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Autore: shezza_demon221    05/10/2016    3 recensioni
Tutto quello che so è una porta sul buio.
(Seamus Heaney)
L'arrivo inaspettato della misteriosa Lily porterà nuove vicissitudini al 211b di Baker Street.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Capitolo 14


Upside down



Doveva essere un sogno, una strana fantasia onirica, qualcosa non vera. Quella non sono io, quelle non sono foto scattate di nascosto. Deve esserci un motivo, deve esserci per forza. Non voglio credere a nulla che non sia un sogno. Deve essere un sogno, dev -

Lily teneva ancora le foto tra le mani tremanti e non smetteva di fissarle. Erano diventate una macchia indistinta, insieme ai suoni che la circondavano, un brusio di voci e rumori non meglio definiti. Cosa avrebbe detto? Sentiva la rabbia montarle in corpo: avrebbe voluto bruciare le foto e poi tutto il locale.

Si era alzata dal pavimento, la gente cominciava a guardarla in modo strano.

“Allora, eccomi qui! cosa vuoi…” la voce di Andrew alle sue spalle, che si fermava di botto “oh”.

“Oh?” aveva sibilato Lily “oh??” aveva ripetuto, incredula e sull’orlo della crisi isterica “cosa sono queste” aveva detto sbattendo le foto sul petto di Andrew “cosa. sono. queste” la voce era distorta, lei doveva sapere, doveva assolutamente sapere cosa diavolo stesse succedendo.

“Posso spiegarti” aveva cominciato Andrew, con voce bassa e calma “lascia solo che..” si era avvicinato a Lily, con cautela.

Lei si era allontanata di scatto, le foto patinate strette nella mano. Ormai rovinate, ormai piene di pieghe. Troppe volte si era sentita dire queste parole, ora era stufa.
 
“Voglio spiegazioni ora, Andrew. Immediatamente” muoveva lo sguardo intorno alla sala, non voleva che la gente notasse troppo la sua tensione.

Sentiva che stava per cedere, che un attacco di panico stava per arrivare. Tutto era confuso, tutto era più stretto, più piccolo. Le mancava il respiro, doveva uscire da lì al più presto o sarebbe svenuta. Aveva afferrato la borsa e si era precipitata verso la porta, sbattendoci contro come se fosse cieca. Sentiva la voce di Andrew che la chiamava, ma non si era fermata. Non voleva fermarsi; lo avrebbe ucciso. Mentre si incamminava, aveva sentito una stretta possente stringerle il braccio: “Lily, dove stai andando?”.

Si era girata e Sherlock era lì, che la teneva ferma mentre lei voleva solo muoversi e camminare. Due occhi grigi la scrutavano, perplessi.

“Che cosa succede Lily? sembra che tu abbia visto un fantasma” la sua voce era distorta all’inizio, poi era diventata più chiara e lineare. Dillo a Sherlock, dì cosa è successo. Parla.

“Lily..??” Sherlock continuava a guardarla, poi aveva sgranato gli occhi “ti ha messo le mani addosso” non era una domanda, era più un’affermazione “quel bastardo ti ha messo le mani addosso!”

Lily aveva chiuso gli occhi, scuotendo la testa e si era limitata a ficcargli tra le mani le foto, liberandosi dalla stretta ferrea: “Io…devo andare. Devo proprio”.

Aveva visto Sherlock guardarle, mentre Andrew arrivava dalla parte opposta della strada.
“Te le ha fatte lui??” Sherlock parlava, troppo per i gusti di Lily. Lei doveva solo andare via, per favore lasciatemi andare via.

Aveva guardato Andrew, poi Sherlock e aveva mormorato: “Scusa, io devo andare. Non posso stare qui” aveva ripetuto, come un giradischi rotto.

Era la prima volta che vedeva Sherlock così confuso. Guardava lei e poi guardava in fondo alla strada. Aveva raggiunto Lily e le era passato davanti, parandosi di fronte a lei. Come se volesse proteggerla.

Andrew era ormai davanti a loro e guardava oltre la spalla di Sherlock: “Lily, per favore. Posso spiegarti tutto, dammi la possibilità di…”

“Perché hai queste foto con te? Chi le ha fatte? Sei uno stalker? Cosa vuoi da lei?” le domande di Sherlock si susseguivano veloci.

Andrew non lo ascoltava, cercava solo di passare oltre il metro e ottanta di detective che gli si parava contro: “ti prego!” continuava a ripetere.

Lily era lì, e non lo guardava. Era dietro la schiena di Sherlock che la copriva quasi tutta e guardava solo il marciapiede. Non voleva sentire Andrew. Non voleva sentire Sherlock. Non voleva sentire assolutamente nessuno, voleva solo stare da sola.

“Lasciatemi stare” aveva detto barcollando “lasciatemi stare!!” aveva alzato la voce, un timbro isterico e tremante. Poi aveva alzato le mani, aggiungendo con voce tremante “ora me ne vado. E guai a voi se mi seguite” aveva puntato un dito contro entrambi e si era allontanata, sparendo nella folla.

Sherlock si era mosso per seguirla, poi si era fermato di botto, riducendo le labbra a una linea sottile e strizzando leggermente gli occhi. Si era girato di scatto e aveva preso Andrew per il bavero della giacca e sibilato con fare gelido: “Adesso io e te facciamo due chiacchiere”.


//


Lily aveva camminato fino a Baker Street, ma non sapeva se entrare a casa oppure no; meno di mezz’ora fa aveva confermato a John di vedersi per un the proprio lì e lei non voleva vedere nessuno. Voleva stare da sola, non voleva neanche capire perché Andrew avesse quelle foto. Era incredibile, la sua vita era stata un continuo pedinamento. Prima Kaleb, ora lui e chissà quale altro motivo si celava dietro tutto questo casino. Non ce la faceva più, era stufa di guardarsi alle spalle ogni tre per due. Contraeva la mascella da ormai quaranta minuti e sentiva incombere un mal di testa colossale. Era ancora agitata e doveva trovare un posto dove rimanere tranquilla, dove pensare e soprattutto calmarsi.


//

Sherlock aveva trascinato Andrew all’angolo della strada con modi non proprio gentili: “Sarebbe meglio che tu parlassi, perché non voglio ricorrere alla violenza. O a mio fratello Mycroft. Le persone che lavorano per lui hanno metodi non proprio ortodossi. Ma neanche io, quindi non saprei quale potrebbe essere la soluzione migliore. Anzi no, una c’è: parlare, e subito”. Lo teneva ancora per il bavero della giacca, il viso a due centimetri da quello di Andrew. Gli occhi scintillavano rabbiosi e grigi. Doveva ad ogni costo sapere cosa era successo.
“Va bene, parlerò. Ora però lasciami, non vorrai attirare l’attenzione?” Andrew si divincolava dalla stretta ferrea di Sherlock guardandosi intorno imbarazzato “non volevo fare del male a Lily, giuro”.

“Mi riesce difficile crederlo, visto che avevi sue foto scattate con un teleobiettivo. Non proprio da educanda” Sherlock aveva allentato la presa, e ora stringeva il braccio di Andrew: “Bene, ti darò la possibilità di parlare. Ma a modo mio e dove dico io”.
Andrew aveva annuito, spaventato.

//

Erano passate ore ormai, e il sole stava per tramontare; Lily era arrivata a Regent’s Park. Poco lontano da Baker Street, ma con ben 160 ettari di verde a circondarla. Se dovevano cercarla, faticassero almeno. Era seduta su una panchina vicino al lago, vicino un bellissimo salice piangente, con i rami che pendevano spogli come piccole braccia rachitiche e disperate. Si era stretta nella giacca, non c’era più molta gente; solo qualche jogger che sfidava il freddo della sera e padroni intirizziti che portavano fuori il cane. Lily non pensava a nulla di particolare, si godeva solo il silenzio del parco, gli uccelli che si chiamavano tra di loro e la sfumatura blu del cielo che si rifletteva sul lago piatto. Sul punto più buio, il blu sembrava quello degli occhi di John. Che sicuramente continuava a chiamarla da almeno due ore. Il telefono non aveva smesso di suonare e vibrare, finché Lily non aveva messo il silenzioso e tirato un sospiro di sollievo. Non aveva neanche visto chi era. Si faceva sempre più buio, sempre più freddo ma a lei non importava. Rifletteva, rifletteva e a tratti piangeva e a tratti rideva. Non sapeva come reagire alla piega che stava prendendo la sua vita: forse comica, ma non comica ahahahah che ridere; comica come una barzelletta triste, una che non faceva ridere nessuno. Si sentiva fuori tempo, appena qualcosa andava bene, arrivava la botta che buttava tutto giù, la vagonata di mattoni che la sotterrava di nuovo.
Tutto quello che credeva potesse essere una nuova possibilità, si rivelava un fallimento.
Sherlock.
Andrew.
La prospettiva di una nuova vita, al diavolo. Come no, impossibile se ti chiami Lily.
Niente andava come lei avrebbe voluto. Abbandonarsi agli eventi non sortiva alcun effetto, impegnarsi neanche. Cosa doveva fare allora? Si era sfregata le mani e il viso, dove le lacrime si ghiacciavano e le bruciavano la pelle. Non si sentiva più il naso, anche gli uccelli avevano smesso di cantare all’improvviso. Ora c’erano solo lei e il salice. Piangenti entrambi. Era in buona compagnia. Ripensava alle foto e le si torceva lo stomaco dall’orrore. Non si era accorta di nulla, eppure un teleobiettivo era grande, l’avrebbe notato. Ma chissà quant’era lontano chi l’aveva fotografata. Quanti avevano visto le sue foto, cosa ci avevano fatto?
Aveva scosso la testa facendosi scappare un singhiozzo amaro. Era stanca, tanto. Quando si sentiva così pensava al giardino della casa dov’era nata; pieno di fiori e api che ronzavano intorno alle piante. Papaveri, tulipani, ranuncoli, anemoni. Mille colori, che con la primavera esplodevano raggianti, pieni di vita. E lei che correva per i vialetti fatti di ghiaia bianca, che faceva male agli occhi per quanto era abbagliante sotto il sole. La nuca che scottava nella calura estiva mentre osservava le farfalle che bevevano dai fiori la loro proboscide. Quando il giardiniere le aveva spiegato che si chiamava esattamente come quella degli elefanti Lily aveva riso così tanto. Aveva passato l’infanzia così, in mezzo alla natura. Rifugiandosi in essa, la accoglieva e la consolava senza fare domande.
Mentre sognava a occhi aperti non si era accorta dello scricchiolio della ghiaia dietro di lei, pensava fosse un sogno molto vivido, i suoi ricordi portati all’estremo.

“Lily” una voce profonda, che la chiamava come se non volesse svegliarla.

Si era girata di botto, spaventata. Dietro di lei si stagliava la figura di Sherlock, illuminata debolmente dai piccoli lampioni posizionati poco più avanti. Aveva le mani in tasca e la sciarpa stretta intorno al collo.

