Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Luxanne A Blackheart    05/10/2016    2 recensioni
Costantinopoli, 1518, Sublime Stato Ottomano.
Ibrahim Pargali Pascià, il Gran Visir, giunge a Palazzo Topkapi con un regalo speciale per il suo sultano. Si tratta di Roxelana, una schiava dai lunghi capelli rossi e la pelle bianca come il latte. Roxelana è stata venduta ad Ibrahim in cambio di soldi. Verrà condotta nell'harem di concubine di Süleyman il Magnifico. Nonostante l'amore incondizionato e puro che il suo padrone le dimostra, la rossa non si sente a casa, poiché non vuole essere una semplice schiava del piacere. Ella non vuole essere la favorita del sultano, vuole la libertà. Il suo animo ribelle e combattivo non si fermerà davanti a nulla pur di raggiungere il suo scopo: il potere. Non si fermerà neanche davanti all'omicidio e alla morte. A tutto ciò si aggiunge l'odio viscerale e l'amore proibito che le accecano la vista, emozioni che non sono destinate a Süleyman . Sentimenti contrastanti che la faranno impazzire.
Cosa rimarrà della schiava dai capelli rossi quando il destino chiederà il conto?
STORIA IN REVISIONE.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Medioevo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il tempo prese a trascorrere più velocemente ora che Ibrahim aveva trovato Hatice e Selim; il rapporto che si era venuto a creare fra lui e l'erede al trono, era simile al legame fra fratelli.
Ibrahim cercava di non pensare alla sua famiglia, o almeno lo faceva durante le ore buie della notte, quando tornava nella piccola camera che gli avevano concesso di avere in un angolo del castello. Selim si era rilevato un ottimo amico, dall'animo gentile e comprensivo, e non si era mai permesso di giudicarlo per le sue umili origini.
Hatice, invece, gli passava di nascosto qualche dolce che riusciva a nascondere dal pranzo e insieme correvano in un angolo del giardino a mangiare.
Non puzzava più di sterco di cavallo e il suo viso non era più sporco; Hatice faceva in modo che Ibrahim potesse farsi il bagno almeno una volta alla settimana e quello era molto più di quanto potesse desiderare.
Stava cominciando ad abituarsi a quel clima e a tutte quelle persone, tant'è che nessuno lo guardava più come un fantasma.
Era semplicemente diventato il servitore fedele di Selim.
Così come il tempo trascorreva velocemente, lui cresceva a dismisura e la sua bellezza con lui. Stava diventando un uomo, un bellissimo e affascinante uomo dai modi raffinati, e tutti a corte lo stavano notando.
Grazie a Selim aveva imparato a scrivere e a leggere. Il suo buon padrone si era offerto di insegnargli, notando il modo in cui gli occhi gli si illuminavano davanti ad un libro. E una volta imparato, fu un gioco da ragazzi assalire l'immensa biblioteca di notte e leggervi tutti i tomi e volumi. Raccoglieva informazioni come una spugna e più si erudiva, più conosceva il mondo che lo circondava e le lingue, più la sua intelligenza e cultura aumentava.
Durante il diciottesimo compleanno di Selim, il sultano organizzò un banchetto sfarzoso in suo onore, invitando tutta la nobiltà a corte. Nessuno osò rifiutare un simile invito, perciò a Palazzo Topkapi si presentarono centinaia di parenti, funzionari politici e nobili di vario genere, provenienti dal più piccolo angolo di tutto l'impero ottomano.
Fu allora che Ibrahim la incontrò.
Era una nobile, di lignaggio molto alto, vedova e senza figli. Suo marito era morto qualche anno prima di colera e l'aveva lasciata come sua unica erede ad amministrare i suoi beni. Aveva circa quarant'anni ed era di una bellezza disarmante. Capelli biondissimi, quasi bianchi, e setosi. Due occhi cerulei da cerbiatta e ciglia talmente lunghe e scure da sfiorarle le guance. Pelle pallida e lucida. Camminava con grazia leggiadria e la sua voce era dolce e vellutata.
Tutti se ne erano innamorati almeno una volta nella vita. Era talmente bella da sembrare un angelo ed Ibrahim rimase talmente rapito da lei, che faticava a distogliere lo sguardo.
A quei tempi aveva diciannove anni e tutta la sua vita si era svolta fra le quattro mura di quel palazzo. Quindi era più che normale che provasse una simile attrazione.
Quella invece che stupì, fu la reazione di Feride. Fu catturata e completamente rapita da quel giovane, fresco e bellissimo. E, come ogni nobile capricciosa, lo avrebbe avuto.
Ibrahim era come un fiore appena sbocciato, bellissimo nella sua innocenza e Feride avrebbe fatto di tutto pur di riuscire a strapparlo dal prato e tenerselo solo per sé.
E infatti ci riuscì.
