Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Kourin    06/10/2016    3 recensioni
Luglio 1977. Mū del Jamir viene convocato al Santuario a causa di un problema che, apparentemente, solo lui è in grado di risolvere.
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aries Mu, Gemini Saga, Leo Aiolia, Virgo Shaka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
IV




I raggi infuocati del tramonto colpirono l'ingresso occidentale, proiettando le ombre lunghe del colonnato fin nel cuore della Casa dei Gemelli. Solo allora iniziò a staccare i sigilli che chiudevano lo scrigno d'oro che gli era stato affidato. L'ombra del riparatore finì così per venire inglobata nello stesso disegno arancione in cui l'armatura dispiegava le proprie braccia. Il primo istinto di Mū fu quello di allontanarsi, ma poi si trattenne, perché quella che aveva davanti era l'unica, vera risposta che gli era mai stata concessa da Athena.
Continuò a studiare ogni scintilla, ogni venatura luminosa che si formava e si dissolveva nell'oro. Le mutevoli ombre della sera donavano alle maschere nuove espressioni, ora di tristezza, ora di collera. Mentre contemplava con stupore quella fluida alternanza, Mū si ricordò di certi strani appunti trovati per caso nella biblioteca del Jamir.
In quelle pagine si sosteneva che Gemini in principio avesse avuto altri volti ma che questi ultimi, oltre a conferirle un aspetto grottesco, la rendessero instabile: pertanto i fabbri dell'epoca erano stati costretti a nasconderli fondendoli con le altre parti. Sui margini, però, un'altra persona aveva annotato che erano tutte corbellerie. Da parte sua, Mū sapeva che dietro alle leggende si nascondevano fatti reali e si rammaricò per l'ennesima volta di non poterne discutere con un riparatore più esperto.
Mi diceste che il legame tra maestro e allievo dura per tutta la vita ed è in grado di superare la morte: dove siete, adesso, mio amato Maestro Shion?” si chiedeva, mentre il cielo viola lasciava spazio ad un blu profondo, che a sua volta lavava via ogni residua sfumatura del giorno.
Quando le espressioni dei volti si furono cristallizzate in quelle che gli abitanti del Santuario chiamavano angelo e demone, la tristezza di Gemini si risvegliò. Non ci volle molto perché dagli occhi della maschera sinistra iniziassero a sgorgare le lacrime. Mū ne raccolse una tra le dita e la spanse tra i polpastrelli, notando che era composta di un fluido denso, brillante e inodore. Doveva trattarsi di una miscela acquosa di polvere di stelle anche se, secondo logica, quest'ultima non avrebbe dovuto essere in grado di sciogliersi nella normale condensa atmosferica. “Non credevo che una trasformazione del genere fosse possibile. Se continua così, quest'armatura si deteriorerà,” concluse, preoccupato.
S'inginocchiò quindi davanti al piedistallo e pose il palmo della mano destra sulle decorazioni del basamento, per meglio entrare in contatto con l'inquieta forza vitale delle vestigia. “Sacra armatura di Gemini, sono qui per te. Che cosa vuoi dirmi?”
Gemini in risposta vibrò in un tono basso: una frequenza davvero insolita, considerando l'elevata percentuale di Gammanium che doveva contenere. Nel contempo le braccia si mossero scambiando le posizioni dei quattro mudra ma, a differenza degli altri, il bracciale destro non riuscì a piegare le dita in maniera corretta e rimase invece teso, come a chiedere aiuto.
Mū lo staccò con prudenza, lo soppesò, ne tastò attentamente il guanto. Proprio lì individuò l'equivalente di una cicatrice sul corpo di un essere vivente, come se in quel punto le vestigia avessero subito un danno che fosse stato riparato dal sangue di un santo. “Ma chi può aver eseguito una riparazione così grossolana? Non certo Shion! E perché mai il mio maestro non avrebbe corretto un difetto del genere?
Gemini intanto continuava a vibrare, toccandogli le onde cerebrali, obbligandolo ad entrare in sintonia con la sua coscienza di strumento divino. Una successione di suoni e sillabe, una lingua che Mū non aveva mai imparato ma che forse conosceva da sempre, perché si sentì mancare il terreno sotto i piedi quanto ebbe realizzato che la risposta alle sue domande era solo una, ed era piuttosto chiara.
“Shion non ha avuto modo di ripararti perché questa è la ferita che porti per averlo ucciso.” Appoggiò il bracciale a terra, scrutò uno dopo l'altro gli attrezzi e i materiali che aveva allestito per la riparazione. “Povera armatura... Io non sono certo di poter fare qualcosa per te.”
Decise di lasciare tutto così com'era, scese alla Casa del Montone Bianco e lì indossò Aries.