Si era girata nuovamente verso il lago, sospirando: “Come hai fatto a trovarmi?” aveva detto piano.

“Sono andato a intuito” aveva risposto piano “da quanto sei qui?”

“Non lo so” aveva risposto con tono monocorde, scavando con la punta della scarpa per terra “e tu?”

“Abbastanza” era stata la risposta. Si era avvicinato ancora, rimanendo dietro le spalle di Lily “dovresti tornare a casa, sono tutti in pensiero. Non rispondi al telefono ed è buio. E in più, penso che tu debba sapere alcune cose”.

Lily aveva riso, ironica: “Andrew è a Baker Street, vero? Non voglio parlare con lui” aveva alzato le spalle.

“Dovresti ascoltarlo invece, ha delle cose importanti da dirti”.

Lily si era girata di scatto, guardandolo: “Quindi tu sai”.

Sherlock aveva aggrottato le sopracciglia: “Sì, ma non che Andrew abbia avuto molta scelta. Le opzioni erano parlare o finire in mano agli scagnozzi di Mycroft”

Lily faceva girare nella mano alcuni sassolini bianchi, pensierosa: “Non mi hai mai detto che lavoro fa tuo fratello. Parli di scagnozzi, deve essere qualcosa di importante”.

“Beh, diciamo che lui è il governo britannico, ha le mani in pasta un po’ ovunque. L’uomo più indispensabile del paese” aveva soffocato una risata ironica “ma a volte risulta utile”.

Lily aveva guardato Sherlock, impressionata: “Non essere così duro con lui” aveva risposto poi.

Sherlock aveva roteato gli occhi, senza parlare.

“Non voglio sentire cosa ha da dirmi, non mi interessa” le mani di Lily continuavano a raccogliere sassolini, in un moto nervoso. Nega, nega sempre. Scappa da tutto, codarda.

“Bugiarda” era stata la risposta. Lei era trasalita, e aveva chinato la testa, strizzando gli occhi.

Sherlock aveva sospirato e si era avvicinato ancora, ora Lily sentiva il suo profumo portato dal leggero vento freddo che si era alzato. Non le veniva niente di pungente da dire, veramente non sapeva neanche come si sentiva. Era come se fosse in stand by, un tasto premuto su “pausa”.

“Non puoi comunque rimanere qui, il parco chiuderà tra poco e qui si gela. Andiamo a bere qualcosa di caldo, ti va? Offro io” sentiva un sorriso nelle parole di Sherlock. Sembrava scaldasse l’intero parco.

“Offri sempre te” aveva risposto sarcastica.

“Un giorno pagherai tu e là ci sarà da divertirsi. Ti farò spendere un patrimonio”.

Lily aveva riso, tirando un sasso nel lago. I cerchi sull’acqua si allargavano fino a sparire: “Non me la sento, Sherlock. Ho paura”.

“Lo so, ma devi farlo. Ci sono delle cose che devi sapere, assolutamente. E devi tornare a casa, Lily. Ti aspettano tutti”.

Silenzio. Lily non voleva alzarsi da lì.

Un uccello aveva fischiato, una colpo di vento aveva alzato le foglie morte del salice vicino alla panchina.

“Lily….ti prego” Sherlock aveva parlato piano, con tono quasi dolce “torna a casa”.

Lei si era irrigidita, ripensando alla loro passeggiata sottobraccio, il giorno della festa di John e Mary, il giorno dell’uomo ubriaco.

“Quello che faccio raramente è implorare e supplicare”.

Sherlock la stava pregando di tornare a casa, lo stava facendo sul serio. Aveva sentito una stretta allo stomaco, le lacrime pizzicarle gli occhi. Voleva così tanto che tornasse a casa? Voleva così tanto che stesse a sentire quello che aveva da dire Andrew? A quanto pare sì, e lei si fidava di lui.

“Va bene” si era alzata lentamente, le gambe intorpidite dal freddo “ma ci sono due cose che devo chiederti e vorrei che mi ascoltassi” si era girata verso di lui ed era così bello, così meraviglioso nel suo Belstaff nero abbottonato fino al mento, la postura perfetta e il viso arrossato dal freddo. I suoi occhi erano color del ghiaccio, misti alla luce dei lampioni. Una visione. Lily aveva avuto un tuffo al cuore. Qualcosa o qualcuno giocava contro di lei e i suoi sentimenti; non riusciva a staccare i suoi pensieri e il suo cuore da lui. Era così difficile, se lui era così perfetto, così magico.

“Dimmi pure” si era avvicinato a lei, talmente vicino che Lily aveva dovuto alzare la testa per guardarlo negli occhi. Sentiva il calore emanato dal suo corpo.

Lily aveva abbassato la testa e stretto le labbra: “Vorrei una cioccolata calda. E poi..” aveva messo le mani in tasca, intirizzita “vorrei parlare con Andrew domani. Stasera non posso, non sarei lucida. Sono stanca, triste e ho bisogno di rimettere a posto i pensieri. Per favore”.

Sherlock l’aveva guardata a lungo, Lily vedeva i pensieri guizzare nella sua testa alla ricerca di una soluzione. Poi, sempre guardandola, aveva tirato fuori il telefono dalla tasca del cappotto e premuto un tasto per la chiamata rapida: “Mycroft? Sono Sherlock; sì, l’ho trovata. Sta bene” le aveva sorriso leggermente senza staccare gli occhi da lei “ho bisogno di un ulteriore favore. Dovresti prendere in custodia una persona fino a domani pomeriggio. Sì, custodia stretta, non deve essere perso di vista neanche un secondo. Domani potrai farlo accompagnare a Baker Street dai tuoi uomini. Sì, te ne ho parlato prima. Non ti deve interessare il perché, sono cose personali!!” aveva alzato la voce, irritato “sì, magari più in là. Il suo nome è Andrew…tra quanto? Mezz’ora? Eccellente, saremo di ritorno tra un’ora, allora” Lily vedeva il suo sguardo rabbuiarsi mentre il fratello parlava “stai dicendo sul serio? Per un favore così piccolo??” altra pausa “va bene. Come vuoi, ma è scorretto!!” aveva attaccato senza salutare. Aveva guardato Lily e aveva sorriso “tutto  a posto, ora andiamo a prendere questa cioccolata” le aveva fatto l’occhiolino e Lily aveva sentito le gambe tremare “ma solo cioccolata calda? Senza neanche un po’ di alcol dentro?”
Lily aveva cominciato a camminare vicino a lui: “ Anche se in questo momento ne avrei veramente bisogno, andrò con una semplice”.

“Io ne ho voglia di una corretta al bourbon, e se fai la brava te ne farò assaggiare un po’” aveva annuito soddisfatto.

Lily aveva riso di gusto, per la prima volta dopo ore: “Come faceva Mycroft a sapere che mi stavi cercando? E cos’è scorretto? Ne parlavi con lui al telefono”

Sherlock aveva sbuffato: “Sapeva che ti stavo cercando perché se non avessi avuto successo avrei fatto sguinzagliare i suoi uomini per tutta Londra. L’avevo solo avvertito di tenersi pronto” Lily era arrossita, sentendosi messa al centro dell’attenzione “per il favore di stasera invece mi ha incastrato per il prossimo Natale; dovrò andare alla cena dei miei genitori. Stanno cercando di riscattarsi da anni per non esserci stati molto durante la nostra infanzia. Sai, niente nipotini..neanche Mycroft è sposato. Ogni anno mi invitano e io trovo sempre qualcosa di alternativo da fare o una scusa. Io odio le feste di Natale, ma tanto porterò te e John, almeno non sarò solo. Renderà il tedio meno pesante”.

“Era un invito tra le righe, Sherlock Holmes?” aveva detto Lily divertita.

“Neanche troppo, so già che verrete” aveva risposto con tono ovvio.

Lily aveva scosso la testa: “Se lo dici tu”.

//

Si erano avviati verso un piccolo caffè dall’altra parte della strada. Lily pensava avrebbero preso le bevande da asporto, invece Sherlock si era seduto su uno sgabello davanti a una vetrata: “Sediamoci un po’, aspettiamo che vadano a prelevare Andrew e poi torniamo a casa”.

Lily aveva annuito in silenzio mentre Sherlock si allontanava per andare a prendere da bere. Aveva tirato fuori il telefono dalla tasca dopo ore.

12 chiamate di John, 5 di Sherlock e svariati messaggi. Aveva sospirato, sentendosi in colpa per John, che doveva essere preoccupato a morte.

Non sapeva se era ancora a Baker Street, ma più tardi l’avrebbe chiamato per scusarsi. Guardava le luci fuori dalla vetrata. Era molto stanca, e voleva solo dormire. Sherlock era tornato, con un piattino con due biscotti a forma di cuore: “il ragazzo al bancone deve aver frainteso, mi ha dato anche questi, dicendo che erano omaggio della casa”.

Lily si era girata, e aveva beccato il suddetto a fissare la montagna di riccioli neri di Sherlock con una brama non indifferente, per poi abbassare lo sguardo in imbarazzo quando aveva notato lo sguardo divertito di Lily, che aveva riso sotto i baffi, tornando alla sua cioccolata.

“Avrà pensato che siamo una coppia” aveva mormorato Sherlock per non farsi sentire “però in compenso abbiamo due biscotti gratis” aveva aggiunto, contento.

Lily lo aveva guardato, con aria ironica: “Sherlock, non ha pensato che siamo una coppia. Voleva il tuo numero di telefono” soffiava sulla cioccolata, girandoci il cucchiaino.

Lui aveva assunto un’aria perplessa: “Ma no, cosa dici” si era girato leggermente.

“Dico la cosa esatta, ti fissava i riccioli come se fossero fatti di liquirizia” aveva preso un sorso, stando attenta a non scottarsi “gli piaci”.

Sherlock aveva scrollato le spalle: “Figurati”.

Lily aveva alzato gli occhi al cielo: “È molto modesto da parte tua far finta di non crederci, ma entra nell’ottica che sei un bell’uomo, piaci, e la gente ti guarda a prescindere dal sesso di appartenenza”.

Era rimasto zitto per un po’, spezzando il biscotto in due: “Sono un uomo attraente?” aveva rivolto lo sguardo a Lily, masticando lentamente e porgendole l’altra metà del cuore spezzato.

Lily si era immobilizzata, pensando a quello che aveva appena detto, guardando perplessa la metà del biscotto: “Beh…sì. Non dirmi che non ne sei consapevole. I tuoi ricci neri, gli occhi chiari e gli zigomi alti fanno scena. Tu non te ne accorgi ma quando vai in giro, attiri molti sguardi su di te” si sentiva in imbarazzo e sentiva il pericoloso accenno di rossore che cominciava a imporporare le sue guance e le orecchie: “insomma, non è un segreto, lo sanno tutti” aveva concluso in fretta, addentando il cuore spezzato sperando di esorcizzare il suo significato intrinseco.

