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Autore: LeAmantiDiBillKaulitz    09/10/2016    1 recensioni
Prendete Chelsea e Alexandria, due migliori amiche particolarmente male assortite: una, rumorosa, casinista, molto oca e morbosamente ossessionata dal cinema, l'altra acida, nervosa, arrabbiata e decisamente pronta a picchiare tutti. Poi aggiungete Bill, antipatico, isterico, viziato ma terribilmente sexy. Mescolate con un'intervista ai Tokio Hotel per il giornalino universitario, con un Tom molto scemo, un Georg molto martire e un Gustav molto affamato. Il piatto è pronto: tra gaffes, incomprensioni, tacchi alti, litigi e romanticismo-fai-da-te, riusciranno le due ragazze a conquistare l'algido cuore del cantante?
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Threesome, Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO TRE: VENIAMO A CASA VOSTRA!
 
Chelsea’s P.O.V.
-No, sul serio, quel ragazzo è … è divino, latte stellare che cade dalla luna, perla rara abbandonata nel fondo dell’oceano, ballad segreta degli Scorpions, sangue blu che scorre nelle labbra di un vampiro, cuore distrutto in mano a uno stregone …
-E basta, Chess! Non se ne può più di questa tua manfrina.
-Senti chi parla, avevi le ovaie in palla e gli occhi a cuore!
-Cosa c’entra?!
Mi gratto la testa, azzannando con poca femminilità l’hot-dog che ho appena comprato al baracchino all’angolo, lasciando penzolare le gambe giù dalla ringhiera del fiume che scorre placidamente sotto di noi. Guardo di sottecchi Alex, seduta accanto a me, il trucco sbavato che le cola sulle guancie pallide, quell’espressione particolare che vuole indubbiamente esternare al mondo la sua rabbia cieca. La bambola di prima ha avuto un effetto piuttosto deleterio su entrambe, che diavolo.
Per tutta l’intervista non ho fatto altro che cercare di leggere qualcosa che non fosse odio dentro quegli occhi ricoperti di trucco, l’ombra di un sorriso su quelle labbra spennellate di rossetto nero, una traccia di umanità su quel viso perfettamente modellato nella ceramica, senza trovare nulla se non un fascino da non morto assolutamente incredibile. Mi ha fatto balbettare, me, dico, me che non ho mai balbettato in vita mia, che ho sempre riso in faccia a tutti, qualunque cosa succedesse, e ha fatto essere gentile quella belva di Alexandria. Insomma, per avere una forza del genere nel solo aspetto bisogna davvero essere speciali.
Non è nemmeno la prima volta che io e Alex sbaviamo dietro allo stesso ragazzo, perché per qualche motivo contorto, a dispetto dei caratteri praticamente opposti, finiamo per fare il filo alla stessa gente, che solitamente si riducono o ad avanzi di galera, oppure a tipi sulla scia di Bill. Con la sostanziale differenza che lui è stato davvero il primo a farci rimanere imbambolate come due cariatidi greche. E non era solo per l’effeminatezza assurda dei tratti, o per il trucco pesante, o l’abbigliamento da prostituta notturna del Sunset, ma per quello sguardo perforante, quello charme principesco e quella freddezza degna di una regina. È stata una visione letteralmente travolgente, qualcosa di scombinante come il Cappellaio per Alice, di sconvolgente, un momento di pura follia che ci ha fatto precipitare in un maelstrom di sensazioni talmente assurdo da far impallidire Werther nei confronti di quella bastarda di Lotte. Ha qualcosa di arcano che scaturisce a fiotti dal suo sguardo magnetico e inquietante, che ti avvolge come un’onda e ti soffoca, una bellezza androgina che ricorda una silfide scaturita dai racconti popolari che i nonni raccontano ai bambini attorno al fuoco. Ci sono state volte in cui ho trovato ragazze simili a lui, ma mai nessuna ha saputo reggere uno sguardo e un fascino simile; ci sono stati ragazzi che avevano quello sguardo perforante ma non il carisma orrido che lo pervade. Mi sembra così tanto di capire il vecchio Baudelaire, quando scriveva dell’inquietante fascino della mendicante dai capelli rossi. Bill mi trasmette le stesse tragiche sensazioni, come fosse la mia Delfina, e io la sua Ippolita, un turbinio di passione e di orrore che mi ha soffocato non appena ho realizzato la sua silente presenza in quello studio. E ritorna il vecchio Baudelaire, con le sue Delfina e Ippolita, poesia condannata dei Fiori del Male, come dovrebbe essere condannato Bill per esistere in questo mondo. Come per aver sconvolto irreparabilmente me e Alexandria.
