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Autore: EvrenAll    11/10/2016    1 recensioni
Risi.
Risi forte quando seppi che Lui aveva chiesto di me.
Soddisfatta, ma non incredula: non avrebbe potuto non precipitare anche Lui e non desiderarmi.
Lui...
Sarebbe stato capace di riempire la mia vita di Rosso?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Notte
(If - Pink Floyd)











24 dicembre 1986

23.17


 

Fissai il letto pieghevole aperto in camera di Annah con astio.

Separati: ovviamente i miei volevano che io e il mio ragazzo dormissimo in letti separati, in stanze diverse e l’unico posto in cui potevo passare la notte per soddisfare queste condizioni era lì, in camera con lei.

Maledizione.

Solo perchè non avevamo una camera per gli ospiti.

-Ti levi dalla porta?-

Mi scostai, lasciando che la mia sorellastra passasse.

La guardai arrivare davanti allo specchio e rimirare di sfuggita la sua immagine: capelli castani e dritti, occhi scuri, poche tette e troppo bassa.

Patetica.

Si sedette a letto sbuffando e piantò gli occhi alle mie mani, strette convulsamente sul cuscino che tenevo tra le braccia.

-Avrei dovuto fare la psichiatra- commentò sottovoce, togliendosi le scarpe in modo svogliato.

Certo Annah, fai come se non avessi le orecchie.

Dopotutto amo l’odio che c’è tra noi, perchè non alimentarlo ulteriormente?

-Tranquilla, sei talmente fragile che saresti ammattita prima di laurearti-

Prendi il coltello dal manico e pugnalala tu, prima che lo faccia lei.

Riferimenti al fatto che anche lei aveva avuto dei piccoli problemi quando i suoi avevano divorziato?

Io? Suvvia!

Sono una brava bambina.

Trattenne una smorfia e si alzò.

-Aiutami con la zip, dai-

Mi avvicinai e dopo aver abbandonato il cuscino le scostai i capelli dalla schiena: pur essendo corti avrei rischiato di intrappolarli nel cursore. Non ero così cattiva.

Iniziai a far scorrere la zip, portandola dal collo fino alla vita.

-Fatto-

-Grazie Lizzie-

-Elizabeth, hai preso tu il mio asciugamano?-

Ci voltammo entrambe al sentire Axl.

Stava davanti alla porta, girato in modo da non guardare nella stanza.

-È nella valigia nella mia camera Will-

Mi sbirciò, incuriosito dal tono sostenuto della mia voce.

-Sotto la tua roba?-

Annuii -Quello bianco-

Aveva la camicia slacciata a metà.

-Il tuo ragazzo cerca di fare il guardone a quanto pare-

Commentò mia sorella, accennando alla sua schiena scoperta.

Uh, invidia, vero Annah?

-In realtà ne ho viste abbastanza di donne nude, non mi serve allungare la vista-

-Sarà meglio-

Mi lasciai sfuggire mentre lui intercettava lo sguardo di Annah.

-E tu invece?-

Sfoderò una delle sue migliori espressioni da palcoscenico, sfiorando casualmente con la mano il petto nudo. Sapeva benissimo come fare a provocare qualsiasi essere vivente che posasse lo sguardo su di lui, specialmente se donna.

-Io? Sono affari miei-

Spostò il suo cuscino cercando la camicia da notte, scocciata.

Sorrisi ad Axl e lui mi fece l’occhiolino tornando nella stanza accanto.

Perchè, perchè?

-In effetti...  il tuo ragazzo dov’è Annah?-

-Almeno non mi faccio un drogato come quello-

Tolse con noncuranza il vestito mentre mi giravo e la guardavo con sufficienza.

-La mia compagna di stanza è andata a qualche loro concerto- alzò le spalle.

-Axl non ha problemi di droga- sbottai sottovoce.

Alzò lo sguardo fino ai miei occhi storcendo la bocca in un’espressione divertita.

-Va bene, va bene, piccola Elizabeth, come vuoi tu-

Strinsi i denti ed iniziai a svestirmi.

Prima degli stretti pantaloni neri, poi dei gambaletti che avevo usato al posto delle calze per far si che il mio paio di tacchi s’infilasse ai miei piedi senza problemi.

Sospirai, facendo finta di essere sola, e tolsi anche il maglione rosso bordeaux e la maglietta sotto di esso.

-Hai continuato ad usare la crema che ti hanno dato al reparto?-

Ecco, mi stava guardando.