Sherlock aveva represso una risata, poi era tornato serio: “E lo hai sempre saputo anche tu? Visto che noti tutte queste cose e a quanto pare sei molto attenta a chi mi guarda e chi no” aveva alzato le sopracciglia.

Lily sentiva che la tazza le stava per scivolare dalle mani; l’aveva rimessa sul tavolo con cautela per evitare di combinare disastri: “Saputo cosa?” aveva pigolato, guardandolo di sottecchi.

“Che sono un bell’uomo”  aveva appoggiato il viso su una mano, guardandola divertito.

Lily aveva riso sbuffando con fare ironico, per nascondere l’imbarazzo. Gli occhi le saettavano ovunque, tranne che su Sherlock: “Beh te l’ho detto, è un dato di fatto. So riconoscere la bellezza, se la vedo” dentro la sua testa stava urlando. Tutte le parole che le uscivano dalla bocca erano sbagliate; sbagliate e stupide.

Lui aveva fatto una faccia soddisfatta, tornando alla sua tazza di cioccolata. “Beh, grazie allora”.

“Ehm..prego?” non era ben sicura dove fosse andata a parare quella conversazione, ma per fortuna era finita. L’ego di Sherlock era stato soddisfatto, quindi poteva tirare un sospiro di sollievo.

Il cellulare del detective aveva cominciato a suonare. L’aveva tirato fuori dalla tasca: “John” era tornato serio e parlava piano “ah accidenti, ho scordato di chiamare per dirtelo. Sì, sono uomini di Mycroft, devono prendere Andrew. Lo terranno in custodia per stanotte e domani lo riporteranno a Baker Street. Lily preferisce dormirci sopra prima di affrontarlo....sì certo, me lo ha chiesto lei. Sta bevendo qualcosa di caldo, tra poco torniamo a casa” l’aveva guardata “beh sì, penso di sì. Aspetta, te la passo” gli aveva allungato il telefono “messaggio per te” la faccia non era delle più incoraggianti. Lily aveva sentito lo stomaco contorcersi. Aveva preso il telefono lentamente e sussurrato: “Pronto?”

“Lily” era John, con la voce più cupa che avesse mai sentito uscire da lui.

“John, ciao” aveva risposto lei, timorosa “com - ”
    
“Stai bene?” sentiva la tensione e sapeva che era arrabbiato a morte con lei per essere sparita nel nulla per ore, ma sperava capisse.

“Io sì, sto bene. Un po’ infreddolita ma tutto bene” aveva chiuso gli occhi. Quel tipo di rabbia calma era anche peggio. La faceva sentire ancora più male e la spaventava da morire.

Silenzio.

“Bene. A dopo” e aveva riattaccato.

Lily aveva guardato il telefono, restituendolo a Sherlock: “cavolo, mi odia”

Lui aveva scosso la testa: “Ma no che non ti odia. È molto arrabbiato, quello sì. Ma addirittura odiare mi sembra eccessivo. È arrivato a Baker Street, convinto di prendere un the e ha trovato me che urlavo contro Andrew e gli sventolavo le foto sotto il naso. Le ha guardate e prima gli ha dato un pugno, poi mi ha chiesto dov’eri. Gli ho raccontato che eri in giro per Londra a calmarti ed è uscito fuori di senno. Diceva che era pericoloso e ha cominciato a subissare di domande quel povero babbeo, senza riuscire a cavare un ragno dal buco, visto che ormai era terrorizzato” aveva riso “non sono riuscito a spiegargli nulla tra l’altro, ormai la frittata era fatta. Scoprirà tutto domani insieme a te. È arrabbiato, ma perché si è spaventato”.

Lily aveva chiuso gli occhi, mortificata: “Che pasticcio”.

“Se scappi per Londra e non rispondi al telefono, questo è ciò che ottieni” aveva alzato le spalle, finendo la cioccolata.

Lily avrebbe voluto rispondere a tono, ma sapeva che aveva ragione.

//

Avevano camminato il più lentamente possibile. Faceva parecchio freddo, era metà Febbraio, ma l’aria di primavera già si poteva sentire. Sicuramente sarebbe esplosa tutta insieme, come faceva di solito. Lily non vedeva l’ora.
Arrivati davanti Baker Street, aveva sospirato, rilasciando nell’aria una nuvola di condensa. Si era fermata davanti al portoncino, i numeri dorati brillavano immobili nell’aria fredda della sera. Sherlock si era girato verso di lei: “Tutto ok? vuoi rimanere un altro po’ fuori?”

Lily aveva scosso la testa: “Non ha senso, entriamo e basta. Andrew dovrebbe essere già fuori, no?”

“Sì, sicuramente Mycroft ha tenuto fede alla parola data. Andiamo allora, John sarà dentro ad aspettarci”

È proprio questo il problema aveva pensato Lily, salendo le scale che la portavano a casa.

Una volta entrati, l’avevano trovato seduto sulla poltrona di Sherlock, un bicchiere in mano che faceva oscillare lentamente, pieno di un liquido ambrato. Il fuoco acceso faceva scintillare il suo contenuto, dandogli riflessi rossastri. La fronte era aggrottata, solcata da rughe di preoccupazione e tensione che erano sparite appena avevano messo piede in casa, lasciando spazio a una rabbia celata e fredda. Sherlock si era tolto il cappotto con un gesto fluido, attaccandolo alla porta: “John, buonasera. Eccola qui, sana e salva” aveva indicato Lily come facevano le vallette nei quiz televisivi “mi faccio un po’ di the, ne vuoi?”

John aveva alzato il bicchiere in silenzio.

“Va bene” aveva risposto Sherlock e si era diretto in cucina dove aveva cominciato a mettere su l’acqua: “Lily vuoi un po’ di the per caso?”

Lei aveva scosso la testa, senza parlare. Era già tanto se riusciva a respirare. John la guardava, muovendo le labbra e mordendosi l’interno della guancia, come se volesse evitare di parlare, di dire qualcosa. Gli occhi sembravano neri e la fissavano senza chiudersi un secondo.
L’aveva scrutata per un minuto buono, come per accertarsi che non fosse ferita o altro. Poi aveva abbassato gli occhi, e si era alzato lentamente. Aveva posato il bicchiere sul tavolino vicino alla poltrona e diretto verso la porta dov’era attaccata la sua giacca. Tutti movimenti netti che sembravano quasi studiati. Lily lo osservava di straforo, per poi spalancare gli occhi quando si era accorta che si se ne stava andando. Senza dire una parola aveva preso la porta. Lily era stata sopraffatta da un’ondata di panico che le aveva mozzato il respiro. John la ignorava e questa cosa per lei era insostenibile. Lui era la sua àncora, il suo rifugio, non poteva lasciarlo andare così.

Aveva fatto due passi incerti verso di lui e mormorato: “John, ascolta..”

Lui si era fermato, stringendo i pugni mentre le dava le spalle; poi si era girato all’improvviso e puntandole un dito contro aveva sibilato: “No. No ascolta tu, Lily. Sparire così di punto in bianco è stato il gesto più irresponsabile e vigliacco che tu potessi fare. Siamo stati ore a cercarti, a chiamare chiunque per avere anche solo uno straccio di indizio, per sapere dove potessi essere perché tu non ti degnavi di rispondere al maledetto telefono. Ti ricordo, nel caso avessi perso la memoria tutto a un tratto, che meno di due mesi fa sei sparita nel nulla per mano di quel balordo di Kaleb, e ci hai quasi rimesso la pelle. Ma nonostante tutto oggi hai pensato bene di andartene in giro per Londra e rifugiarti in un parco semideserto e buio, subito dopo aver scoperto che qualcuno ti ha scattato delle foto di nascosto. Fregandotene del fatto che avresti potuto essere seguita, o che qualcuno stesse aspettando il momento giusto per prenderti e gettarti nel Tamigi tagliata in un milione di pezzi. No, Lily, adesso ascolti tu. Per quanto tu possa essere scettica al riguardo, ci sono persone che tengono a te e si preoccupano per te. La prossima volta che scappi, cerca di ricordartelo”.

L’aveva guardata con gli occhi sbarrati, riprendendo fiato. Lily era annichilita, non riusciva a muoversi e sentiva un nodo alla gola che le impediva di respirare. John aveva tirato indietro le spalle e si era girato per andarsene, quando lei aveva urlato quasi senza pensare:

“È VERO! HAI RAGIONE, E MI DISPIACE!” John si era fermato nuovamente, stavolta rimanendo di spalle “ma io..ho avuto paura e sono così stufa di tutte queste sorprese, di questi misteri. Sono stanca e non ce la faccio più. Mi dispiace John, davvero. Perdonami”.

L’ultima parola le era morta in gola. Non sapeva più che dire, era sempre lo stesso pensiero, lo stesso concetto.

Lui si era girato leggermente: “È ora di smettere di scappare, Lily. Così non risolverai mai niente”
Lily sapeva che ormai John non si riferiva più all’episodio di cui stavano parlando poco fa. Parlava di tutto ciò che c’era stato prima. Le stava dicendo di reagire e smettere di avere paura di tutto. Di aprire il suo cuore, di dire finalmente la verità su come si sentiva. Di essere libera.

Ma lei ancora non si sentiva pronta per affrontare le conseguenze. Aveva abbassato la testa, l’ennesima sconfitta. John aveva preso la porta e se n’era andato. E con lui, anche l’unico punto fermo nella vita di Lily.

//

Era rimasta in piedi davanti al camino per qualche minuto, fissando la porta chiusa. Come se si aspettasse che John tornasse indietro, ma sapeva che non l’avrebbe fatto. Poi si era mossa lentamente ed era sprofondata nella poltrona, il viso tra le mani. Sentiva la presenza di Sherlock alle sue spalle, silenziosa ma allo stesso tempo chiassosa come un’orchestra da parata.

“Dagli un po’ di tempo. Passerà, deve solo calmarsi. Penso che anche l’alcol abbia contribuito” aveva mormorato, alzando davanti al viso la bottiglia di liquore che era vicino la poltrona.

“Ho fatto un casino” aveva risposto Lily, la voce attutita dalle sue stesse mani “mi odia e pensa che io sia stupida”.

“Non è vero” aveva continuato Sherlock “Lily, tieni conto che è un ex soldato e non è mai scappato di fronte al pericolo o alle difficoltà. Per lui è difficile capire alcune situazioni, in più ha scaricato tutta la tensione accumulata nel pomeriggio. Era veramente fuori di sé dalla preoccupazione. L’ho visto così poche volte, te lo assicuro”.

Lily aveva scosso la testa, disperata: “Non posso perderlo, Sherlock. È troppo importante per me”.

C’era stato un silenzio strano e carico di sottintesi, prima che Sherlock cominciasse a parlare.

“Lily..sei innamorata di John?” aveva azzardato, con tono interrogativo.

Lily aveva tirato su la testa talmente di scatto che le aveva fatto male il collo. Poi si era girata lentamente verso di lui e con occhi sgranati aveva chiesto con tono incredulo: “Sherlock, sei impazzito?” sentiva le guance andare in fiamme dall’imbarazzo “Ma…cosa…che ti è preso? La cioccolata al bourbon ti ha dato alla testa??”

