Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Blablia87    07/10/2016    6 recensioni
Cosa si può fare, in 180 giorni?
Alle volte, si può cambiare una vita intera.
[AU][Tematiche delicate]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 
 
 
-116
 
[11:01] John. SH
 
[11:03] Rispondi! SH
 
 
 
[11:32] Questa storia sta diventando ridicola. Sono passati due giorni. SH
 
[11:34] John! SH
 
 
 
[12:11] Esiste un numero precisato di tentativi superato il quale deciderai di rispondermi? SH
 
 
 
 
[14:44] John… SH
 
 
 
[16:52] Per favore. SH
 
 
 
 
 
 
 
-115
 
Ho sempre amato la veranda di Sarah.
 
L’ha ricavata chiudendo uno dei due piccoli terrazzi del suo appartamento nel nord di Londra, lasciando ampie vetrate a rincorrersi lungo quelli che, una volta, erano i parapetti.
 
Grandi tappeti intrecciati a coprire il pavimento ed un comodo divano (appartenuto a sua madre) donano a questo punto della casa un calore che lo rende immediatamente adatto a fungere da nido dove rintanarsi.
 
Quando, due giorni fa, mi ha aperto la porta con aria sorpresa, non ci ha messo molto a capire dove avessi bisogno di andare.
 
In silenzio mi ha guidato attraverso le stanze, fino alla veranda. Si è lasciata cadere sul divano, facendomi cenno di sedermi accanto a lei.
 
“Vuoi un the?” Ha domandato, ed io ho sorriso appena.
 
“Sarebbe meraviglioso. Grazie.”
 
 
 
 

Offrire del the è da sempre il primo passo con il quale, nella sua famiglia, affrontano i problemi.
Un modo per alleggerire la tensione, creare una connessione.
 
Bere offre una scusa per non parlare, se non si vuole farlo.
Il calore della tazza tra le mani, invece, fa trovare il coraggio di aprirsi e confidarsi, se lo si desidera.
 
Sua madre preparava il the ad ogni sguardo triste, ad ogni accenno di infelicità che vedeva affiorarci sul viso nei lunghi pomeriggi passati assieme, da ragazzi.
 
La settimana successiva alla morte della mia, Sarah ed io non facemmo altro che starcene raggomitolati sul divano, una tazza ricolma di infuso liquido tra le mani e gli occhi vuoti di lacrime, asciutti.
 
Posso affermare senza dubbio che lei sia una delle poche persone, se non l’unica, della mia infanzia che mi abbia reso felice.
 
Avevamo entrambi sei anni, quando si trasferì nella casa di fianco alla mia.

Da allora - nonostante i prolungati momenti di silenzio, gli anni e le distanze - in caso di bisogno ci siamo sempre stati, l’uno per l’altra.
 
 
 

 
“Ecco qui.” Ha esordito dopo qualche minuto, affacciandosi con un piccolo vassoio tra le mani.
“Ho preso le tazze grandi. A giudicare dallo stato dei tuoi occhi, ne berremo almeno due a testa.”
 
D’intinto ho alzato una mano verso il viso, sfiorando con i polpastrelli le palpebre.
 
“Hai pianto?” Mi ha chiesto, con voce bassa, iniziando a versare il the.
 
Ho fatto cenno di no con la testa, domandandomi come avessi fatto a camminare tanto a lungo senza versare una sola lacrima, dato che ogni singola fibra del mio essere sembrava invocare quella liberazione.
 
“Allora ti sei trattenuto sufficientemente a lungo da farti venire gli occhi rossi. Dev’essere grave, se non ti permetti di piangere.” Con un gesto delicato mi ha passato il piattino con sopra la tazza traboccante di liquido ambrato. “Ne vuoi parlare?”
 
Gli occhi fissi al cielo grigio oltre le vetrate, ho annuito impercettibilmente, rimanendo in silenzio. La mia mente annaspava in cerca delle parole adatte, mentre sentivo il cuore farsi sempre più piccolo, una morsa incandescente a rallentarne i battiti fino a renderli dolorosi.
 
“Quando vuoi, sono qui.” Ha sussurrato lei portandosi la tazza alle labbra, mentre le prime gocce di pioggia iniziavano a scendere lungo i vetri.
 
 
 
Per quanto ci abbia provato, non sono riuscito a descriverle Sherlock come avrei voluto.
Ogni parola, ogni aggettivo, non era mai del tutto adeguato.
Non era… sufficiente.
 