-Comunque, che ne pensi in generale?- chiedo, addentando con gusto l’hot-dog.
-Beh, il metallaro finto mi è fin simpatico, Winnie the Pooh è praticamente un addobbo di bruttezza, il vichingo è idiota esattamente come te e il mestruato è gnocco. Non male direi, no?- risponde Alex, accendendosi mollemente una sigaretta – Tu che ne dici, Chess?
-Direi che Georg, il metallaro, è uno sano di mente che potrebbe anche andare d’accordo con una belva infernale come te. Gustav …
-Chi cazzo è Gustav? Non si chiamava Garolf, il biondo?
-No, idiota, si chiama Gustav ed è fondamentalmente uno pacioccone, di quelli talmente innocui da far paura. E Tom … Dio, Tom! È a dir poco strepitoso.
-Ma se lo conosci da un’ora!- Alex scuote la testa, mettendosi le mani sui fianchi – Chelsea, pianta di essere così dannatamente sociale e iperattiva.
La guardo storto, da sotto il berretto da baseball, pulendomi le tracce di senape con la manica della felpa
-Senti, Mercoledì Addams, lo sai benissimo che sono fatta così, e poi Tom è il fratello che non ho mai avuto. Abbiamo gli stessi identici gusti di film, e poi è gnocco pure lui. A proposito, sai che tanto prima o poi te lo ritrovi in casa.
-Quel giorno farò in modo di essere fuori con quel deficiente di Lars.
Ci guardiamo un po’, in cagnesco, cominciando ad avviarci verso casa per scrivere finalmente un articolo che regga e inserirci le fotografie
-Oh no, bella mia, quel giorno tu sarai in casa a fare biscotti e caffè a Tom! Dai, è il ragazzo più famoso della nazione, ed è mio amico, non puoi lasciarmi così.- abbaio, rifacendomi la coda di dread bianchi e rosa che Alex tanto odia.
-Può anche essere Gesù reincarnato che nessuno, nemmeno tu Chess, potrà obbligarmi a farvi da sguattera e cuoca personale, non l’hai ancora capito dopo venti fottuti anni?!- latra la mia amica, scostandosi i capelli dal viso con un gesto che tradisce un certo nervosismo imperante.
-Ci scommetto che se Bill fosse lì con noi, faresti dieci torte.- le do di gomito e sì, Chelsea Sienna Spiegelmann sei proprio una cogliona perché te le botte te le vai a cercare, visto che mi tocca partire in quarta onde evitare i pugni rotanti e gli anatemi che Alexandria tenta di scaraventarmi addosso.
Quando poi arriviamo a casa, spompate, malmenate e distrutte, e ci trasciniamo mollemente nel vecchio salotto, la mia migliore amica riesce giusto a balbettare, mentre cade a peso morto sul vecchio divano che ha decisamente visto giorni migliori, recuperato nel vecchio magazzino di zio Connie
-Cristo, Chess … cosa non farei per Bill … sarà anche un finocchio patentato e frontman della band più orribile del pianeta, ma è davvero troppo.
Io mi limito ad annuire, poggiandole la testa sulla spalla, chiudendo gli occhi, cotta dalla corsa sfiancante che ho fatto per sfuggire ai suoi artigli malamente smaltati di nero
-Dillo forte, Alex … Bill è troppo per tutti noi. Sai una cosa? “Oggi, mi considero l’uomo più fortunato sulla faccia della terra”.