“Dove stai andando?”
La prevedibile domanda riecheggiò immediatamente nella Casa del Leone, in quel momento illuminata dalle fiamme di due bracieri. Faceva uno strano effetto trovarsi davanti ad Aiolia vestito dell'armatura. Aveva un aspetto diverso da quello mostrato di giorno: la criniera del diadema mescolata ai riccioli biondi gli donava un aspetto ferino, accentuato dai riflessi del fuoco che guizzavano nelle iridi azzurre.
“Alla Tredicesima Casa,” gli rispose Mū senza mezzi termini.
“Il sacerdote ha dato ordine di non essere disturbato, per nessun motivo.”
“Aiolia... io devo andare.”
“Vengo con te.”
Mū lo guardò stupito, l'animo avvolto dal calore dell'amicizia che gli veniva offerta, la mente raggelata dalla consapevolezza del rischio a cui l'avrebbe esposto. Scosse il capo, calmo, mentre le correnti agitavano i bracieri e scuotevano i candidi mantelli, donando vita all'immobile confronto che si svolgeva tra loro e tra le loro doppie ombre. “No, si tratta di una questione tra me e il mio maestro.”
“Come santo dovrei fermarti, come amico dovrei seguirti. In ogni caso non posso fare finta di nulla,” insistette Aiolia, che prima si fece da parte per farlo passare, poi iniziò a correre al suo fianco lungo la scalinata della Casa della Fanciulla.
“Aiolia, per favore: stanne fuori.”
“Non provare a ripeterlo. Che cos'è successo, laggiù alla Terza Casa?”
Prima che Mū trovasse le parole per rispondere, davanti a loro era già apparsa la figura di Shaka. Indossava anch'egli l'armatura e li stava aspettando in piedi sulla soglia. Teneva i palmi delle mani aperti in loro direzione, la destra all'altezza del petto, la sinistra all'altezza del fianco, ad indicare che li accoglieva in pace.
“Shaka, per favore, lasciaci passare!” disse Aiolia.
“Shaka, ti imploro, fermalo!” disse Mū.
Sentì il proprio corpo venire in contatto con la barriera cosmica del Santo di Virgo e, quando l'ebbe superata, constatò di essere rimasto solo. Alle sue spalle udì il grido di rabbia di Aiolia e l'onda feroce suo Cosmo che s'infrangeva nella placida immensità di quello di Shaka.
Le gambe rallentarono fino a fermarsi e forse in quel momento gli si fermò anche il cuore, ma la volontà che lo muoveva era più forte e pulsava all'unisono con le sacre vestigia di Aries. Così proseguì senza voltarsi: anche di quella ferita avrebbe potuto occuparsi dopo, se fosse tornato vivo.


Non c'era nessuno di guardia davanti al portone del tempio. Mū lo aprì e il cigolio attraversò una Sala del Sacerdote deserta e completamente buia.
Non c'era anima viva nemmeno nelle altre stanze: non i passi furtivi di una cameriera, non il crepitare di una torcia, non il ronzio di un insetto. Come se tutto stesse trattenendo il respiro, per permettergli di sentire.
Accompagnato solo del clangore prodotto dalla propria armatura, Mū avanzò nella totale oscurità fino ad imbattersi in un angusto corridoio illuminato da due file di candele. Se non avesse saputo che conduceva alla vasca termale, l'avrebbe potuto intuire dal continuo, lieve sciabordio che proveniva dall'estremità opposta. Così proseguì, facendo tremolare le timide fiammelle. Qualcuna si spense, qualcuna combatté per restare in vita e guidarlo davanti ad un ingresso ad arco, chiuso da una tenda di colore rosso cupo. Quest'ultima ondeggiava impegnata in una silenziosa danza tra freddo e caldo, tra ombra e luce. Quando Mū la scostò, il tessuto gli lasciò addosso la sensazione di una gelida carezza, rimpiazzata subito dal calore del vapore che risaliva dalla superficie dell'acqua, vasta quasi quanto l'intera stanza.
In prossimità del soffitto si aprivano due file di finestre, ma le nubi che stavano transitando sopra il Santuario sembravano giocare a nascondere la luna, rendendola una fonte di luce inaffidabile. Mū tuttavia non provava timore, perché sapeva che lo scintillio delle costellazioni sacre ad Athena era immutabile, e lo avrebbe guidato nel giusto.
Scese i gradini finché l'acqua tiepida gli ebbe lambito gambali e ginocchia e, incurante del mantello che s'imbibiva sulle increspature, percorse la lunghezza della vasca finché non si trovò a pochi centimetri da lui.

