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Autore: Blablia87    17/10/2016    11 recensioni
Cosa si può fare, in 180 giorni?
Alle volte, si può cambiare una vita intera.
[AU][Tematiche delicate]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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-111
 
La neve è la prova di come grandi metamorfosi possano accadere nel silenzio più profondo.
 
Si posa lenta, un cristallo alla volta, fragile.  
 
I primi fiocchi muoiono quasi subito, macchie candide su letti scuri, scomodi.
Restano tra i capelli, sui vestiti, si sciolgono a contatto con il calore della pelle, del terreno.
 
Poi, ostinata, finisce col ricoprire ogni cosa. I paesaggi mutano, si piegano sotto la sua forza mite.
 
Gli occhi si riempiono di un bianco che racchiude in sé ogni altro colore, come uno scrigno.
 
La neve conserva, nasconde.
 
Immobili tra i fiocchi che ci circondano leggeri, sembra di essere dentro un segreto.
 
 
 
Ieri sera, intento ad osservare John muoversi elettrizzato tra i vari pannelli della mostra, ho capito.
 
Lui è neve.
 
La mia personale nevicata.
 
In silenzio si è adagiato sulla pelle, fino a scivolare sotto di essa, fino a divenire ossa, sangue e nervi.
Lentamente è arrivato agli occhi, riempiendoli di un mondo nuovo.
Ha rivestito di stupore una vita che consideravo persa, posandola tra le mie mani sotto una nuova forma.
 
Testardo, ha mitigato le mie intemperanze, senza farle sparire.
 
Tra le sue braccia, sul suo viso, il profilo morbido di un segreto al quale non riesco ad accedere.
 
 
 
“Hai visto queste foto?! Sono stupende!” Ha esordito, muovendosi incerto tra le teche. “Sono troppe, non so da che parte incominciare!” Ha aggiunto poi, voltandosi verso di me, un sorriso radioso a illuminargli gli occhi.
 
“Ti piace?” Ho domandato, seguendo ogni suo passo, ogni gesto delle mani, in cerca di una conferma.
 
“Certo… Come potrebbe non piacermi?” Ha allargato le braccia, indicando le foto. “È… è bellissimo, Sherlock. Grazie.”
 
Ha sorriso di nuovo, ed io ho sentito la gioia che vedevo prendere forma sul suo viso allargarsi nel mio petto.
 
Neuroni specchio.
 
Una classe di neuroni che si attivano sia quando un individuo compie un'azione, sia quando l'individuo osserva la stessa azione compiuta da un altro soggetto.
 
Sinapsi e connessioni.
 
“Chimica organica, nient’altro” ho cercato di convincermi, invano, mentre rispondevo a mia volta al suo richiamo, increspando le labbra.
 
 
“Vogliamo fare un giro?” Ha chiesto dopo poco, allungando una mano verso di me.
 
Devo aver assunto un’espressione davvero confusa perché, dopo qualche secondo, ha riportato il braccio lungo i fianchi.
 
In silenzio si è portato alla mia sinistra, appoggiandosi alla maniglia del Titanic con un tocco leggero.
 
“Quando vuoi, sono pronto.” Ha aggiunto, allungando la schiena ed assumendo un’aria distinta, un’espressione divertita a far capolino ai bordi della bocca.
 
“Non guardarmi così. Cammino accanto ad un elegantissimo uomo in tight, cerco solo di non sfigurare.” Si è giustificato di fronte al mio sopracciglio alzato.
 
“Un bellissimo ed elegantissimo uomo in tight.” Ha aggiunto, abbassando la voce a poco più di un sussurro.
 
Ho sentito il calore affiorare sul viso ancor prima di aver percepito il cuore iniziare a battere più forte nello sterno.
 
Con la coda dell’occhio, ho visto anche le sue guance farsi rosse.
 
 
Neuroni specchio.
 
 
“Andiamo.” Mi sono limitato a rispondere, il respiro incastrato tra polmoni e gola.
 
“Andiamo.” Ha ripetuto lui, con voce morbida.
 
Vicini, muti, ci siamo incamminati verso il primo pannello.
 
