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Autore: Marilia__88    08/10/2016    2 recensioni
A volte la vita non va come vorremmo. A volte ci pone davanti ostacoli troppo difficili da superare. A volte, quando tutto sembra andare per il verso giusto, accade qualcosa che ci porta verso nuove strade, spesso troppo oscure.
Questo è ciò che è successo a Sherlock Holmes. Un uomo che amava la sua vita. Un uomo che da un giorno all'altro ha perso tutto, anche la voglia di andare avanti. Forse l'incontro con qualcuno di speciale può fargli capire che c'è ancora qualcosa di bello nella vita, che può ancora fare qualcosa di buono e lasciare un segno indelebile del suo passaggio su questa terra.
JOHNLOCK! - Ispirata al libro "IO PRIMA DI TE".
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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                      ME BEFORE YOU







                                  

                                                                       Trust







… Aveva preso la sua decisione. D’ora in poi sarebbe stato questo il suo scopo.
Non sapeva se il suo progetto fosse destinato a fallire o meno. Ma di una cosa era certo. Ci avrebbe messo tutto il suo cuore, tutto il suo impegno, tutta la sua forza. Ci avrebbe messo tutto sé stesso. 
 
 
 






 
“Occhi. Quei maledetti occhi mi fottevano sempre.

Ci facevo l’amore solo a guardarli”

C. Bukowski
 
 
 








“Oggi è una bellissima giornata! C’è il sole e non c’è nemmeno una nuvola in cielo!” esclamò John, entrando con entusiasmo nella stanza di Sherlock.

Holmes si voltò lentamente verso di lui ed un sorriso divertito apparve sul suo viso. “John Watson, non ti stanchi mai di precisare l’ovvio?” chiese, trattenendosi dal ridere.

Il medico incrociò le braccia al petto, assumendo una finta espressione imbronciata. Amava quei loro piccoli battibecchi, ma più di tutto amava vederlo sorridere. “No, non mi stanco mai. E poi, senza il mio costante precisare l’ovvio, ti annoieresti!” ribatté a tono.

“Questo te lo concedo”.

“Bene. Vado a prendere la giacca. Andiamo a fare una passeggiata. E non accetto rifiuti” disse John, ostentando il suo rigido tono autoritario.

“E da quando ti prendi il lusso di darmi ordini?” gli urlò dietro Sherlock ironico.

Si voltò per seguirlo fuori dalla stanza, ma si bloccò all’improvviso, attratto dal suo riflesso nel grande specchio che giaceva appeso sulla parete alla sua destra. Stava sorridendo e, per quanto si sforzasse in quel momento, non riusciva a togliere quell’espressione dal suo viso.

Succedeva sempre quando l’inconfondibile figura di John appariva alle sue spalle, quando sentiva la sua voce o anche semplicemente quando gli rivolgeva quello sguardo carico di dolcezza e di calore.








 
 
 
 
“Hai visto? Non è poi così male prendere un po' d’aria ogni tanto!”. John camminava zoppicante, percorrendo al fianco di Sherlock il lungo viale del parco, che costeggiava la lussuosa villa.

Holmes gli lanciò uno sguardo perplesso. “A cosa devo questo tuo buon umore?”.

Il medico non rispose. Si guardò intorno e, poco dopo, indicò con il dito indice un punto davanti a sé. “Guarda, una panchina. Possiamo fermarci lì”.

“Si, in effetti ho proprio bisogno di sedermi!” esclamò Sherlock con sarcasmo.

John evitò nuovamente di ribattere, ma si limitò a guardarlo di traverso con un’espressione di rimprovero.

 
 
 

 
“Dio, che caldo che fa oggi!” esclamò il medico, levandosi la giacca e posandola sullo schienale della panchina.

Sherlock si soffermò a guardarlo con uno strano sguardo indagatore in cui aleggiava anche un barlume di divertimento.

“Che c’è?” chiese John perplesso.

“Osservavo il tuo maglione. Una scelta… interessante, direi” rispose Holmes con sarcasmo.

Il medico sbuffò sonoramente in una ridicola imitazione di Sherlock. “Possibile che tu abbia sempre da ridire su ogni cosa? E poi non credo che tu possa prenderti il lusso di farmi una lezione di stile” ironizzò, trattenendosi dal ridere.

“Cosa vorresti dire?”.

“Diciamo che non ti definirei un’icona di eleganza!”.

Holmes aprì leggermente la bocca nel tentativo di sembrare sconvolto e offeso da quell’affermazione. “Sono curioso, John. Continua pure. Approfondisci la tua opinione!”.

