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Autore: nikita82roma    17/10/2016    3 recensioni
Kate sta per tornare al distretto riprendendo ufficialmente il suo ruolo di capitano e separarsi da sua figlia e da suo marito sarà più difficile di quanto pensasse. Non appena rientra al distretto le si presenta subito un caso scottante che tratterà in prima persona: il figlio di un famoso narcotrafficante di origine venezuelana è il colpevole di alcuni efferati delitti di giovani donne. Si troverà davanti a decisioni difficili e a dover combattere una battaglia alla quale è impreparata che la metterà davanti a nuove e vecchie paura, a dover scegliere ancora una volta quale direzione dovrà prendere la sua vita...
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
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- Beckett… Kate… - La voce di Esposito si faceva sempre più dolce. Provò a poggiarle una mano sulla spalla ma lei con un gesto del braccio gli fece capire che non voleva. Javier fece un cenno con la testa a Ryan e si allontanarono di qualche passo per chiamare al distretto. Non sapendo nemmeno cosa dire. Era Beckett il suo capitano, quella che avrebbe dovuto prendere le decisioni, quella che era a pochi passi da loro, immobile, a guardare dentro quell’auto, incapace di muovere un muscolo. Si allontanò ancora di qualche passo, più per suo scrupolo personale che pensando che lei potesse realmente sentire o capire qualcosa di quello che stava facendo. Prese una decisione che probabilmente gli avrebbe causato non pochi problemi, ma era quello che riteneva giusto fare.

- Capitano Gates, sono Javier Esposito. C’è un problema. Riguarda Beckett…


Castle che non rispondeva al telefono. Lei che lo aspettava. Lui che non veniva. Una macchina vuota. Nessuna traccia.

Un vortice l’aveva investita ma invece che farla vacillare sembrava averla cementata lì, senza riuscire a farla muovere. Non riusciva a capire nemmeno cosa stesse provando. Non sapeva nemmeno se provava realmente qualcosa. Si sentiva trasportata in un’altra dimensione, le pareva di osservarsi dal di fuori e di non capire. Avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto piangere. Stava ferma. Quando riprese possesso del suo corpo e non sapeva se erano passati pochi istanti o ore, si inginocchiò davanti allo sportello del sedile posteriore, davanti al quale era rimasta immobile. Sentì il profumo di Lily ancora presente tra le pieghe del seggiolino che non amava per niente, non sapeva se era per quelle cinghie che la tenevano ferma o se perché dietro da sola si sentisse trascurata, lei sempre abituata ad essere al centro della loro attenzione. Allungò la mano per afferrare quello che c’era di lei ma la sua ragione ebbe la meglio e si fermò. Sapeva di non dover toccare nulla. Fece un respiro profondo e si rialzò.

- Chiamate la scientifica. Fate smontare l’auto pezzo dopo pezzo. Trovate qualcosa. - Disse ai due detective con un filo di voce allontanandosi. Davanti alla sua auto si appoggiò sul tetto con le braccia incrociate e lasciò che le emozioni, per qualche istante, la attraversassero come vere scosse elettriche, ma lei si sentiva anestetizzata, come se la sua mente non riuscisse a processare quello che aveva appena visto, come se una parte di se si fosse estraniata e recepisse quella, come una delle tante situazioni che aveva già vissuto negli anni della sua carriera in polizia. C’era dentro di lei un dolore sordo, ingabbiato insieme alla sua paura, in una bolla che non lo metteva in contatto con niente del resto del suo corpo, che non riusciva ad uscire e a manifestarsi. Si sentiva congelata dall’interno, come se le sue emozioni fossero state messe in stand-bye, come una bomba con un timer da innescare.


- Kate… - La voce compassionevole di Kevin la fece rialzare. Si passò una mano sugli occhi, era convinta di aver pianto, ma erano asciutti. Si chiese se era possibile piangere dentro, se era così sarebbe annegata presto. - Forse è meglio se vieni con noi. La macchina la facciamo riportare agli agenti che stanno arrivando con la scientifica.

L’irlandese non disse altro, allungò la mano per farsi dare le chiavi che il suo capitano gli diede senza protestare, ma facendo solo un gesto di assenso con la testa.

Esposito continuava a parlare al telefono ed attaccò proprio mentre i due stavano tornando verso di loro e le prime volanti del distretto arrivavano sul posto.