Le ho raccontato di lui, di come ci fossimo conosciuti… della scelta.
 
“Hai paura di non riuscire a superare la sua morte?” Mi ha chiesto lei, con tono comprensivo, uno sguardo preoccupato sul viso.
 
“Ho paura di non volerlo fare.” Ho ammesso, soffiando fuori parole e fiato, le lacrime incastrate tra occhi e gola. “Ho paura di… non essere abbastanza forte per accompagnarlo in questo viaggio senza provare in ogni modo a convincerlo a restare. Se solo…”
 
“John…” con delicatezza mi ha posato una mano su un polso. “Perché sei qui? Per proteggere lui? O per proteggere te?”
 
Devo aver assunto un’espressione confusa, attraverso la patina che mi annebbiava la vista, perché Sara ha aumentato la pressione, cercando di aiutarmi a rimanere concentrato.
“È la sua vita, John. Non ha a che fare con te.”
 
“Non capisco…” Ho ammesso, mentre un lampo squarciava il cielo.
Mi sono chiesto se Sherlock avesse fatto in tempo a tornare a casa prima che iniziasse a piovere. L’idea che fosse ancora su quel tetto mi ha fatto torcere lo stomaco.
 
“Morire è una scelta che riguarda lo stato del suo corpo, John. Non quello del suo cuore.”
Si è seduta più comodamente sul divano, in modo da essere completamente rivolta verso di me.
 
“Quello che voglio dire è che se prova qualcosa per te…”
 
“Non prova niente, per me, Sarah.” L’ho interrotta, stringendo con forza le dita attorno alla stoffa dei pantaloni.
 
“Se prova qualcosa per te, - ha ripreso lei, ignorandomi – John, questo non cambierà comunque la sua scelta, probabilmente. Ma ciò non significa che tu non sia abbastanza. Solo… sei in un altro luogo del suo essere.”
 
“Continuo a non capire.” Ho tossito, la gola chiusa.
 
“Tua madre amava immensamente Harry e te. E mai, per nulla al mondo, avrebbe voluto farvi del male, o farvi soffrire. Era terrorizzata all’idea di lasciarvi da soli. Ma, alla fine… ha comunque invocato la morfina, ben sapendo che l’avrebbe uccisa.”
 
Siamo rimasti in silenzio per qualche secondo, ognuno immerso nel proprio personale ricordo di quei giorni.
 
“John, l’amore non può risanare i corpi. Perché, semplicemente, è su un altro piano. Sherlock odia il suo corpo, è vero. È arrabbiato, e ne ha ogni motivo. Questo non significa che non possa amare te. O che tu non sia abbastanza. Da quello che mi hai raccontato, dai suoi atteggiamenti… tu significhi molto per lui. Ma non vuoi vederlo, perché sei tu a non ritenerti abbastanza.”
 
“Abbastanza…” Ho ripetuto, la testa altrove.
 
“Ma tu sei abbastanza. Hai capito? Sei stato abbastanza forte da cacciare tuo padre di casa, dopo l’ennesimo scatto di violenza verso Harry. Sei stato capace di riemergere da l’inferno dell’Afghanistan. Sei ancora qui, John. E se c’è qualcuno che sappia cosa voglia dire sopravvivere, sei tu. Fino alla partenza verso la Svizzera, Sherlock sarà semplicemente… l’uomo del quale ti sei innamorato. E questo non può arrecargli nessun male. Nessuno. Smettila di aver paura di… costringerlo a fare qualcosa. Non mi sembra il tipo che si lasci influenzare. Sii… solo te stesso. Per il bene di entrambi, ti prego: sii solo John Watson.”
 
Ho annuito, gli occhi bassi.
 
 
 
Sarah ha ragione. Lo so.
 
Ha sempre ragione.
 
 
 
Ho passato le ultime tre notti sveglio, a riflettere.
 
Sherlock continua a scrivere, a telefonare.
Ad ogni messaggio Sarah sorride, come se tra le note di quella notifica vedesse la prova della correttezza delle sue affermazioni su di lui, su quello che prova per me.
 
Ed io leggo ogni parola, più e più volte, combattendo l’istinto di rispondere.
Cerco di immaginarlo a Baker Street, da solo, mentre ripete per l’ennesima volta alla signora Hudson che no, non ha bisogno di aiuto.
 
