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Autore: Dahu    08/10/2016    0 recensioni
Nati come un esperimento della Guardia Imperiale, i Baschi Neri sono tutti abitanti di un mondo assassino.
Classificati come ferali e considerati selvaggi dagli altri soldati, addestrati come forze speciali per operazioni mordi e fuggi, presto dovranno fare i conti con quello che sono in realtà; ragazzi di diciotto anni con un fucile laser tra le mani e nessuna idea di cosa gli riservi il futuro.
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il sottotenente Vinka Fodkova si agitava nell’abitacolo della Valkyrie, girando continuamente la testa protetta dal casco alla ricerca delle minacce.
-Razzo ore due!-
Disse nervosamente.
Il pilota diede un lieve colpetto alla cloche, facendo ruotare il velivolo.
Non poteva inclinarlo, o avrebbe fatto precipitare nel vuoto gli esploratori che si stavano calando dai portelloni laterali.
Vinka strinse spasmodicamente le cinture di sicurezza del sedile del copilota mentre guardava il razzo procedere a tutta velocità nella sua direzione.
Il proiettile passò proprio sopra la sua testa, a meno di un metro dalla cabina di pilotaggio, lasciandosi dietro una scia di fumo bianco.
Per l’ennesima volta la giovane copilota ebbe un moto d’ammirazione per il Colonnello Kazuya Tjshory, il suo pilota.
Il Colonnello era un veterano di cinquant’anni, era stato abbattuto tre volte ed era un vero asso ai comandi di un velivolo di trasporto truppe. Quando pilotava, sembrava quasi che il suo corpo e quello della cannoniera fossero uno solo.
Questo sbarco sarebbe stata la sua ultima missione operativa; al rientro avrebbe lasciato la sua Valkyrie a Vinka per assumere il comando dello stormo.
-Ottimo lavoro Sottotenente, adesso riprendi a sparare-
Disse la voce del pilota, resa dura dal forte accento attiliano.
Senza perdere un istante, la diciannovenne Vinka Fodkova impugnò la cloche di comando dell’autocannone di prua e prese a fare fuoco contro i bersagli nella radura.
-Sbarco completato, sganciamo i canaponi!-
Li informò la voce di un mitragliere attraverso l’interfono di bordo.
Il Colonnello tirò a se la cloche e la cannoniera liberò tutta la potenza dei motori, prendendo quota il più rapidamente possibile.
Vinka tirò un sospiro di sollievo, mentre il rumore dell’autocannone e dei requiem pesanti cessava.
Aveva preso parte a decine di voli d’addestramento su Vendoland e le era capitato diverse volte di essere attaccata dalle terrificanti creature volanti che infestavano quei cieli, ma questa era la prima volta che qualcuno le sparava addosso.
La copilota guardò affascinata la jungla che si estendeva sotto di loro, bella quasi quanto quella di Vendoland.
Il Sottotenente si augurò, per il bene dei ragazzi che avevano appena sbarcato, che non fosse altrettanto letale.
Era affascinata dai paesaggi naturali; per una vostroyana come lei erano una novità piacevole.
La voce del Colonnello la scosse dai suoi pensieri.
-Aquila Uno a tutta la squadriglia, sbarco completato. Avviso, resistenza accanita. Passo.-
La radio rispose quasi subito con una serie di voci gracchianti.
-Qui Aquila Due, sbarco completato, rientriamo. Passo.-
-Qui Tre, sbarco completato. Confermo forte resistenza. Passo.-
-Qui Aquila Quattro, stimato due primi all’obiettivo, procediamo in formazione con Cinque, Sei, Sette e Otto. Passo.-
-Qui Condor, squadriglia compatta, stimiamo sei primi all’obiettivo. Passo.-
-Qui Aquila Uno, ricevuto fine.-
 
La compagnia Tempesta, del 106° Reggimento d’Assalto, si stava schierando sul campo a ondate consecutive.
Prima le tre squadre che costituivano il plotone esploratori erano state sbarcate in tre punti diversi del territorio nemico, poi sarebbero arrivate due squadre di fucilieri e due di specialisti anticarro, per un totale di quaranta uomini che avrebbero costituito un perimetro di sicurezza in favore dell’ondata finale, forte di altre quattro squadre fucilieri, di cui tre munite di un totale di quindici mezzi da ricognizione leggeri Tauros, prodotti su Elysia ed una squadra controcarri.
