'uomo però sembrò non farci caso, tenendo lo sguardo su Elih e Faye stretti in un abbraccio, spettacolo a cui aveva assistito di rado negli ultimi anni. 

Jacob sorrise, gli occhi improvvisamente lucidi mentre abbassava lo sguardo sulla bambina di quattro anni, chinandosi per prenderla in braccio:

“Scusa piccola, stavo guardando i tuoi fratelli. Credo proprio che Faye ci mancherà tanto...” 


                                                                               *


“Dai mamma, non fare così...” 

“Per l’amor del cielo Poppy, lascialo stare! Non è certo un bambino...” 


Mitchell Gold sbuffò, standosene seduto su una sedia dallo schienale rigido e rivolgendo alla moglie, di più di vent'anni più giovane, uno sguardo quasi seccato.
La donna si voltò leggerete verso il marito, fulminandolo con lo sguardo prima di replicare a mezza voce:

“È mio figlio e lo saluto come più mi aggrada...” 


Caius sospirò, chiedendosi come sarebbe stato il clima a casa loro una volta che se ne sarebbe andato... sua madre non amava per niente suo padre e non aveva mai fatto niente per nasconderlo... Gli dispiaceva lasciarla da sola con lui, conoscendo il suo carattere difficile... anche perché era perfettamente consapevole di quanto la donna tenesse a lui e che avrebbe sofferto molto se non sarebbe più tornato a casa.

Poppy tornò infatti a rivolgersi a lui, sorridendogli dolcemente e accarezzandogli il volto:


“Non pensavo che sarebbe mai arrivato questo giorno... ti voglio bene tesoro.” 

“Lo so... anche io.” 


Normalmente le moine di sua madre lo infastidivano leggermente, ma quel giorno si lasciò abbracciare dalla donna, che trattenne a stento un singhiozzo mentre lo stringeva tra le braccia. Vide chiaramente suo padre rivolgere alla scenetta un’occhiata quasi esasperata, cosa che non lo stupì affatto: l'uomo non era mai stato un grande fan delle manifestazioni d’affetto... e non aveva mai appoggiato l’atteggiamento di sua moglie nei confronti del loro unico figli, che era sempre stato viziato moltissimo dalla madre.


“Hai finito Poppy, posso salutarlo anche io?” 

“Non so quanto reggerò senza di te, tesoro...”.  Il borbottio sommesso della madre fece, malgrado tutto, sorridere Caius, che le rispose a mezza voce:

“Lo so... ma stagli vicino anche per me, ne ha bisogno.”  Caius le strizzò l’occhio prima di allontanarsi leggermente da lei per andare a salutare anche suo padre. 
Vide sua madre sorridergli con la coda dell’occhio e seppe che non avrebbe lasciato il marito... non se glie l'aveva chiesto lui, prendendolo un po’ come il suo ultimo desiderio che non poteva non cercare di esaudire a tutti i costi.

O almeno, così sperò Caius.
   

                                                                                    *


“Non riesco a crederci... ti ha praticamente ignorato!” 

“Non mi sorprende... infondo erano quattro anni che non le parlavo Carly, pensavi davvero che mi avrebbe abbracciato in lacrime, sostenendo di volermi bene e che si è pentita di avermi sbattuto fuori di casa?” 


Il tono ironico del fratello fece sospirare Carly, che scosse il capo mentre percorreva il corridoio insieme a Wilhelm, dopo aver salutato la madre.
Erano stati ovviamente sistemati nella stessa stanza, ma con gran indignazione della ragazzina la madre aveva praticamente ignorato il primogenito, rivolgendogli solo un freddo saluto e concentrandosi invece sulla figlia.

Non che si fosse sprecata in troppe manifestazioni d'affetto anche per lei... ma almeno l'aveva salutata e per una volta ci aveva provato, a fare la madre. 


“si beh, poteva almeno degnarsi di rivolgerti la parola...” 

“Lascia stare Carly, la conosci... lo sai com’è fatta.”  Wilhelm si strinse nelle spalle, parlando con una punta di amarezza impressa nella voce. 

Dubitava fortemente che la donna gli sarebbe mancata... ma era deciso a fare di tutto affinché sua sorella tornasse a casa. Non certo per non far restare sola la madre, ovviamente... ma Carly aveva solo 13 anni e non poteva permettere che la sua vita venisse interrotta così, per una stupida ripicca. 