Lo immagino sforzarsi di raggiungere la sedia, al mattino.
 
Sporgersi con uno sbuffo verso i pomelli dell’acqua, la ceramica della vasca a fargli da ostacolo, bloccando le ruote del Titanic.
 
Ha detto di essere furioso, perché incapace di badare a sé stesso.
 
Io, però, so che non è vero. So che può farlo. So che può muoversi, vestirsi, lavarsi, senza di me.
 
Il fatto che facessi tutto questo al posto suo era solo un modo per riuscire a dare un ristoro ai miei sentimenti, per placare l’amore disperato che sentivo agitarsi nel petto… ed è stato scambiato per pietà. Per la conferma della sua impotenza.
 
 Voglio che veda. Che capisca. Che si convinca che può fare ogni cosa, anche senza di me.
 
Che torni ad essere, ai suoi occhi, una persona, non qualcosa di rotto, inutile.
 
Solo allora tornerò a Baker Street, sperando che voglia tenermi con sé.
 
Non per una necessità pratica dalla quale non credeva di potersi liberare.
 
 
Per scelta.
 
 
 
 
 
 
 
 
-114
 
[09:12] Lestrade, devi passare immediatamente a casa di John. SH
 
[09:14] Cosa? Che sta succedendo? GL
[09:15] VA’ A CASA DI JOHN! SH
 
 
 
 
 
[09:35] Ok, vuoi gentilmente dirmi cosa sta succedendo? Sono qui con due volanti, e non c’è assolutamente nulla di anche solo vagamente sospetto. GL
[09:36] John è lì? SH
[09:37] Scusa?! GL
[09:38] Ho chiesto: John è lì? Non mi sembra complicato, da capire. SH
 
[09:40] Dimmi che non mi hai fatto venire fino a qui con sei uomini solo per suonare il campanello. GL
[09:41] È lì o no?! SH
 
[09:43] No, Sherlock. NON è qui. E, a giudicare dalla posta, non passa a ritirarla almeno da quattro/cinque giorni. GL
 
[09:45] Aspetta… quindi era davvero questo, il motivo?! GL
 
 
[09:48] SHERLOCK! GL
 
 
 
 
[09:44] John. SH
 
[09:46] Non chiedo tanto, solo una risposta. SH
[09:47] Mi stai facendo preoccupare.  Avanti! SH
 
[09:49] Senti, se è per quello che ho detto l’altro giorno… Ti stai rendendo ridicolo. SH
 
[09:51] Non riesco a trovarti. Mi manchi. Ed ho paura che sia successo qualcosa. Potresti tornare…? Ti prego. SH [Messaggio non inviato.]
 
 
 
[09:53] Lo hai sentito, negli ultimi giorni? SH
 
[09:55] Non ho intenzione di rispondere più a nessun tuo messaggio. GL
[09:56] Tecnicamente, lo hai appena fatto. SH
[09:57] Oh, al diavolo! GL
[09:58] Ti ho solo chiesto che lo hai sentito. SH
 
[10:00] Sì, Sherlock. L’ho sentito ieri. GL
[10:01] Dov’è?!  Sta… bene? SH
 
[10:03] Sì, direi di sì, per quanto si possa capire attraverso un messaggio. Che sta succedendo? GL
 
[10:05] Sherlock? GL
 
 
 
[10:12] Devo davvero smettere di rispondere ai tuoi messaggi. GL
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-114
 
John sta bene.
 
Ha risposto ad un messaggio di Lestrade, ieri, quindi…
Sta bene.
 
 
Quando ho telefonato all’università, questa mattina, la segreteria di facoltà mi ha riferito (mentendo) che il Professor Watson risultava in malattia da un paio di giorni e che, quindi, non si era più presentato in aula a partire da quel momento.
 
Per un attimo ho avuto paura. Una paura irrazionale, totalizzante, accecante.
 
Una frase si è presentata con violenza davanti ai miei occhi, i bordi scuri e acuminati dell’impotenza ad appesantirla e renderla aguzza: “lo hai perso”.
 
 
 
Perdere.
 
 
 
Mai termine mi è sembrato più adeguato a definire un momento esatto, una sensazione precisa.
 
La sua etimologia evoca uno scenario di rovinosa miseria che pochi intravedono tra quella manciata di lettere: letteralmente, perdere qualcosa significa “mandarla a male”, “distruggerla”.
 
