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Autore: vincey_strychnine    06/10/2016    0 recensioni
Lui le assomigliava sotto molti aspetti. Anche lui era vuoto, ma ad un certo punto nella sua vita doveva aver riempito gli spazi con rabbia e odio verso tutto, tutti e magari anche verso sé stesso.
(...)
Cercò di nascondere il dolore mentre gli domandava, con tono di scherno, “Perché? Hai paura?”
“No,” disse lui. “Ma tu sì.”
La risposta innescò dentro di lei un fuoco e il dolore della sua stretta d’acciaio si attenuò per un momento. Avrebbe anche potuto strapparle le mani, non le importava. Lei non aveva paura di Cato, non aveva paura di nulla.
A denti stretti quasi sputò le parole, “Invece no.”
Cato e Clove partecipano agli Hunger Games perché per loro è un onore, perché l'hanno scelto. Ma se nella vita sono stati cresciuti ed addestrati per essere macchine letali, come fanno a sapere che non c'é nient'altro, nulla di meglio al di là dell'uccidere?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brutus, Cato, Clove, Lyme, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il suono di qualcuno che bussava strappò rapidamente Clove dalle sue riflessioni, cogliendola di sorpresa. Le ci volle un momento per esaminare ciò che la circondava e ricordarsi dove si trovasse.

 

Gli Hunger Games non erano ancora iniziati. Non era in un campo desolato, o in un deserto. Non stava accoltellando ripetutamente il ragazzino dell’Otto. Era, invece, seduta su di un divano fin troppo lussuoso nella stanza fin troppo lussuosa che Capitol City le aveva offerto per la sua permanenza fino al vero e proprio inizio dei giochi.

 

“Che c’è?” sbottò.

 

In risposta la porta si aprì a sufficienza perché la testa della sua mentore si introducesse nella stanza, il suo volto attraente osservò Clove con una certa curiosità. Nonostante a Clove non piacessero molte persone, aveva una sorta di ammirazione per quella donna alta e muscolosa. Il suo nome era Lyme, aveva vinto i giochi qualche tempo prima, e diversamente dagli altri nel vasto bacino di vincitori del Distretto Due non era arrogante e non si comportava con superiorità. Al contrario era tenace, abbastanza silenziosa e le parlava solo quando era strettamente necessario, cosa che Clove apprezzava molto.

 

Inoltre, a differenza degli altri vincitori del Distretto Due, non dava l’impressione di voler essere davvero lì.

 

“La cena”, disse Lyme tranquillamente. Eppure a giudicare dall’espressione lievemente contratta conferita ai suoi lineamenti forti, disapprovava il tono di Clove. Dal momento che Clove aveva una buona dose di rispetto per la sua mentore, invece che provocarla ulteriormente finse di non accorgersene.

 

Mentre lasciava che le gambe flessuose le scivolassero da sotto il corpo, percepì la familiare sensazione di aghi e spilli conficcati nei piedi. Per un attimo restò seduta, inarcando le dita e concedendosi del tempo per riacquisire sensibilità. Lyme continuò ad analizzarla dall’ingresso e proprio mentre stava per dire qualcosa, il rumore di stoviglie infrante contro il pavimento di marmo le spinse entrambe a voltarsi rapidamente verso la sala da pranzo fuori dal corridoio. Lyme si diresse subito là, ma Clove non si mosse, mentre un sorriso involontario si faceva strada sul suo volto.

 

Parecchie voci seguirono lo schianto, una di esse apparteneva a quello stupido grassone del loro accompagnatore di Capitol City e l’altra era profonda ma forte e lacerante nell’aria in origine tranquilla come la spada che lui era così bravo a maneggiare.