Rimaniamo qualche minuto in un silenzio religioso, guardandoci negli occhi, un paio marroni e rabbiosi, un paio viola e rassegnati, un paio pieni di folle grinta e un paio pieni di amara allegria, quando finalmente Alexandria rompe il fastidioso e innaturale silenzio
-Ok, tesoro, citazione di?
-“L’idolo delle folle”, di Sam Wood, anno 1942, battuta detta da Gary Cooper nei panni di Henry Louis Lou Gehrig.
-Sei una drogata di cinema.
-E tu di acidità.
 
Quando parte a tutto volume la suoneria del mio cellulare, io e Alex siamo impegnate in una guerra senza quartiere col vecchio portatile che ha deciso di scioperare e di non permetterci di scrivere quel dannato articolo da mandare a Ziemann. Quando parte, Alexandria si rovescia addosso imprecando coloritamente la Nutella che sta divorando a grosse cucchiaiate e il gatto Panther Lily comincia a banchettare con la cioccolata caduta per terra. Quando parte, io do un’involontaria botta al portatile, che si spegne del tutto.
-E che cazzo, Chelsea, una fottuta suoneria normale no, eh?!
L’abbaio della mia coinquilina mi fa riprendere dall’improvviso shock di sentire squillare un telefono che non squilla mai.
-E’ la colonna sonora di “Psycho”, quello di Alfred Hitchcock del 1960, con Janet Leigh e Anthony Perkins, brutta ignorante mezza rapata!
Afferro il cellulare e leggo sulla schermata “Tom Bro”. Tom?
-Tom?- dico ad alta voce, soffocando un urletto emozionato.
-Tom?- mi fa eco la mia amica, affacciandosi da sopra la mia spalla.
Ci guardiamo, io con quella felicità che ho insita dentro sin dalla nascita, lei con un certa noia scazzata. Ce l’hanno sempre detto tutti che in fondo siamo uno splendido paradosso vivente, un microcosmo che funziona proprio grazie alla sua scombinata formula chimica, un numero d’avanspettacolo da guardare solo per ridere delle disgrazie altrui. Perché io sono la Gwynplaine della situazione, col viso perennemente distorto in una risata che di normale non ha nulla, che sono abituata a sghignazzare impunemente anche di fronte a cose che meriterebbero nient’altro che lacrime e riflessione, ma io sono fatta così, io rido, rido e non la smetto, rido per mettermi in posizione contro questo mondo che fa schifo e per cui non vale più la pena lottare, rido per far vedere che esiste ancora la felicità, rido perché nessuno mi butta giù, nessuno farà mai piangere Chelsea Sienna Spiegelmann. Forse la mia è sempre stata una presa di posizione esagerata, forse puerile, ma oramai mi sono schierata dalla mia, il partito della risata, del menefreghismo e della gioia infinita, il partito di quella rasta sconclusionata che ha imparato a prendere tutto ridendo, col quella sua risata grottesca, volgare, proletaria. E se io rido, Alex ringhia, perché lei è fatta per arrabbiarsi, per sbranare, per distruggere. Se io prendo il mondo come viene, adattandolo con una stupida allegria, lei lo prende come una lotta all’ultimo sangue in cui nessuno ne uscirà vivo. Se io vedo il sole, lei vede il buio. Se io vedo la vita, lei vede la morte. E in qualche modo ci compensiamo, equilibrando l’horror vacui che io temo e il rococò che lei aborrisce. Chi era Matisse nel suo periodo Fauves, chi era Kirchner e la sua follia? Li chiamerei nessuno, se li prendo insieme a noi due. Perché Matisse e i suoi distorti quadri delle “belve” avevano dato un’impressione così violenta e l’odio che scaturisce dagli occhi di Alexandria no? Perché Kirchner veniva idolatrato per i suoi quadri folli e Chelsea viene considerata solo un’ochetta stupida? Chiedo ancora, le differenza dov’è. La rabbia è unica, è umana, è arte se la dipingi e se la urli, la follia è la stessa, che tu la illustri o che tu la rida a tutti, era furibondo Matisse esattamente come lo è Alex, era matto Kirchner esattamente come lo sono io, proviamo tutti l’odio ribelle per la società e siamo fuori di melone allo stesso modo. Ma se uno dipinge donne coi cappelli e una preferisce urlare la sua rabbia al cielo, se uno illustra la neve viola e una ride come un’idiota invece che piangere, chi è il dio? L’artista nella sua perfezione o le ragazze nella loro ignoranza? E chi è il diavolo, se non abbiamo dei? Insomma, l’ha detto anche Bulgakov a suo tempo “Che cosa farebbe il mio bene, se non esistesse il male?”