Non che si possa realmente perdere qualcuno. Non è possibile, così come non è possibile possedere qualcuno.
 
Ma si può, sicuramente, distruggere ogni collegamento, ogni connessione.
 
I ponti crollano, i computer si isolano.
Due punti possono essere attraversati dalla stessa linea, o vivere sullo stesso piano senza venir mai in contatto, attraversati da rette diversi, incapaci di toccarsi.
 
Le persone possono non trovare più il modo di comunicare.
 
 
Comunicare.
 
 
Non mi è mai interessato comunicare con gli altri.
 
Per farlo è necessario portar fuori, verso l’esterno, qualcosa di sé.
Il mio approccio con le persone si è sempre basato, invece, sul portare dentro qualcosa di loro, per poterle analizzare, smembrare, digerire mentalmente.
 
Non ho mai voluto che uscisse qualcosa. Che si creassero delle brecce.
Le falle permettono all’acqua di entrare, di sommergere, di cancellare.
 
Ma con John…
 
 
Con lui è come vivere in una costante osmosi.
 
 
Ho lasciato che entrasse ed ho permesso che prendesse qualcosa in cambio, vasi comunicanti che cercano di mantenere un equilibrio stabile.
 
E adesso che non è qui, mi sembra che manchi qualcosa.
Sono di nuovo incompleto, monco, ma in modo più imitante di quanto sia esserlo sul piano fisico.
 
 
Riesco ad alzarmi e a raggiungere la sedia da solo, la mattina, ed è quello che faccio.
 
Posso entrare ed uscire dalla vasca, radermi, vestirmi.
 
La mano sinistra formicola sempre più spesso, e adesso riesco a percepire distintamente tramite il palmo il calore o il gelo di una superficie.
 
Con qualche sforzo, sono in grado di alzarla al punto da potermi appoggiare al tavolo della cucina, o al bordo della vasca.
 
Ma non ha importanza, se non posso farglielo vedere.
 
Ho passato mesi a nascondere i segni di miglioramento, mentre adesso vorrei solo che John fosse qui per ripagarmi di tanto ed inutile sforzo con una delle sue espressioni compiaciute. Con uno dei suoi sorrisi incompleti, in bilico tra la gioia e la derisione bonaria.
 
 
Guarda John, riesco a poggiarmi alla scrivania con entrambe le mani.
Deliziosamente inutile.
Fastidiosamente eccezionale, nella sua banalità.
 
 
La verità è che…
 
Ho distrutto questo legame senza nemmeno essere riuscito a realizzare che - in un qualche preciso momento, in un qualche luogo specifico, senza una reale e plausibile ragione - fosse nato, che fosse stato costruito.
 
Come ho fatto ad essere così… cieco?
 
 
Ci sono stati dei segnali?
 
Forse avrei dovuto capirlo quella sera, mentre chino su di me si prodigava per cercare di non fare troppi danni mentre mi lavava i capelli.
 
O dal violino.
 
 
Sì…
 
 
Forse si aspettava qualcosa.
Una domanda? Una… risposta?
 
 
Ma, alla fine, tutto questo non cambia la realtà dei fatti.
 
Sempre che ancora volesse…
 
 
 
Ma cosa potrei mai offrirgli, io? 
 
 
 
 
 
 
 
 
-113
 
[02:04] In quel cantiere… Hai detto che non è la pietà a muoverti. SH
 
[02:06] Ho bisogno di sapere cos’è. SH
[02:07] Lo devo sapere, John. SH
 
[02:09] Lo devo sentire. SH
 
[02:11] Da te. SH
 
 
 
 
 
[03:15] Egoismo. JW
 
[03:17] Io amo passare del tempo con te. Amo parlare con te. JW
 
[03:19] Amo alzarmi prima di te, in modo da preparare il caffè e non doverlo fare dopo, quando giri per la cucina. JW
[03:20] Amo la scintilla che ti attraversa gli occhi quando hai un caso tra le mani. JW
 
 
[03:23] Io non ti sto vicino per pietà, Sherlock. JW
 
[03:25] Ti sto vicino perché farlo placa il frastuono dei pensieri che sento quando non lo faccio. JW
[03:26] Perché mi sembra di vivere in apnea, quando non sento la tua voce. JW
 
 
[03:28] Come vedi, non sono una persona caritatevole. JW
 
 
[03:34] Sono solo un egoista. JW
 
 
 
 
 
[04:46] Non posso offrirti nulla, nemmeno la metà di quanto tu puoi dare a me, John. SH
 
[04:48] È evidente che non ti sia chiaro il tuo valore, se scrivi certe cose. JW
 
[04:50] Non voglio niente, Sherlock. JW
 
 
[04:54] Quanto faccio per te non varrà mai un secondo dei tuoi occhi nei miei. JW
 
 
 
 
 
 
 
-113
 
“Hai fatto quanto ho chiesto?”
 
