Capitolo uno:
As archísei o fóbos
Che regni la paura
Diana stava camminando lentamente.
Si trovava in una foresta rigogliosa. Nessun ramo di nessun albero era
privo di una singola foglia. Attorno, il muschio ricopriva il sentiero
nascondendolo, e arrivava anche sui tronchi, celando la corteccia per
almeno metà di essa. Tanti fiori crescevano a terra, di
diversi colori e tipi che a causa della sua ignoranza in materia non
riusciva a distinguere.
Dalle chiome degli alberi traspariva la luce della luna, talmente forte
da illuminare la strada.
Era fantastico.
Diana continuò a camminare con ritmo veloce, meravigliata
della bellezza che la circondava.
D'un tratto, però, la foresta finì.
La diciottenne arrivò in un punto in cui non vi erano
alberi, ma davanti a lei si stagliava la figura di una grotta enorme.
Esitò un attimo, ma poi la curiosità la spinse ad
entrare.
All'interno, la cava era perfino molto più grande di quello
che la ragazza si aspettava. In alto vi era un enorme buco che lasciava
entrare la luce lunare , illuminando il laghetto sottostante. Sopra di
questo vi era un' apertura, come se vi fosse un'altra entrata.
Presa dalla curiosità, cominciò a muoversi
velocemente per raggiungere quel punto, ma dovette fermarsi, sorpresa:
qualcosa, nell'ombra, si stava muovendo.
Diana fece un balzo goffo di lato, andandosi a nascondere dietro un
grande masso, ma senza dare le spalle all'entrata. Facendo attenzione a
non farsi vedere, si sporse leggermente notando che, a muoversi, era
una tigre. Una tigre bianca.
La ragazza trattenne un sussulto, non riuscendo a nascondere la
sorpresa: erano pochissime, ormai, a Leykios, le tigri bianche. Non se
ne vedevano da anni. A dir la verità, Diana le aveva viste
solo nei libri.
L'animale si muoveva con maestosità e sguardo fiero, era
piuttosto grande e anche per questo la diciottenne tentò di
nascondersi ancor di più, quando la tigre si girò
verso di lei, fissandola.
Il cuore della ragazza perse un colpo dallo spavento, ma l'altra
sembrava non avere intenzione di farle del male. Infatti, si
voltò e continuò a camminare verso quella che
sembrava una seconda grotta.
Accigliata, Diana si alzò lentamente e, allo stesso modo,
seguì la tigre. Quest'ultima, in due soli balzi
riuscì a raggiungere l'ingresso, mentre la ragazza ci mise
di più, arrampicandosi, senza troppa fatica però.
Una volta dentro, la ragazza notò che l'animale era svanito.
Fece un passo indietro, andando a sbattere contro una parete rocciosa.
Voltandosi, fece uno scatto di lato, sorpresa: l'ingresso da cui era
entrata era sparito.
Si girò, analizzando il posto dove si trovava. Era piccolo e
illuminato, sebbene poco, grazie ad alcune torce da muro attaccate alle
pareti della grotta. Andando avanti vide che al centro vi era una sorta
di altare di pietra, simile a quello che in antichità si
usavano per i sacrifici agli dei. Lo sguardo della ragazza fu attirato
da qualcosa che si stava muovendo sopra l'oggetto. Contrasse la
mascella e, sebbene sempre più spaventata, si
avvicinò. Comunque, non sarebbe potuta andare da nessuna
parte.
Una volta avvicinatasi all'altare sussultò, portandosi una
mano alla bocca e sgranando i suoi occhi viola.
Distesa, in un bagno di sangue, stava una figura femminile piuttosto
esile dai lunghi capelli azzurri e le orecchie a punta. Il volto era
sfigurato da una smorfia di terrore. Gli occhi, spalancati, urlavano
silenziosamente di dolore.
Diana ci mise un po' a capire che la ragazza davanti a lei fosse una
fata.
Una fata a cui erano state brutalmente tagliate le ali.
La ragazza deglutì, trattenendo un conato di vomito e fece
per muovere la figura distesa, il cui corpo stava quasi sussultando.
Prima ancora di toccarla, però, una voce dietro di lei la
fece sobbalzare.