Rispondo immediatamente, senza tradire una certa eccitata esitazione nel farlo, guardando al settimo cielo Alex e Panther che mi guardano con gli occhi a palla.
-Pronto?
-Ehi, Chelsea Sis! Sono Tom, ti disturbo?
-Oh, Tom Bro! Affatto, sono contenta di sentirti così presto.- poso il cellulare e metto in vivavoce, facendo sbuffare la mia amica per la mia solita inguaribile allegria. – Avete finito l’intervista alla Radio Berlino?
-Sì, non ti dico che due palle … comunque, io e i ragazzi abbiamo guadagnato la serata libera, e mi chiedevo se potessi fare un passo da voi per le cassette.
Nello stesso momento in cui io urlo “Certo!”, Alexandria abbaia “Giammai!”
-Ovviamente puoi venire quando vuoi.- mi affretto ad aggiungere, mentre tappo la bocca a quella fogna della mia coinquilina. – Amburg Strasse, 17.
-Sei un tesoro, Sis. Ah, però verrebbe pure mio fratello, non è un problema no?
Io e Alex ci scambiamo un’occhiata allarmata. Oh, cazzo. Quindi dobbiamo resistere psicologicamente e fisicamente a un pericolo super sexy e super isterico, con un fascino della Madonnina Santa, delle labbra da paura e una voce da “eargasm”. So già che non ce la faremo mai, perché la corazzata Herder cederà sotto il fuoco nemico e il pagliaccetto Spiegelmann si scioglierà come cioccolato al sole.
-Ah, ma certo, Bro, ovviamente accoglieremo volentieri anche Bill.
Alex comincia a scuotere impazzita la testa, ma io mi limito ad alzare le spalle impacciata. Lo so, nemmeno io lo vorrei in casa perché ho paura dell’effetto che mi possa fare, ma non riesco a fare a meno di pensargli ossessivamente da quando siamo uscite dallo studio. Quel personaggio è sensazionale a dire poco.
-Fantastico, allora arriviamo subito!
Quando butto giù la chiamata, Alexandria mi assale con la sua fida chitarra elettrica, sbattendomela in testa con la stessa delicatezza di Sylvester Stallone in “Rocky”, diretto da John G. Avildsen, anno 1976.
-Razza di ochetta cogliona, come ti è saltato in mente di dirgli di sì?
-Ma Alex, non potevo mica ritrattare quando mi ha detto che c’è pure Bill.- tento di difendermi, saltando agilmente sopra il suo letto matrimoniale ancora sfatto, con quel dannato piumone nero che terrorizzerebbe pure Rambo.
Alexandria mi guarda, improvvisamente vuota di tutta l’eccitazione omicida di prima, lasciando cadere la chitarra per terra e abbandonandosi mollemente sul letto, tirandomi giù con lei in un ammasso di coperte.
-Siamo finite, Chess. Kaput. È il colpo di coda dell’Apocalisse di San Giovanni di Patmos. Il nostro bafometto personale.
Io sospiro, abbracciandola anche se so che odia i contatti personali. Eppure io e lei ci conosciamo da talmente tanti anni, che oramai a volte è lei stessa ad abbracciarmi, consce del rapporto che ci lega e che nessuno spezzerà mai. Siamo pappa e ciccia, in fondo, e oramai è riuscita ad ammetterlo e ad accettare i miei slanci di affetto che trova così inopportuni per un mondo “che era nero, è nero e sempre sarà nero”.
-Allora, Alex, andiamo a fare i biscotti per il nostro frontman preferito?
Mi guarda da sotto i capelli, buttandomi di scatto giù dal letto, con un mezzo ghigno satanico sulle labbra
-Andiamo a fare i biscotti, brutta capra di una rasta! Alza il culo!