“Ciao, Sherlock. È un piacere sentire la tua voce, dopo giorni di silenzio ed un pomeriggio di minacce velate tramite sms.”
 
Hai fatto quanto ti ho chiesto, Mycroft?
 
“Sì, Sherlock. L’ho fatto. Era chiaro, che lo avrei fatto. Come avrei potuto rifiutarmi, data la tua gentilezza nel chiedere.”
 
“Bene.”
 
“Come pensi di arrivare fin lì? Vuoi che mandi una macchina a prenderti?”
 
“No. Voglio andare in taxi.”
 
“Posso almeno suggerire di richiederne uno facendo menzione alla tua… condizione? Senza il professor Wats—“
 
“Ci ho già pensato Mycroft, grazie.”
 
“D’accordo. La galleria vi aspetta per le 18.30. L’Alyn Williams at The Westbury1), invece, per le 20.30.”
 
“Perfetto.”
 
“Ah, Sherlock… mi sono premurato di prenotare l’intero ristorante. Quindi non allarmarti, nel caso il personale di sala apparisse oltremodo gentile nei vostri riguardi. Non c’è assolutamente nulla di sospetto.”
 
“Cos… Come…?”
 
“Il proprietario mi doveva un piccolo favore, niente di cui preoccuparsi. Goditi la serata.”
 
“Mycroft, io non cr—“
 
“Ciao, Sherlock.”
 
 
 
 
 
 
 
-113
 
“Barbican Art Gallery, ore 18.30. Vestiti elegante.”
 
 
Questo - parecchie ore più tardi - è stato l’unico messaggio ricevuto da Sherlock dopo la mia imbarazzante e puerile dichiarazione notturna.
 
Per un attimo, ho pensato che mi stesse prendendo in giro.
 
“Devi andare!” Ha esclamato Sarah dopo aver letto il messaggio, l’entusiasmo a colorirle la voce. “E mettiti il tuo vestito migliore!”
 
 
 
 “Sei bellissimo.” Ha commentato - un paio d’ore dopo, affacciandosi nella camera da letto di casa mia e osservando compiaciuta il completo scuro che avevo scelto dopo varie prove – il mio tentativo di corrispondere all’immagine di un uomo “elegante”.
 
Ho fatto cenno di no con la testa, sorridendo.
 
“Sì, invece! Sherlock Holmes è fortunato.” Ha ribattuto lei.
 
“In verità, mi sento più fortunato io.” Ho ammesso candidamente, sistemando meglio il fazzoletto chiaro nel taschino.
 
 
 
Più passa il tempo - più resto solo (Sarah se n’è andata da quasi un’ora), seduto in salotto in attesa di uscire - più inizio a sentire il cuore farsi sempre più piccolo.
Non vedo Sherlock da quel bacio, e…
 
Non lo so.
 
Ho paura. Una paura irrazionale.
 
Come quella che si prova da ragazzi, in attesa di uscire con il primo amore adolescenziale.
 
 
Non credevo avrei mai più potuto provare una sensazione simile.
 
 
Un altro miracolo di carne ed anima che Sherlock non si accorge nemmeno di aver compiuto.
 
 
 
 
 
 
 
-112
 
“Sei in ritardo.”
 
“Io… Sì, perdonami. Il tassista ha avuto qualche difficoltà con l’indirizzo e…”
“Oh.”
 
“Che te ne pare? Ti piace?”
 
“Una mostra fotografica di Wilson Bentley2)…? Certo che mi piace! Come non potrebbe?”
 
“Fotografia e neve per te, microscopi per me.”
 
“È… una bellissima idea, Sherlock! Stupenda, ma temo che la galleria sia chiusa, a quest’ora.”
 
“Solitamente, sì. Ma per noi faranno un’eccezione.”
 
“Cosa?”
 
“Allora, vieni?”
 
 
 
“È… è un tight, quello?”
 
“Se non ho sbagliato a scegliere la giacca dall’armadio…”
 
“Non avevo capito che dovessi essere così elegante.”
 