Lui aveva allacciato le mani dietro alla schiena, leggermente imbarazzato: “Stavo solo chiedendo; sei arrossita” aveva aggiunto poco dopo.

“Forse perché mi hai messo in imbarazzo, razza di genio!” aveva allargato le braccia.

“Oh beh” aveva continuato Sherlock alzando leggermente le spalle “sembravi così distrutta da questo litigio e insomma…mi sembrava una sorta di atteggiamento romantico, ecco” aveva riflettuto per pochi secondi “quando litighi con me, non reagisci così”

Lily gli aveva lanciato un’occhiata che diceva “e tu ne sapresti qualcosa di romanticismo? Ti prego”. Poi aveva aggiunto: “Non reagisco così quando litigo con te perché è quasi sempre colpa tua e perché mi mandi al manicomio”.

Sherlock aveva prima assunto un’aria ironica, ma vedendo lo sguardo di Lily aveva alzato le mani in gesto di resa: “Ok, allora. Le mie scuse”. Poi aveva incrociato le braccia e alzato il mento, un misto tra l’offeso e l’imbarazzato.

In quel momento qualcosa si era mosso nello stomaco di Lily, nel profondo del suo essere; ed era salito fino alle sue labbra. E con sorpresa di Sherlock, era un sorriso. Che era sfociato in una risata contagiosa e di cuore, da lacrime agli occhi. Lily non riusciva a smettere, era troppo divertente. L’espressione di Sherlock, il suo balbettare insicuro e il tono cauto che aveva usato; il tutto, combinato, era di un’ilarità unica. Rideva, rideva cercando di scusarsi. Sherlock inizialmente la guardava perplesso, poi si era leggermente irritato: “Non capisco cosa ci sia da ridere, ho solo fatto una domanda. Tra l’altro pertinente, visto il tuo stato d’animo” aveva aggrottato le sopracciglia.

Lily aveva preso fiato, le mani sulle ginocchia: “Sì Sherlock, scusa. Era solo un po’ buffo, tutto qui. Mi dispiace. Comunque no, non sono innamorata di John Watson”.

“Ok, va bene. Cercavo solo di capire” aveva risposto in un sibilo.

“Ma come! Tu sai tutto!” aveva risposto Lily, sorpresa.

“Beh, quando si tratta di sentimenti..non sono così…ferrato” aveva incrociato le braccia, offeso.

“Ah, giusto” Lily aveva alzato gli occhi al cielo “beh detective, penso che andrò a dormire, domani sarà una giornata intensa” le era passata accanto e si era fermata, guardandolo. Poi aveva appoggiato una guancia sul suo braccio e detto piano: “Grazie per la cioccolata e il sostegno. E grazie anche per la risata, ci voleva proprio”.

Sherlock l’aveva guardata: “Di nulla” aveva risposto, le braccia ancora incrociate.

“Buonanotte” gli aveva sorriso leggermente e si era diretta verso le scale, sentendo lo sguardo di Sherlock su di lei. Non era la prima volta che la faceva ridere così di gusto. E di questo, gliene era infinitamente grata.

//

Appena Lily era scomparsa dietro la parete per andare in camera sua, Sherlock aveva sospirato. Che giornata, accidenti. Va bene l’azione, ma così era un po’ troppo.
Si chiedeva come avrebbe reagito Lily alla chiacchierata con Andrew. Non riusciva a trarre una conclusione, e questo lo irritava parecchio. Aveva guardato il fuoco, socchiudendo gli occhi. Si era diretto verso il tavolo pieno di carte e si era seduto. Sfiorava i fogli pieni di appunti, dentro la sua agenda nera.
Ripensava al ringraziamento di Lily; alla sfuriata di John e al fatto che quella ragazza minuta aveva portato uno scompiglio non indifferente nelle loro vite. Così piccola e con un’energia fuori dal normale.
Aveva sospirato, guardando la superficie del tavolo.
Chissà cosa sarebbe successo.

//

La mattina dopo il cielo era plumbeo e l’aria umida e pesante; proprio come si sentiva Lily, che guardava il cielo attraverso le tende della finestra, cercando di trovare la forza per alzarsi e affrontare Andrew. Non sapeva neanche chi sarebbe stato presente. Una stretta allo stomaco l’aveva fatta trasalire, pensando a John e al suo discorso della sera prima. Probabilmente sarebbe venuto per sapere quale terribile segreto dovesse svelare; ma non le sarebbe stato vicino, Lily non avrebbe potuto contare sul suo appoggio e questa cosa le faceva andare ancora di più nel pallone e le faceva avere ancora più paura. Avrebbe dovuto affrontare tutto da sola, senza sapere minimamente cosa aspettarsi. Aveva stretto gli occhi, nel panico.
Ma no.
Non si sarebbe tirata indietro, anche se fosse stata da sola contro il resto del mondo. C’era qualcosa che la riguardava e che lei doveva sapere. Si trattava di lei, di lei e basta. Oggi si sarebbe dovuta sorreggere da sola, avere le spalle abbastanza larghe da sostenere il peso di qualsiasi rivelazione, di qualsiasi verità. Dentro di sé tremava, ma non c’erano opzioni, non c’erano scelte. Non c’erano alternative; continuare a nascondersi e scappare avrebbe solo peggiorato la situazione.
Un vago sentore di nausea, nonostante il discorsetto di incoraggiamento, la perseguitava.

Aveva afferrato i jeans, un maglione a collo alto color ghiaccio ed era scesa per andare in bagno; appena arrivata al piano di sotto aveva trovato Sherlock in cucina; si era girato di scatto e aveva esclamato: “Buongiorno! Ti ho preparato la..ehm..colazione” aveva indicato impacciato verso il tavolo dove troneggiava una bricco di caffè fumante e una montagna di muffin e scones sopra un piatto.
Lily l’aveva guardato alzando un sopracciglio, poi aveva guardato i dolci che sarebbero bastati per un esercito. Anche se le costava parecchio rifiutare un gesto gentile di Sherlock, aveva risposto: “hmmm…grazie, ma passo. Sai, il nervosismo”. Non aveva fame, non riusciva neanche a pensare al cibo.

Sherlock l’aveva guardata smarrito: “Ma tu devi mangiare”

Lily aveva sgranato gli occhi, guardandosi intorno: “Non necessariamente, Sherlock”.

“Ti farà bene, non puoi stare senza cibo nello stomaco” aveva allungato un braccio verso il tavolo, in un gesto di offerta.

Lily aveva sospirato, sofferente: “Senti, davvero ti ringrazio ma proprio no. Non ho fame”

Lui l’aveva guardata per cinque secondi, aveva scosso la testa, si era lanciato contro di lei e l’aveva afferrata per le spalle, trascinandola in cucina: “No, devi fare colazione. Devi mangiare, sennò i succhi gastrici attaccheranno le pareti del tuo stomaco facendolo bruciare e procurandoti un’ulcera” l’aveva fatta sedere di prepotenza “qui c’è il caffè e lì i dolci, mangia”

“Ehi!” aveva protestato Lily con ancora i vestiti in mano “ma che prepotente che sei! Ma se ti ho detto…”

Sherlock aveva chiuso gli occhi, inspirando per calmarsi: “Lily, sono dolci molto buoni. Per favore, mangiali. Mi sono alzato molto presto stamattina per andarli a prendere; li ho presi per te, quindi per favore, mangia” aveva indicato di nuovo il piatto, una leggera sfumatura di rosa gli colorava le guance. Era imbarazzato e fuori posto. Quando mai Sherlock Holmes avrebbe fatto una cosa del genere.

Lily aveva sorriso, arresa: “Va bene, d’accordo. Grazie” aveva aggiunto “tu non mangi?”

Sherlock aveva sbuffato, ironico: “Io non mangio mai”

“Ma perché hai preso così tanta roba, allora” Lily aveva intaccato uno scone ai mirtilli. Era buono sul serio. E le era anche venuto appetito.

“Beh…” si era fermato, lasciando la frase in sospeso.

Ah giusto, John. I muffin al cioccolato erano i suoi preferiti. Aveva preso un sorso di caffè, girandosi verso Sherlock: “Sono molto buoni” aveva alzato la mano che teneva il dolce, sorridendo affettuosa.

Lui aveva annuito, soddisfatto.

Finita la colazione, Lily si era lavata, vestita e si era seduta sulla poltrona davanti a Sherlock. Lui leggeva un libro, il ritratto della tranquillità. Lily avrebbe voluto spaccare tutto invece. Non sapeva neanche a che ora sarebbe arrivato Andrew; sperava arrivasse prima John veramente, voleva avere sia lui che Sherlock vicino. Ne aveva bisogno, la facevano sentire al sicuro.

Verso le dieci del mattino, qualcuno aveva suonato alla porta; Sherlock aveva alzato gli occhi dal libro, fissandoli sulla porta. Lily aveva sobbalzato letteralmente, guardando nella stessa direzione di Sherlock e subito dopo girandosi verso di lui.

“È John” era stata la risposta di Sherlock allo sguardo terrorizzato di Lily.

Lei aveva tirato un sospiro di sollievo: “Ah…ok”. Era rimasta seduta sul divano, e Sherlock non accennava a muoversi. Mrs Hudson non c’era.

Altra scampanellata. Lily si era girata di nuovo verso Sherlock con aria interrogativa.

“Non mi va di andare ad aprire. Potresti…?” aveva gesticolato con la mano verso la porta, con fare stanco.

Lily lo aveva guardato, alzando gli occhi al cielo: “Sherlock, ti prego”.

“È che proprio non posso, capisci?” scuoteva leggermente la testa.

Voleva che lei andasse ad aprire per affrontare John. Ma Lily era talmente agitata che non poteva in quel momento. Il poco coraggio che aveva doveva incanalarlo per l’incontro con Andrew, non poteva fare entrambe le cose. Ma Sherlock era Sherlock e non si sarebbe alzato nemmeno se fosse crollato il palazzo.

Aveva sospirato ed era scesa per le scale, mentre il campanello suonava rabbioso per la terza volta stridendo sui già fragili nervi di Lily. Aveva sentito una vampata di rabbia salirle alla testa, mentre apriva con uno strattone il portoncino.

John era lì, stretto nella sua giacca nera, gli occhi scuri e il viso stanco, di chi non aveva dormito quasi per niente. Non si aspettava la sua presenza alla porta, e aveva impercettibilmente alzato le sopracciglia sorpreso, per poi riprendere subito il suo contegno e borbottando un “buongiorno” frettoloso, passando accanto a Lily ed evitando per un pelo di darle una spallata. Lei aveva accennato uno sguardo, girandosi appena per vedere che stava salendo le scale senza neanche aspettarla. Così aveva chiuso il portoncino ed era tornata all’appartamento. Anche Mary le aveva telefonato quella mattina, chiedendo spiegazioni e rimproverandola leggermente per il suo comportamento. Non una parola su John.