- Isolate tutta la zona, nessuno deve entrare o uscire da questo parcheggio fino a quando la scientifica non ha finito tutti i rilievi. - Disse Javier agli agenti arrivati sul posto, seguiti da lì a poco dagli uomini della scientifica che si erano subito messi a lavoro.

Beckett osservava in silenzio il via vai dei suoi uomini, seguendo i loro movimenti con lo sguardo, li fissava così a fondo che a volte le immagini sembravano diventare sfuocate per poi ricomporsi. Si rese conto che la sua era una presenza assolutamente inutile in quel momento, ma nemmeno questo servì a farla ridestare da quello stato di inerzia e apatia nel quale sembrava caduta.

- Beckett, torniamo al distretto. Qui ci pensano loro. - Lei lo guardò senza dirgli nulla - Ma se preferisci restiamo qui fino a quando non hanno finito - si corresse l’ispanico.

- No, andiamo. Qui non possiamo fare niente. - Disse accondiscendente e salì dietro in macchina, lasciando i due ai loro soliti posti davanti. Non disse una parola per tutto il tragitto, così come rimasero in silenzio anche i suoi detective. Kate era in stato di shock e non si era ancora ripresa, lo avevano capito.

Impiegarono più del previsto per arrivare al distretto, a causa di un incidente che aveva bloccato la strada senza dargli possibilità di cambiarla e mentre Esposito si innervosiva per non poter raggiungere la loro metà velocemente, Kate seduta dietro, stava con la testa appoggiata al finestrino a guardare le macchine nell’altra corsia che sfilavano ai loro fianchi molto lentamente.

Quando entrarono al 12° c’era più caos di quanto potevano immaginare. Una decina di uomini in giacca e cravatta si muoveva per i corridoi come se fosse casa loro, spostando scrivanie e posizionando altro materiale.

- Cosa sta succedendo qui? Voi chi siete? - Chiese Beckett fermando fisicamente uno di quegli uomini che immediatamente gli mostrò un distintivo. FBI. 

- Cosa volete nel mio distretto? - Lo incalzò, ritrovando il suo piglio autoritario, come se quell’intrusione l’avesse ridestata.

- Ordini superiori. Dobbiamo collaborare ad un caso. - Rispose lui veloce e secco.

- A quale caso? - La voce di Kate si era alzata di almeno un tono.

- Il sequestro del tuo scrittore e di sua figlia - rispose una voce a lei ben conosciuta mentre l’uomo usciva da una delle stanze riunioni che sembrava essere diventata il suo quartier generale.

- Will? Cosa ci fai tu qui? - Beckett ora era veramente indispettita e sembrò sul punto di far esplodere tutta la sua rabbia proprio su di lui.

- Mi hanno avvisato e sono venuto subito. - Disse lui sorridendo, con un atteggiamento che tutti trovarono estremamente fuori luogo, in particolare Ryan ed Esposito.

- Chi ti ha avvisato? - Chiese Kate scandendo bene ogni parola.

- Affari interni, ora scusami, devo finire di sistemare delle cose, poi sono subito da te. - Così rientrò nella stanza e lo osservò un istante dai vetri con le tapparelle lasciate aperte, mentre dava indicazioni ai suoi indicando alcune cose su una lavagna. Poi Kate si voltò a guardare i suoi due detective e gli fece cenno di seguirli nel suo ufficio.

- Chi avete chiamato? - Nella sua voce si mescolavano toni minacciosi e disperati, di chi forse solo in quel momento prendeva consapevolezza della cosa.

- Sono stato io - Disse Javier - Ho avvisato la Gates. Credevo che fosse meglio…

- Credevi Javier? Tu hai deciso, tu hai chiamato. Tu mi hai scavalcato. Sono io il capitano.

- Scusami Beckett, ma sono sempre convinto che non puoi essere tu, adesso, a decidere per tutti quello che dobbiamo fare, in questa situazione.

- Io so quello che posso fare Javier. E so anche quello che non posso fare. Ma sembra che questo fatto, ultimamente, non vi sia molto chiaro.

Sorenson entrò nell’ufficio di Beckett interrompendo quella discussione.