John si rilassò ulteriormente sulla panchina, assumendo una postura sicura e decisa. “Tanto per cominciare, avrei da ridire sulla barba e sui capelli. Sembri un barbone”.

“Santo cielo! Parli come mia madre, adesso!” esclamò Sherlock, alzando gli occhi al cielo.

“Sei tu che mi hai chiesto di esprimere la mia opinione” ribatté il medico a tono.

Holmes scosse la testa e ridacchiò. Poi spostò lo sguardo verso un punto indefinito del parco e, per qualche istante, si perse in chissà quali tristi ed intricati pensieri. “Ok!” disse all’improvviso con una strana luce negli occhi.

“Cosa?”.

“Possiamo iniziare dalla barba” rispose Sherlock “È ovvio che da solo non posso radermi, ma posso concederti questo onore”.

John sgranò gli occhi, allibito da quelle parole. “Dici sul serio?”.

“Ti sembra che abbia l’aria di uno che scherza?” ribatté Holmes compiaciuto “Ti consiglio di approfittarne, prima che cambi idea!”.
 











 
 
Mycroft aprì la finestra del suo ufficio per deliziarsi della piacevole aria tiepida di quella bellissima giornata di sole.

Sentì dei suoni in lontananza e gettò uno sguardo verso il giardino, incuriosito. Sembravano risate.

Dopo qualche istante vide Sherlock e John camminare lungo lo stretto sentiero che portava alla dependance.

Da quella distanza non riuscì a sentire le loro parole, ma riuscì a scorgere l’espressione di suo fratello. Il suo viso, solitamente teso e malinconico, appariva rilassato e contornato da un ampio e radioso sorriso.

Non ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva visto Sherlock ridere in quel modo, così allegro e spensierato.

Un involontario e lieve sorriso affiorò anche sul suo volto, deliziato da quella sorprendente quanto incredibile visione.

Sospirò pesantemente e mise le mani congiunte sotto il mento, ritornando improvvisamente serio.

Conosceva suo fratello. Conosceva le sue intenzioni e il suo carattere. Sapeva bene che nessuno avrebbe potuto smuoverlo dalla sua decisione. Eppure in quel breve e intenso momento avvertì qualcosa, un brivido, una strana sensazione all’altezza del petto.

Speranza, ecco cos’era. Quel sentimento che non era solito provare, anzi che spesso si premurava di non provare. Il suo modo di agire, così legato alla pura e fredda ragione, non approvava questi futili sentimentalismi.

Tuttavia, quando si trattava di Sherlock, tutto dentro di lui veniva smosso a tal punto, da ritrovarsi a formulare pensieri o a compiere azioni, che neanche lontanamente si addicevano alla sua persona.

Lanciò un’ultima occhiata ai due uomini che camminavano a ridevano tranquilli lì fuori. Irrigidì maggiormente la sua postura e si voltò di scatto, ritornando con premura al suo lavoro. 
 
 
 







 


 
 
John si fermò con il rasoio in mano a pochi centimetri dal viso di Sherlock. “Sei sicuro di volerlo fare?” chiese titubante.

Sherlock lo guardò dritto negli occhi ed annuì semplicemente con un lieve cenno del capo. “Mia madre ne sarà entusiasta” ironizzò poco dopo.

“Non lasciamoci scoraggiare” replicò il medico con un sorriso, iniziando a raderlo con cura.

Quando sentì il metallo toccare la sua pelle, Holmes chiuse gli occhi e provò a rilassarsi, cercando di ignorare il ritmo incessante del suo cuore, che era accelerato nel momento in cui si era ritrovato il viso dell’altro a pochi centimetri dal suo.

John passò il rasoio con estrema lentezza e delicatezza, liberando man mano ogni parte del suo viso da quell’ispida barba. Evitò di concentrarsi su quei lineamenti perfetti e su tutte le sensazioni che quella pericolosa vicinanza gli provocava.

Ad opera ultimata fece un profondo respiro e sorrise. “Ecco fatto!” esclamò soddisfatto.

Sherlock riaprì gli occhi e, non appena incontrò di nuovo quel meraviglioso sguardo, si sentì mancare l’aria.

Non aveva mai provato questo genere di emozioni. Non aveva mai provato queste inquietanti sensazioni. Mai. Per nessuno.

“Stai facendo una faccia strana. Ti prego, non dirmi che mi hai rasato le sopracciglia!” ironizzò, cercando di tenere sotto controllo il tremore di voce.

John scoppiò a ridere. “Soltanto una”.