Pareva tranquillo, immerso nell'acqua che gli arrivava fino a metà busto, le braccia poggiate languidamente sul bordo. Guardava il suo ospite con occhi che la luce solare non avrebbe mai potuto dipingere di un saggio color ametista, ma solo di un innocente, limpido celeste.
Rimasero a lungo immobili, l'uno vestito dell'armatura e l'altro della sola pelle nuda, disturbati soltanto dal flusso gentile delle minuscole onde che Mū aveva generato al suo passaggio.
Quell'uomo non era Shion. Shion era nell'armatura di Aries ed era tutt'intorno, perché non aveva mai cessato di proteggere il Santuario. Che stupido era stato quattro anni prima, talmente impaurito da non essersene accorto! Il Cosmo del precedente Ariete ardeva nel fuoco dei bracieri, cantava nel soffio dei venti, si muoveva nelle scene narrate sui fregi ed abbracciava, infine, i loro corpi nell'acqua.
Non c'era mai stato un suo successore, né era ancora arrivato chi potesse sostituirlo. Le due persone che si stavano fronteggiando all'interno della Tredicesima Casa erano solo bambini, che delle guerre divine non sapevano nulla. Non il vero strazio, non la vera tristezza, anche se avevano pensato, ingenuamente, di esserne già colmi.
“L'hai capito,” disse lui, dolce.
“Hai fatto di tutto perché io arrivassi qui, ora,” replicò Mū, calmo, la voce che si dissolveva nel vapore. Come ebbe parlato, nel cielo fece capolino la luna. Si fermò, incuriosito, a cercarne il riflesso nello specchio d'acqua.
“Perché te ne stai lì con le mani in mano? Che cosa aspetti ad uccidermi?”
“Non spetta a me.”
Gli rispose una lunga risata cristallina. “A chi, se non a te, che stai indossando Aries? Prendi il mio posto e governa il Santuario. Oggi lui non può opporsi. Ho aspettato tanto questa notte, non lasciare che l'occasione vada perduta.”
Con uno scatto fulmineo Mū gli afferrò il collo e lo costrinse a sollevarsi in piedi. Anche senza i paramenti sacerdotali era imponente, ben più alto di lui, ma l'energia cosmica che lo circondava era docile come nessun'altra.
Purtroppo non sarebbe bastato stringere la presa per liberare quell'anima dal suo destino violento. Per giunta, era proprio a quell'anima che la dea aveva deciso di affidare una delle sue più preziose armature.
“Non te ne sei accorto? Athena continua a proteggerti, io non posso andare contro la sua volontà, né contro quella di Shion”
Mū rilasciò l'impostore, lasciando che si accasciasse nell'acqua, affondandovi e riemergendone, gemendo: “No!”
“Mi avevi chiamato per l'armatura. Ma io non posso farci niente se Gemini continua a piangere, perché quelle lacrime vengono dal cuore del santo che lei confida di ritrovare.”
Non avendo nient'altro da aggiungere, Mū voltò le spalle se ne andò.
Dietro di lui Saga di Gemini urlò, come se l'avessero colpito a morte.


Quando fu uscito dal portone rimasto aperto vide le sagome delle Case Zodiacali offuscate, e solo allora si rese conto che stava piangendo. Tuttavia non si fermò e scese la scalinata come avrebbe dovuto fare un vero santo d'oro, lasciando al vento il compito di asciugargli volto e mantello.
Eppure, una volta che fu tornato alla Casa della Fanciulla e che Aiolia lo ebbe sbattuto contro la parete con tutta l'armatura, Mū continuò a piangere senza riuscire a spiegargli nulla: perfino il nulla, in quel momento, gli sembrava troppo. Si sentiva come se l'universo gli fosse finito dentro all'improvviso, disperdendo i frammenti del suo essere tra le galassie più remote.

