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Autore: KiarettaScrittrice92    07/10/2016    4 recensioni
Dopo la conclusione della prima stagione, mi sono finalmente decisa a scrivere e pubblicare la mia prima long su questo fandom...
Avviso che ovviamente se mai la serie continuerà la mia storia non avrà più nulla a che fare con gli avvenimenti che accadranno dopo la comparsa di Volpina.
Questa storia perciò la potete considerare come un seguito alternativo che mi sono immaginata io, oppure semplicemente come una fic in più da leggere che spero vi emozionerà.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Makohon Saga'
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Il rapimento

Il palmo della sua mano stava sorreggendo il suo viso visibilmente annoiato.
«Signorino Adrien, mi sta ascoltando?» domandò un po’ irritata Nathalie.
«Sì Nathalie... È che, dopo lo spot non ho più avuto tregua… Sono tre giorni che va avanti così. Non ho neanche il tempo di fare i compiti e dire che non è una cosa a cui tengo.» rispose il biondo, sempre con quell’aria annoiata, in realtà il suo pensiero era ben lontano dai compiti, sarebbe volentieri stato a casa Dupain-Cheng con la sua Marinette.
«Purtroppo i suoi impegni lavorativi vengono prima di quelli scolastici, suo padre l’aveva avvisata che sarebbe stato difficile quando ha deciso di cominciare la scuola.» disse la donna aggiustandosi gli occhiali sul naso.
«Lo so è che…» all’improvviso si bloccò, alla porta, alle spalle della segretaria di suo padre, Plagg gesticolava nervoso. 
«Cosa sta guardando?» chiese Nathalie voltandosi.
«Niente.» rispose di fretta il ragazzo, ma per fortuna il piccolo kwami nero si era già nascosto.
La donna si voltò di nuovo verso di lui, sistemandosi nuovamente gli occhiali, mentre lui si alzava dal tavolo.
«Signorino Adrien, non può ignorare i suoi impegni.»
«Tranquilla Nathalie, sta sera alle diciotto, ho afferrato, ma ho il pomeriggio per riposarmi giusto? Quindi se non ti dispiace ora vado.» disse congedandola e uscendo dalla porta.
Appena fuori prese il kwami da un’orecchio e lo portò fino in camera sua, tra i lamenti nervosi della povera creatura. Lo lasciò solo quando furono nell’enorme camera, con la porta chiusa, al sicuro da occhi e orecchie indiscrete.
«Ti pare il modo di trattare un essere di cinquemila di anni, piccolo ingrato?» protestò Plagg, massaggiandosi l’orecchio che il ragazzo aveva usato come guinzaglio.
«Stavi per farti scoprire! Come ti è saltato in mente di uscire dalla stanza e andartene in giro per casa? Scommetto che è per il tuo stupido formaggio!» rispose irritato il ragazzo.
«Vedi che non capisci niente? Pensi che sarei venuto fino da te per del camembert? Non che non lo farei… Ma non è questo il problema.» i suoi occhi felini lo guardavano con tono di rimprovero, come se avesse seriamente fatto qualcosa di sbagliato.
«Allora qual è il problema? Non ho tutto il pomeriggio, alle diciotto ho un appuntamento con gli stilisti per i vestiti della nuova stagione e…»
«Credo che gli stilisti possano aspettare! L’amore della tua vita è nei guai!»
A quelle parole il cuore gli sembrò fermarsi, sgranò gli occhi color smeraldo, con ancora la minima speranza che avesse capito male quelle parole.
«Co-come, è nei guai?»
«Non posso saperlo con precisione… Noi kwami quando siamo attivi abbiamo come una connessione tra di noi, un sesto senso che ci collega agli altri kwami attivi… E in questo momento non percepisco più Tikki…» cercò di spiegare l’esserino.
«Vuoi dire che…»
«Che qualcuno ha tolto gli orecchini a Marinette… O nel peggiore dei casi lei…»
«Non dirlo!» lo bloccò Adrien prima che potesse sentire un’altra parola.
Aveva il fiato grosso, come se avesse appena finito una maratona, la testa confusa e il cuore che batteva a mille. Ci fu qualche secondo di assoluto silenzio: in cui il ragazzo percepiva solo il suo respiro affannato e la sua ansia crescere sempre di più. No, non poteva starsene lì con le mani in mano, non poteva rimanere lì, con il pensiero che Marinette, la sua Marinette era probabilmente da qualche parte in pericolo.
«Muoviamoci!»
«Per andare dove? Non sai nemmeno dove si trova…»
«Andiamo a casa sua, da qualche parte dovrò pur cominciare… Plagg trasformami!»