- Kate dobbiamo parlarti - disse Will - vieni di là

Lanciò un’occhiata tagliente ai due prima di seguire Sorenson nell’altra stanza. Si sedette al grande tavolo delle riunioni, segnò su un foglio i numeri di telefono suoi e dei familiari di Rick, del loft, di Andrew, il suo agente, della casa editrice, tutti quelli che le venivano in mente. Will diede un’occhiata al foglio poi lo passò ad uno degli agenti che si mise al lavoro su uno dei computer che avevano appena istallato.

- A chi stava dando la caccia questa volta Castle per finire nei guai? - Le chiese l’uomo accavallando le gambe ed incrociando le braccia in attesa di una sua risposta.

Kate inclinò la testa da un lato, poi la scosse leggermente guardandolo con gli occhi che erano diventati una fessura.

- Cosa stai dicendo Will?

- Sì, insomma, di cosa si stava occupando?

- Di nulla, ha chiuso la sua agenzia di investigazioni dopo quello che è successo l’anno scorso.

- Uhm… sì, ricordo, capisco… Persone con cui aveva avuto discussioni ultimamente? Lui o sua figlia intendo, aveva qualche giro strano la ragazza?

Kate si irrigidì sulla sua sedia, si sporse verso di lui, spostando qualsiasi cosa ci fosse su quel tavolo tra di loro, sbattendo violentemente le mani sul piano.

- È mia figlia Will. Castle è stato rapito con mia figlia, è una bambina di 4 mesi, lo capisci? Hai capito di cosa stiamo parlando?

Sorenson rimase a bocca aperta, balbettò qualcosa di incomprensibile.

- Scusami Kate… Mi avevano detto Castle e sua figlia, ho dato per scontato che fosse - Aprì la cartellina per leggere il nome - Alexis, 23 anni… 

Beckett lo fermò prima che continuasse.

- Non è Alexis. Era con nostra figlia. - Sussurrò appena.

L’uomo si passò una mano tra i capelli mentre eliminava dal suo fascicolo tutta la parte riguardante la figlia maggiore di Castle. Chiamò uno dei suoi uomini e gli disse di fare altrettanto, c’era stato un equivoco e la situazione era totalmente diversa.

- Sai che siamo qui, adesso, solo perché c’è di mezzo tuo marito ed anche tu, adesso, in qualche modo. - Il tono della voce di Will ora era più conciliante e meno sprezzante. - Gli affari interni hanno insistito molto per avere la nostra consulenza e farci prendere parte alle indagini subito, ora capisco perché.

Sorenson chiamò uno degli agenti, gli disse qualcosa e questo tornò poco dopo con un foglio.

- Saltiamo questa parte di convenevoli Will, so come vanno queste cose.

- Bene Kate, se lo sai, sai anche dovrò chiederti delle cose… Quando hai sentito Castle per l’ultima volta?

- Questa mattina, erano forse le dieci, più o meno.

- Ok… Era tutto come sempre? Cioè dico, tra di voi, tutto normale?

- Certo che era tutto normale, dovevamo vederci per pranzo!

- Nulla di strano negli ultimi giorni? Cambiamenti di umore, abitudini…

- Dove vuoi arrivare?

- Ufficialmente non può essere considerato un rapimento, lo sai Kate. Sono passate poche ore, la bambina era con suo padre. I danni all’auto e al cellulare non bastano. - Disse Sorenson cercando di essere il più calmo possibile, sapeva bene che quel discorso avrebbe fatto saltare i nervi a Kate, la conosceva bene

- Allora che ci fate tutti quanti voi qui? - Chiese infastidita

- Vogliamo aiutarti. In questi casi, solitamente, la cosa più probabile è la sottrazione di minore da parte di uno dei genitori. - Beckett lo interruppe subito

- Non ti permetto di insinuare certe cose su Castle, Will, non ti devi permettere.

- Non sto insinuando niente, Kate. Ti sto dicendo la soluzione più rapida per poter indagare senza avere le mani legate. - Gli mise davanti il foglio che gli avevano portato poco prima - Una denuncia per sottrazione di minore. È la via più veloce, lo sai.

- Secondo te, io adesso dovrei denunciare mio marito che è scomparso di aver rapito nostra figlia?

- Sì, dovresti. Ci permetterebbe di indagare più agevolmente. - Rispose lui calmo

- Ho i miei uomini, ho il mio distretto dove ti ricordo che tu sei ospite, quindi no, grazie. Faccio da sola. - Si era già alzata quando lui la richiamò.