 
Ovviamente, mi pare pleonastico se non lapalissiano dire che la sottoscritta non sa assolutamente fare dei biscotti, ma che si limita a starsene seduta nel disordinato salotto a guardare la propria coinquilina impegnata a spignattare nell’angolo cottura, intenta a impastare i biscottini col cioccolato che poi vengono puntualmente divorati da me. Resto seduta alla mia batteria, suonando la base di Magic Bus dei The Who, la mia adorata batteria. Beh, in fondo c’è un qualcosa che lega me e Alexandria, e quel qualcosa è la musica. Che sia ogni genere di punk rock o ogni sottogenere svasato del metal, io e lei lo suoniamo, lo ascoltiamo, lo viviamo sulla nostra pelle come fosse il sangue che ci scorre nelle vene o l’inchiostro che ci impregna il corpo. La radio sempre sintonizzata sulle musiche dei tempi che furono, i vinili e gli LP che riempiono ogni spazio del vecchio appartamento, le contrattazioni per infilarci in un qualche sfigato studio di registrazione per orchestrarci le vecchie cover o le nostre brutte canzoni che componiamo nottetempo, quando tutti dormono e noi siamo lì, stravaccate sul divano sfondato, che scriviamo cose che nessuno mai accetterà, intenti a divorare patatine fritte su patatine fritte (o meglio, io intenta a divorare quei chili di patatine che Alex mi frigge apposta), lasciando trascorrere quelle ore in cui davvero tutti dormono senza litigare nemmeno una volta. Beh, forse non so cosa si possa fare con una chitarra elettrica suonata da una dark che vede tutto con la luna storta e che starebbe bene in un concerto dei Joy Division e una batteria sbattuta da una specie di metallara con un difetto di fabbricazione perché le piace pure la musica punk, ma in qualche maniera tiriamo avanti pure con quello. Suoniamo perché per noi la musica è vita, parliamo attraverso i nostri strumenti, urliamo o piangiamo dentro spartiti che non vedranno mai la luce, svuotiamo le anime in un catasto di parole e note insensate e dissonanti ma che in fondo una loro dissociata armonia la hanno pure loro. È la nostra voce, e che cazzo, dobbiamo pure farci sentire in questo mondo di merda, dobbiamo disintegrare una batteria a suon di bacchettate e staccare le corde a una chitarra. Accarezzo mollemente i piatti della batteria, ricordando con un sospiro la prima volta che l’avevo costretta a imbucarsi nello studio di registrazione in riparazione degli Studio per suonare la nostra prima canzonetta che avevamo composto a quindici anni “Tower Hill”, che sembrava un brutto ibrido tra “Light My Fire” dei The Doors e “Do Or Die” dei 30 Seconds To Mars, tanto per farvi capire cosa poteva essere uscito fuori. Ci avevano cacciato fuori a calci, in realtà, perché io, presa da esaltazione da palcoscenico, avevo tirato due fumogeni e li avevo lanciati accesi nel tentativo di ricreare un’atmosfera da concerto, mentre ripetevamo per l’ennesima e finalmente perfetta volta Tower Hill. Beh, avevo fatto partire tutti i sensori antincendio, e ci avevano quindi non solo beccato, ma anche multato salatamente, senza scordare tutte le botte che mi aveva dato prima Alex e poi mia sorella maggiore (sì, sono la solita sfigata: siamo nove fratelli, ma l’unica che quella stronza di  Flora Anne odia sono io). Però, botte o no, soldi o no, era stata l’esperienza più eccitante di tutta la mia vita e lo rifarei ancora mille e mille volte.
Il triste squillo del campanello ci fa sobbalzare di colpo e Alex sibila
-Fai almeno questo, scansafatiche! Apri la porta!
Mi fiondo dalla porta e la spalanco di scatto, trovandomi davanti un sorridente Tom e un po’meno sorridente Bill, uno male in arnese come la sottoscritta e uno in stile “Andiamo a battere sul Sunset”.