Quando Shaka li richiamò all'ordine, Mū ed Aiolia uscirono sotto la volta stellata. In quel momento la luna piena risplendeva nella costellazione dell'Acquario. Il Coppiere Celeste pareva offrire loro i raggi argentati dell'astro, facendo sì che le vestigia di Aries e Leo rifulgessero di una luce bianca e pura, come l'innocenza.
Si fermarono in prossimità di un tempietto diroccato poco distante dalla discesa. I grilli che lo abitavano tacquero. Mū si liberò delle ultime lacrime rimaste intrappolate tra le ciglia e, dopo aver seguito con lo sguardo il volo silenzioso di un pipistrello, tornò a parlare.
“Prima che venissi qui, l'anziano maestro di Gorō-Hō mi ha narrato una storia, una leggenda cinese. Vorresti sentirla?”
Aiolia stava ancora sbollendo la rabbia, ma chiese ugualmente: “Conosci il Santo di Libra?”
“Sì, spesso vado ad allenarmi da lui. Diciamo che siamo amici.”
Il giovane leone appoggiò la schiena ad una colonna che dava sullo strapiombo, incrociò le braccia e fissò le stelle. L'Ariete allora iniziò a raccontare.
“Una volta, tanto tempo fa, un gruppo di scimmiette arrivò davanti ad un pozzo. Queste scimmiette videro la luna riflessa sul fondo ed esclamarono: 'La luna è caduta, dobbiamo salvarla e rimetterla al suo posto!' Nella comune illusione che la luna fosse davvero caduta, quelle creature erano fermamente determinate a soccorrerla. Così una scimmia si aggrappò al ramo di un albero, e poi tutte le altre si aggrapparono alla coda della compagna che stava sopra, formando una catena. Ma ben presto il ramo si spezzò e precipitarono tutte nel fondo del pozzo.
Subito volsero lo sguardo in alto, videro la luna tornata nel cielo ed esclamarono felici: 'Ce l'abbiamo fatta! Anche se dovessimo morire qui, abbiamo salvato il mondo e rimesso ogni cosa al posto giusto!'”
Mū annuì tra sé soddisfatto, sorprendendosi delle proprie qualità di narratore.
Il suo interlocutore, però, non pareva per niente impressionato. “Lasciami indovinare: saremmo noi, queste geniali scimmiette?”
“Penso di sì... Penso che a noi non sia dato di distinguere l'autentica volontà di Athena dal suo riflesso, perché siamo esseri umani. Buffo, no? Eppure lei ci affida lo stesso queste straordinarie armature.”
“Come Gemini?”
“Come Gemini.”
“L'hai riparata?”
“Lo sa solo Athena, se mai si potrà riparare.”
Aiolia si tolse il diadema e si passò le mani nei capelli. Poi si staccò dalla colonna e si avvicinò. “Che cosa farai, ora? Hai intenzione di restare qui al Santuario?”
“No, penso che tornerò nel Jamir.”
“Ordine del Sommo Sacerdote?”
Mū chiuse gli occhi per qualche secondo, poi li riaprì per fissare intensamente quelli dell'altro. “Si tratta di una scelta personale. Penso che sia meglio così per tutti.” Dato che in risposta riceveva solo silenzio, continuò:“Siamo fratelli nel Cosmo, Aiolia. Continuando a servire Athena ci ritroveremo di certo, perché lei ci vuole uniti, al di là di ciò che noi giudicheremo come verità e al di là dei sentimenti che da oggi in poi proveremo.”
“Senti... è meglio che la smetti, mi fai solo venire voglia di picchiarti.”
“Credi davvero che io me lo meriti?”
“Se fai così ti butto direttamente giù dalla rupe!”
Mū allargò le braccia e, col sorriso sulle labbra, disse: “Provaci!”
L'amico in risposta fece spallucce. “Non servirebbe a niente.” Poi aggiunse: “Sai, c'è qualcosa che mi spinge a fidarmi di te, nonostante tutto.”
“È perché io credo in te, Aiolia.”
Le nubi tornarono ad oscurare la luna e, insieme ad essa, inglobarono anche la porzione di cielo che aveva accolto quelle parole.
Ariete e Leone si congedarono in silenzio, mentre la luce calda delle fiamme che ardevano nei templi vicini prendeva il sopravvento su quella fredda degli astri, richiamando entrambi ai loro doveri.






Note

Quella delle scimmiette e la luna è una leggenda buddista, così come quella raccontata da Shiryū per spiegare il sacrificio di Shun. Proprio come quest'ultima ha diverse versioni: io ho fatto riferimento a quella trovata in questo libro.

In questa storia ho citato più volte i mudra. Per chi non li conoscesse, si tratta di posture simboliche delle mani. Da noi sono conosciuti per lo più per lo yoga, ma si tratta di elementi onnipresenti nelle iconografie indiana e buddista, a cui i realizzatori di Saint Seiya si sono spesso ispirati. Per chi è più curioso, questo è il link (in inglese) dove potete divertirvi a scovare il significato dei gesti di Shaka e dell'armatura di Gemini.
Come sempre non mi è stato semplicissimo muovermi tra gli spazi del manga di Kurumada, ma ho voluto lo stesso provarci: sapere che ci sono persone che leggono questi miei tentativi mi fa sempre molto piacere. Grazie di cuore a tutti coloro che hanno seguito questa fanfic!

Kourin



 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Kourin