“Non dovevi, infatti. Ho voluto esagerare. Ora, dato che ho impiegato per prepararmi circa quattro ore, tra bagno, rasatura, e – che il cielo mi aiuti – chiudere il gilet ed annodare la cravatta, che ne dici se non perdiamo altro tempo e iniziamo quest—“
 
“Hai fatto tutto da solo?”
 
“Certo, sì. Ho solo chiesto alla signora Hudson di stringere la cravatta, una volta annodata.”
“John?”
 
“Sherlock… Grazie.”
 
“Di cosa, esattamente?”
 
“Di… questo. Di aver chiesto ad una galleria d’arte di allungare l’orario di apertura per noi. Di esserti preparato per me.”
 
“Volevo offrirti qualcosa. Per… ringraziarti.”
 
“Ringraziarmi?”
 
“Quando te ne sei andato, l’altro giorno… ho pensato che fosse giusto così. Che non avesse senso volere o sperare che restassi fino alla fine, perché il tuo esserci o meno non cambierà il finale di questa storia.”
 
“Sherlock…”
 
“Fammi finire, per favore.”
“Razionalmente, che tu mi stringa la mano sul letto di morte o te ne vada adesso, lasciandomi solo ad affrontare quel momento, non fa alcuna differenza. L’una o l’altra cosa non diminuirà la dose delle medicine, o non impedirà al mio cuore di smettere di battere.”
 
“Sherlock…”
 
Ma… c’è molta differenza, un’enorme differenza, per me. Una differenza che non ha a che fare con la testa, o con il corpo. Ha a che vedere con te e con il modo in cui riesci a farmi sentire quando ci sei. Io non sono mai stato interessato alle persone se non per puro fascino professionale. Non mi sono mai preoccupato di poter ferire qualcuno. Ma… con te è diverso.” “Tu mi rendi diverso. Mi fai venire voglia di essere migliore. E non voglio rinunciare a questo, solo perché so che un giorno finirà.”
“John…?”
 
“Credo che siano le parole più… più…”
 
“Qualunque cosa siano, sono le parole con le quali ti sto chiedendo di uscire con me.”
“Tu… vorresti uscire con me stasera, John?”
 
“Quello che voglio è vedere la neve.”
 
“Ok…”
 
 
 
“E non vorrei farlo con nessun altro se non con te.”
 
 
 
 
Note:
 
1) L’Alyn Williams at The Westbury è uno dei locali più “in” di Londra. Per farvi avere un’idea concreta di cosa con molta tranquillità Mycroft abbia prenotato per intero, vi lascio il link al loro sito. XD
http://www.alynwilliams.com
 
 
2) Wilson Bentley è stato tra i primi fotografi a imprimere su pellicola l’immagine di fiocchi di neve. Il suo metodo per catturare la neve era molto semplice: consisteva nel farla posare su un vassoio ricoperto di velluto e di posizionare i cristalli sul vetrino del microscopio usando un sottile strumento metallico.
Nelle oltre 5,000 fotografie da lui scattate non è stato possibile trovare due fiocchi di neve perfettamente identici, come scrisse nel libro “Snow Crystals” del 1931.
 
John, lo scorso capitolo, ha detto di amare la neve e la fotografia. Ecco perché Sherlock sceglie proprio quella particolare mostra. ^_^
 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
Con oggi si è concluso anche il periodo di formazione per chi dovrà sostituirmi a lavoro. Si può dire che, da adesso, io sia ufficialmente disoccupata (cosa che mi crea una certa ansia. ^_^’’)
 
Da martedì prossimo fino a domenica saremo a Marsiglia a caccia di appartamenti, quindi la pubblicazione di un eventuale nuovo capitolo è da considerarsi altamente improbabile. Spero che questo (il più lungo in assoluto!) sia sufficiente per fare da ponte fino al prossimo aggiornamento. :)
 
Grazie, come sempre, a chiunque abbia letto fin qui. I vostri commenti sono stupendi, e spero di aver tempo per rispondere in modo adeguato quanto prima.
 
Vi lascio con una frase, come ormai faccio sempre. ^_^ Più giù vi pubblicherò un’immagine delle foto di Bentley, i fiocchi sono semplicemente meravigliosi!
 
 
“Immortale è chi accetta l'istante. Chi non conosce più un domani.”
(Cesare Pavese)
 
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Blablia87