Anche sul viso di Holmes si allargò un enorme sorriso, che parve smorzare parzialmente la tensione legata a quel momento.

Il medico restò immobile a fissarlo intensamente. Quel viso, privo da quella antiestetica barba incolta, era incredibilmente perfetto.

Ora riusciva a vedere bene i suoi delicati lineamenti, i suoi zigomi taglienti, tutto contornato da quel surreale sorriso e da quegli occhi incredibili. Anche adesso che si trovava così vicino a lui, non capiva di che colore fossero: passavano dal grigio all’azzurro, dal verde al blu, in una miriade di sfumature da far perdere il fiato.

Fu in quel preciso istante che avvertì un desiderio. Un desiderio intenso e incontrollabile, che non riuscì a reprimere.

Spostò lo sguardo sulle sue labbra, così carnose, così invitanti.

Deglutì a vuoto, mentre con lentezza diminuiva la già poca distanza che c’era tra loro.

“John…” sussurrò Sherlock, quando si accorse di ciò che stava per accadere.

Lo voleva anche lui. Lo desiderava, non poteva negarlo. Ma nelle sue condizioni, nella sua situazione, era un gesto folle, qualcosa di assolutamente sbagliato.

John non si fermò. Appoggiò delicatamente le labbra sulle sue, in attesa di una sua risposta.

La risposta non tardò ad arrivare. Holmes chiuse gli occhi e si lasciò andare a quel tenero e tanto desiderato bacio, mettendo a tacere tutti i suoi dubbi e tutte le sue incertezze.

Quando il medico si staccò da lui, si guardarono e scoppiarono a ridere, trasportati dall’imbarazzo e dall’euforia di quel momento.

“Questo era compreso nel servizio?” ironizzò Sherlock con un filo di voce, ancora incredulo da ciò che era appena successo.

“No, questo consideralo un extra!” esclamò John al suo orecchio. Poi si raddrizzò e gli lanciò uno strano sguardo pensieroso. “Ed ora vediamo di fare qualcosa per questi capelli!”.
 
 
 
 








 
“Non posso credere ai miei occhi, John!”. Mike uscì dalla stanza di Sherlock con un’aria piacevolmente sconvolta.

John si limitò a sorridere imbarazzato e abbassò lo sguardo.

“Sai quante volte ho provato a convincerlo a radersi e a sistemare quei capelli?” aggiunse Stamford ancora incredulo.

Il medico annuì, continuando però a mantenere uno strano silenzio.

Mike si bloccò e lo fissò con attenzione. Poi scoppiò a ridere. “No, non dirmi che tu e lui…” disse, lasciando la domanda in sospeso e leggendo tutto dall’espressione dell’altro.

“Per l’amor del cielo, Mike! Abbassa la voce! Non vorrai che ti sentano tutti!” esclamò John, visibilmente a disagio.

Nonostante l’imbarazzo creato da quella scomoda situazione, però, non riusciva a smettere di sorridere.

Stamford si avvicinò a lui e gli mise una mano sulla spalla. “Sono davvero contento, John. È bello vederti sorridere così. Ed è ancora più bello vedere il viso di Sherlock finalmente rilassato e radioso”.













 
 “Sono pronto. Possiamo andare”. Quella mattina John entrò nella stanza di Sherlock con cautela.

“Mike è arrivato?” chiese Holmes serio.

“Si, è andato a prendere la macchina in garage”.

Era il giorno della visita di Sherlock in uno dei più rinomati centri specializzati in tetraplegia. Nonostante seguisse le terapie a domicilio, una volta l’anno doveva recarsi in quella struttura per sottoposti ad accurati controlli, in modo da poter verificare che il suo corpo reagisse bene alla fisioterapia e ai numerosi farmaci che assumeva costantemente.

Purtroppo, nel suo caso, non si poteva parlare di miglioramenti, poiché la sua condizione era stata chiaramente definita irreversibile. Ciò nonostante, era un modo per accertarsi che i suoi problemi e, di conseguenza le sue già limitate funzionalità motorie, non fossero peggiorati.

Holmes non parlò per l’intero tragitto in macchina. Il suo viso teso e visibilmente nervoso rimase rivolto per tutto il tempo verso il finestrino.

Arrivati al centro venne fatto accomodare in una piccola stanzetta.

John e Mike dovettero rimanere nella saletta d’attesa adiacente. Non avevano il permesso di entrare durante la visita e dovettero aspettare lì per tutta la durata degli esami.

Dopo un’ora circa Sherlock venne scortato fuori.