 
 
 
 
 
Ritrovarsi forzatamente legato ad una sedia a rotelle ti costringe a guardare il mondo da una nuova prospettiva. Quasi tutte le persone accanto a te devono abbassare la testa, per parlarti o interagire con te, e tu non puoi far altro che spingere gli occhi verso l’alto, verso un mondo che prima era a tua misura e che, improvvisamente, è divenuto irraggiungibile.
 
È stata una delle cose, dopo la Caduta, alla quale mi sono abituato con più lentezza e maggior fastidio.
 
John, invece, non mi ha mai parlato chinandosi in avanti. Nemmeno una volta, se non costretto da necessità contingenti.
 
Me ne sono reso conto solo una volta arrivati all’Alyn Williams quando, non senza un certo imbarazzo, ci siamo ritrovati seduti l’uno di fronte all’altro in uno dei tavolini centrali della sala principale.
 
Avere i suoi occhi al livello dei miei non è stato strano, non ha riportato le cose “in equilibrio”.
 
Non c’è differenza tra noi, mai, o forse lui è così abile ad offuscarla con i suoi passi e la sua voce, a nasconderla con disinvoltura alla mia coscienza.
 
 
 “Questo posto…” Ha esalato, lasciando vagare lo sguardo per la sala deserta.
 
“Sì, lo so.” Ho cercato di bloccare il discorso sul nascere. “Preferisci vino rosso o bianco?”
 
“Non sono un esperto…” Ha risposto distrattamente, ancora incredulo. “Scegli tu. Sono sicuro che sarà ottimo comunque.”
 
 
È incredibile come l’imbarazzo possa comparire così, all’improvviso, non appena gli stimoli esterni allentano la presa su i nostri sensi.
 
Avevo già detto a John di ritenere la nostra uscita un “appuntamento”, così come gli avevo svelato fin dal primo momento le tappe della nostra serata, ma solo il fasto silenzioso di quei tavoli era riuscito a rendere improvvisamente la cosa concreta, reale.
 
 
“Allora…” Ha iniziato lui, inclinando la testa da un lato prima di alzare gli occhi su di me.
 
“Se stai per ringraziarmi ancora una volta, ti prego...” Ho cercato di fermarlo, alzando la mano destra.
 
“No, io… Cioè, certo, vorrei ringraziarti, ma date le premesse cercherò di contenere il mio entusiasmo.” Ha riso, osservando il cameriere versare il vino nel mio calice per l’assaggio.
 
“Perfetto, grazie.” Ho annuito in direzione dell’uomo non appena terminato di controllare profumo e gusto, attendendo che anche il bicchiere di John venisse riempito prima di portare nuovamente il mio alle labbra.
 
“Aspetta!” Mi ha bloccato, la luce delle candele a muoversi sul viso e perdersi negli occhi. “Mi concederesti un brindisi, per l’occasione?”
 
“Un brindisi.” Ho ripetuto.
 
“Sì, un brindisi. Alle gru.”
 
Confuso, ho riportato il bicchiere sul tavolo, aggrottando le sopracciglia.
 
“Le gru.”
 
“Sì.” Si è schiarito la gola, muovendosi sulla sedia in cerca di una posizione più comoda. “Uno dei miei libri preferiti, da bambino, si intitolava “Piegatura delle mille gru”. Era un libro sugli origami, scritto a fine del 1700.”  Si è fermato, un’ombra improvvisa a scurirgli il volto.
 
“Nel libro veniva spiegato che chiunque fosse riuscito a piegare mille gru di carta, avrebbe visto esauditi i propri desideri. Ecco, io… non sono mai riuscito a piegarne così tante, neanche quando mia madre ha iniziato a stare male.”
 
L’ombra si è addensata, fermandosi nel fondo dei suoi occhi, irrigidendogli la mascella.
 
“C’è stato un momento, durante queste notti… nel quale ho pensato che mi sarebbe piaciuto avere l’energia di terminare tutte quelle gru. Non per farti cambiare idea, no.”
 
Con un colpo di tosse, ha allontanato il tremore che si stava facendo largo tra le sue parole.
 
“Solo… per meritare un’occasione come questa. Per trovare il coraggio di sedermi di fronte a te in un ristorante e dirti che ho forza e determinazione a sufficienza per poter restare fin quando mi concederai di farlo.”
 