La donna si intrattenne per quasi un anno alla corte dal sultano, anno nel quale vedeva Ibrahim di nascosto, era diventato il suo amante. Lo riempiva di regali, vestiti nuovi, libri, soldi e a lui stava bene così. Era una bella donna, lo trattava come un re, perché avrebbe dovuto rifiutare una simile richiesta?
Purtroppo, però, niente è destinato a durare.
Feride era completamente impazzita d'amore per lui, lo seguiva ovunque e non gli lasciava svolgere il suo dovere. La gente aveva cominciato a mormorare e i pettegolezzi a girare per il palazzo. La goccia che fece traboccare il vaso fu una improvvisa richiesta di matrimonio. Ibrahim dovette rifiutare e Feride, con il cuore infranto e l'orgoglio ferito, aveva minacciato di uccidersi. Ibrahim era stato irremovibile. Non l'aveva mai amata, era stato soltanto uno svago, una piccola attrazione che aveva sfogato e adesso si era stancato. Quindi Feride, troppo amante della vita che conduceva, se ne era ritornata nel suo enorme palazzo, sposandosi pochi mesi dopo con un ricco mercante.
Ibrahim aveva ricevuto altre richieste di quel tipo, da donne sposate, vedove o serve. Aveva accettato chi gli faceva comodo e rifiutato chi non gli andava a genio. Tutte le donne erano innamorate di lui e presto lo sarebbe stata anche Hatice.
Il tempo che passava con la principessa era minore rispetto a quello con Selim. Con il passare degli anni non c'erano interessi che li legassero, se non una grande amicizia. Il massimo del divertimento che era concesso a lui e Hatice, in quanto servo e reale, era passeggiare per il giardino e parlare.
- Ho sentito che a corte sei molto apprezzato. - Aveva detto la principessa, sedendosi sul prato e guardando Ibrahim, splendido in quegli stracci, che la osservava con le braccia conserte sul petto. Grazie agli allenamenti che lui e suo fratello facevano ogni giorno, stava cominciando a mettere su muscoli. Non c'era più niente del piccolo e sporco Ibrahim che era una volta. Era un uomo e Hatice doveva farsene una ragione. - Penso che la devi smettere di fare... qualunque cosa tu faccia con quelle donne, Ibrahim. -
-Quello che faccio della mia vita, Hatice, è affar mio. Non voglio mancarti di rispetto, ma il salario che ricevo a corte è minimo e non posso comperare ciò che mi serve. - Ibrahim la guardò duro, sedendosi al suo fianco. Le prese la mano di nascosto, baciandogliela dolcemente.
-Adesso sei ingiusto! Ti abbiamo offerto regali e denaro che tu puntualmente hai rifiutato! E adesso vengo a scoprire che offri il tuo corpo a queste donnacce per le stesse cose che io avrei potuto donarti senza niente in cambio! -
-Hatice, lo sai che non è quello il punto... -
-Hai confessato di amarmi... - Disse all'improvviso Hatice, guardandolo negli occhi. - E io sono corsa via da te. E' forse per colpa mia che ti stai comportando così? -
-Non vedo cosa c'entri questo argomento adesso, è stato molto tempo fa... -
-C'entra. Sono stata una stupida a scappare così da te, Ibrahim. Avevo paura, ero terrorizzata da quello che sarebbe successo se mio padre o Selim avessero scoperto la verità... - Hatice incrociò le dita con le sue, asciugandosi una lacrima. - Anche io provo lo stesso per te. E gettarti su tutte quelle donne, mi distrugge il cuore. -
-Non ci credo. Anche tu... tu mi ami?! - Esclamò, strabuzzando gli occhi. Hatice annuì sorridendo e poggiando il capo su quello del ragazzo, leggermente sotto shock.
Cominciarono a vedersi di nascosto nella camera di Hatice e nessuno avrebbe scoperto niente per un bel po' di tempo.
Con la donna che amava al suo fianco, Ibrahim si sentiva finalmente felice. Tutto ciò che aveva passato stava cominciando a svanire lentamente dalla sua memoria, anche se gli incubi lo venivano a trovare puntualmente ogni notte. Quando il cielo era stellato Ibrahim dava il nome dei suoi genitori e di sua sorella alle stelle, mentre quando era nuvoloso cercava di vedere il volto di suo fratello Costa in una delle nuvole.
Per quanto Selim si comportasse da fratello, non lo era. Fra loro c'era una abissale differenza di cultura, lingua e ceto. Nessuno avrebbe potuto eguagliare Costa e nel suo cuore c'era una parte mancante, la sentiva quando si svegliava al mattino e aveva bisogno di qualcuno a cui poter dare il buongiorno, o quando era felice per qualcosa che Hatice gli aveva detto... Lui non c'era e ad Ibrahim mancava terribilmente.