A costoro si aggiungevano i trenta uomini del plotone mortai, muniti di sei mortai da campagna scomponibili e caricati di bombe fino all’umano limite di sopportazione.
Il Capitano Hernest Frayn ripeteva questi numeri fra se e se, cercando di ingannare tempo e tensione nella stiva del Valkyrie che trasportava la prima squadra fucilieri.
L’ufficiale rivolse un’occhiata nervosa al vox operatore, nella speranza che il soldato lo informasse di una comunicazione da parte del plotone esploratori, ma sapeva che non sarebbe successo.
Quei ragazzi erano sbarcati solo un minuto prima, ci sarebbe voluto un po’ perché si raggruppassero e valutassero la situazione.
Era teso come uno scolaretto, questa operazione sarebbe stata il battesimo del fuoco per i suoi uomini e lui sapeva che il futuro della compagnia sarebbe dipeso dal suo esito.
Era anche la prima operazione della sua carriera completamente progettata da lui, e questo lo rendeva ulteriormente insicuro.
Non era uno sprovveduto, era entrato nel 101° Reggimento dopo l’accademia imperiale con il grado di sottotenente e, da li in poi, si era fatto largo verso l’attuale grado in soli cinque anni, facendosi notare per il suo coraggio e la sua dedizione.
Era stato ferito due volte durante la campagna di Aurelia ed era a pieno titolo considerato un militare di provata esperienza ma, intimamente, lui non ne era affatto sicuro.
Finalmente i portelli laterali della Valkyrie si aprirono ed i canaponi furono sciolti, mentre il velivolo rallentava fino a fermarsi a quindici metri dal suolo.
Stavano sbarcando cinque chilometri a Sud rispetto al punto di inserimento degli esploratori e nessuno li stava aspettando.
In ogni caso, il Capitano non aveva dubbi che il nemico non avrebbe tardato a farsi vivo.
Tutti i fucilieri si liberarono delle cinture di sicurezza ed indossarono lo zaino, urtandosi a vicenda e masticando imprecazioni.
Hernest si posizionò di fronte a loro e diede l’ordine di sbarco.
Anche i suoi uomini avevano il volto mimetizzato, ma a differenza degli esploratori indossavano l’elmetto e nessuno di loro era dotato di mortai da 60mm o di mitragliatrici leggere. Le squadre fucilieri erano invece dotate di una normale sezione arma pesante.
 
Eddard Bron si avvicinò al portellone aperto del Valkyrie sul quale aveva viaggiato fino a quel momento.
Attorno a lui vi erano altri tre trasporti truppe, che avevano già iniziato a sbarcare.
Attaccati alle funi ed a terra vi erano già parecchi uomini, mentre del nemico non si vedeva neanche l’ombra.
Con gesto risoluto prese la corda tra le mani e si lasciò cadere, dondolandosi un paio di volte prima di accostare i piedi.
Era un’acrobazia pericolosa, perché servivano braccia d’acciaio per reggere il corpo a quella velocità, ma lui la trovava divertente.
Toccò terra e subito si scostò per permettere l’atterraggio del collega che lo seguiva.
Eddard imbracciò il laslungo e la sua attenzione fu richiamata dal Capitano Frayn, che si muoveva rapido nella zona di sbarco sbraitando ordini per farsi udire al di sopra del rombo prodotto dai motori dei quattro velivoli.
-Da quella parte!- Ringhiava l’ufficiale. –Di là!-
Il comandante di squadra di Bron afferrò per primo il significato del gesto e richiamò i suoi nove uomini.
Il tiratore scelto seguì i compagni fino alla zona di boscaglia più fitta che si estendeva a nord dell’area relativamente sgombra dove erano sbarcati.
Qui i soldati si aprirono a ventaglio per formare, assieme alle altre squadre, uno schermo protettivo formato da tante postazioni improvvisate.
Eddard vide un lieve rialzo del terreno e cercò un punto adatto a nasconderlo e ripararlo.
Lo individuò in una rientranza tra le monumentali radici di un albero aggrappato alla collinetta e vi si infilò.