I fratelli Grace uscirono dal Palazzo di Giustizia, trovando alcuni dei loro compagni già riuniti sui gradini dell’edificio, aspettando che tutti uscissero prima di raggiungere il Centro Immagine insieme al resto del gruppo. 


La sera dopo ci sarebbe stata la Sfilata... ma per la prima volta nella storia dei Giochi, i preparatori non avrebbero dovuto faticare molto con i loro Tributi: erano tutti piuttosto curati, o almeno la maggior parte di loro. 
Difficile dire se la cosa avrebbe reso felici o meno gli staff, che secondo Carly spesso provavano quasi divertimento nel torturare, a modo loro, i poveri Tributi dei Distretti.


Wilhelm si avvicinò ad un ragazzino che dimostrava più anni di quanti non ne avesse, ma Carly sapeva che aveva invece un anno in meno di lei.
Non ricordava il suo nome dalla Mietitura, ma le era sembrato che suo fratello lo conoscesse... e infatti il ragazzo gli sorrise, dandogli una leggera pacca sulla spalla.

“David... lei è mia sorella Carly.” 

David sposto gli occhi sulla bionda, rivolgendole un sorriso stranamente allegro per la situazione in cui erano, lasciandola leggermente interdetta. Non era affatto come gli altri Capitolini, con i capelli arruffati e gli abiti un po’ sgualciti... forse suo fratello l'aveva conosciuto proprio in strada? 

“Ciao Carly... non mi avevi detto che tua sorella fosse tanto bella, Wil!” 

“Ti pareva... stai alla larga da lei, chiaro? Carly, se ti da fastidio chiamami, quando si tratta di ragazze carine bisogna dargli una regolata.” 


Wilhelm sbuffò, dando al ragazzino una leggera sberla sul retro del collo, facendolo ridacchiare mentre Carly seguiva la scena con tanto d’occhi, guardando i due quasi interdetta: ma come facevano a ridere in quel momento? Sembrava che suo fratello fosse sinceramente affezionato a quel ragazzino... di certo si era persa molte cose riguardo al fratello negli ultimi quattro anni, ne era perfettamente consapevole. 

   
                                                                          *


“Non fare quella faccia Daniel, non mi metterò a dispensare abbracci.” 

“Non ti chiedo certo questo, Lou... ma credo che potreste salutarvi come si addice a questa situazione, almeno oggi.” 

Daniel sospirò, guardando il fratello minore con aria quasi esasperata mentre i genitori dei due discutevano, in un angolo della stanza.
Louis si strinse nelle spalle, non curandosi troppo delle parole del fratello maggiore: capiva il suo punto di vista, ma aveva litigato con i genitori per anni... sarebbe stato ipocrita mettersi a giocare alla famiglia unita e felice, anche se lui stava per andarsene per sempre. 


Daniel capì che non sarebbe riuscito a convincerlo in ogni caso e annuì quasi con rassegnazione:

“D'accordo, come vuoi... ma ti vogliono bene Lou, anche se ti rifiuti di riconoscerlo... e anche io. Mi mancherai, piccoletto.” 

Daniel sorrise quasi amaramente, avvicinandosi al ragazzino e abbracciandolo. Per una volta Louis non si ritrasse, ricambiando la stretta e cercando un modo per ricambiare le sue parole... non era mai stato un tipo molto affettuoso, anche se si trattava della sua famiglia.


“Anche io ti voglio bene Dan... cerca di non fare il figlio perfetto per sempre, però.”

“D'accordo, ci proverò... ma ora vai a salutare mamma e papà, te lo ordino.” 


“Io non mi faccio dare ordini da nessuno, specialmente dal mio perfettino fratello maggiore!” 

“Allora prendilo come l'ultimo favore che mi farai, Lou... per favore, vai dalla mamma e abbracciala, stanotte la sentirò piangere tutta la notte e voglio vedervi andare d'accordo almeno per una volta.” 

Louis indugiò ma poi si arrese, annuendo con fare arrendevole prima di avvicinarsi ai genitori, che si zittirono di colpo al vederselo andare incontro.
Senza dire nulla il ragazzino si avvicinò alla madre, che quasi ammutolì quando il figlio più piccolo l'abbracciò: quando era successo l'ultima volta? Forse troppo tempo prima.

La donna ricambio la stretta quasi commuovendosi mentre Daniel sorrideva, assistendo alla scena con sincero sollievo: forse ci aveva messo troppo, ma ce l'aveva fatta... peccato che quell’abbraccio fosse arrivato propio con gli Hunger Games. 