-Ehi, ragazzi, benvenuti!- strillo come un’aquila, saltando al collo di Tom e sì, se qui ci fosse Alexandria mi avrebbe già pestato a sangue. Bill non oso nemmeno toccarlo, primo perché temo che mi cavi un occhio, secondo perché rischierei di violentarlo e mi ci manca giusto un’accusa di violenza su un cantante.
-Ma che casa figa!- commenta Tom, entrando nel microscopico ingresso dove giacciono tutti i nostri tomi universitari e i nostri appunti.
-Stai zitto, idiota. È uno schifo di casa.- lo gela Bill, senza guardarmi nemmeno in faccia e senza nemmeno dirmi un misero ciao. Dio, quant’è figo.
-E allora evitavi di venire.- ribatte il nostro Obelix a dieta serrata, infilandosi nel salotto cucina e salutando allegramente la mia coinquilina che puntualmente si limita a grugnire un saluto scazzato. Odia i Tokio Hotel, si è capito. E già non si capisce come fa a sopportare la sottoscritta, quindi non riesco a credere che sopporti anche Tom che va di pari passo con me per demenza. In più, come se non bastasse, ci si mette anche Bill che ci ha già strappato cuore e sanità mentale e che fa l’indifferente sociopatico. Povero soldato Herder.
-Avrei evitato di venire se Jake non mi avesse piantato in asso, va bene?- protesta inviperito Bill, sedendosi con aria schifata al nostro tavolo.
Io e Alex ci lanciamo un’occhiata eloquente, abbiamo una specie di collegamento telepatico che risale ai tempi delle verifiche di biologia di cui prendevo sempre gloriosamente l’insufficienza, del tipo “Quando è isterico è ancora più sexy”, e io mi arrischio a dire
-Ehm, Jake è un tuo amico …?
-No, è il suo scopa amico.- risponde Tom - Un santo che Bill ha portato all’esasperazione e che ha finalmente capito che per quanto mio fratello possa essere bello, apparentemente dolce- qui ci lanciamo un’occhiata dubbiosa – bravo a letto eccetera, è psicologicamente insostenibile. Quindi, hip hip urrà per Jake e la sua liberazione da questo demonio!
Siccome evidentemente io e Alex non brilliamo per arguzia, facciamo davvero hip hip urrà, guadagnandoci un’occhiataccia da Bill e un applauso da Tom.
Il nostro cantante ci guarda storto da sotto le chilometriche ciglia, osservando vagamente schifato il piatto di biscotti al cioccolato che la mia amica ha appena sfornato
-Cosa sarebbero questi … cosi?
-Sono biscotti, bambolina bella, che ho fatto io e sono anche piuttosto buoni.- ringhia Alexandria, incrociando le braccia al petto, la sua solita smorfia incazzata nera sul volto, i lunghi capelli biondicci che le ricadono scompostamente sul viso.
-E tu questi li chiami biscotti?!- Bill lo agita per aria – Io li chiamo rifiuti di Chernobyl.
Solitamente, se qualcuno osa anche solo fare un commentino poco educato sui suoi piatti, la mia adorata cuoca impazzisce, avventandosi sullo sfortunato con qualunque arma impropria gli capiti a tiro, pronta a sbranare persino la sottoscritta, ma quest’oggi no. Si limita a ringhiare come un cane in gabbia, a fargli il medio, e ad andarsene di sopra sbattendo la porta della cucina. Dio, questo ragazzo ha fatto addirittura cedere le armi ad Alexandria; la situazione è più grave di quanto pensassi.
-E che cazzo, Bill, sei proprio uno stronzo di prima categoria!- abbaia Tom, non appena Alex scompare di sopra – Ma ti sembra il caso di comportarti così in casa di due ragazze?!
-Toooom, senti non ti ci mettere anche tu, capito!?- Bill lo guarda in cagnesco, lasciandosi cadere su una delle vecchie sedie, le mani sui fianchi in perfetta mossa da modella, teneramente imbronciato – Non ti rendi conto dei miei problemi!
-Dai, coraggio, se vuoi ho delle pastiglie per i dolori mestruali.- lo consolo io – Magari sei come Alexandria, diventa una bestiaccia quando le viene il ciclo. Non sentirti solo, Bill.