*** ***
Lo incontrò qualche anno dopo, aveva venticinque anni. In cinque anni erano successe tante cose. Ibrahim aveva smesso di essere un semplice servitore ed era stato preso sotto l'ala protettiva del sultano, che avendo notato la lealtà verso Selim e la sua sete di conoscenza, lo faceva assistere a tutte le riunioni assieme ai suoi visir.
Quindi, Ibrahim era stato vestito di tutto punto, gli era stata data una camera enorme, così grande che una famiglia di cinque persone avrebbe potuto viverci e aveva il compito di istruirsi, combattere con la sciabola, imparare a cavalcare correttamente e saper discutere durante un dibattito.
Stava diventando un perfetto futuro visir, un perfetto servo e consigliere del sultano, di Selim. Lo avrebbe aiutato a regnare come si doveva.
Tuttavia quando non studiava o quando non era impegnato con Selim o Hatice, si annoiava. Cercava di svagarsi con le lettura di manuali o libri, ma aveva letto quasi tutti i volumi presenti all'interno della biblioteca. Alcuni erano talmente vecchi che Ibrahim aveva paura potessero sbriciolarsi fra le sue dita.
Perciò, quando si annoiava, usciva e si recava in città per qualche oretta. Respirava l'aria del porto, la vivacità della plebe e l'enorme e caotico mercato. Guardava le navi attraccate al porto, enormi costruzioni in legno e ferro dai nomi più strani e osservava i vari pirati e marinai divertirsi nei bordelli o nelle locande.
Non aveva mai più messo piede in mare dal giorno della sua cattura e gli sembrava strano, guardarlo, dopo così tanti anni. Sarebbe finito anche lui come suo padre, se i turchi non avessero sterminato il suo villaggio?
Mentre osservava i gabbiani sorvolare sulla superficie limpida dell'acqua salata, mentre nell'orizzonte il sole tramontava dipingendo tutto l'ambiente di una luce calda e arancione, lo incontrò.
-Sapevo fossi ancora vivo! - Un uomo, poco più grande di lui di qualche anno, dai capelli corti e nerissimi e gli occhi di un blu meraviglioso, gli corse incontro con un sorriso che andava da un orecchio all'altro. Dietro di lui, una donna dai lunghi capelli biondi e gli occhi celesti. Vestivano entrambi di nero come i pirati. - Alexandros, sei tu! Oh, quanto mi sei mancato. -
Ibrahim si irrigidì, aggrottando lo sguardo. Chi era quell'uomo e come conosceva il suo nome? Non esisteva nessun Alexandros, era morto. C'era solo Ibrahim adesso.
-Che cosa volete? Non vi conosco... Io sono Ibrahim.- L'uomo continuò ad avvicinarsi, ignorando lo sguardo gelido del moro. Continuava a sorridere e anche la donna dietro di lui.
-Davvero non mi riconosci, fratello? Sono io, Costa. Siamo noi, Costa e Fiammetta. -
Ibrahim spalancò gli occhi, aprendo la bocca per dire qualcosa e richiuderla subito dopo.
-Costa? Mio fratello Costa e... Fiammetta, la mia amica... -
-Sì, siamo noi, Ibrahim. - Fiammetta annuì, stava piangendo di gioia.
-Siete reali o solo frutto della mia fantasia malata? Siete cambiati così tanto... Mi siete mancati così tanto. - Sussurrò Ibrahim, senza parole. Gli erano mancati così tanto! Senza aggiungere altro strinse il fratello così forte fra le braccia da rompergli qualche ossa, lo strinse così forte prima che potesse scomparire all'improvviso come succedeva nei sogni. Strinse fra le braccia l'unico famigliare rimastogli, il sangue del suo sangue, suo fratello, il suo Costa. Il fratello che aveva perso e che ora poteva finalmente stringere fra le braccia.
Quello sarebbe stato il giorno più felice della sua vita per molti anni a venire.


*** ***
Ma, se adesso vi ho raccontato solo vicende liete nella vita di quest'uomo, dobbiamo tornare a Palazzo Topkapi. Altri cinque anni sono trascorsi nell'impero ottomano e il nostro Ibrahim ha compiuto trent'anni da un bel po' di tempo.
La vendetta che ha covato per anni sta finalmente per compiersi per mezzo di un gesto orribile, che perseguiterà fino alla fine dei suoi giorni, ma che progettava fin dalla tenera età di sei anni.


*** ***


Il sultano era confinato a letto da giorni ormai, la malattia che lo aveva colpito non intendeva lasciarlo andare e il regno, la famiglia e i sudditi erano disperati. La sultana, Selim e Hatice passavano notte e giorno al suo capezzale per cercare di salvarlo, distrarlo dai dolori e a piangerlo prima del tempo. Tutti sapevano quanto mancasse prima dell'inesorabile fine, lo si capiva dai pianti isterici di Hatice o dallo strano silenzio tombale e il freddo che aveva assalito il palazzo reale.