Il silenzio era pesante. Sherlock osservava John, che guardava dalla finestra. Lily fissava il vuoto, non sapendo che dire. Poi aveva cominciato con voce sottile: “John, vorresti un the, qualcosa da bere? Sherlock ha comprato dei dolci stamattina, ci sono anche i muffin al cioccolato..i tuoi preferiti” aveva esalato, guardando per terra per sfuggire allo sguardo di John fisso su di lei, quasi sorpreso fosse stata così intraprendente da rivolgergli la parola.

“No, grazie. Magari dopo” aveva allacciato le mani dietro la schiena, tornando alla finestra.

Lily era tornata alla poltrona, sollevando le gambe e circondandole con le braccia. Voleva diventare minuscola, un granello di polvere, e volare fuori dalla finestra per andare via e scappare da questo silenzio arrabbiato. Lo stomaco le si era annodato ancora di più. Fissava la figura di John che le dava le spalle, la sua silhouette che si stagliava contro la luce bianca della finestra. Il solito portamento militaresco, fermo e immobile a guardare chissà cosa.

E poi c’era Sherlock, seduto in poltrona con le lunghe gambe accavallate, i piedi nelle solite scarpe eleganti; era vestito di tutto punto, nonostante stesse dentro casa. Lily aveva cominciato a seguire la linea della sua caviglia, risalendo per la gamba, il polpaccio sottile e le cosce snelle fino al cavallo dei suoi pantaloni dove il tessuto si perdeva in mille pieghe. Guardava la fibbia della sua cinta, i fianchi stretti fasciati dalla camicia scura. Non si era accorta della sua bocca che si era leggermente aperta e della lingua che si muoveva lenta tra i suoi denti, concentrata su ogni centimetro del corpo di Sherlock. Lo osservava, frammento dopo frammento, arto dopo arto e riusciva quasi a sentire dove il calore si concentrasse di più, su quale parte del suo corpo fosse più calda.  Aveva continuato a far vagare gli occhi sul petto e sui bottoni della camicia sempre un po’ tirati, come se volessero aprirsi, un accenno di clavicola che spuntava dalla stoffa, il suo collo lungo così…invitante, la pelle bianca interrotta da vene azzurrognole. Fino ad arrivare al suo viso. E là si era fermata, avvampando, una stretta allo stomaco di piacere e paura. Sherlock la stava guardando, gli occhi fissi nei suoi. Chiari, attenti, ma allo stesso tempo pieni di domande. Il viso era poggiato sul suo pugno, il libro abbandonato sul bracciolo della poltrona. E Lily non riusciva a smettere di guardarlo, di conficcare gli occhi nei suoi. Si stava vergognando per essere stata colta a fissarlo in quel modo; chissà da quanto la osservava, chissà da quale parte del corpo aveva cominciato. Si guardavano e volevano parlarsi, o almeno a Lily sembrava che lui volesse dirle o chiederle qualcosa; perché non aveva mai visto gli occhi di Sherlock così, non sembravano neanche i suoi. Nella sua testa urlava di distogliere lo sguardo, di rivolgerlo altrove ma c’era come qualcosa che la teneva ancorata a quegli occhi che oggi erano grigi come il cielo, plumbei come la pioggia che cadeva. Erano trasparenti, ma non riusciva a capirli.
Quello che aveva capito lei invece era che lo desiderava, con tutte le sue forze. Osservare così il suo corpo era vergognoso, era maleducato, era strano. Ma era desiderio, qualcosa che non sentiva da parecchio. Il voler essere abbracciata, spogliata, toccata. Voluta.  

Un altro piccolo traguardo, alla fine. E Sherlock, anche se indirettamente, ne era il fautore. Lily aveva chiuso gli occhi per due secondi e l’atmosfera si era spezzata. Sherlock si era mosso, lo sguardo era cambiato e non era più nel suo. La bolla era scoppiata, e non sapeva neanche cosa avesse interrotto.

Sherlock si era schiarito la gola, alzandosi dalla poltrona: “Stanno arrivando” la voce era più profonda e impostata.

John si era girato verso di lui: “Bene. Lily, siediti sulla poltrona di Sherlock, Andrew si metterà su quella di fronte”. Erano ordini impartiti con fare secco e nonostante a Lily non piacesse essere comandata a bacchetta, si era alzata e messa dove John aveva detto. Il cuore le martellava nel petto, ma voleva calmarsi. Respirava profondamente per calmare il battito impazzito. Avrebbe affrontato tutto, doveva farlo.

Il campanello aveva suonato e John era sceso ad aprire. Sherlock si era girato verso Lily; si era avvicinato appoggiando le mani su entrambi i braccioli della poltrona. Il suo viso era a pochi centimetri da quello di Lily, che aveva trattenuto il respiro dalla sorpresa.

“Lily” scrutava i suoi occhi come poco prima “quello che ti verrà detto non so che effetto avrà su di te. Quello che ti dico è di ascoltare, fino in fondo. Potrà sembrare difficile, ma è la cosa migliore da fare”.

“Ci proverò” aveva annuito in fretta, sentendo i passi per le scale.

“Bene” si era rimesso in piedi aggiustandosi la camicia, posizionandosi dietro la poltrona.

Due omoni vestiti di nero erano entrati nell’appartamento, Andrew in mezzo a loro. Aveva l’aria stropicciata, stanca e anche parecchio impaurita. Non doveva aver passato un bel momento. Ma non sembrava ferito, quindi poteva ritenersi fortunato vista la reputazione che si portavano dietro i gorilla di Mycroft. Anche se alla fine non aveva fatto nulla che meritasse un pestaggio. O forse sì? Il livido sulla sua guancia confermava il pugno di John.

“Ciao Lily” si era seduto sulla poltrona, guardandola con aria colpevole “ stai bene?”

“Non so. Dovrei?” era stata la risposta glaciale di lei. Aveva sentito John mettersi sempre dietro la poltrona, vicino a Sherlock. Le sue guardie del corpo, i suoi cavalieri.

“Ti voglio chiedere scusa…io non volevo farti del male, sul serio. Ed è stato veramente piacevole frequentarti, nonostante…”

“Penso che non siano cose da dire in questo momento” era intervenuto secco Sherlock, con fare rabbioso “i discorsi strappalacrime lasciali a dopo. Dì a Lily quello che deve sapere” il tono era minaccioso e non ammetteva repliche.

Andrew aveva guardato Sherlock e poi John, visibilmente impaurito: “Va bene, d’accordo”.

Lily aveva preso un respiro profondo e tirato indietro le spalle.

“Io…sono stato incaricato da una persona di trovarti. Viva o morta”.

Lo stomaco di Lily si era girato. Non capiva, chi poteva cercarla?: “E questa persona chi sarebbe?”

Andrew si era leccato le labbra e poi aveva detto, con voce bassa: “Elizabeth Marie Scott Wright”.

In quel preciso momento, tutto il sangue di Lily si era gelato. Era sicura che nel suo corpo non ce ne fosse più nemmeno una goccia. Le orecchie le ronzavano e la bocca le si era addormentata. Era come insensibile e il mondo cominciava a girare, mentre la stanza diventava sempre più stretta.

Erano anni ormai, anni che non sentiva più quel nome.

Sentiva la voce di John, ovattata, che chiedeva a Andrew: “e chi è questa persona, cosa vuole da lei?”

Tutto a un tratto, i sensi di Lily erano tornati, chiari e nitidi. Aveva sentito la sua stessa voce dare la risposta.

“Elizabeth Wright è mia madre”.

//

L’aria nella stanza era diventata immobile, non si sentiva volare una mosca. Solo un mormorio, la voce di John incredula: “Santo cielo..”

Lily si era chinata in avanti, i gomiti sulle gambe, il viso tra le mani. Sua madre. La cercava. Ma cosa voleva? Aveva alzato il viso verso Andrew, cercando di articolare un pensiero logico.

“Cosa vuole da me? Dopo anni di silenzio? Non hai mai saputo dove fossi e a quanto pare non le è mai premuto saperlo. Cosa vuole da me?”

“Semplicemente ritrovarti, Lily. Sta invecchiando, e sei la sua unica figlia”.

Lily aveva sbuffato: “Ha incantato anche te, a quanto pare” intrecciato le mani davanti alla bocca, guardando altrove.

Andrew aveva assunto un’aria perplessa: “È tua madre, e mi ha chiesto di cercarti, per mari e monti. Vorrebbe rivederti, e parlare con te. Io l’ho vista e ci ho parlato Lily. Vorrebbe che andassi a Castle Combe, nella vecchia tenuta di famiglia”.

Una risata amara era uscita dalla bocca di Lily: “Sì certo, tornare in quel paese in mezzo al nulla. Non ci penso proprio, sono fuori da questa merda. Sono scappata proprio per quello. E per lei. Puoi riferirle che sto bene, ma non ho intenzione di andare a Castle Combe, né ora né mai”.  

Si era alzata, barcollando leggermente. Sua madre la cercava. Si era ricordata di avere una figlia, guarda un po’. La senilità al contrario.

“Lily, potresti darle una possibilità. È sola, in quella grande casa…” aveva cominciato Andrew

NON MI INTERESSA!!!” aveva urlato Lily “non mi interessa” aveva ripetuto tra sè e sè, più piano “io sono stata sola sempre e comunque, ed ero una bambina. E a lei questo non ha mai creato problemi. Quindi ripeto: ne sono fuori” si era diretta alla porta e l’aveva aperta “mi dispiace ti abbia fatto perdere tempo. Ora vattene Andrew, buon tutto e buona vita”

Andrew era rimasto seduto. Aveva guardato Sherlock che aveva annuito leggermente. Si era alzato, sospirando. Era arrivato accanto a lei e si era fermato: “Pensaci bene Lily. Dopo non si può più tornare indietro”.

Lei non l’aveva guardato, era rimasta immobile, gli occhi fissi sul pavimento.

“Ciao” Andrew le aveva messo una mano sulla spalla. Era calda e pesante “buona fortuna”.

Nell’appartamento era calato un silenzio di tomba. Sherlock e John erano fermi e immobili, dietro la poltrona. Nessuno parlava, nessuno respirava quasi. Lily era rimasta con la mano sulla maniglia della porta chiusa. Poi si era spostata al centro della stanza, non sapendo cosa fare. Nessuno osava prendere per primo la parola, nessuno osava fiatare. Cosa si diceva in una situazione del genere?

Tutto a un tratto, la voce di Sherlock era risuonata nella stanza: “Dovresti pensarci bene sul serio”.

John aveva chiuso gli occhi, aspettando la sfuriata.

“Non ho bisogno di pensare proprio a nulla, Sherlock” aveva risposto Lily calma “non ho bisogno di lei, adesso è troppo tardi” aveva fatto spallucce.

“Ora dici così perché sei sconvolta e arrabbiata” aveva continuato “pensaci un po’su”

“Parli proprio tu, che non vai alle feste di Natale dei tuoi per fargliela pagare di non esseri stati presenti durante la tua infanzia? Vieni a dire questo a me? Tu?” Lily aveva alzato la voce, puntando il dito verso Sherlock.