Si è fermato, deglutendo prima di sorridere, incerto.
 
“Forse non sono stato molto chiaro… Non importa.”
 
Ha alzato il bicchiere, e con lui lo sguardo sul mio viso.
 
 
“Alle gru, quindi. E a te, che le hai piegate per me esaudendo un desiderio.”
 
 
Sono rimasto immobile qualche secondo, tentando di metabolizzare quanto avevo appena sentito: John aveva un desiderio, ed era quello di farmi sapere che ci sarà.
 
Sempre.
 
Fino all’ultimo, se questa sarà la mia decisione.
 
Lento - tentando di nascondere il tremore che sentivo muoversi lungo il braccio - ho alzato il calice, sporgendomi verso di lui.
 
 
 
Il suono del cristallo che si incontrava a metà strada tra di noi è sembrato, alle mie orecchie, il sussurro di una promessa.
 
 
 
 
 
Una volta tornati a Baker Street, J...
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-111
 
 Sherlock ha portato il pc nella sua stanza.
 
Nel silenzio dell’appartamento, riesco a percepire il piccolo suono meccanico che il puntatore emette a cadenza regolare, per indicare il suo corretto funzionamento.
 
Pagherei, per sapere cosa stia scrivendo.
 
 
Parla di me?
 
Della mostra?
 
Della cena?
 
Parla del nostro viaggio di ritorno, seduti nell’ombra del sedile posteriore di un taxi, le dita a sfiorarsi?
 
 
Parla di noi, sul divano, il vino a dare coraggio alle labbra e forza alle mani?
 
Racconta di come mi abbia spinto via, quasi con violenza, dopo poco?
 
I suoi motivi per quel gesto, per la paura nei suoi occhi? Gli stessi che io ancora non conosco?
 
 
 
Staccarsi è stato… doloroso.
 
Far rallentare il battito, cercare di riprendere il controllo dei respiri, dei pensieri.
 
Leggere così tanto timore su un viso che non vorrei mai veder attraversato da nessuna emozione negativa.
 
 
 
Forse l’ho spaventato.
 
Forse non si aspettava tanta irruenza, da parte mia.
Posso essere davvero apparso minaccioso, mentre tenevo il suo volto tra le mie mani?
 
 
 
Non so cosa fare, adesso.
 
Dovrei chiedere scusa? Bussare alla sua porta?
Aspettare che sia lui a venire da me?
 
 
Perché ho l’impressione di sbagliare sempre qualcosa, con lui?
 
 
Sono uno stupido.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-111
 
Una volta tornati a Baker Street, John mi ha baciato.
 
Mi ero fatto aiutare a raggiungere il divano, e lui si era lasciato cadere al mio fianco con uno sbuffo sordo.
 
Siamo stati in silenzio per qualche attimo, aria che si riempiva dei nostri respiri e delle parole che non eravamo in grado di trovare.
 
Poi, semplicemente, si è sporto verso di me, posando le labbra contro le mie, leggero.
 
“Posso…?” Ha sussurrato, tiepido.
 
 
 
Per un attimo, è stato come perdersi.
 
Ho annuito, il cuore ad offuscare i pensieri.
 
 
 
Mi sono smarrito nei suoi respiri, andando in frantumi ad ogni carezza.
 
Respirare sulle sue labbra è stato come riuscire a farlo per la prima volta davvero.
 
 
Io… non mi sono mai sentito così, prima. Non ho mai avuto così tanta voglia di stringere qualcuno, fino a dimenticare ogni cosa, fino a trovare parti di me che non credevo di possedere.
 
 
 
 
È stato… magnifico.
E spaventoso.
 
 
 
 
Perché il mondo resta lo stesso, anche sotto una coltre candida. Conserva le sue storture, il suo buio.
 
Io, per quanto ami vedermi attraverso la lente del suo sguardo, resto lo stesso uomo che ero prima di incontrarlo.
 
 
Prima o poi, la natura corrosiva del mio essere, il mio calore insano, scioglierà la neve.
La farà sparire.
 