Scambiò rapidi cenni d’intesa con i colleghi ai due lati, per definire i rispettivi settori di tiro, quindi si slacciò l’elmetto in modo che la gorgiera non gli desse fastidio e ricoprì la canna del fucile con una retina mimetica estratta dal gibernaggio.
Ora si trattava di aspettare il nemico che, prima o dopo, sarebbe arrivato.
Assurdamente Eddard non riusciva a rendersi conto che si trattava di una vera operazione, tutto era così simile all’addestramento che si aspettava quasi di vedere un sergente passare davanti alla linea di fuoco per correggere le posizioni degli uomini.
Lo immaginò riprenderlo per l’elmetto slacciato e non mascherato, così, pur mantenendo la gorgiera negligentemente slacciata, incastrò un paio di piantine strappate negli appositi occhielli del copri elmetto mimetico, in modo che riempissero lo spazio vuoto tra la testa e le spalle.
 
Non appena la Valkyrie Aquila Uno si alzò, Jan Frod smise di sparare.
Aveva le orecchie che gli fischiavano per quanto indossasse il casco fonoassorbente e la gola gli doleva per il troppo urlare.
Tolse lentamente le mani dall’impugnatura del suo requiem pesante, la cui canna fumante si era accesa di una luminescenza rovente a causa dell’eccessiva quantità di munizioni sparate senza posa.
“Ancora cinque minuti ed avrei fuso la canna!” Pensò il vendolandiano.
La pesante cassetta di metallo che conteneva i nastri di munizioni, e che nelle armi montate sui velivoli costituiva il sistema di caricamento, era orrendamente squarciata ed il nastro di pesanti proiettili requiem retro propulsi ne fuoriusciva disordinatamente.
Almeno un colpo della contraerea, che avrebbe sventrato il mitragliere, era stato fermato dal massiccio strumento.
Cedendo ad un impulso naturale, Jan si abbassò e baciò ripetutamente il guscio dell’arma che lo aveva salvato, quindi si voltò per scambiare un cenno d’intesa con il collega dall’altro lato del velivolo.
Lo sguardo del mitragliere indugiò sulla stiva dal pavimento coperto di sangue.
Il cadavere di un esploratore penzolava oscenamente dal sedile al quale era vincolato, reggendo tra le dita irrigidite il fucile laser, come se fosse pronto a risvegliarsi.
Accanto al corpo senza vita, sedeva un giovane dall’espressione agonizzante, con un moncherino al posto del braccio destro.
Lui rivolse a quest’ultimo un sorriso rassicurante.
-Andrà tutto bene!-
Gridò al ferito, ma l’altro non reagì, probabilmente perché i portelli erano rimasti aperti,  a causa di un colpo nemico che aveva danneggiato il sistema idraulico, ed il ruggito del vento era di gran lunga più forte della roca voce del mitragliere.
Jan sospirò e si appoggiò di peso sull’arma pesante, facendo al contempo scivolare anche la seconda gamba fuori dalla fusoliera.
Amava la sensazione di vuoto sotto ai piedi e l’aria che lo colpiva sulla faccia.
Per il Sergente Jan Frod, ex contrabbandiere di venticinque anni, non esisteva nulla di più bello del volo.
Una cannoniera Valkyrie, anch’essa con i portelloni aperti, raggiunse Aquila Uno ed il mitragliere rivolse a Jan un gesto amichevole, al quale lui rispose alzando il pollice della mano destra e sorridendo al collega che non conosceva.
Poi questi indicò con un gesto piuttosto deciso la coda del velivolo del vendolandiano.
Il Sergente Frod sporse la testa per vedere cosa il collega gli stesse facendo notare e vide che il motore destro di Aquila Uno perdeva un fumo nero che ne indicava chiaramente il malfunzionamento.
Ma non si scompose, erano tre anni che volava con il Colonnello Tjory e l’attiliano lo aveva sempre riportato a casa, anche con un motore solo.
-Capo, abbiamo un problema-
Disse tranquillamente nell’interfono.
La voce del vecchio leone era malinconica quando gli rispose, certo dopo trent’anni di onorata carriera il pensiero che quello sarebbe stato l’ultimo volo doveva aver fatto breccia anche nel duro cuore attiliano.