Forse non sono stata tanto furba a vestire i panni di Crocerossina, visto che io e Tom ci ritroviamo sbattuti in salotto insieme a cinque biscotti lanciati con estrema rabbia e qualche bestemmia poco carina nei miei confronti.
Ci guardiamo un po’ negli occhi, grattandoci la testa in contemporanea, prima di alzarci in silenzio e andare in salotto a cercare le mie pregiatissime cassette di tutti i film muti di Gloria Swanson. Ci sediamo per terra, mentre riordiniamo per data di uscita questi piccoli gioielli, commentando acutamente i punti di forza di ciascuno, trovandoci perfettamente su una linea d’onda che ero certa di non poter mai trovare con nessun altro, chiacchierando come ci conoscessimo da una vita e non come se fossimo un chitarrista famosissimo e una giornalista spiantata conosciutisi per caso a un’intervista da quattro soldi per lo sfigato giornalino di un ancora più sfigato complesso universitario.
-Tesoro, ma è tua quella chitarra?
Tom molla la cassetta di “L’età di amare”, del 1922, con Rodolfo Valentino e la vecchia Gloria, precipitandosi ad afferrare la vecchia chitarra elettrica rossa di Alex, guardandola con aria rapita
-No, è di Alexandria, sai lei …
-Suona la chitarra e non ha voglia che un idiota come te osi anche solo sfiorarla con lo sguardo.- completa la mia simpatica e sempre disponibile coinquilina, apparendo come uno spettro della casa degli Asher sulla porta del salotto.
-Ehi, tranquilla bambola, stavo notando che … - sorride Tom, scostandosi le treccine dal viso aperto in una sempiterna risata.
-Intanto, bambola lo dirai a quella sconsiderata di Chelsea, e poi chi diavolo ti ha dato il permesso di toccarla?- Alex si avvicina a grandi passi, la canottiera degli Iron Maiden che non aiuta, come nemmeno il tatuaggio di un lupo con le fauci spalancate sulla spalla.
-E dai, Alex.- intervengo, mettendomi in mezzo ai due prima che mi sbrani il migliore amico – Non fare la stronza, Tom non ha fatto …
Nemmeno il tempo di finire la frase, che il nostro Obelix a dieta esclama (e sì, lo ammetto: è davvero stupido come la sottoscritta)
-Aspetta, guarda qui!- e comincia a schitarrare (oh, finalmente uno che sa suonare!) qualcosa, strillando – The pain of love will last forever
Puntualmente, Alexandria gli si slancia addosso ululando
-Giù le tue luride mani pop da una chitarra punk, coglione formato gigante che ti impiccherò con le tue stupide treccine da capra bollita!
Sospiro rumorosamente, vedendo il mio povero Tom rotolare per terra con addosso un’idrofoba Alex e la chitarra che rotola ai piedi della batteria. Beh, quand’è così so per esperienza personale che è meglio lasciarla sfogare, senza interrompere la sua ira da Pelide Achille. E che sarebbe pure meglio tagliare la corda, prima che la sua rabbia cieca si riversi anche sull’innocente rasta qui presente.
Scappo dietro all’angolo cottura, catapultandomi praticamente tra le braccia di Bill, rimasto sempre seduto al tavolo a mangiucchiare svogliatamente i biscotti di Cernobyl. Mi degna di un mezzo sguardo da sotto le ciglia ricoperte di mascara, continuando a sbocconcellare il biscottino, con aria vagamente afflitta, forse stanca, forse solo annoiata. Oh, mia Delfina, che ti affligge? Non dovrebbe essere la tormentata Ippolita a piangere trasparenti lacrime sul tuo prosperoso petto? Non dovrebbe forse lei incarnare la solitudine dello sbaglio, il margine di errore che non è più concesso a nessuno, la morte di un pantheon, l’ascesa di Lucifero? Perché anche tu cedi le armi di fronte al mondo, tu, che dovevi sostenerla, che dovevi traviarla nel coraggio di un’azione di cui sempre vi sareste pentite? Coraggio, Delfina, recupera le lacrime, non mostrarti debole di fronte alla bellissima Ippolita, illuminaci la triste Parigi del tuo perverso sorriso!