 
 
Posso convivere con l’idea dell’ineluttabile.
Con quella della perdita.
 
Ma non posso vedere… io non posso essere motivo di gioia, per lui, o le mie scelte creeranno un dolore del quale non voglio essere causa.
 
E non posso permettere che porti così tanta luce nella mia vita, o l’idea del buio diverrà insopportabile.
 
 
Ho sbagliato. Non avrei dovuto organizzare questa serata.
 
 
 
Ma come avrei potuto sapere… immaginare, che c’era così tanta meraviglia, ancora, oltre la barriera delle sue iridi?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-111
 
“Sherlock…?”
 
“Sherlock, so che sei sveglio… posso entrare?”
 
“Se ho fatto qualcosa, qualsiasi cosa di sbagliato, ho bisogno che tu me lo dica.”
“Per favore.”
 
“Va bene… se vuoi parlare, o urlarmi contro, o qualsiasi altra cosa, mi trovi in salotto.”
 
 
 
“È stato un appuntamento bellissimo. Mi dispiace averlo rovinato. Perdonami.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-111
 
[04:02] Non lo hai rovinato. SH
 
[04:04] Il fatto che tu mi stia scrivendo, invece di condividere una stanza con me, mi fa pensare il contrario. JW
[04:05] Non hai rovinato niente, John. Solo… forse è stato un errore. SH
 
[04:07] Adesso sono certo di aver fatto qualcosa di sbagliato. Posso cercare di rimediare? Per favore. JW
[04:08] No. Non puoi. SH
 
[04:10] Dio, ti ho davvero spaventato fino a questo punto? Sono davvero un idiota… JW
 
[04:12] John… SH
 
[04:14] Mi dispiace, Sherlock. Te lo giuro, non volevo far nulla che potesse farti male, in nessun modo. JW
[04:15] È solo che avevo promesso di essere semplicemente me stesso, e… volevo tenerti un po’ più vicino. Solo questo. JW
 
[04:17] Non puoi rimediare. SH
[04:18] Sherlock… JW
 
 
[04:21] A meno che tu non possa cancellare dalla mia mente quanto bello sia sentire il tuo peso sul mio petto. SH
[04:22] O il tuo respiro sul viso. SH
 
[04:24] Non posso essere così felice, John, o non riuscirò a lasciarti andare. SH
[04:25] Perché dovresti lasciarmi andare…? JW
 
[04:27] Perché sono una nave che sta affondando, e se ci permetto di essere così tanto aggrappati l’uno all’altro finirai con l’annegare anche tu. SH
 
[04:29] Per quale motivo dai per scontato che non abbia abbastanza fiato per tenere entrambi a galla? JW
 
[04:31] Sherlock. JW
 
[04:33] Ho smesso di desiderare di rimanere a galla mesi fa. SH
[04:34] Allora nuota con me e, quando sarai stanco, smetti di farlo. Non ti costringerò a continuare. JW
 
[04:36] Ma tu non costringermi a rimanere solo in questo mare prima del tempo. JW
 
[04:38] Farà male, John. Non posso sopportarlo. SH
 
[04:40] La vita fa male, Sherlock. Costantemente. Non dipende da te il mio dolore. JW
 
 
 
[04:43] Però dipende da te la mia felicità. JW
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-111
 
“John…”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-110
 
La neve ha iniziato a ricoprire Londra ieri mattina, proprio mentre i respiri di John cadevano come fiocchi leggeri sul mio corpo.
 
Del freddo ci siamo resi conto solo quanto i nostri brividi hanno trovato riparo tra le pieghe sgualcite dei vestiti, permettendoci di lanciare sguardi assonnati oltre i vetri chiari delle finestre.
 
“Meglio che vada a fare un po’ di spesa, o potrebbe diventare un problema.” Ha commentato dopo qualche minuto di silenzio voltandosi verso di me, ancora sul letto, un sorriso dolce negli occhi.
 
I capelli in disordine ed il viso segnato dalla stanchezza ma disteso, era di una bellezza scomposta che non avevo mai visto prima, in nessuno.
 
Per un attimo, mi è parso di riuscire a respirare solo attraverso lo sguardo.
 
Solo attraverso di lui.
 