“Le sue condizioni sono stabili, signor Holmes. La fisioterapia e la terapia farmacologica stanno dando ottimi risultati” disse lo specialista con entusiasmo.

Holmes annuì, sforzandosi di sorridere.

Ottimi risultati, aveva detto. Era incollato a vita su quella maledetta sedia a rotelle. Non passava giorno che non provasse dolore o avesse disturbi, causati dalla miriade di problemi e dagli effetti collaterali dei farmaci che assumeva. Come poteva quell’uomo definire quest’inferno come un “ottimo risultato”?

Avvertì una prepotente rabbia risalirgli fino alla gola. Avrebbe voluto urlargli contro, ma decise di rimanere in silenzio, ingoiando quell’amaro boccone.

All’uscita della clinica, John gli posò una mano sulla spalla. “Tutto bene?” chiese preoccupato.

Non sopportava quel silenzio e quell’espressione cupa che vedeva stampata sul volto dell’uomo che amava.

Sherlock annuì, mantenendo lo sguardo basso. “Si, voglio solo tornare a casa” rispose con voce instabile.

Il medico si abbassò leggermente e con molta fatica, reggendosi con forza al bastone, in modo da trovarsi faccia a faccia con lui. Gli afferrò una mano e la strinse con forza nella sua. “Non dobbiamo per forza tornare a casa. Abbiamo la macchina. Possiamo fare un giro, che ne dici?” chiese con lo sguardo carico di aspettative.

Holmes lo guardò. Non aveva alcuna voglia di andare in giro, ma non se la sentì di deludere John. C’era una straordinaria luce nei suoi occhi, una luce così calorosa e carica di speranza, che gli impedì di rifiutare. “Va bene”.
 







 
 
“Mike, accosta qui un secondo!” esclamò John all’improvviso, osservando un punto poco lontano da loro.

Si trovavano nei pressi di un cantiere edile. La zona era stata completamente circondata dal nastro giallo della polizia, che aveva posto i sigilli, impedendo a chiunque di entrare.

Era sicuramente successo qualcosa.

“Sherlock, quello non è l’ispettore Lestrade?”.

Holmes osservò attentamente fuori dal finestrino. “Si, ma non capisco perché ci siamo fermati qui”.

John sorrise speranzoso. “Non ti andrebbe di andare a dare un’occhiata?”.

Sherlock sgranò gli occhi e impallidì. “No!”.

“Perché no? Non fai altro che ripetere quanto ti manchi il tuo lavoro, le scene del crimine. Diamo solo una veloce occhiata, nient’altro”.

“John…ti prego…”.

Il medico ignorò la sua risposta e si fece aiutare da Mike a farlo scendere dalla macchina.

Credeva che in quel modo avrebbe risollevato il suo morale.

Voleva dimostrargli che poteva ancora fare ciò che faceva prima, che poteva ancora essere il grande Sherlock Holmes di cui aveva letto in quei numerosi articoli.

Naturalmente avrebbe avuto bisogno di aiuto. E lui era lì per quello.

“L’ispettore Lestrade sarà contento di vederti” aggiunse con un’espressione carica di ottimismo.

C’era una cosa, però, che non aveva considerato.

Si trattava di un cantiere edile il cui terreno, già di per sé instabile, era stato reso molliccio e fangoso a causa delle piogge, che si erano abbattute sulla città nei giorni precedenti.

Non ci volle molto tempo prima che la sedia a rotelle si impantanasse completamente, affossandosi nel fango.

Sherlock chiuse gli occhi e contrasse la mascella. Sapeva che sarebbe successo. Aveva provato a dirlo a John, ma lui non aveva voluto ascoltarlo.

“Dannazione!” imprecò il medico “E adesso che facciamo?”.

Mike guardò le ruote coperte di fango e si passò una mano tra i capelli. “Dovremmo sollevarla e portarla di peso”.

“Sherlock!” urlò Lestrade, correndo verso di loro. “Quando mi hanno detto che eri qui, non potevo crederci!” aggiunse con un enorme sorriso. “John, è un piacere rivederla!”.

John sorrise. “Anche per me. Cos’è successo?” chiese con curiosità.

“Un omicidio. È il terzo questa settimana. Stessa dinamica, stessa brutalità”.

“Volevamo dare un’occhiata se è possibile. Anche se abbiamo un problema” disse, indicando la sedia a rotelle impantanata.

“Certo! Aspettate, chiamo due agenti e la solleviamo”.

Sherlock era rimasto in silenzio per tutto quel tempo. Gli occhi sempre chiusi e il viso incredibilmente pallido e teso. “John…” disse con un filo di voce.