Mi siedo mollemente al suo fianco, mangiando a mia volta un biscotto un po’ troppo croccante, lanciando ogni tanto qualche occhiata ai due che si pestano di santa ragione sul tappeto.
-Ti piacciono i biscotti?- mi arrischio a chiedere a quella principessa, stanca di questo silenzio che non posso soffrire.
-Così e così.- borbotta Bill, scostandosi i lunghi capelli corvini raccolti in microscopici dread da quel viso da bambola.
-Scusa per prima. Intendo, la battuta del ciclo. Forse era davvero un po’ squallida.- mi do una grattata alla pancia, arrossendo lievemente.
-Scuse accettate.- mormora, guardandomi male – Per ora.
-Ho sentito per radio il vostro nuovo singolo. Non è malaccio.- continuo, cercando di ravvivare un po’ questa conversazione da ospizio.
-Si chiama “Automatic”. Ed è perfetta, soprattutto la mia voce. Non puoi dire che “non è malaccio”.- si pavoneggia il nostro bambolotto, evidentemente punto nell’orgoglio – Posso capire però che una … una plebea come te e come la tua amichetta non possono capire cosa distingue una voce bellissima come la mia da un urlo rauco e stonato di qualche band punk di poco conto. Dovreste imparare da chi sa veramente cantare, tesoro.
-Beh, Alex sa fare la voce death. È divertente!
-Dio, che squallore.- Bill alza gli occhi al cielo, sventolandosi. - Comunque, che diavolo sta facendo quel rintronato di mio fratello?
-Si sta pestando con la mia amica perché le ha toccato la chitarra.- spiego, guardando come procede la rissa da Bronx e notando con un certo sollievo che si è fermata e che i due si stanno tirando in piedi, bestemmiando e insultandosi ma in tutto ciò si stanno pure stringendo la mano. – No, hanno finito, e hanno preservato la batteria! Geniale!
-Chess, vieni subito qui e portami lontano questo pachiderma.- sbotta la cara coinquilina, scostandosi i capelli dalla parte rasata, guardando Tom da sotto le lunghe ciglia truccate.
-Chess, vieni subito qui e portami lontano questa iena.- mugola contemporaneamente il caro chitarrista, grattandosi le treccine e squadrando Alex da sotto le lunghe ciglia non truccate.
-Agli ordini, Capitano mio Capitano!- esclamo io, esattamente come in  “L’Attimo Fuggente”, di Peter Weir, anno 1989, con Robin Williams e Ethan Hawke, alzandomi e dirigendomi verso i due litiganti, senza però accorgermi, come tutte le sante volte, della simpatica spina del microonde che attenta alla mia vita da quando mi sono trasferita in questo appartamento. Il motivo tecnico del perché solamente la sottoscritta non veda la spina dovrebbe essere oggetto di studi psichiatrici, visto che puntualmente, anche oggi, mi ci inciampo dentro, rovinando miseramente al suolo come un sacco di patate bollite. Con l’unica, sostanziale, differenza dalle altre volte che cado perfettamente addosso alla sedia dov’è seduto il cantante, travolgendolo e trascinandolo con me nella caduta. Rotoliamo per terra, uno sopra all’altra, il suo strillo isterico che mi rimbomba nelle orecchie, i suoi capelli corvini che mi accarezzano il viso, i suoi splendidi occhi incatenati ai miei in un legame talmente forte da farci sballare, le mie mani ancorate ai suoi fianchi e le sue mani sulle mie spalle. Sento il suo profumo, che sa di rosa e di profumo da donna, di rossetto e di menta , sento il suo fiato che sa di sangue e di biscotti al cioccolato, sento il suo essere a contatto col mio, gelido come la morte e io bollente come il fuoco. È il fuoco che scioglie il ghiaccio, o è il ghiaccio che gela il fuoco? Ma, soprattutto, sento quel suo dannato tacco a stiletto dello stivale fucsia con i brillantini piantato nel polpaccio. Cazzo, che male fottuto.
   
 
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