Ho annuito, piano, lasciando che poggiasse per l’ultima volta le labbra sulle mie.
Seguendo con gli occhi i suoi passi incerti, ho aspettato che uscisse dalla stanza, prima di dedicarmi ad osservare con cura e timore le prove disseminate attorno a me di cosa fosse davvero successo.
 
 
 
Di come, nella maniera più spontanea, naturale, avessimo fatto l’amore, nonostante tutto.
 
Nonostante i limiti. Nonostante le paure.
 
Nonostante me.
 
 
Erano tutte lì, adagiate sopra i cuscini. Nascoste tra le lenzuola agitate, nel vuoto di una sedia dimenticata in un angolo, inutile, superflua.
 
 
 
Ho osservato la mano sinistra a lungo, muovendola per quanto possibile davanti al viso.
 
Ancora adesso, se mi concentro, riesco a sentire la presa di John farsi forte intorno alle dita.
Il suo calore riempirne i palmo.
 
 
 
Oggi, prima che uscisse per andare all’università, l’ho ammesso, con lo stesso timore di chi svela una verità nascosta a lungo dietro ad una bugia: “Sai… Credo di aver recuperato un po’ di sensibilità, nella parte sinistra.”
 
Ha spalancato gli occhi, sorpreso.
 
“Stupendo!” Ha gioito, avvicinandosi per sfiorarmi il braccio.
 
“La cosa ti preoccupa…?” Ha domandato poi, dopo aver alzato gli occhi su di me ed aver notato la mia espressione seria.
 
 
“No.” Ho mentito.
 
 
 
La verità è che ogni cosa cambia aspetto, sotto la carezza della neve.
 
Che, se recuperassi la piena funzionalità del lato sinistro…
 
Se fossi certo che John rimarrebbe comunque, anche se sapesse che non esiste più una data già scritta per il nostro addio…
 
 
Io credo che potrei vivere in questo modo.
 
Che potrei rinunciare all’idea di camminare, se lui decidesse di essere - con la sua presenza - le mie gambe.
 
 
E questo non mi preoccupa…
 
 
Mi terrorizza.
 
Più dell’idea di porre fine alla mia vita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-109
 
Ho scoperto che l’amore ha gli occhi azzurri, la voce scura e la pelle chiara.
 
Ho scoperto che si nasconde agli angoli dell’esistenza, rimanendo sul bordo tra gioia e dolore.
 
 
Amo Sherlock tanto quanto odi l’idea di lasciarlo andare.
 
 
Ma ogni volta che sento questo pensiero divenire intollerabile, ogni volta che mi sporgo sull’abisso nero della paura, ogni volta che immagino come sarà ritrovare le mie mani vuote dopo averle avute piene, sature delle sue, respiro con più forza il suo profumo, spingendolo fin dentro alla più piccola parte di me.
 
Lo nascondo al mondo tra i miei ricordi, cercando di preservarlo.
 
E sorrido.
 
 
 
In modo che la paura non si accorga di me, che non scorga il mio viso.
 
 
In modo che non possa arrivare a lui, attraverso i miei occhi.
 
 


Angolo dell’autrice:
 
Siamo tornati sabato da quel di Marsiglia, un viaggio che ha dato i suoi frutti ma che ha regalato anche tanta stanchezza (come ho accennato nella OS pubblicata il 14).
 
Al momento ho vari problemi fisici (che gioia!) che hanno comportato la stesura di questo capitolo in una sorta di “nebbia mentale” che spero non traspaia troppo e non infici la lettura.
 
Nel caso vi chiedo scusa, cercherò di correggere quanto prima. ^_^’
 
Come ormai d’abitudine, vi lascio con una frase (anzi due!) e, subito sotto, con un’immagine che credo descriva "l'anima" di questo capitolo. :)
 
A presto (spero XD),
B.
 
 
 
“Fare all'amore è nuotare insieme assumendo l'altro come il mare che ci porta.”
(Lou von Salomé)

 
 
“Che tu voglia o no, quando fai l'amore con qualcuno il tuo corpo fa una promessa.”
(Vanilla Sky, 2001, regia di Cameron Crowe)
 
 
 
 
   
 
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