                                                                          *


“Mi dispiace che tuo padre non possa essere qui.” 

“A me no... forse è meglio così, sarebbe stato insopportabile doverlo salutare così.” 

Rubinia sospirò, cercando di non pensare al padre che era ancora in prigione... probabilmente in quel momento si stava disperando, implorando affinché gli venisse permesso di vedere la figlia... ma la ragazza forse preferiva così, non vedendolo. 

Sciolse l’abbraccio della madre, rivolgendole un debole sorriso nel vano tentativo di tirarla su di morale:

“Non fare quella faccia... farò di tutto per tornare a casa, ti renderò fiera di me, te lo prometto.” 

"Non devi vincere per rendermi fiera, Rubinia... devi tornare perché non voglio perdere mia figlia, come un mucchio di altre povere donne.” 

La donna sospirò, guardando sua figlia come se non la capisse: non capiva perché era quasi entusiasta di andare nell’Arena, perché fosse così determinata a dimostrare qualcosa a tutta Panem... le voleva solo che la sua unica figlia tornasse da lei, non sopportava l'idea di restare sola con il marito in prigione.


“Quello che stanno facendo non è giusto, avrebbero dovuto far partecipare solo i figli dei politici più influenti... ma è andata così e rimuginare non serve. Credo sia meglio iniziare con la consapevolezza di quello che accadrà, mi hai insegnato tu a non piangermi addosso e non ho intenzione di iniziare a farlo proprio ora.” 

La donna annuì, sorridendo alle sue parole e accarezzando i capelli rossi della figlia, guardandola con sincero affetto:

“Ti adoro Ruby... sei molto più forte di me, fortunatamente. Ti voglio bene, e anche tuo padre.” 

“Lo so... credimi, lo so.” 


Sorrise, cercando di non pensare a suo padre mentre la madre l’abbracciava. Il tempo che avevano per salutarsi ormai stava per finire, ma la ragazza non aveva rimpianti: erano passati a salutarla anche alcuni suoi compagni di scuola, cosa che l'aveva quasi commossa...  era sempre stata una persona benvoluta un po’ da tutti, ma non si era aspettata di vederli. 

Quando se n'erano andati, tra le lacrime, Rubinia era rimasta sola con sua madre... e con suo sommo sollievo la donna non aveva pianto: sarebbe stato molto più difficile trattenersi, vedendo la madre in lacrime. 


Le due si staccarono e Rubinia le sorrise debolmente, mentre una guardia le faceva cenno di seguirlo fuori dalla stanza.

“Devo andare... fai il tifo per me, mi raccomando.”

“Sono sempre stata la tua più grande spalla Ruby... sono tua madre, è così che deve essere. Spero davvero che, un giorno, capirai quello che si prova.” 


                                                                    *


Quando la porta si fu chiusa alle sue spalle Tonya sospirò, incamminandosi dietro alla guardia. Martin, il suo ragazzo, non era andato a salutarla... la cosa non l'aveva stupita più di tanto e non ci era rimasta poi male, visto che sarebbe stato molto più strano il contrario.

Salutare sua zia, quello sì che era stato difficile.

Suo padre non aveva mai voluto conoscerla e, quando aveva perso anche sua madre, ed stata cresciuta ed adottata dalla prozia, che le aveva trasmesso più affetto di chiunque altro avesse mai incontrato. 

Sua zia Christa ormai era abbastanza anziana e le piangeva il cuore diversa lasciare... l'aveva accudita per otto anni e ora che era invecchiata avrebbe voluto ricambiarle il favore... purtroppo però, forse non ne avrebbe avuto la possibilità. 

Mentre camminava lungo il corridoio Tonya vide un ragazzo uscire da una stanza, un ragazzo che aveva di certo già visto.
Non era certa di ricordare correttamente come si chiamasse, visto che negli ultimi tempi l'aveva visto molto di rado... ma Kalem Schweinson era molto difficile da dimenticare: i suoi capelli e la carnagione chiarissimi erano una specie di firma.

Kalem la vide e le sorrise, facendole gelare il sangue nelle vene: era sempre stat molto insicura, tanto ad attaccarsi a chiunque fosse disposto ad accettarla... ma non era certa che sarebbe riuscita a farlo con un ragazzo del genere, tanto bello quanto intimidatorio.