“Te lo dico proprio per questo. Non vorrei diventassi come me” aveva aggiunto calmo.

Un’ondata di senso di colpa aveva travolto Lily: “Mi dispiace, scusa” aveva sussurrato.

Altre spallucce: “Sono stato trattato peggio”. John, sempre muto, aveva spalancato gli occhi, annuendo.

“Non posso andare lì” aveva detto Lily, come se parlasse a sé stessa.

“Pensaci bene. Ora capisco che non ne hai la minima intenzione, ma magari con la mente fredda potresti ripensarci”

“Non credo, me ne sono andata di notte senza lasciare biglietti o informazioni. E nessuno mi è mai venuto a cercare”.

“Non puoi saperlo”

“Lo so eccome. Per mesi ho guardato giornali e telegiornali ma niente. Nulla. Se una persona ti cerca, come in questo caso, in qualche modo lo vieni a sapere. E io ero qui a Londra, non dall’altra parte del mondo”.

Silenzio. Una parte di ragione c’era. Anzi, più di una.

“E allora perché non ti ha mai cercato?” aveva chiesto John, cauto.

Lily aveva scrollato le spalle: “Io penso che non mi abbia mai voluto granché bene, mia madre. Mio padre è sparito nel nulla quando avevo….due? Tre anni? È scappato con una delle nostre cameriere e mia madre penso abbia attribuito a me la colpa di tutto ciò. È più facile scaricare le colpe su una bambina piccola, piuttosto che guardarsi dentro, no?”

Nessuno aveva parlato.

“Sono cresciuta con le tate e le cameriere. E nel mio piccolo mondo personale. Giuro che” la voce le si era incrinata al ricordo del suo mazzolino di fiori sbattuto contro la parete, ai biglietti di Natale buttati nel fuoco del camino “giuro che ci ho provato, con tutte le mie forze, a farmi voler bene da lei. Studiavo a casa con ottimi voti, studiavo violoncello e canto, prendevo lezioni di danza. Facevo tutto quello che potevo per renderla orgogliosa di me. Ma non è mai servito a nulla. Vedevo nel suo sguardo il risentimento e l’odio. Suo marito era andato via per colpa mia, perché io ero nata e lui non se la sentiva di affrontare la paternità. Avevo interrotto qualcosa, il loro idillio da sposini. Ma che colpa ne potevo avere io” aveva scosso la testa, amareggiata “ora lo so, ma una bambina di tre anni queste cose le sente e pensa che sia veramente colpa sua. Non c’è niente di peggio che sentirsi rifiutati senza un motivo apparente e sapere che comunque il difetto sei tu.” Si era asciugata le lacrime che le scendevano silenziose sul viso, guardando fuori dalla finestra “come mai adesso vuole vedermi? Perché proprio ora?”

“Ogni persona ha i propri tempi, Lily” aveva aggiunto Sherlock “ci si accorge dei propri sentimenti a volte troppo tardi. Ci si pente, e si cerca di rimediare. Non ti dirò cosa fare, sia ben chiaro. Ti sto solo dando un consiglio” voleva aggiungere da amico ma sembrava troppo “su una cosa Andrew ha ragione; dopo è troppo tardi”.

Lily aveva immaginato la morte di sua madre tante volte quando era adolescente e piena di odio e rabbia per l’amore che non aveva ricevuto, e quasi godeva a fantasticarne. Non le importava se era viva o meno.
Ma ora era diverso, non sapeva come sentirsi. C’era risentimento, questa era ovvio, ma non sapeva quanto e in che intensità. Poteva portarsi dentro un rimpianto così grande tutta la vita? Non avere l’occasione di sentire la versione di sua madre? Non lo sapeva, perlomeno non ora. Continuava a pensare anche al rapporto che aveva avuto con Kaleb. Perché doveva sempre essere la vittima? Perché doveva sempre essere lei quella maltrattata psicologicamente mentre voleva solo dare e ricevere amore? Era lei che sbagliava qualcosa? eppure non le sembrava. Forse il suo difetto era quello di fidarsi sempre e subito, di dare tutto senza aspettarsi nulla in cambio. Ma con una madre è diverso, una madre dovrebbe amare incondizionatamente. E invece no. Lily voleva sapere quale fosse il nome della cattiva stella sotto cui era nata.

Sherlock aveva rotto il silenzio pesante che era calato in casa: “Beh, è quasi ora di pranzo” aveva guardato l’orologio in cucina “volete mangiare? Prendo un take away, qualcosa? John? Lily?”

La tensione ormai era caduta e Lily stava morendo di fame. Doveva riempire il vuoto con qualcosa, forse il cibo avrebbe funzionato: “Ma sì, perché no? Fai tu, basta che sia molto grasso e unto, una cosa da sentirsi male”

“Come dottore lo sconsiglierei, ma una volta ogni tanto si può anche fare” aveva risposto John.

“Bene, torno tra poco” Sherlock si era infilato il cappotto in fretta “no, tu rimani a casa. Faccio prima se vado da solo” aveva fermato subito John che si era diretto anche lui verso la porta “e penso anche che dovreste parlare, voi due. Vedervi così muti e risentiti mi fa venire i nervi. A dopo” ed era volato via per le scale, senza fare rumore.

“Io non sono risentita!!!” aveva urlato Lily verso la porta. Poi aveva sospirato, e si era diretta in cucina per prendere un po’ di caffè. Era freddo, ma le serviva per tenersi impegnata, per non rimanere nella stessa stanza con un John offeso che nonostante stesse in silenzio, faceva baccano a prescindere. La sua rabbia faceva rumore.

Ne aveva preso un sorso e per poco non vomitava. La tazza era finita nel lavandino insieme al suo contenuto. Non c’era neanche niente da lavare, stranamente era tutto in ordine. Si era appoggiata al tavolo, non sapendo cosa fare.

Non si era accorta che John la osservava appoggiato allo stipite della porta, con aria divertita: “Non sei capace  a fingere, lo sai”.

Lily aveva alzato leggermente le spalle, in imbarazzo.

Era arrivato lì davanti, guardandola con le mani in tasca. Lei lo guardava di sottecchi, come un bambino che aspetta spaventato il rimprovero di un genitore.

Alla fine John aveva allargato le braccia, sospirando: “Vieni qua, coraggio. Prima che cambi idea”.

Lily non se l’era fatto ripetere due volte e si era buttata tra le sue braccia, stringendolo più forte che poteva. Lui aveva ricambiato, facendola sprofondare nel suo petto, le braccia a circondarle la testa: “Non farlo mai più, intesi? Mi state facendo venire tutti i capelli bianchi. Speriamo che Rose non sia una ribelle come te”.

Lily aveva riso, il viso nel maglione di John, il suo profumo che la rassicurava e la faceva sentire protetta. John non era altissimo, ma nonostante tutto le sue braccia e la sua presenza erano forti, piene di sicurezza.

“Secondo me saresti carino con i capelli bianchi ma visto che tu ci tieni, farò la brava”. Aveva sciolto leggermente l’abbraccio per guardarlo in faccia: “mi dispiace tanto, davvero”.

John l’aveva guardata, spostandole i capelli arruffati dal viso: “Lo so, me ne sono accorto dal tuo sguardo ieri sera. Ma ero troppo arrabbiato per darti retta. Dispiace anche a me, per aver reagito in quel modo” le aveva dato un buffetto affettuoso sulla guancia, riabbracciandola forte “sarai la mia rovina”.

Lily aveva risposto, la voce attutita dal petto di John: “Noooo, Rose sarà la tua rovina e io la aiuterò a farti impazzire”.

Lui aveva riso, facendo vibrare il petto e la guancia di Lily: “Oh beh, prevedo un futuro roseo allora”.

Avevano cominciato a chiacchierare, sempre vicini. John aveva voluto sapere dov’era andata e cosa aveva fatto il giorno prima e Lily gli aveva raccontato tutto. Anche dell’episodio della caffetteria e del cameriere che secondo lei voleva il numero di Sherlock.

“Sherlock ha grande potenziale su entrambi i sessi” aveva risposto lui “potrebbe ottenere quello che vuole con il suo aspetto e il suo charme. Ma a lui non importa”

Lily aveva sorriso: “Beh...che abbia charme è ovvio. Saranno gli zigomi o gli occhi, chi lo sa”

“Vuoi sapere cosa suscita così tanto interesse? È qualcosa che va oltre l’aspetto fisico”

“Sì! Sì dimmelo, sono molto curiosa” Lily aveva un tono cospiratorio “giuro che non lo dirò a nessuno”

John aveva incrociato le braccia e le gambe, appoggiato al lavandino: “Il segreto è il suo vero menefreghismo su tutto, il fatto che non gli importi di avere un rapporto con qualcuno. È il classico bello e tenebroso, troppo attraente per essere vero e perciò irresistibile e, soprattutto, irraggiungibile. Alla gente piace questo tipo di persona” l’aveva guardata con il più eloquente degli sguardi, facendola arrossire: “Tu cosa ne pensi? È intrigante?”

Lily aveva fatto spallucce: “Beh…gli ho detto che effettivamente attrae molti sguardi su di lui, ma si è comportato come se non se ne accorgesse. Non so se lui sia consapevole del fascino che emana. Non riesco a capire se lo fa apposta” aveva borbottato lei, in imbarazzo, e sentendosi presa come esempio.

John aveva annuito, dandole ragione: “A giudicare da come si comporta quando vuole interrogare qualcuno di sesso femminile, secondo me lo sa. Ma sa nasconderlo molto bene. Quello su cui ha più lacune è l’amore romantico, forse. Non so proprio se sia mai stato innamorato di qualcuno”.

Lily aveva sorriso, sognante: “Se solo sapesse com’è bello...” non voleva dirlo, davvero. Era un pensiero espresso ad alta voce. Si era irrigidita e aveva guardato John, che la guardava a sua volta, un leggero ghigno sul viso “essere innamorati, intendevo” il sorriso sornione di John si era allargato ancora di più “ehm…apparecchiamo, che dici?” aveva cominciato a tirare fuori piatti e bicchieri, in visibile imbarazzo.

“Bello e tenebroso, quindi?” la voce di Sherlock aveva fatto sobbalzare entrambi “irresistibile e irraggiungibile..mi piace, dovrei scriverlo sul mio biglietto da visita: Sherlock Holmes, consulente investigativo irresistibile e irraggiungibile…o sarebbe meglio con bello e tenebroso?” era sulla porta della cucina, con due sacchetti nella mano destra, la sinistra sotto il mento con fare pensoso “dovrei provare, potrei incrementare il giro d’affari” aveva guardato John e Lily, imbarazzati all’ennesima potenza “su, coraggio! non c’è mica da vergognarsi, no? Sono lieto che mi immaginiate così” aveva strizzato l’occhio e messo i sacchetti sul tavolo “ecco il rancio, mangiamo”.