-È troppo tardi, ormai, Endyos*. Ora
è in un posto migliore- aggiunse, in tono ironico.
Diana si voltò velocemente e, indietreggiando,
andò a scontrarsi contro l'altare. Staccò
immediatamente la mano destra dalla superficie dell'oggetto, notando
con orrore che era coperta di sangue.
Fissò, poi, la figura davanti a sé. Un mantello
nero impediva di visualizzarne la forma, ma la voce sembrava
appartenere a quella di un maschio, probabilmente più grande
di lei. Anche il volto era coperto, da una maschera, però.
Una maschera che raffigurava una tigre bianca.
-Chi... Chi sei?!- chiese tremante la ragazza.
La figura davanti a sé schioccò le labbra.
-Ti ho aspettato da così tanto tempo. Sei pronta, ora.- ,
disse lui, avvicinandosi a Diana.
I loro corpi aderirono, la ragazza spaventata tentò con
tutte le forze di divincolarsi quando lui le bloccò un
braccio con una mano mentre andava a posare l'altra sul suo viso,
avvicinandosi ancora di più.
-Che cosa stai dicendo? P-pronta per cosa?- chiese la diciottenne,
senza ottenere risposta.
Lo sconosciuto si avvicinò sempre più, talmente
tanto che Diana riuscì a vedere ogni particolare dei suoi
occhi color ghiaccio. Così chiari da farla tremare,
così freddi che quasi erano privi d'espressione.
Smise di divincolarsi, ma con la mano del braccio libero
cercò il suo pugnale, nella cintura.
Il ragazzo rise, tra il divertito e lo sprezzante, e la
bloccò, facendola urtare contro l'altare.
Il colpo le aveva fatto male alla schiena, nella parte bassa, tanto da
farla gemere tra i denti.
-Tu non vuoi fermarmi. Io ti servo, Endyos. E tu servi al mio padrone.
Devi solo... collaborare-
Stavolta, Diana non fece domande, ma portò la testa
all'indietro, per colpirlo con tutta la forza che aveva in corpo,
facendo cozzare la sua fronte olivastra contro quella della maschera.
Miracolosamente, riuscì a staccarselo di dosso e a farlo
indietreggiare.
Con una mossa piuttosto agile, facendo peso sulle braccia, si
girò e scavalcò l'altare, cominciando a correre
il più lontano possibile da lui, consapevole però
di non avere via di fuga.
Raggiunta la parte opposta della grotta, si girò per vedere
dove fosse lo sconosciuto, ma con sua sorpresa davanti a lei
trovò... il buio.
Le torce si erano spente, eliminando tutta la luce attorno a lei.
Terrorizzata, cominciò a tremare.
Respirava a fatica e si guardava intorno a scatti.
-Aiutami- , mormorò poi una voce, alla sua destra.
Diana si girò molto lentamente e lanciò un urlo.
Accanto a lei stava la fata che aveva visto prima, ma stavolta aveva le
ali.
-Puoi ancora aiutarmi-
Diana
spalancò gli occhi, rizzandosi a sedere e respirando
affannosamente. Le mancava l'aria. Si levò le coperte
pesanti di dosso, per poi affacciarsi alla finestra, dopo averla
spalancata. Inspirò più che poté
l'aria fresca della notte, mentre un leggero e piacevole venticello le
accarezzava il volto delicatamente.
Riuscì a calmarsi, e il respiro tornò regolare.
Fissò davanti a sé, osservando il suo villaggio,
silenzioso. La casa di Diana si trovava nel punto più alto,
su una collina appena fuori Kalaytia, una piccola cittadina popolata
esclusivamente da esseri umani privi di potere, dagayos*', mercanti per
la maggior parte. Da una parte le era possibile intravedere tutto
Kalaytia, dall'altra (esattamente dalla parte opposta rispetto camera
sua) il mare.
Diana si passò una mano sulla fronte, ancora umida per il
sudore, poi decise di infilarsi un largo maglione di lana e uscire di
casa, tentando di non svegliare nessuno.
Una volta fuori, Thanos, il suo lupo nero, le venne incontro
scodinzolando. La diciottenne sorrise e si abbassò per
accarezzarlo, sistemandosi le candide ciocche dietro le orecchie.