-Che voce roca Jan, hai alzato troppo il gomito ieri sera?-
Il vendolandiano sogghignò, gli sarebbe mancato il Colonnello.
-Abbiamo il motore destro che fa fumo-
Avrebbe voluto aggiungere una battuta, ma la gola gli faceva troppo male.
-Di che colore?-
Domandò ancora il pilota.
-Nero-
Rispose Jan, pensando alla battuta, sentita già mille volte, che l’attiliano stava per fare.
-Possibile che non si riesca a decidere il nuovo capo dell’Ecclesiarchia?! Mai una fumata bianca… E che cavolo!-
Il mitragliere si concesse un largo sorriso.
Non che lui avesse una qualche nozione riguardo alle usanze dell’Ecclesiarchia, come tutti i vendolandiani era appena cosciente dell’esistenza di tale struttura, ma il Colonnello gli aveva spiegato la battuta tre anni prima e gli aveva detto che, in effetti, era piuttosto brillante e scandalosa.
Vinka, al contrario, la sentiva per la prima volta e scoppiò a ridere, a dispetto del suo freddo carattere vostroyano.
-Non preoccuparti “selvaggio”, ti riporto a casa lo stesso. Fodkova, riduci la potenza del motore destro di un quarto e compensa con il sinistro.-
Al Colonnello piaceva punzecchiare il suo mitragliere di fiducia con quel nomignolo;
molti extra mondo consideravano i vendolandiani come una banda di selvaggi primitivi, ignoranti e feroci, cosa che non era troppo distante dalla verità, ma che veniva considerata parecchio offensiva dai così descritti.
In quel momento il radar segnalò la terza Valkyrie in avvicinamento.
-Bene- Disse allegramente il pilota. –Siamo tutti, godiamoci il rientro a casa e pensiamo alla fortuna che abbiamo a non dover scendere in quell’inferno verde di persona!-
Jan sorrise e poggiò la testa sulle braccia che aveva incrociato sopra al guscio del requiem.
La loro parte per il momento era terminata.
 
Rak Tay segnalò ai due compagni di aver visto qualcosa.
I due montanari si scambiarono un cenno d’intesa, quindi scattarono in avanti, oltre le piante che celavano il punto segnalato dall’artificiere.
Le armi puntate in avanti ruotarono assieme allo sguardo, come fossero parte del loro corpo, poi si abbassarono in un gesto seccato.
A terra vi erano i cadaveri orrendamente squarciati di due dei loro compagni di squadra.
Trulls si chinò sul corpo più vicino e gli sfiorò la fronte con cautela.
Era l’altro mitragliere della squadra, uno dei suoi migliori amici sin dai primi giorni di corso.
Poco oltre vi era il corpo senza vita di un orco e Drake non faticò ad immaginare quanto fosse successo.
Quello era effettivamente il punto di incontro previsto per la squadra, ma gli esploratori dovevano essere stati sorpresi da una pattuglia di orchi.
Molto probabilmente i nemici erano ancora in giro ed i soldati avevano ripiegato direttamente sul punto di raggruppamento del plotone, dando loro tre per morti.
Lo scout si accosciò e si mise il fucile laser in trasversale sulle gambe, in modo che gli fornisse un punto d’appoggio per il dpad, sul quale richiamò la cartina d’operazione.
Il punto individuato in sede di pianificazione per il raggruppamento del plotone era indicato solo con il numero della quota, per scongiurare l’improbabile possibilità che un nemico potesse riconoscerlo sul dpad di un morto.
-Quanto manca al Rendezvous di Plotone?-
Chiese Rak senza voltarsi, lui e Trulls stavano coprendo un settore di 180 gradi ciascuno, per proteggere lo scout intento nella lettura della cartina.
-Tre chilometri Nord… Da qua vedo che c’è una discreta pendenza e parecchia vegetazione, ci vorrà almeno una mezz’ora.-
Trulls grugnì un’imprecazione, finché non avessero portato il vox, il Sergente non avrebbe potuto comunicare con il comando e l’intera operazione non avrebbe potuto partire.
-Sarà meglio muoverci-
Concluse Rak, pratico come sempre.
   
 
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