 

Lui era la definizione di un idiota arrogante ed egocentrico. Oltre ad avere un ego gonfiato, aveva anche un temperamento gonfiato e partiva costantemente per la tangente. Assomigliava parecchio ad un bambino con i suoi capricci, solo che a differenza di quello di un bambino il suo corpo era muscoloso ed imponente, e ciò rendeva questi episodi non esattamente innocui. C’era qualcosa di fuori posto in lui, qualcosa che Clove aveva notato nell’istante in cui si erano stretti la mano per le telecamere che trasmettevano in tutta Panem il giorno della mietitura. Non era stato quando le aveva stritolato aggressivamente la piccola mano, così forte che probabilmente stava tentando di spezzarle le dita, che lei se ne era accorta. Non era stato nemmeno quando gli angoli della sua bocca dalla forma regolare si erano sollevati in un ghigno mentre lo faceva nonostante quasi ogni schermo televisivo del Paese fosse concentrato sulle loro facce.

 

Al contrario, l’aveva visto quando aveva l’aveva guardato negli occhi, che apparivano sinistramente vacui nonostante l’animosità del suo volto.

 

Cato.

 

Lui le assomigliava sotto molti aspetti. Anche lui era vuoto, ma ad un certo punto nella sua vita doveva aver riempito gli spazi con rabbia e odio verso tutto, tutti e magari anche verso sé stesso.

 

Ma c’era abbastanza differenza fra i due perché lei continuasse a detestarlo… e per mantenere le cose interessanti.

 

Ad esempio, uno dei nuovi passatempi preferiti di Clove dalla mietitura era infastidire il suo caro compagno di distretto, e in ciò aveva tanto talento quanto nel lanciare i suoi coltelli. Anche se a dire il vero più o meno chiunque sarebbe stato bravo a far arrabbiare Cato, ma lei sembrava essere l’unica persona a divertirsi a farlo.

 

Con le mani fredde e sudaticce spostò il suo mantello di capelli scuri su una spalla e si lisciò la maglia, per poi dirigersi verso la zona di guerra.

 

Frammenti di porcellana giacevano sparsi sul pavimento di pietra e circondavano il lungo tavolo da pranzo in mogano della suite e i Senzavoce si muovevano freneticamente, quasi rischiando di scontrarsi mentre pulivano quel disastro. Cato stava in piedi di fronte ad una sedia rovesciata, il suo corpo possente piegato sul tavolo e le mani grandi strette sul bordo della sua superficie. I suoi denti bianchi erano digrignati e stava quasi ringhiando contro il suo mentore, Brutus, un vincitore sulla quarantina ugualmente minaccioso. Brutus si allungò sulla sedia con un braccio che penzolava pigramente da essa, ma un sorriso a trentadue denti si aprì sul suo viso, e la sua pelle abbronzata e ruvida fece apparire i suoi denti quasi abbacinanti.

 

“Hai finito?” chiese distrattamente.

 

Un rossore brillante si diffuse sulle guance lisce di Cato ed una delle sue narici si contrasse.

 

“Mi parli come se fossi un dannatissimo idiota,” ringhiò, scuotendo il tavolo mentre vi affondava entrambi i pugni.

 

Pallas, il loro tornito accompagnatore di Capitol, con i capelli tinti artificialmente di verde acido e un assurdo ombretto viola a fare pendant, all’improvviso si rianimò al prospetto di dover possibilmente sostituire il tavolo oltre alle stoviglie ormai rotte.

 

“Perché non ci sediamo e ci calmiamo, hmm?” disse in tono persuasivo torcendosi le dita grassocce con nervosismo.

 

Brutus non lo considerò. Al contrario si alzò lentamente dalla sedia, sovrastando di parecchi centimetri il già imponente Cato, e assunse una posizione simile, piegandosi sul tavolo con le mani che ne stringevano il bordo e il viso non lontano da quello del suo tributo. Vedendoli così, Clove non poté fare a meno di notare la somiglianza fra i due, dal momento che le uniche differenze erano la pelle rovinata e abbronzata di Brutus e i suoi capelli scuri opposti alla carnagione chiara e alla giovinezza di Cato.