Anzi, non guardava me: stava guardando la cicatrice, la mia orrenda cicatrice.

Afferrai la maglia del pigiama e la indossai in fretta.

-Elizabeth?-

Era frustrante.

-Sorellina?-

Il suo tono sarcastico mi fece alzare lo sguardo.

-La crema favorire la cicatrizzazione, hai continuato ad usarla?-

-Che te ne può fregare, mi chiedo…-

Misi addosso i pantaloni di una vecchia tuta e li allacciai per evitare che mi cadessero.

-Curiosità professionale-

Mi morsi il labbro, cedendo al nervosismo.

-Cara dottoressa-

Puntai gli occhi nei suoi, cercando di toglierle dalla testa la sua stupida voglia di fare la attaccabrighe.

-Sì, l’ho usata, e come nove volte su dieci succede con le vostre indicazioni mediche, non ha avuto un cazzo di effetto-

A guardare il suo viso, così insulso, mi veniva voglia di lasciare la stanza.

Il suo modo di fare ed i continui accenni ai miei problemi invece mi tentavano a prendere napalm ed accendino. Sì, anche se il fuoco mi faceva paura.

-Buonanotte-

Conclusi e le diedi le spalle, nascondendomi sotto le coperte.












 


Rimasi immobile per un attimo, senza sapere niente.

Dov’ero?

Dov’erano?

Il fumo? Il caldo?

 


...Mamma?

 

Strinsi le labbra in una smorfia ed incollai le palpebre tra loro, cercando di appigliarmi al buio che vedevo e all’inconsapevolezza che mi stava scivolando di dosso, scoprendomi, come un’onda ritrattasi dalla riva.

Dovevo davvero aprire gli occhi?



 

Lo feci, con ancora addosso il terrore di vedere il suo corpo straziato incastrato tra lamiera ad airbag.

Il nero venne sostituito da un’oscurità quasi totale: nonostante Annah avesse chiuso tutto prima di mettersi a letto, sulle pareti ed addosso al mobilio era riflessa una strana luce rossiccia.

Proveniva dalle cifre luminose della sveglia sul comodino.

Strizzai gli occhi cercando di metterle a fuoco.

2.19

 

Un brivido mi percorse dalla testa ai piedi mentre il mio cuore continuava a battere all’impazzata, memore di ciò che avevo appena rivisto nell’ennesimo incubo.

Essere svegli non bastava mai a dimenticare.

Essere svegli era solo peggio perchè oltre alle sensazioni rivissute nel sogno sopraggiungeva tutto il resto: la realtà delle cose, il modo in cui fatti si erano evoluti dopo l’incidente, il dolore fisico e quello dentro di me, ancora presente, ancora latente.

Animale che mi illudevo di riuscire a tenere al guinzaglio e che mi si rivoltava contro, ferendomi a sangue e rubando dei pezzetti di me.

Non tutto subito, ma un frammento alla volta…

Mi ero ritrovata vuota senza neanche essermene accorta.

 

Mi misi seduta, cercando di trattenere il tremito delle mani.

Le strinsi a pugno e mi alzai, sperando che le gambe mi avrebbero sostenuto.

 

Camera di Annah, il letto di fortuna...

Giusto, non ero a casa mia: questa era la casa vecchia e mi ci ero persa, di nuovo.

Il solo varcare la porta d’ingresso e venire a contatto con le persone che avevano fatto parte di quella fetta di passato che non volevo riportare alla mente aveva fatto aizzare quell’animale nascosto nel profondo di me ed ora non sapevo come farlo assopire di nuovo.

 


Ma un po’ di Casa c’era con me.

Un po’ della Mia Casa.

 

Axl.

 

Camminai a tentoni, cercando di arrivare al corridoio senza svegliare la rompicoglioni.

Avevano lasciato il balcone aperto lì: oltrepassata la soglia della camera di Annah, mi immersi nella sottile luce bianca del lampione che filtrava attraverso la tenda.

Era abbastanza per vederci, ma tutto sembrava tremendamente sfocato.

Quante dannate volte avevo camminato percorrendo proprio quegli stessi passi?

Arrancando, trascinandomi da una stanza all’altra, nascondendomi dagli altri, saltando scuola, coprendo le foto, cercando di sparire dalla vita di tutti, come avevo fatto sparire Lei.

Alla fine ce l’avevo fatta: ero sparita andandomene.