Aveva sentito un mucchio di storie su di lui a scuola... voci che erano solo aumentate quando Kalem aveva abbandonato gli studi, comparendo solo durante qualche festa in pompa magna. 

Tonya non ricambio il sorriso, affrettandosi a spostare lo sguardo e affrettando anche il passo, desiderando improvvisamente di stare il più possibile alla larga da lui: non aveva mai creduto alle storie sul suo conto, ma non moriva comunque dalla voglia di farci una chiacchierata... il sorriso di quel ragazzo era semplicemente raggelante, tutto fuorché rassicurante. 

Probabilmente avrebbe avuto modo di conoscerlo meglio nei giorni seguenti, prima di entrare nell’Arena e nel cuore dei Giochi...

Non era sicura se la cosa le facesse piacere o meno. 


                                                                                 *


Uscendo dalla stanza Sean sospirò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli color grano prima di incamminarsi nel corridoio, cercando di non pensare alle lacrime della sua sorellina di 8 anni.
Gli dispiaceva immensamente per lei, in effetti... Fabian, di soli sei anni, era morto pochi mesi prima grazie alle mine lanciate dalla Coin, e ora la bambina di sarebbe trovata anche senza il fratello più grande, oltre che senza padre visto che era morto durante la rivolta. 

Sapeva che avrebbe fatto di tutto pur di tornare a casa, non sopportando che la sorellina stesse da sola... i suoi vicini di casa si erano offerti di badare a lei, promettendo che si sarebbero presi cura di Emma. Sean non aveva alcun dubbio su quella promessa, ma voleva comunque tornare per riabbracciarla.

Mentre percorreva il lungo, quasi infinito corridoio una delle numerose porte si aprì è una ragazza che doveva avere circa la sua stessa età fece la sua comparsa, rivolgendogli un debole, quasi timido sorriso prima di imitarlo e avviarsi verso l'uscita del Palazzo di Giustizia. 

La riconobbe come una delle prime ragazze ad essere state estratte, ma non era sicuro al 100% sul suo nome: gli sembrava si chiamasse Astrid, ma non ci avrebbe scommesso.

In genere era sempre molto attento anche ai minimi dettagli, ma durante la Mietitura il suo cervello era andato in una specie di cortocircuito... aveva avuto la testa per aria per tutta l'estrazione delle ragazze, cercando sua sorella con lo sguardo mentre pensava a cosa le sarebbe successo se fosse stato estratto. 

Fortunatamente Emma non aveva l'età per essere tra i possibili Tributi... fortunatamente avevano deciso di attenersi alle classiche regole dei Giochi, estraendo solo ragazzi dai 12 ai 18 anni. 


E almeno quella era l'ultima edizione dei Giochi, quindi avrebbe potuto passare a miglior vita senza doversi preoccupare per la vita di sua sorella. 

Nessuno dei due parlò per quasi tutto il tragitto e Sean si chiese se anche lei stesse pensando alla sua famiglia, magari ai fratellini che anche Astrid aveva dovuto lasciare.

Tuttavia era sempre stato riservato, troppo per mettersi a fare domande ad una perfetta estranea, specialmente in un momento delicato come quello... stranamente, fu lei a rompere il silenzio, voltandosi verso di lui prima di tendergli la mano:

“Ciao... io sono Astrid.” 

“Sean.” 

Il ragazzo abbassò lo sguardo sulla piccola e pallida mano della ragazza mentre la stringeva tra la sua, in netto contrasto poiché molto più grande e abbronzata.

Lei gli sorrise debolmente, senza aggiungere altro mentre un pensiero si faceva velocemente strada nella testa di Sean: ovviamente voleva tornare a Capitol e ci avrebbe provato... ma già sentiva che sarebbe stata dura mettersi ad uccidere un gruppo di suoi coetanei, specialmente se si sarebbero presentati sorridendo così innocentemente.

                             
                                                                            *


Erica aveva una famiglia abbastanza numerosa, ma non andava particolarmente d'accordo con alcuni di loro... eppure quel giorno stava abbracciando e salutando tutti, incondizionatamente.
Non aveva mai avuto un bel rapporto con sua madre, giudicandola da sempre troppo apprensiva nei suoi confronti... ma quando la donna si era commossa non aveva potuto fare a mano di abbracciarla.

Aveva sempre avuto un rapporto burrascoso anche con il fratello maggiore Danny, essendo di caratteri completamente opposti... eppure aveva abbracciato anche lui che le aveva persino detto di volerle bene.

