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Autore: potterhead forever    12/10/2016    0 recensioni
La sicurezza è stravolta dalla paura. La logica dallo stupore. La ragione dall'impossibile.
Sherlock Holmes questa volta dovrà affidarsi esclusivamente ai suoi sentimenti, alla percezione e ai sensi. Dovrà lasciarsi andare in un campo a lui totalmente nuovo, all'interno del panorama di Baskerville e dell'incubo del mastino.
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Lestrade, Sherlock Holmes
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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1. INCUBO NELL'INCUBO


"Io non ho…amici" aveva nettamente sibilato Sherlock in tono piuttosto velenoso.
"No." concordò John, prima di alzarsi dalla poltrona sulla quale era seduto ed incamminarsi fuori dalla sala mediamente affollata.

Sapevo che quella frase piuttosto carica di veleno, come se a pronunciare quelle parole fosse stato un Kanima, era dettata dalla rabbia che Sherlock provava in quel momento, ma ad ogni modo mi fece male sentirla, come un sentimento che non puoi fermare. Per esempio l'amore, quello é un sentimento che ti assale e ti pugnala, qualcosa che non puoi placare e che a volte persino ti da fastidio, che crea ideali dentro di te i quali normalmente non comdivideresti nemmeno. Così anche per il sentimento che mi assalì quando Sherlock mi disse di non avere amici.

Indeciso sul da farsi, ma rendendosi poi conto di essere abbastanza stanco, Watson s'incamminò al piano superiore, diretto alla stanza che gli era stata data, di fronte a quella di Sherlock. Osservò il numero in metallo inchiodato sulla porta di legno, poi girò la chiave nella serratura ed entrò.
Solo. Si sentiva solo, come non lo era mai stato. Questa sensazione lo assaliva ripetutamente da un po', come se lo stesse divorando, eppure non capiva perché. Aveva di fianco a sé il suo migliore amico, una persona più che speciale, aveva Mr. Hudson, una fantastica donna che amava quasi come una madre, e lo stesso era consapevole del fatto che gli mancasse qualcosa. Ma nemmeno lui seppe rispondersi quando il suo inconscio gli chiese cosa non avesse. 
Si addormentò con questi pensieri per nulla sereni, stringendo a sé il piumone pesante nel freddo quasi invernale, ancora preoccupato per Sherlock.

Improvvisamente, nel cuore più oscuro della notte, si svegliò: aveva sentito un grido, e seppe anche riconoscerlo in pochi istanti. Subito si precipitò fuori da camera sua, guardandosi attorno nel corridoio illuminato solo dalla luce lunare: nessuno, fatta eccezione per lui stesso, si era destato a quegli urli. Di notte quelle pareti sembravano emanare paura, la sentiva addosso a sé. Ancora insonnolito, ma destato al contempo da quella tremenda sensazione, sbatté con fervore i pugni contro la porta della camera di fronte alla sua, urlando:
"Sherlock! Sherlock, apri! Sherlock!"
Sentì per qualche altro secondo quelle grida disumane, poi il silenzio. 
Il suo cuore perse un battito, poi osservò la maniglia della porta, e ne smarrì un altro: era socchiusa, la porta era socchiusa eppure non si apriva. Spinse con le sue forze, percependo che in effetti qualcosa la bloccava dal basso, ma quando finalmente riuscì a fare ingresso nella stanza gli venne a mancare il fiato: davanti a lui, sopra una moquette che un tempo era stata grigia, ma che ora era scarlatta, giaceva il corpo apparentemente sbranato del suo collega. Il corpo di Sherlock Holmes.
Non voleva crederci, non capiva come potesse essere vero, come potesse essere accaduto, poi alzò lo sguardo sul letto matrimoniale, ed intravide nel buio due occhi rossi fiammeggianti che lo fissavano maligni, un corpo coperto di pelo nero e rosso, intriso di sangue, che gli stava balzando addosso preparandosi a togliergli la vita.