Inspirando l'aria pulita e godendone appieno, poi , si andò
a sedere sull'altalena che le aveva costruito il padre qualche anno
prima e cominciò a dondolarsi dolcemente, fissando il cielo
stellato.
-Ti ho aspettato da così tanto tempo. Sei pronta, ora.-
-Puoi ancora aiutarmi-
Diana scosse la testa. Quelle voci la stavano tormentando.
Non era la prima volta che faceva quel sogno. Ma cosa significava? Ci
erano quelle due persone? Come poteva aiutare la fata? Cosa voleva
quello sconosciuto mascherato?
Sospirò, quasi sconsolata. Era quasi una settimana che
quell'incubo la perseguitava.
Che fosse una sorta di presagio? La ragazza doveva ammettere di averci
pensato, ma come era possibile? I dagayos non avevano visioni di questo
tipo. Non ne avevano affatto, in realtà.
Diana strinse forte i pugni, mentre tentava di scacciare il doloroso
ricordo di quando le avevano levato ogni traccia di potere dal corpo.
Una lacrima le rigò il viso, ma si asciugò subito.
-Che stupida sono-.
Era inutile piangersi addosso.
Con gli anni aveva imparato a compensare quel dolore, diventando una
Cacciatrice, ma sapeva perfettamente che sarebbe stato impossibile
eliminarlo.
Improvvisamente, un rumore tra i cespugli attirò la sua
attenzione.
Diana si rizzò in piedi, così come Thanos, il
quale cominciò a ringhiare.
-Chi c'è ?- chiese, ad alta voce, portandosi la mano alla
vita per poi ricordarsi di non avere il pugnale con sé. Fece
una smorfia di disappunto, ma non si mosse.
Vi furono dei secondi di assoluto silenzio, fino a quando una figura
scattò e cominciò a correre lontano
dall'abitazione di Diana, verso il bosco che separava la casa dal
villaggio.
-Ehi!- urlò la ragazza, cominciando a correre, seguita dal
lupo nero.
Non proprio una mossa intelligente, seguire un'ombra nella foresta
(senza armi, per giunta), ma Diana probabilmente non aveva mai sentito
parlare di raziocinio. Non seguire l'istinto le sembrava sciocco,
perfino in una situazione del genere.
-Fermo!- urlava di tanto in tanto, tentando di non perdere di vista
chiunque stesse inseguendo. Thanos, dietro di lei, ululava.
Si graffiò più volte con i rami sporgenti degli
alberi, ma riuscì ad evitare gli ostacoli in modo da non
incespicare mai.
Ad un certo punto, però, cedette e si accasciò a
terra. Aveva percorso troppa strada, troppo velocemente e senza mai
fermarsi. Era senza fiato.
Allungò una mano verso la coda di Thanos, per fargli capire
di fermarsi. Il lupo si girò verso di lei, ma solo un
attimo. Subito, infatti, rizzò le orecchie e
cominciò a ringhiare, muovendosi lentamente a destra di
Diana.
-Thanos! Fermo!- lo chiamò a bassa voce, ma l'animale parve
non sentirla.
Così, la ragazza si accovacciò e lo
seguì, tentando di non fare troppo rumore.
Finalmente, il lupo si fermò, continuando a darle le spalle
e gemendo, come se si fosse ferito. Diana sentì che stava
leccando qualcosa, così si avvicinò, posando una
mano sul dorso dell'animale.
Quando la vide non riuscì a trattenere un urlo di spavento.
A terra stava la fata che aveva sognato per tutta la settimana.
Senza ali e priva di vita.
Hikeos
camminò a passo spedito lungo tutta la grande sala, lo
spadone stretto nella mano destra. I capelli nero corvino gli
ricadevano sulle spalle, dietro le orecchie a punta, e ondeggiavano
elegantemente a ogni passo. Si trovava all'interno della fortezza di
Lisast, nella regione del Chanast, non molto distante dalla capitale di
una delle più prosperose nazioni di Leykios.
Sebbene il castello marmorei fosse stato abbandonato da circa un
secolo, se non di più, miracolosamente le mura erano rimaste
intatte, tranne poche eccezioni, così come i mobili
all'interno dell'edificio.