Tenni una mano sulla parete, cercando di non cadere, e raggiunsi la porta della mia camera.

Tentennai.

Papà si sarebbe arrabbiato.

Natalie si sarebbe arrabbiata.

...ma lì c’era la Mia Casa.

Abbassai la maniglia e spinsi, mi infilai nel sottile pertugio che avevo aperto e richiusi il battente dietro di me.

-Axl?-

Sussurrai.





 

I pochi attimi di silenzio mi riempirono di panico.

 




Che anno era?

83? 85? 86?

 



E se fosse stato tutto un sogno? Un sogno lungo mesi?

 



-Axl, sei qui…?-

 



Parlai per non soffocare nella paura ed avanzai lentamente fino a raggiungere il letto.

Accesi la lampada sul comò lì affianco, accostandomi alla luce come se la sua presenza potesse cancellare il buio che avevo sentito dentro.

-Mh…-

Rosso.

Era lì. Esisteva.

Allora a Los Angeles c’ero arrivata davvero.

Spostò il braccio in modo che gli coprisse gli occhi, infastidito.

Passai una mano sul mio viso, accorgendomi solo allora che era umido.

Non ricordavo lacrime.

Spostai la coperta, mi infilai al suo fianco e spensi la luce, in modo che la notte ci avvolgesse di nuovo. Non era di quella che avevo paura: lì c’erano la luna e le stelle, ma dentro… dentro di me ondeggiava, disordinato, un mare di inchiostro nero come pece, assoluto, senza luce. Ed ora, gonfio e in tempesta, rischiava di farmi annegare.

Mi rannicchiai addosso a lui, cercando di farmi piccola, piccola.

Volevo cancellarmi.

 




Presi un respiro più profondo.

Le notti erano eternamente difficili per entrambi.

Mi girai e guardandola feci scorrere una mano sul suo corpo. Era talmente familiare ormai: i fianchi, le spalle, il viso... bagnato?

Raggiunsi i suoi occhi, chiusi ermeticamente nei confronti del mondo.

-Ero appena riuscito ad addormentarmi…-

Sussurrai, spostandole i capelli dal viso.

-Scusami-

Era bella anche quando piangeva.

-Sh… sai che sono solo sogni, siamo degli esperti, ad affrontarli...-

La strinsi a me con complicità.

Le parole non servivano a niente quando gli incubi ti facevano gelare il sangue nelle vene, il più delle volte bastava sapere che non eravamo lasciati da soli ad affrontarli.

Si lasciò scappare solo un sottile singhiozzo.

-Stare qui… Non riesco a dimenticarlo…-

Io non volevo tornare a Lafayette mentre lei aveva avuto il fegato di mettere piede nella sua vecchia casa, ed ora ne pagava il pegno. È pericoloso tornare in luoghi così impregnati ricordi.

Sapevo che lì, proprio sul letto su cui eravamo distesi in quel momento, aveva provato a dormire, notte dopo notte, per troppo tempo, continuamente sfidata e derisa dai suoi mostri.

Ossessionata dai sensi di colpa.

Lì, nello stesso letto in cui probabilmente sua madre era venuta mille volte a darle il bacio della buonanotte.

-L’ho uccisa-

-Non sei un’assassina-

Io non avevo mai avuto nulla del genere.

Provavo invidia, a volte, poi ripensavo a come quell’amore le fosse stato strappato via.

Era meglio conoscerlo ed esserne privati o non conoscerlo affatto..?

Appoggiai la fronte alla sua e le baciai la punta del naso.

-Non volevo farlo…-

-Biancaneve, proviamo a dormire-

Le accarezzai il viso.

-Siamo più forti dei nostri incubi…- bisbigliai piano.

-...e non siamo soli- aggiunsi.

Nascose il viso sul mio petto stringendo le mani sulla mia pelle fin quasi a farmi male.

Continuai ad accarezzarla finchè fui certo che stesse dormendo.

Mi fermai nel sentire il suo respiro diventare più profondo e la presa delle sue dita allentarsi.

Diamine se era bella.

Indugiai per un attimo di troppo sulla sua schiena, fino ad arrivare alle curve dei suoi glutei.

Mi schiaffai una mano sul viso prima di lasciarmi trasportare dall’istinto e trasformare la dolcezza in frenesia: come potevo anche in quel momento pensare a farla mia?

Voltai il viso verso l’alto, rimanendo a pancia in su a guardare il soffitto e pensare.