“Comunque non è educazione spiare le conversazioni altrui” aveva borbottato John.

“Oh ma questa è anche casa mia ed è capitato che sono arrivato mentre parlavate. Sembrava  divertente, così ho origliato. E sono anche contento che voi due abbiate fatto pace”.

Lily era atterrita e con voce flebile aveva domandato: “Quindi hai sentito tutto?”

Sherlock le aveva scoccato un ghigno soddisfatto: “Tutto tutto” altro occhiolino al cardiopalma.
Bene, molto bene. Uno schifo al quadrato. Ma insomma, alla fine Sherlock sapeva che lei lo riteneva un bell’uomo e lei si era corretta su quanto fosse bello essere innamorati. Il suo progetto di non essere più infatuata di Sherlock stava fallendo miseramente; ma non voleva dire che tutta Londra dovesse essere al corrente dei suoi sentimenti. Metterla in imbarazzo era il gioco preferito di Sherlock, e lei era la preda perfetta. Perché era rimbambita, goffa e non riusciva a non pensare ad alta voce. Pessimo difetto, veramente pessimo.

John e Sherlock parlavano tra di loro mentre lei rimuginava su tutto ciò. Il cibo era ottimo e mangiava in silenzio, senza fiatare.

“Lily, tutto ok?” aveva chiesto John.

Lei aveva alzato la testa dal piatto, sorpresa: “Sì sì, tutto ok. Mangio”.

L’espressione di John era un misto tra il divertito e il comprensivo. Lily lo aveva guardato con aria sconfitta.

Sherlock esaminava la scena. Povera Lily, sempre così goffa e imbarazzata. La osservava, senza che lei se ne accorgesse. Ultimamente lo aveva fatto spesso, per capire com’era quando non si aspettava di essere vista. L’aveva studiata mentre lavava i piatti e cantava sottovoce; mentre scriveva o ritagliava qualcosa e metteva la lingua all’angolo della bocca. Quando mangiava qualcosa di nuovo e le piaceva, sollevava leggermente le sopracciglia, sorridendo; leggeva e si attorcigliava una ciocca di capelli intorno al dito. Erano particolari che non erano sfuggiti agli occhi esperti di Sherlock, ed erano divertenti e in un certo senso teneri. Non era come le donne che aveva frequentato lui, sempre impostate e attente a quello che facevano, per non sembrare sciocche. A Lily non importava apparire, anche perché non ci riusciva, semplicemente. Ogni cosa di lei era pura, ogni suo movimento, sguardo e atteggiamento erano solo suoi e scaturivano dal suo essere. Anche il suo modo di sedersi era impacciato, sempre accosciata o con un piede sotto il corpo. L’aveva vista poche volte accavallare le gambe, il resto delle volte si teneva le ginocchia con le braccia o semplicemente teneva le gambe incrociate all’altezza delle caviglie. La cosa buffa è che riusciva ad avere questi atteggiamenti semplici e risultare comunque femminile, a modo suo.

Si era ritrovato a sorridere leggermente, mentre Lily e John lo fissavano, perplessi. Sherlock Holmes che sorrideva era un evento raro e poco documentato. Il suo cipiglio era parte di lui e il farlo sorridere era impresa molto ardua. Per questo lo guardavano preoccupati e curiosi allo stesso tempo.

“Sherlock, per caso hai vinto la lotteria?” aveva chiesto John pulendosi la bocca con il tovagliolo “vuoi portarci tutti alle Maldive?”

Il sorriso era sparito dal viso di Sherlock: “Stavo pensando a una cosa divertente, niente di che. Sorridere non è mica un reato”.

“No, assolutamente. Ma tu lo fai raramente, devi ammettere almeno questo”.

Aveva scrollato le spalle, irritato: “Finite di mangiare e non fatemi il quarto grado. Sono affari miei”.

John aveva alzato le braccia in segno di resa, mentre Lily era arrossita e aveva ripreso a mangiare in silenzio. Poi aveva pigolato uno “scusa” sommesso, cosa che aveva infastidito ancora di più Sherlock, che aveva sbuffato sonoramente: “che chiedi scusa a fare, non hai fatto nulla di male!”

La fronte di Lily si era corrugata leggermente: “Beh, mi dispiaceva averti messo in imbarazzo solo guardandoti. Sei umano solo perché a volte mangi e dormi; se mi dovessi basare sui tuoi atteggiamenti avrei i miei dubbi”.

Ci risiamo, era stato il commento di John.

Non ero imbarazzato” aveva sibilato Sherlock “mi sono sentito osservato, tutto qui”

“Da che pulpito! Tu sei quello che non stacca mai gli occhi dalla gente e dalle cose!” Lily aveva posato la forchetta sul piatto “questo tuo modo di reagire è veramente infantile”.

Sherlock aveva aperto la bocca incredulo: “Beh grazie tante”.

“Prego, non c’è di che” aveva risposto Lily, fredda.

“Potremmo stare ore a parlare dei tuoi atteggiamenti infantili” aveva replicato lui a mezza bocca, ma facendo bene attenzione a farsi sentire.

“Per favore…” aveva mormorato John, senza successo.

Lily aveva sbattuto la mano sul tavolo, facendo tremare le stoviglie: “Certo, rigiriamo la colpa a me per non vedere i tuoi, di difetti” aveva incrociato le braccia “prego, comincia ad elencare, sono tutta orecchie”

Sherlock si era allungato sul tavolo “Non riesci a prendere una decisione senza prima pensarci mille volte, scappi da tutto e cerchi di nascondere l’evidenza dei tuoi sentimenti su ogni cosa. Hai paura dei tuoi impulsi, della tua vita e del tuo futuro. Hai paura di te stessa”.

Ogni parola aveva colpito Lily come un pugno: “Razza di arrogante bastardo” aveva soffiato rabbiosa “sei un cinico maledetto, che non riesce a capire che la gente ha dei sentimenti che possono interferire con l’analisi perfetta del tuo cervello da robot. Perché tu non senti niente e non ti accorgi di niente. Neanche quando ferisci a morte una persona, più e più volte. Sono stufa di sorbirmi le tue lezioncine da stronzo. Forse penserai che dire le cose in faccia sia una buona cosa ma ti svelo un segreto: a volte la bocca deve restare chiusa per evitare che esca merda” si era alzata facendo stridere la sedia: “con permesso. Scusa John” ed era salita in camera sua, sbattendo la porta.

John e Sherlock erano rimasti in silenzio.

“Mamma mia, siete come marito e moglie” aveva esordito John finendo di mangiare “quasi non sopporto più queste vostre liti domestiche”

“Figurarsi, ho detto la verità, nulla di più” Sherlock aveva replicato irritato.

“È vero, ha paura di molte cose ed è molto insicura. Ma penso che quello che ha passato possa aver influito. Non c’è bisogno che glielo ricordi ogni volta, le causa già abbastanza sofferenza. Me l’ha detto lei. Ma alcune cose sono troppo importanti da affrontare ed è terrorizzata dal perderle. E no, non ti dirò quali sono; se un giorno vorrà te lo dirà lei. Anche se continuando così, la vedo difficile. Io me ne tiro fuori”

“Continuando così come?” aveva chiesto Sherlock.

“Terrorizzandola e ferendola a morte, ogni volta. Arriverà a un punto che non ti rivolgerà più la parola con la paura di essere analizzata e giudicata da te. Non è bello, soprattutto se trai le tue conclusioni non avendo uno straccio di prova. Eppure è il tuo lavoro.”

“Cerco di spronarla a fare meglio” Sherlock giocava con il suo tovagliolo, piegandolo in forme geometriche strane.

“Beh, così sbagli. Ti sei comportato bene prima, quando le hai consigliato di pensare alla faccenda della madre, senza pressioni, senza analisi. Quello è un atteggiamento giusto da avere. Aggredire non serve. Sembra che tu sia gentile con lei solo quando è già a pezzi e di peggio non si può fare”.

Sherlock era rimasto in silenzio, non sapendo cosa dire. Le parole di John erano accusatorie e parecchio pesanti. Quella era una delle poche volte che Sherlock Holmes non sapeva cosa replicare.

“E Sherlock, ti comporti così solo quando sei in imbarazzo per qualcosa e temi che possa uscire quel lato umano che tanto ti ostini a nascondere. Stavi sorridendo Cristo santo, non stavi affogando gattini. È una cosa bella, non orribile”

Sherlock non avrebbe mai rivelato il motivo per cui stava sorridendo, neanche sotto tortura. Era un segno di debolezza, quel sorriso era stata una minuscola crepa nel suo perfetto palazzo mentale. Come se fosse entrato per un secondo un raggio di sole. Non sarebbe dovuto succedere, mai più.

Era rimasto in silenzio.

“Bene, immagino che la ramanzina sia finita. Ma tanto non servirà a nulla, vero? Quante volte ti avrò detto tutto ciò? Qualche milione, probabilmente. Tutto questo fiato sprecato, sembro un disco rotto” si era alzato, sospirando “torno a casa, Mary mi aspetta. Ci sentiamo”

E ora era solo.

//

Lily era sdraiata sul letto e pensava come non mai. Era arrabbiata, soprattutto con sé stessa. Era arrabbiata anche con Sherlock che nonostante tutto, non finiva di ferirla. Ed era arrabbiata anche perché nonostante le cattiverie e le recriminazioni, non smetteva di pensare a lui. Anche quando era arrabbiato, era bello. Anche quando gli sbatteva in faccia la verità, lei lo amava. Era questo che sbagliava? Si innamorava delle persona sbagliate, di quelle prepotenti? Ma lui la voleva ferire di proposito? O voleva farle capire qualcosa? da ogni piccola domanda scaturiva un quesito psicologico e articolato. Aveva sentito John che se ne andava e ora erano loro due, da soli. Sentiva l’acqua che scorreva, il rumore dei piatti.

La rabbia le era già passata, a dire il vero. Sentirsi dire la verità faceva male, soprattutto se a dirla era Sherlock Holmes con il suo piglio arrogante. Lei sapeva che era così e doveva ammetterlo invece di scappare in camera. Aveva abbracciato il cuscino, sospirando.

Mi sento in trappola.

Quale sarebbe stato il momento giusto per confessargli come si sentiva? Ci sarebbe mai stato?
E all’improvviso una decisione, uno sprazzo di coraggio nella sua mente sempre spaventata; una convinzione improvvisa, chiara e pura come acqua.
Sarebbe andata a Castle Combe; avrebbe parlato con sua madre e avrebbe scoperto se era cambiato qualcosa, se finalmente poteva fare pace con i demoni della sua infanzia.

E cominciare ad essere una persona migliore.