Probabilmente nessuno osava addentrarsi lì dentro a causa
della maledizione che aveva colpito quel luogo dopo la misteriosa
scomparsa dell'ultimo Seoda, ma Hikeos sapeva perfettamente che quelle
fossero solo stupide leggende.
Velocemente raggiunse il grande giardino interno, le cui piante avevano
ormai messo le radici anche all'interno delle stanze attigue. Al centro
di questo vi era un pozzo.
Gli occhi dell'elfo oscuro gli permettevano di vedere perfettamente
anche in una notte senza stelle come quella, ma preferì
comunque illuminare le torce attaccate alle colonne.
Sapeva di non essere solo e anche lui doveva vedere.
-Fotiá-
sussurrò, muovendo le dita e accendendo gli oggetti
destinati all'incantesimo.
Un brivido lungo la schiena annunciò il suo arrivo.
-Hai portato ciò che ti ho chiesto?-
-Ovviamente, signore- aggiunse l'altro, ironicamente e lanciandogli un
barattolo.
Hikeos lo prese al volo, senza voltarsi. Con aria quasi apatica
fissò il contenitore che aveva in mano il quale era pieno di
una polvere luccicante e color rosso porpora.
-Non basta-, sentenziò dopo qualche istante, avvicinandosi
al pozzo.
Sentì l'altro sbuffare -Ne prenderò altra, va
bene? Tanto al momento non serve. Non sappiamo neanche se
funzionerà-
-Deve funzionare-, ringhiò l'elfo.
Il ragazzo dietro di lui non disse nulla, ma ridacchiò
beffardo.
Hikeos non lo sopportava, ma era essenziale per il suo scopo.
-E lei?-, chiese, mente posava il barattolo, ora aperto, ai bordi del
pozzo. Prese lo spadone e lo mise dalla parte opposta. Con un pugnale,
poi, si incise un graffio lungo metà avambraccio, facendo
poi colare il sangue nero nel pozzo. L'acqua di quest'ultimo subito
lanciò un debole bagliore violaceo.
-Non è ancora pronta- rispose intanto l'altro alla sua
domanda.
-Non dovrà mai esserlo, infatti. Tu devi fermarla-
Lo sentì sbuffare -Pensi che non lo sappia?-
-Non mi pare tu stia facendo abbastanza-
-Sto facendo il possibile. Non riesco a trovarla. Né lei...
né lui-
Hikeos emise un lungo sospiro, irritato, ma mantenne la calma.
Inizialmente non rispose, ma continuò quello che stava
facendo.
Prese il barattolo aperto e ne versò l'intero contenuto nel
pozzo.
Dalla sacca di cuoio, poi, prese un oggetto coperto da una stoffa di
seta. Levandola, scoprì un cuore, il quale finì
anch'esso assieme il resto.
Sempre dalla borsa prese una fiala dentro la quale si trovava un
liquido color avorio.
Anche questo, fu buttato nel pozzo.
Sempre con lentezza brandì poi lo spadone e lo
portò orizzontalmente sopra la cavità, osservando
il liquido violaceo al suo interno diventare cremisi.
-Devi fare di più. Se la trova prima di noi è
tutto inutile- disse, per poi chiudere gli occhi.
-Afeste ten
psyché tou daímona kai ten kardiá tou
ippóti entachthoún me ti mageía tou
neráida kai to aíma to xotikó tou.
Demiourgísei mia néa geniá
tromokratías, na demiourgísei mia néa
apogónous tou cháous. As archísei o
fóbos-*''
, cominciò a recitare in lingua antica, mentre una coltre di
fumo nero iniziò a vorticare sopra l’elfo e
l’oggetto davanti a sé.
Hikeos non si curò di cosa stesse facendo il ragazzo dietro
di lui, gli bastava sapere che non fosse scappato.
Ripeté quelle parole più e più volte,
fino a quando il fumo sparì, così come lo spadone
che aveva in mano.
Si sorprese di quest’ultima cosa, ma non si scompose.
Rimase fermo in attesa, per qualche minuto.
Non accadde nulla.
-Oh, bene. Tanta fatica per niente-, commentò annoiato il
ragazzo dietro di lui.