Fare l’amore per noi due era confortare corpi ed anime, per quello la volevo.

Anch’io non stavo bene.

E lei era rifugio sicuro.

Lei: bollente fuoco vivo per me e neve indifferente verso il resto del mondo.

-Elizabeth?-

Mi morsi il labbro affondando le mani su di lei per stringerla ed infilai il naso tra i suoi capelli, cercando di soffocare i miei pensieri nel suo profumo prima che prendessero forma nella mia mente.

-Mmh-

Mugolò e mi si addossò di più, in un’abitudine costruita durante le numerose notti in cui avevamo dormito assieme.



 

Troppo tardi.



 

-Non riesco a chiudere gli occhi-

 



Serrai la bocca mentre questi si aprivano a fissare il vuoto.

Improvvisamente mi trovavo paralizzato, come se l’agitazione di Elizabeth mi si fosse gettata addosso, nutrita dalla mia insonnia, dai pensieri sul Natale, sulla famiglia.

Mia madre.

Dov’era lei?

Mio padre?

...Io ce l’avevo un padre, vero?

William Rose, non Stephen Bailey.

Rabbrividii mettendomi a sedere.

Era la notte di Natale, ed io non avevo una famiglia.

Il pranzo insieme, pesante; i regali la mattina, che fosse Natale o compleanno, rimanevano una bella favoletta per bambini, anche se Amy e Stuart erano stati sempre trattati un pochino meglio del sottoscritto.

 

Dovevo chiamare a casa.

 

Per quanto detestassi quel posto volevo comunque bene a quelle due pesti e a mia madre.

 

Chissà perchè non aveva mai fatto nulla.

 

Un movimento alle mie spalle mi disse che Elizabeth non stava più dormendo.

 

Forse avrei dovuto denunciare anch’io qualcosa, testimoniare contro Stephen.

 

-William…-

Chiusi gli occhi mentre sentivo il mio petto squarciarsi al suono del mio stesso nome.

 

Impedire che le mie ragazze fossero trattate così.

 

-Tesoro, vieni qui…-

Mi prese un braccio, cercando di farmi stendere, ma ero un blocchetto di ghiaccio, congelato dal casino nella mia testa.

Si alzò piano, fino a baciarmi il viso.

Avevo desiderato per tutta la vita che mia madre mi parlasse in quel modo.

Elizabeth non era lei, ma mi dava pace, mi permetteva di illudermi, credendo di essere capace di provare affetto, protezione, amore che andavano oltre a quelli tra noi, semplici amanti.

Provarli ed essere ricambiato.

-William, non piangere-

Abbandonai la testa sulla sua spalla nascondendomi.

-È la mia canzone quella-

Borbottai sottovoce, fingendo un po’ di risentimento.

-Stanotte provo a cantartela io-

Alzai gli occhi, incrociando i suoi, stanchi.

-Che casino quando non si capisce chi di noi abbia più bisogno di essere consolato- affermai sconsolato, vedendo in quegli specchi azzurri ancora le tracce del pianto appena concluso.

Si limitò ad avvicinare il viso e baciarmi la fronte.

Sfiorai con le labbra la sua pelle chiara, passando dalla guancia al mento, dal mento al collo.

Lì mi fermai un attimo in più, concedendomi il tempo per riuscire a sentire il suo battito vitale.

-Posso piangere un po’, lo stesso?- sussurrai, decidendomi a lasciarmi sopraffare ed affidarmi completamente alla sua cura. Avrei lasciato scorrere via la dannata malinconia che mi aveva preso senza cancellarla o tenerla in sospeso.

Percepii la sua bocca piegarsi in un flebile sorriso.

-Solo se poi stai meglio-

Le afferrai una mano portandola sulla mia guancia e ci appoggiai la testa chiudendo gli occhi.

La mossi piano su e giù come animale in cerca di coccole.

-Miao-

Scherzò, facendo passare l’altra sui miei capelli con dolcezza.

-Miao- conclusi a bassa voce.

Mi accoccolai vicino al suo petto tenendo la sua mano ancora stretta nella mia.

Avevamo abbattuto i muri ed ora il suo fuoco arrivava con tutta l’intensità che era capace di dare senza che io lo ostacolassi. Però non mi feriva: mi scaldava con lieve tepore risanandomi l’anima.

Ci avevo scherzato, la prima volta che l’avevo vista.

Le avevo detto che si sarebbe bruciata, invece ci eravamo sciolti entrambi.










 
  
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