 

“Questo perché sei un dannatissimo idiota. Forse dovresti ricordarti chi è che ha il controllo sui regali provvidenziali degli sponsor che vi vengono mandati nell’arena. Ora siediti e taci,” ruggì, ma nonostante il suo tono continuava a sorridere.

 

Per un momento mantennero le loro posizioni, squadrandosi a vicenda. Poi Cato si voltò di scatto e raddrizzò la sedia con una tale forza che a momenti la scagliò sul tavolo. Brutus tornò a sedersi e si appoggiò allo schienale con uno sguardo di approvazione che gli illuminava il volto. Per la maggior parte dei mentori, il comportamento di Cato sarebbe stato una dimostrazione di scarsissimo rispetto, ma questo mentore e vincitore veniva dal Distretto Due. A Brutus piacevano gli scatti d’ira di Cato, mostravano il fuoco del ragazzo che gli sarebbe stato utile non solo durante i giochi, la sua aggressività sarebbe stata una delle fonti principali di intrattenimento. Capitol City aveva sempre amato gli uccisori spietati.

 

Tuttavia, dal loro arrivo doveva essere almeno la quarta volta che Cato rompeva qualcosa, il che spinse Clove a chiedersi se Brutus non lo stesse facendo irritare di proposito.

 

Lyme se ne era stata seduta accanto a Brutus in silenzio durante la traversia, ad assicurarsi che lui ed il suo tributo non si attaccassero a vicenda. Pallas sospirò e fece un cenno stanco ai Senzavoce perché portassero il cibo mentre si sedeva Brutus si accorse della presenza di Clove e sorrise scherzosamente.

 

“Ma guardati un po’, piccola creaturina spaventata. Devi imparare le buone maniere ragazzo, non è questo il modo di comportarsi davanti ad una signora,” disse a Cato, e Clove percepì un pizzico di sarcasmo nella sua voce.

 

Le sue labbra si strinsero. Avrebbe potuto uccidere il vecchio bastardo. I suoi occhi saettarono verso Cato il cui sorrisetto stava chiaramente trattenendo qualche risposta irritante. L’unica ragione per cui non la diceva era perché erano proibite, almeno quando Lyme era nei paraggi. Una delle loro prime cene era finita con Clove che conficcava con forza una forchetta da insalata nella mano di Cato, gesto seguito rapidamente dalla mano illesa che si stringeva attorno alla sua gola e la sbatteva a terra prima che chiunque avesse avuto modo di reagire.

 

Per lo stesso incidente Lyme si alzò dal suo posto accanto a Brutus e si sedette vicino a Cato: ai due non era nemmeno permesso di sedersi vicini.

 

Pallas squadrò il gruppo attentamente dal posto a capotavola e si massaggiò la fronte: ogni anno i tributi del Distretto Due riuscivano sempre a sorprenderlo.

 

**

 

Cibi ricchi e multicolori erano allineati sul tavolo nei loro piatti ornamentali, ma Clove scelse un pezzo di bistecca, probabilmente proveniente dal Distretto Dieci i cui tributi avevano buone possibilità di morire per mano sua entro pochi giorni, pensò senza riuscire a trattenersi. La carne era al sangue, proprio come piaceva a lei.

 

Selezionò un lungo coltello da bistecca dal centro del tavolo. Ammirandone la semplicità le sue dita viaggiarono lungo la lama.

 

Il coltello era era diverso dalle altre armi perché la sua natura doveva essere personale. Poteva essere usato a lunga distanza ed era appunto questa la sua specialità. Ma diversamente dalle asce o dalle fruste o anche dalle spade, un coltello poteva essere usato da ben più vicino alla vittima e richiedeva meno forza e dita agili.

 

Mentre conficcava la lama nel cibo, si immaginò mentre feriva Cato.