Hikeos sbatté i pugni sul bordo del pozzo, urlando di rabbia.
Dopo tutto quello che aveva passato. Dopo tutti i sacrifici e le
fatiche subite per arrivare fino a lì non poteva finire
così.
Era stato tutto inutile.
Fissò il suo riflesso nell’acqua sottostante. I
suoi occhi color ambra lampeggiavano furenti.
-Non può essere- sibilò, senza staccare lo
sguardo.
In uno scatto d’ira buttò a terra il barattolo,
rompendolo, poi si voltò per andare via.
-Non mi arrenderò così facilmente-
-Senti, Hikeos, ammiro la tua tenacia, ma è inutile. Non
riesco più a contare le volte in cui ci abbiamo provato e
abbiamo fallito!-
L’elfo ringhiò, fissandolo per la prima volta.
Fece per avanzare verso di lui, quando qualcosa emerso dal pozzo lo
afferrò per i capelli, trascinandolo in acqua.
-Hikeos!- urlò il ragazzo, facendo qualche passo in avanti
ma senza avvicinarsi troppo.
Dopo pochi secondi, l’acqua sembrò come bollire e
una figura emerse, uscendo dalla cavità e accovacciandosi
sul pavimento, per poi rialzarsi.
Era enorme, dalla pelle grigiastra, capelli e occhi (senza pupille e
iridi) neri.
-Hikeos?- chiamò ancora, stavolta formulando una domanda dal
momento che la creatura davanti a lui era praticamente uguale
all’elfo oscuro.
Il mostro chiuse gli occhi, inspirando e sorridendo, mostrando una fila
di sottilissimi denti aguzzi simili a quelli di uno squalo. In quel
momento, spiegò delle enormi ali di pelle, dello stesso
colore del resto del suo corpo, che ricordavano vagamente quelle di un
pipistrello. Fissò poi il ragazzo davanti a sé
-Trova la ragazza. Quando lo farai, non limitarti ad ucciderla. Falla a
pezzi-
N.d.A.:
Salve a tutti, finalmente riesco a pubblicare! Anche questo capitolo
è piuttosto corto, prometto di farne sempre più
lunghi! Spero di aggiornare anche l’altra mia storia al
più presto, ma comunque …
Una piccola precisazione: il ragazzo dell’ultima parte non
l’ho descritto volutamente, nel caso si pensasse che mi sia
dimenticata, per qualche strano motivo.
Mi scuso in anticipo per possibili errori di battitura che mi
sarò scordata di controllare, ma purtroppo ho dovuto
scrivere da cellulare perché non so quando riavrò
il computer.
Comunque ringrazio vivamente chi segue la storia e in particolare Shine_Hanako kun, Sagas e Morgana La Strega
che hanno recensito! Spero di non avervi deluso con questo capitolo e
anzi di aver accresciuto la vostra curiosità. Davvero,
grazie tante!
Alla prossima {*}
NOTE:
* "Endyos”, parola usata nel regno di Leykios per indicare il Popolo Bianco della razza umana. Con “bianco” non si intende il colore della pelle, ma dei capelli e anche il caratteristico colore viola degli occhi. Infatti gli Endyos non sono albini, anzi, possono avere anche la pelle scura.
La
stessa Diana non è pallida, ma olivastra, di carnagione.
Inoltre, si differenziano dagli umani, fisicamente, solo per queste
caratteristiche e anche per il fatto di essere molto più
agili e inclini ad avere poteri magici.
*'dagayos: nel Regno di Leykios, ma così come in tutto il mondo di Martach (composto da cinque regni), vi sono molte razze: elfi, fate, gnomi, umani... insomma le solite razze che si trovano di solito nei fantasy, più altre che ho inventato io ma di cui al momento non posso accennare. Tra l'altro, vi sono delle “sottorazze” (gli elfi possono essere elfi della notte, elfi oscuri... ma anche i questo parlerò in seguito). Comunque, appunto con “dagayos” si intendono gli umani privi di potere (solo esseri umani, non anche altre razze).
*'' La lingua usata qui è un miscuglio tra greco antico e parole inventate da me di cui non riporto la traduzione perché la ritroveremo più avanti