Marinette era seduta sull’elegante moquette di quella stanza lussuosa. Non fosse per il fatto che aveva polsi e caviglie legate, si sarebbe goduta la bellezza di quella camera da letto in cui si trovava.
La moquette bianca ricopriva tutto il pavimento, mentre l’arredamento era color legno chiaro molto lavorato con un design particolare che rendeva tutti i mobili abbinati. Il lampadario era anch’esso molto elegante, con tre bracci e tre lampadine ad ogni estremità di essi e dei bellissimi cristalli azzurri a contornarle, in modo che facessero milioni di riflessi sulle pareti.
Era ormai da una buona mezz’ora lì, a forza di tentare di liberarsi le bruciavano i polsi e vedeva chiaramente che erano completamente scorticati dalla corda.
Sentiva le lacrime continuare a pungerle gli occhi per voler uscire, ma fino a quel momento non ne aveva versata nemmeno una, mai, neanche quando la persona che l’aveva rapita le aveva tolto gli orecchini e Tikki le aveva raccomandato di stare attenta prima di sparire. 
Ora il suo miraculous era sul comò proprio di fronte a lei, solo qualche metro più in là, ma lei non riusciva ad alzarsi legata in quel modo e anche se l’avesse raggiunto, non sarebbe riuscita a indossarlo.
Era la fine, non avrebbe mai creduto che una cosa del genere potesse succedere, ma era successa. Papillon aveva vinto, ancora poco e avrebbe ottenuto quello che voleva. Questa volta aveva scelto la persona giusta da akumatizzare e non solo: le aveva anche conferito i poteri giusti per contrastarla. Se ripensava a come era stata catturata, le saliva la rabbia, come aveva potuto cascare in un trucco così stupido.
Nel suo cuore sperava ancora nel suo compagno: si continuava a ripetere che Chat Noir avrebbe risolto tutto, che sarebbe venuto a liberarla, che l’avrebbe sconfitta, ma ogni volta che quella speranza illuminava i suoi pensieri la verità gli sfrecciava davanti come un treno ad alta velocità che investe senza dare il tempo di spostarsi dai binari: era vero Chat Noir sarebbe venuto, sarebbe venuto rischiando la vita per lei e se la persona che l’aveva rapita continuava ad essere scaltra come quando aveva ingannato lei, allora non ci sarebbe stata speranza nemmeno per lui. Se Chat Noir fosse venuto a salvarla, Papillon avrebbe avuto entrambi i miraculous.
Presa dalla rabbia di quel pensiero, ricominciava a muovere i polsi nel tentativo di liberarsi, non ottenendo come al solito nessuno risultato.
«Sai dovresti smetterla di farti del male, mia cara.» Marinette alzò lo sguardo colmo di odio nel sentire quella voce, se avesse potuto le avrebbe dato fuoco con il solo sguardo, eppure tutto quell’odio si scioglieva in quei penetranti occhi grigi.