“Stai tranquillo, Sherlock. Risolviamo subito il problema” lo interruppe John, accarezzandogli un braccio.

Lestrade ritornò, seguito da due agenti. Tutti insieme sollevarono la sedia a rotelle e si diressero verso la scena del crimine.

“Mettetemi giù!” sbottò Holmes all’improvviso, attirando l’attenzione di tutti.

“Che succede?” chiese il medico preoccupato.

“John, voglio tornare a casa”.

“Sherlock, ma…” provò John sorpreso da quel tono.

Sherlock gli rivolse uno sguardo glaciale, carico di rancore. “Ti ho detto. Portami a casa, John. Subito” lo interruppe, scandendo con acidità ogni parola.

Intorno a loro calò il silenzio più assoluto. Nessuno osò parlare o muovere un singolo muscolo.

“La macchina è da quella parte. Aiutateci a portarlo fino al sentiero lì in fondo e poi ce la facciamo da soli” intervenne prontamente Mike, smorzando la tensione che si era creata.

“D’accordo” riuscì a dire soltanto Lestrade.

John rimase in silenzio. Lo sguardo basso e l’espressione dispiaciuta.

Voleva soltanto risollevare il morale di Sherlock e, invece, non aveva fatto altro che turbarlo più di quanto non fosse già.
 
 
 











 
“Si può sapere chi diavolo ti credi di essere, John?” urlò Holmes furioso, non appena varcarono la porta della dependance. Era rimasto in silenzio per l’intero tragitto in macchina, evitando di discutere davanti a Mike.

Stamford era corso in cucina con la scusa di preparare un po' di tè in modo da lasciarli soli.

“Sherlock, mi dispiace. Non avevo calcolato il terreno fangoso. Pensavo solo che ritornare su una scena del crimine avrebbe potuto risollevarti il morale” si giustificò John, guardandolo con aria dispiaciuta.

Sherlock ridacchiò nervosamente e scosse il capo. I suoi occhi, incredibilmente lucidi, erano pieni di delusione. “Credevo che fossi diverso. E invece sei come tutti gli altri”.

“Che vuoi dire?”.

“Se ti fossi scomodato a chiedermi cosa ne pensavo. Se ti fossi scomodato ad ascoltarmi, avrei potuto dirtelo. Odio essere così, John. Odio farmi vedere in queste condizioni. Odio dover dipendere dagli altri. Odio dover essere preso di peso e trasportato come un ammasso di ferraglia inutile! Credi che non abbia mai provato a riprendere in mano la mia vecchia vita? Hai minimamente pensato a come mi sarei sentito a ritornare su una scena del crimine in questo stato?” sbottò Holmes, gridando con tutto il fiato che aveva in corpo “No, non ti è importato. Hai pensato che fosse la cosa più giusta per me e l’hai fatto senza chiedere la mia opinione. Ti sei comportato esattamente come fanno tutti gli altri. Hai pensato per me. Hai deciso per me” continuò, ansimando leggermente per lo sforzo.

Il medico rimase immobile, pietrificato da quelle parole. “Non era mia intenzione, credimi…” rispose con voce tremante.

“Ma l’hai fatto”. Detto ciò, Sherlock si voltò e si diresse in silenzio verso la sua stanza. 

















Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il settimo capitolo. 
Come vi avevo promesso, questo è un capitolo un pò più positivo e romantico, in puro stile Johnlock. A parte il finale, ovviamente. 
La scena di John che fa la barba a Sherlock l'ho immaginata un tantino più romantica di quella di Will e Louisa. Il rapporto che il medico e il detective creeranno in questa storia, infatti, sarà più intenso e più profondo di quello dei due protagonisti di "Io prima di te". 

Un piccolo pezzetto del capitolo è dedicato a Mycroft. Ai suoi pensieri, alle sue sensazioni. Lui sa come andrà a finire, perchè conosce suo fratello, ma una parte di lui non può fare a meno di sperare che John possa convincerlo a cambiare idea. Qui si scopre di più sul suo animo rispetto al capitolo precedente in cui era apparso freddo e distaccato. 

Alla fine del capitolo, infine, troviamo un'accesa discussione tra John e Sherlock. Il medico in fondo voleva solo fare qualcosa di buono per tirargli su il morale, ma il detective non l'ha presa proprio bene. In ogni caso non disperate, nel prossimo capitolo John troverà il modo di farsi perdonare e ci sarà una situazione tra loro molto carina (anche se a tratti un pò malinconica).

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Grazie a chi segue la storia e a chi vuole lasciare un commento. Alla prossima ;)

 
   
 
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