Il sultano aveva pronunciato le sue ultime parole ai figli e alla moglie e dopo aver chiesto di essere lasciato solo, tutto il castello era andato a dormire, o far finta. Tutti tranne Ibrahim.
L'uomo, infatti, portava fra le mani una piccola tisana alle erbe e passeggiava lentamente per i corridoi, diretto nelle stanze dell'imperatore.
-Oh, Ibrahim, vieni figliolo. - Il sultano sorrise, o almeno cercò di farlo, tossendo.
-Vi ho portato questa tisana alle erbe, mio sultano. - Ibrahim si inchinò, avanzando lentamente verso il sovrano. Si avvicinò al suo enorme letto a baldacchino e dopo avergli afferrato la nuca con la mano, cercò di fargli bere tutto l'intruglio. - Spero che adesso si sentirà meglio. -
-Temo di no, Ibrahim, il mio destino è segnato. -
-Beh, prima o poi doveva succedere, non vi aspettavate di vivere per sempre, non è vero? - Disse Ibrahim atono, poggiando il bicchiere su uno dei tavolini lì vicino.
-Ma certo che no! - Il vecchio rise, tossendo più forte. Il suo respiro aveva cominciato a farsi più ansante e veloce, il cuore batteva come impazzito nel suo torace e gli occhi gli bruciavano, sembrava dovessero esplodergli. - Ho sempre amato il tuo essere così schietto! E' una delle ragioni per cui ti reputo adatto a rivestire il ruolo di Gran Visir. Sono certo che mio figlio farà grandi cose... ma ci deve essere uno come te a doverlo seguire. -
-Vi ringrazio per la fiducia riposta in me, mio sultano. - Ibrahim chinò il capo, afferrando uno dei cuscini decorativi dal pavimento. Era dorato con delle decorazioni rosse.
-Ho imparato, in tutti questi anni di... convivenza... a... volerti... bene... - Respirare e parlare era diventato più difficile. Sul viso di Ibrahim si dipinse un sorriso colpevole. - Ti ho voluto... bene come un... figlio, Ibrahim. Non ho potuto dimostrartelo, perché non mi era concesso. Ma in te ho visto... ho visto... un degno fratello per Selim... e per... Hatice... So che anche tu... -
-Basta così, vecchio. Sai bene cosa provo per i tuoi figli e non riesco ad immaginare come due persone meravigliose possano essere uscite da uno come te. Per tutti questi anni ho aspettato questo momento! La mia vendetta finalmente si compirà. Tu morirai e il mio viso sarà l'ultima cosa che vedrai. Brucerai all'inferno per aver ucciso la mia famiglia, per aver bruciato il mio villaggio e le mie origini, per avermi portato in questo paese. Tu oggi morirai a causa mia e per la prima volta dopo anni, andrò a dormire con il sorriso. -
-I... I... - Ormai non riusciva più a respirare, tanto meno a parlare. Il sultano aveva spalancato gli occhi, in preda al terrore. Boccheggiava, chiedendo aiuto ma nessuno lo sentiva. Tutti dormivano.
-Buonanotte, sua maestà, possa Dio, Allah o gli dèi bruciarti nelle fiamme fino alla fine dei tempi. - E senza aggiungere altro, Ibrahim sorrise premendo il cuscino sulla faccia del sultano e soffocandolo sul suo letto di morte.
Era la prima volta che uccideva un uomo volontariamente. La prima volta che le sue mani si tingevano di sangue, la prima volta che si vendicava, la prima volta che provava veramente gioia in una vicenda orribile. Avrebbe bruciato anche lui al suo fianco, ma almeno aveva vendicato sua madre, suo padre, Elena, Costa, se stesso, Fiammetta e tutti gli abitanti del suo villaggio e tutti coloro che avevano sofferto per la cattura, che avevano visto i loro cari soffrire e morire.
Si era vendicato, ma a che prezzo? Si era vendicato, ma perché non aveva il dolce sapore della vittoria, ma quello aspro della scofitta? Non provava più niente, era caduto nel baratro e non sarebbe più stato lo stesso. Con il sultano moriva per sempre anche Alexandros.




SPAZIO AUTRICE!!
Salve a tutti! Ed ecco finalmente anche l'ultima parte di tutta la vera storia del nostro freddo Ibrahim Pascià. Cosa ne pensate? Vi immaginavate un passato del genere? Vi chiedo di lasciare un voto e un commento per farmi sapere che ci siete, fa sempre piacere leggerli! Se c'è qualcosa che non va, domande di approfondimento o altro, non esitate a chiedere, rispondo a tutti!
Mi scuso per il ritardo ma fra scuola e impegni vari non so quando mettermi al computer.
Buona serata,
HL Wayland.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Luxanne A Blackheart