Atterrò a pie’ pari sul parquet della camera con la sua solita eleganza, ma nonostante i suoi movimenti mostrassero come al solito calma e grazia, il suo sguardo trasmetteva tutt’altro. I suoi occhi felini si guardavano attorno tra il timoroso e l’ansioso, come se avessero paura di vedere cose di cui poi si sarebbe pentito, oppure di farsi sfuggire un dettaglio importante che gli avrebbe permesso di capire cosa fosse successo a Marinette.
Poi ad un tratto lo vide, o meglio la punta metallizzata del suo piede la toccò e lui abbassò lo sguardo, notandolo: era un foglio, un pezzo di carta piegato in quattro. Si chinò per raccoglierlo e appena fu di nuovo eretto lo aprì lentamente. Il cuore sembrava martellargli nel petto furioso: sapeva che qualsiasi cosa avesse letto o visto lì, o l’avrebbe lasciato ancora più in confusione di prima oppure gli avrebbe fatto scoprire qualcosa di terribile.
Il suoi occhi scorsero velocemente quelle parole, mentre il battito stava accelerando assieme al respiro. Appena finito di leggere dovette accartocciare il foglio nel pugno guantato e chiudere gli occhi.
Era da ormai tre anni che non gli veniva un’attacco d’asma e dopo tutto quel tempo gli sembrava di essersi quasi dimenticato cosa si provasse. L’ultima volta che era successo era stato in compagnia di Chloé, ed era stata proprio la bionda a tranquillizzarlo. Ora però non c’era nessuno a calmarlo e soprattutto, dopo ben tre anni, non aveva certo dietro la bomboletta per l’ossigeno. Doveva calmarsi: non sarebbe servito a niente un supereroe in ansia con problemi d’asma. Marinette aveva bisogno di lui, doveva pensare a lei, era lei la priorità assoluta.
Non appena il respiro tornò regolare, riaprì gli occhi e spianò il foglio controllando di nuovo l’indirizzo segnato sopra, poi lo piegò e se lo mise in tasca, uscendo di nuovo dalla finestra.
«Tranquilla my lady, sto arrivando!»


Era di nuovo sola in quella camera. Ormai non sentiva più i polsi e il punto sulla nuca, dove era stata colpita dalla persona che l’aveva rapita per tramortirla, aveva ricominciato a pulsare e a dolere fastidiosamente. Fino a che non sentì quella voce.
«Principessa…» era stato un soffio, quasi un rantolo di vento, ma nel sentirlo ebbe un tuffo al cuore e si voltò verso la finestra, vedendolo.
Era arrivato, finalmente era arrivato a salvarla. Lo vide lì, sul davanzale della camera, nella sua tuta nera in pelle, riusciva a leggere la preoccupazione nei suoi occhi, era preoccupato per lei. I capelli scompigliati, il fiato grosso, tutto annunciava che si era precipitato lì. Non sapeva come aveva fatto a trovarla, ma era arrivato.
«Chat!» disse con le lacrime che tentavano di nuovo di uscirle dagli occhi.
Lui scese agilmente sulla moquette senza, ovviamente, fare nessun rumore e si avvicinò a lei.
«Sono qui Marinette, sono qui…» disse accarezzandole la guancia.
Percepì la pelle nera del suo guanto sfiorarle il viso e le sembrò improvvisamente di essere al sicuro, ma non era così, sapeva che non era così. Finché entrambi non fossero usciti sani e salvi da quella stanza nessuno di loro due era al sicuro. 
All’improvviso si ricordò di Tikki, la sua Tikki, la sua piccola amica. 
«Chat! I miei orecchini…» disse in un soffio e subito dopo vide il suo sguardo spostarsi verso il suo lobo destro.
«Sono sul comò…» continuò indicando il mobile alle spalle dell’eroe nero.
Il ragazzo fece un cenno con la testa e si voltò per poi andare verso l’arredo.


Allungò la mano verso gli orecchini, stava per prenderli quando all’improvviso sentì un rumore riconoscibilissimo.
«Io non lo farei se fossi in te…»
Si voltò lentamente, la mano ancora sospesa sopra i due monili, e la vide, stava tenendo quell’infernale aggeggio di metallo contro il suo viso. Non sembrava akumatizzata: niente costume, niente maschera, nessuno oggetto che potesse contenere l’akuma, nulla, solo lei.
«Angelie Fontaine…»
«Felice di rivederti, minoù!»

  
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