 

I suo occhi si sollevarono per ottenere un’immagine di lui che lei potesse usare. La sua figura minacciosa era ricurva sul tavolo di fronte a lei, e affondava nel suo cibo con i pugni stretti attorno all’argenteria come se non sapesse come impugnarla appropriatamente. La civiltà non gli si addiceva, piuttosto che con il corpo imponente costretto fra un tavolo ed una sedia costosi, se lo immaginava meglio a correre attraverso la foresta e ad attaccare brutalmente un animale, a mangiarlo crudo. Dall’osservazione dei muscoli delle sue braccia che guizzavano sotto alla maglia scura e del modo in cui la sua mascella prominente masticava concluse che era ancora teso per via della discussione con Brutus.

 

Accorgendosi di essere osservato, Cato alzò istantaneamente i suoi occhi chiari per incontrare quelli di lei con una intensità tale che la distanza fra loro due sembrò restringersi. Quegli occhi erano una delle qualità che lo rendevano così minaccioso, le iridi erano di un blu così chiaro che potevano essere pezzi di ghiaccio. Mentre sostenevano lo sguardo di Clove lei si rese conto che sembravano a stento umani.

 

Ma non la spaventavano.

 

Le sue sopracciglia scure si sollevarono in risposta e lei sbatté gli occhi innocentemente prima di continuare ad affondare il coltello nella bistecca, senza interrompere il contatto visivo.

 

La superficie e la resistenza del grasso contro la lama le resero facile fingere di star tagliando l’interno della sua bocca, nella carne gommosa delle guance.

 

Involontariamente si perse nel momento. Fissare Cato, tagliare la carne, sembrava tutto troppo reale. La sua vista cominciò ad oscurarsi agli angoli mentre affondava nel ragazzo di fronte a lei all’improvviso molto arrabbiato, le narici del suo naso dritto che si dilatavano, le sue spalle larghe più tese di prima. La sua mascella perfettamente angolata ora era serrata. La pelle sul suo viso era così liscia. Chissà se avrebbe urlato mentre lei lo faceva? Chissà se-

 

Il ritmico rumore delle forchette contro i piatti e dei bicchieri di vetro contro al tavolo di legno si era fermato. Il silenzio della stanza strappò Clove alla sua trance.

 

Per prima cosa si rese conto che aveva mosso la lama avanti e indietro contro la porcellana creando un terribile suono stridulo. In secondo luogo, si rese conto di quanto fosse tesa, i suoi denti si erano stretti così tanto che ora la mascella le sembrava molle, si era considerevolmente piegata sul tavolo e le sue nocche erano quasi bianche tanto aveva stretto l’impugnatura del coltello. Terzo, si accorse che tutti la stavano fissando.

 

Da brava mentore, Lyme inizio subito una conversazione.

 

“Avete già stretto le alleanze ufficiali?” chiese, e con la sua domanda il tavolo riacquistò nuovamente un po’ di normalità.

 

“Il Distretto Uno ci si è presentato,” rispose Cato, mantenendo gli occhi cautamente incollati a quelli di Clove per un momento prima di spostare lo sguardo lentamente.

 

Lyme annuì con approvazione, la tradizione dei Favoriti era tanto antica quanto gli Hunger Games. Erano i Favoriti che uccidevano la maggior parte dei tributi, creando effettivamente lo show. Il processo delle alleanze era importante. Era quasi sempre tra i Distretti Uno, Due e Quattro con l’aggiunta occasionale ma rara di tributi di altri Distretti se dimostravano una capacità che ne valesse la pena.

 

Ironicamente tuttavia il Distretto Uno era probabilmente uno dei meno graditi a Clove. Ogni anno sfornavano i soliti tributi altezzosi e sussiegosi, che avrebbe potuto giurare fossero sempre biondi, con la pelle morbida e una certa aria regale. E la coppia di quest’anno non era differente.

 

“E il Distretto Quattro?” chiese Lyme.

 

“Puzzano di pesce,” rispose Clove semplicemente e dopo la rumorosa risata di Brutus il suono dell’argenteria che tintinnava riprese.

 

Poiché pensava che non stesse guardando, si concesse di lanciare un’occhiata a Cato di nuovo, soltanto per ritrovarsi un’altra volta i suoi occhi incollati addosso.

  
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