//

Sherlock era rimasto in salotto, seduto sulla sua poltrona, a pensare. C’era stato tutto il pomeriggio e ormai era quasi sera. Lily era rinchiusa in camera sua da ore ormai. Continuava a riflettere su  quello che aveva detto John. Faceva male alla gente quando si trovava con le spalle al muro, doveva ammetterlo con sé stesso. Aveva fatto male a John, e a volte continuava a fargliene, faceva male a Lily, faceva male a suo fratello. Anche a Molly, e a Lestrade e a Janine. Era automatico, un sistema di difesa che scattava da solo: i sentimenti per lui erano off limits e se qualcuno suscitava qualcosa in lui che fosse riconoscenza, affetto, simpatia lui lo allontanava. E cos’è che allontana le persone meglio di qualsiasi altra cosa?

La cattiveria.

Aveva giurato a sé stesso, molti anni prima, che non avrebbe mai provato nulla verso nessuno perché i sentimenti non facevano ragionare, non facevano rimanere lucida la mente. E lui non aveva bisogno di tutto ciò; lui voleva essere perfetto, voleva essere una macchina. Vedeva gente soffrire per i figli, per amanti e famigliari e questo lo faceva inorridire. O forse lo spaventava.  Prima di diventare così, anche lui aveva provato dolore. Quando era morto il suo cane, quando i suoi genitori non c’erano, quando era preso in giro a scuola, quando non era accettato. Ma lui sapeva perché la gente lo trattava così: perché aveva paura, perché era intelligente e capiva più cose degli altri. E così aveva cominciato a essere cattivo anche lui, a reprimere tutto ciò che potesse portare amore nella sua vita. Era dotato di una grande mente analitica e razionale, così l’aveva sfruttata a suo favore. Aveva studiato ciò che gli piaceva, il resto lo aveva dimenticato. Aveva scoperto, ironia della sorte, che quello che gli riusciva meglio era leggere le persone. E così l’aveva sfruttato a suo vantaggio, e aveva cominciato a fare il consulente investigativo. Non per aiutare la gente, per carità. Ma per dimostrare, sempre e comunque, che lui era una spanna sopra gli altri.

Poi, John. Che aveva saputo prenderlo e volergli bene nonostante fosse così. E con lui sapeva che poteva aprirsi, nei limiti del possibile. Erano amici, anzi migliori amici a detta di John. Ma anche lui l’aveva tradito, lasciandolo solo. Aveva sposato Mary, aveva Rose. E Sherlock era stato messo da parte. Continuavano a vedersi, a risolvere casi insieme. Ma non era come prima, non sarebbe più stato come prima.
Avvenimenti del genere lo convincevano sempre di più che stare soli fosse la soluzione migliore. La solitudine lo proteggeva dal dolore e dalla paura. E quando finalmente le cose cominciavano a filare nel modo giusto, quando ricominciava ad abituarsi alla sua routine solitaria, Lily era piombata nella sua vita. Una persona diversa dalle altre, enigmatica e semplice allo stesso tempo. Non riusciva a leggerla, non riusciva a capire cosa pensasse, perché arrossiva all’improvviso, perché fosse così timida su alcune cose e altamente capace su altre. Dimostrava affetto in maniera diversa dalle altre persone, semplicemente con la sua presenza, come se dicesse “so che non sei il tipo che parla, ma io sono qui. Qualunque cosa accada”.
Era paziente, discreta. E Sherlock non capiva come potesse essere così. Vedeva l’affetto che John provava verso di lei e un po’ ne era invidioso.
Era così fragile, ma allo stesso tempo così forte; la gente l’aveva usata, ferita, disprezzata. Ma lei continuava a essere buona.

Ed eccoci di nuovo al punto di partenza. Ogni volta che litigavano, faceva sempre i soliti ragionamenti. Lui faceva le stesse identiche cose che avevano fatto le altre persone. L’aveva ferita, disprezzata. La usava per scaricare le sue frustrazioni, quando vedeva che in qualche modo riusciva a penetrare nel suo essere, a renderlo un pochino più umano. Chi era lei per arrivare così e scombinare tutto?

La bottiglia ormai era vuota e lui ubriaco. Aveva finito l’ultima goccia della bottiglia vicino al camino e si sentiva caldo dentro e freddo fuori. I suoi ragionamenti erano dettati dall’alcol e non sapeva neanche perché aveva cominciato a bere.
Perché aveva litigato con Lily, perché John l’aveva rimproverato per l’ennesima volta, perché si sentiva solo, perché non aveva la droga a tenergli compagnia. Così aveva ripiegato sul brandy, mezza bottiglia fatta fuori in pochissimo tempo. Era così incline alle dipendenze: alcol, fumo, droga, pericolo. Guardava il bicchiere, ormai vuoto.
Una cosa era certa. E ammetterla era per Sherlock un grosso sforzo.

Se non ci fossero stati John e Lily, lui a quest’ora probabilmente sarebbe morto.

Doveva andare al bagno, forse a vomitare o a sciacquarsi la faccia, non lo sapeva. Si era alzato barcollando, il mondo girava e non era piacevole. Quante volte si diceva che non si sarebbe bevuto più e poi ci si ricascava con tutte le scarpe?

Appunto.

Era arrivato alla porta del bagno e l’aveva spalancata. Davanti a lui c’era Lily, che si era girata di scatto, lo spazzolino in bocca e l’aria spaurita.

“Scusa” aveva mormorato lui, appoggiandosi alla porta “torno dopo”.

Lily lo aveva guardato sospettosa. Sapeva che il suo atteggiamento non era dei più normali e lei l’aveva capito.
“No tranquillo, ho finito. Puoi rimanere, vieni pure” Lily guardava Sherlock che barcollava sulla soglia e sapeva che aveva bevuto. Anche perché la puzza di alcol arrivava fino a lei “Sherlock, perché ti sei conciato così?”

Lui aveva alzato le spalle: “Mi andava” si era avvicinato al lavandino e si era posizionato dietro Lily. Lo specchio rifletteva entrambi, continuavano a fissarsi senza parlare. Lily cominciava a sentirsi un po’ nervosa. Questa vicinanza e lo sguardo di Sherlock la spaventavano. Aveva tolto lo spazzolino dalla bocca e si era sciacquata le labbra: “Ho finito, ora puoi…”

Non sapeva perché e neanche come. Fatto sta che Sherlock era avanzato verso di lei, abbracciandola. Un braccio intono al suo collo e un altro intorno alla vita, il suo petto appoggiato alla schiena di Lily, il suo viso nell’incavo del collo. Sentiva il suo respiro caldo e umido, odoroso di brandy. Si era irrigidita, il cuore che voleva schizzarle fuori dal petto.

Niente panico, è ubriaco. È MOLTO ubriaco. Ci sei già passata, non è niente. Solo che l’altra volta fingeva di essere una ballerina, ora ti sta abbracciando.

“Sherlock…stai bene? Vuoi sederti sul…”

Aveva visto una montagna di riccioli neri fare “no”: “Voglio stare così per un po’” aveva mugugnato sulla pelle di Lily, che sembrava bruciare per l’emozione. Tutto era irreale, sembrava un sogno. Era immobile, il respiro leggermente accelerato. Sentiva caldo, sia per il turbamento, sia per la vicinanza di Sherlock, per il suo corpo premuto contro il suo. Voleva piangere. Si era mossa leggermente e l’aveva stretta ancora più forte, in maniera disperata. Come se cercasse qualcosa a cui aggrapparsi, un naufrago allo scoglio. Respirava piano contro il suo collo, facendola arrossire ancora di più. Dio solo sapeva quanto volesse tutto questo, con lui, ma non in questo modo, non in queste circostanze. Sognava il suo tocco da mesi ormai, le sue braccia a stringerla. Ma questo non era lui, non era quello che voleva veramente Sherlock. Era il fantasma di chissà quale fantasia, di chissà quale paura.

“Sherlock..io..” Lily aveva toccato il braccio che le circondava il collo, cercando di sciogliersi da quell’abbraccio tanto desiderato quanto terribile. Il risultato era stato che la presa era aumentata, ma non sul suo collo. Là il braccio rimaneva delicato, la vita ormai era immobile, non poteva muoversi. Era come un serpente, era prigioniera delle sue spire; non riusciva (e probabilmente nella sua testa neanche voleva), a liberarsi.

“Lily…” aveva spostato leggermente la testa, sfiorandole inavvertitamente il collo con le labbra, cosa che aveva fatto schizzare i battiti del cuore di Lily all’impazzata “sei così piccola tra le braccia di un uomo. Potresti spezzarti”.

Il nodo alla gola di Lily cominciava a sciogliersi. Era così vulnerabile in quel momento, lo erano entrambi. C’era solitudine nella voce di Sherlock, e paura. Continuava a rimanere immobile; l’impulso di affondare le mani nei suoi capelli era irresistibile, ma non l’avrebbe fatto. Non poteva sostenere nulla di più. Già questa situazione era emotivamente schiacciante.

“Non è colpa mia se sono così. Tu mi credi, vero? Dimmi che mi credi Lily, ti prego”.

Era troppo.

Le lacrime avevano cominciato a uscire copiose e cadevano sulla maglietta di Lily e sul braccio di Sherlock. Lei non voleva singhiozzare, non voleva che lui si accorgesse di quanto era emozionata, di quanto era dispiaciuta per lui in quel momento e di quanto fosse dispiaciuta anche per se stessa, imprigionata in questa giostra impossibile da fermare, che era l’amore per quell’arrogante sociopatico che la stava abbracciando in quel momento.

Non riesco a lasciarlo andare, è troppo amore, troppo tutto. Io non riesco a staccarlo da me. È dentro di me e non vuole andarsene. Non voglio lasciarlo andare.

Gli occhi annebbiati di Sherlock avevano incontrato quelli di Lily nello specchio: “Perché piangi? Ti sto facendo male?”

Lei aveva scosso la testa: “No. Tranquillo, non mi fai male”

Almeno non fisicamente.

“Perché piangi allora?” aveva aggrottato le sopracciglia, dubbioso “non si piange senza motivo”.

“Perché vorrei aiutarti a stare meglio” aveva sussurrato, con voce tremante.

Sherlock aveva sorriso leggermente: “Lo stai già facendo Lily. Così” e l’aveva stretta ancora, rituffando il viso nel suo collo “proprio non capisci?”

Aveva strizzato gli occhi, disperata. Non c’era dolore peggiore, probabilmente.

“Tu e John mi aiutate a non morire”.

Basta. Lily aveva portato le mani al viso, scoppiando in singhiozzi aspri e taglienti. Come poteva dire queste cose e pretendere che lei non lo amasse? Come?

Sherlock, a quel punto, senza avvisare, si era staccato da lei, quasi spaventato. Il contrasto tra il suo corpo caldo e il freddo della stanza avevano fatto trasalire Lily.

“Scusami Lily, io ora vado. Buonanotte. E non piangere, per favore” le aveva sfiorato una spalla ed era andato via così, senza dire più nulla. Era come se le avesse succhiato via tutte le energie, come se separandosi da lei Sherlock avesse staccato la batteria. Era caduta in ginocchio per terra, come una marionetta a cui avevano tagliato i fili, continuando a piangere senza ritegno, le mani davanti al viso. Lui era andato via, e lei era sola.

Erano soli entrambi, ma non riuscivano a trovarsi.
  
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