Quasi senza respiro si alzò, grondando sudore dalla fronte, bagnando perfino il cuscino: era stato un incubo, nulla di più. Un incubo. 
Poi voltò appena il capo, incredulo: quel grido lo sentiva ancora, e stavolta si diede un pizzicotto prima di alzarsi dal letto, tremante di paura.
Ripercorse gli stessi passi che aveva compiuto qualche attimo prima nell'incubo, trovando ancora una volta il corridoio deserto ed illuminato solo dal pallore lunare.
"Sherlock?" urlò, stavolta cercando di contenersi, scoprendo però che la porta era aperta. Un tumulto lo percosse, frutto anche delle urla crescenti.
Si catapultò nella stanza dopo qualche secondo di esitazione, trovando il suo collega steso sul materasso, evidentemente preda di terribili incubi.
"Sherlock…Sherlock" sussurrò, bloccandogli le spalle e cercando di fermarlo.
"John…" sussurrò ansante, destatosi dal suo inferno.
"Sherlock…oddio, é…é tutto a posto, é tutto a posto, era solo…" 
Si bloccò, incapace di proseguire. Holmes stava piangendo, i suoi occhi possedevano una sfumatura rossa sufficiente a far capire che quelle non erano le prime lacrime che versava; certamente aveva pianto anche mentre dormiva.
"Tutto bene?" chiese, sedendosi sul letto di Sherlock e posandogli con lentezza una mano sulla spalla, ora che anche l'altro era seduto.
"Era…era reale…" mormorò in tono spezzato, qualcosa che impaurì John a tal punto da chiedersi se non stesse ancora sognando: Sherlock Holmes non solo aveva paura, era letteralmente terrorizzato, da un sogno per di più.
"No, era un sogno...un incubo, per meglio dire...non.."
"No John, era reale, é reale, lo é sempre stato!" urlò, fuori di sé.
"Okey Sherlock, capisco che tu sia scioccato…ma non era niente di più di un sogno, forse un incubo, ma…"
"No…John, devi credermi…per favore…" confessò, lacrimando copiosamente.
"Va bene, va bene…ti credo. Ma cosa vuoi che faccia?"
"Resta qui John."

Quella risposta, seppur misera e piena di paura, pose la mia mente in uno stato di trance. Sherlock mi aveva chiesto di rimanere lì e, forse per la differenza d'età, essendo io il maggiore e quindi quello che in teoria doveva proteggere, sentii questo dovere verso di lui. Sapevo che non era completamente in sé in quel momento, lo Sherlock che conoscevo non si sarebbe mai lasciato andare alle emozioni in quella maniera, ma non era questo il problema. In quel momento davanti a me c'era una persona bisognosa di protezione, e gliel'avrei data.

Sebbene inizialmente esitante, John impiegò poco tempo per intendere completamente la richiesta di Sherlock, poi aggirò il letto e si sedette dall'altra parte, i piedi ancora a terra.
"Sicuro? Non é che lo stai dicendo solo perché hai paura, non é che domani poi te la prendi con me perché sono rimasto e perché abbiamo dormito insieme, vero?"
"John…ho bisogno di aiuto…e so che tu sei l'unico che me lo può dare. Non ho mai avuto amici, eccetto uno." confessò, lo sguardo ancora rivolto verso il basso lasciando che le lacrime che gocciolavano sul materasso e sul lenzuolo.
"Coricati. Hai bisogno di dormire." mormorò, premendogli dolcemente una mano sulla spalla, spingedolo indietro sul materasso e coricandosi di fianco a lui.
Inaspettatamente però accadde una cosa, qualcosa che Watson non avrebbe previsto nemmeno se fosse stato un cartomante: Sherlock voltò il suo corpo verso di lui e lo abbracciò, mormorando ancora una volta il suo nome prima di addormentarsi, apparentemente più sereno.

Non potevo credere che stesse capitando davvero. Certo, non era niente di sconvolgente o incredibile, trattandosi solo di un amico imbevuto della più pura forma di paura che io abbia mai visto e bisognoso di consolazione, ma non se quel qualcuno era Sherlock. Oramai avevo capito che non era più in lui, che aveva perso la ragione, la quale solitamente lo accompagnava in ogni istante della sua vita, ma lo stesso pensavo che mi avrebbe dato la colpa quando, la mattina dopo, si sarebbe trovato abbracciato a me.

I raggi solari, a quell'ora non troppo carichi di luce, investirono il corpo di Holmes, coperto solo parzialmente dal lenzuolo, destandolo dai suoi sogni. Aprì lentamente gli occhi, cercando di focalizzare ed analizzare la stanza come faceva solitamente per capire se qualcuno nella notte avesse fatto irruzione, ma la risposta di presentò di fianco a lui ancor prima che potesse iniziare la sua analisi: John stava dormendo tranquillamente, stringendo una piccola porzione di lenzuolo tra le mani.
Ricordò immediatamente perché Watson fosse lì, era stato lui stesso a chiederglielo la sera prima quando, colto dal panico, aveva avuto bisogno di lui. Dell'unico amico che avesse mai avuto. 
Lasciando perdere quei pensieri si concentrò su una sensazione alquanto sgradevole che si era accorto di provare solo in quel momento: qualcosa di caldo, piuttosto viscido e bagnato si estendeva per tutta la lunghezza della sua gamba sinistra. Portò la mano a toccare quella sostanza, ritirandola pochi attimi dopo, inorridito: quello era sangue.
 
  
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