Sembrava che i Giochi portassero le famiglie ad essere più unite del solito, a quanto pareva. 

Persino suo padre, che benché adorasse la figlia era sempre stato poco affettuoso, l'aveva stretta in un abbraccio quasi soffocante...

Erica aveva iniziato a chiedersi se non fossero tutti impazziti, ma poi si era concentrata sulla sua adorata sorellina Sidney, dimenticandosi delle stranezze di genitori e fratello maggiore. 

“Mi mancherai piccola... ricordati che ti voglio bene.”  Sidney spesso si lamentava che la sorella fosse, a volte, troppo protettiva nei suoi confronti... ma non si ritrasse neanche di un millimetro da quell’abbraccio, trattenendo a stento i singhiozzi. 
Erica si era ripromessa di non piangere, di non commuoversi nemmeno davanti alla sua stessa famiglia... ed era andata davvero molto bene fino ad un certo punto, quando aveva incontrato gli occhi chiari di Adrian, suo fratello gemello.

Quando il ragazzo l'aveva abbracciata Erica non aveva retto e aveva pianto sul serio, alla fine... perché non riusciva nemmeno ad esprimere a parole quanto le sarebbe mancato il gemello, di certo la persona che amava di più e che meglio la capiva. 

Tutti si erano stupiti leggermente nel vederla esporsi tanto, ma la ragazzina non ci aveva badato neanche un po’... non le importava di cosa pensava la sua famiglia o anche l'intera Capitol mentre stringeva suo fratello, chiedendogli di non dimenticarla e ripromettendosi di fare assolutamente di tutto pur di tornare a casa da lui. 


                                                                              *


Cyrus stava seduto su uno dei gradini, insieme a gran parte dei suoi compagni... ad occhio, non potevano che essere rimasti in un paio dentro il Palazzo. 

Aveva salutato la sua famiglia poco prima e già sentiva che gli mancavano... non era certo granché, come inizio.

Nessuno sembrava aver molta voglia di parlare mentre aspettavano e sul gruppo era calato un silenzio generale... gli unici a parlottare tra loro a mezza voce erano i fratelli Bradshaw, anche se cogliere cosa si stessero dicendo era impossibile. 

Cyrus conosceva di vista molti tra gli altri Tributi, visto che un bel numero aveva la sua stessa età... c'era ovviamente Caius Gold e la vivace Brittany Dask, che però quel giorno non sembrava avere molta voglia di sorridere... la bionda Amanda Lace se ne stava in un angolo e in silenzio, probabilmente aspettando che la sua amica comparisse. 


In effetti, Cyrus non era sicuro che avere un caro amico tra gli altri Tributi fosse un bene... da una parte c'era un considerevole supporto morale, ma dall'altra di certo la sofferenza nell'Arena sarebbe aumentata a dismisura. 


Cyrus abbassò lo sguardo, guardandosi i piedi senza sentire la voglia o il bisogno di parlare... era sempre stato piuttosto socievole, ma quello non era decisamente il momento giusto per mettersi a fare conversazione e sembrava che tutti fossero della sua stessa idea. 

Meno di un minuto dopo sentendo un lieve mormorio generale il ragazzo alzò lo sguardo, provando una sensazione di sollievo nel vedere Astrid Walsh e un ragazzo di cui non ricordava il nome uscire dal Palazzo, avvicinandosi al gruppo.

Non che morisse dalla voglia di recarsi al Centro Immagine per dare ufficialmente inizio alla fase iniziale degli Hunger Games... ma quell’attesa era stata decisamente estenuante, passata ad immaginare di tutto e più riguardo a cosa sarebbe successo una volta nell’Arena. 

E mentre Cyrus si alzava per seguire i compagni e le guardie della Paylor sulla navetta che li avrebbe portati al Centro Immagine, ebbe la spiacevole sensazione che tutto quello che aveva immaginato non sarebbe stato neanche lontanamente brutto come la realtà che lo aspettava. 













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Angolo Autrice:


Buonasera! Per prima cosa mi scuso per gli errori che di certo abbonderanno, ma sono davvero presa con le bombe e non ho avuto tempo di rileggerlo volendo pubblicarlo questa sera... 
Scusate se non mi dilungo oltre ma ho un altro capitolo da finire, quindi vi saluto e vi auguro un buon inizio settimana... grazie mille per le recensioni che avete lasciato allo scorso capitolo, spero di aggiornare presto! 


Signorina Granger 







   
 
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