- Kate… ti ricordo che tu sei il capitano della omicidi. Non credo che vorresti indagare su questo caso. E le sparizioni di minori sono in ogni caso competenza della nostra agenzia. Per come stanno le cose adesso, sei tu che dovresti chiedermi di poter collaborare alle indagini e non il contrario. Se sono qui e lavoriamo da qui, è per fare un favore a te, non certo a me.

Beckett tornò indietro e guardò il foglio. Prese la penna in mano e le sembrava di stare per pugnalare suo marito alle spalle. Era però convinta che lui avrebbe capito, anzi che lui le avrebbe detto di fare esattamente così, come lei avrebbe detto a lui a parti inverse. Firmò quel foglio senza nemmeno guardarlo, facendo sbattere la penna sul tavolo, poi si avvicinò a Sorenson, tanto da essere a pochi centimetri dal suo viso.

- Non deve uscire una parola di questa storia da qui. Se qualcosa viene fuori Castle sarà marchiato e rovinato a vita ed io ti giuro che appena li troverò poi te la farò pagare a te, Will, sono stata chiara?

- Non ti preoccupare Kate. Non mi piace il tuo scrittore, non mi è mai piaciuto da quando ti dicevo che era cotto di te e tu non mi credevi, ma sono sicuro che non sia colpa sua, credimi.


Appena uscì dalla sala riunioni trovò Esposito con una tazza di caffè e gliela porse

- È decaffeinato, sai da quando sei andata in maternità non lo ha più bevuto nessuno…

- Già, non è un granchè…

- Non credo che però adesso hai bisogno di caffeina. - Fece una pausa mentre lei prendeva la tazza - Scusami Beckett. Ero solo preoccupato per te.

- Lo so. Però…

- Ti dovevo informare prima, lo so.

- Sì, ma hai fatto bene.

Intanto dalla porta lasciata aperta sentirono le conversazioni di Sorenson e degli agenti all’interno. “Richard Castle, 48 anni, maschio, bianco, 1,88 è con una bambina di 4 mesi, Lily Castle, capelli scuri presumibilmente vestita nel momento della sparizione con una vestitino bianco e rosa. In caso di segnalazione o avvistamento intervenite solo e soltanto quando siete sicuri di non mettere a repentaglio la salute di nessuno dei due…”

- Beckett, cosa vuol dire tutto questo? Castle? - Chiese Esposito incredulo.

- Sottrazione di minore. Per Sorenson è l’unico modo per cominciare le ricerche subito.

- E tu hai acconsentito? - Esclamò stupito il detective

- Castle avrebbe fatto lo stesso per Lily. - Bevve un sorso di caffè e poi ridiede la tazza ad Esposito, aveva lo stomaco chiuso e la nausea.

- Hai avvisato Martha e Alexis?

- No… 

Non ci aveva pensato. Le era completamente passato di mente di doverle avvisare e poi avrebbe dovuto chiamare anche suo padre. Doveva, sapeva che doveva farlo ma non trovava la forza di dire e raccontare quanto accaduto, come se parlandone diventasse più reale di quanto la sua mente non lo rendesse tale, minuto dopo minuto.

Chiamò come prima cosa Alexis e non fu facile gestire per telefono l’ansia della figlia di Rick, le sue domande incalzanti alle quali non aveva nè voglia nè forza di dare una risposta, ma cercò di farlo al meglio che poteva, senza lasciarsi trascinare a fondo e contagiare dalla sua ansia e paura, che erano le stesse che ancora riusciva a tenere chiuse dentro di se, ma sentiva che la loro gabbia si stava incrinando sempre di più. Fu più facile parlare con suo padre, con lui bastavano poche parole, comprese la sua sua angoscia che voleva nascondere per non gravare di più sulla figlia, ma non le disse altro. Fu lei a sorprenderlo con una richiesta per lui insolita, se poteva raggiungerla al loft.


- Katherine, tesoro sei tu? Pensavo fosse Richard che tornava con Lily dal parco! Sei uscita prima oggi… - Martha la accolse a casa con un caloroso abbraccio, senza far minimamente caso al suo umore. Solo quando la lasciò e si accorse che non aveva nemmeno risposto al saluto la guardò con aria interrogativa - Katherine, va tutto bene?

- Martha, siediti, per favore. Ti devo dire una cosa… 

L’attrice si portò le mani davanti alla bocca mentre indietreggiava verso il divano.

- Richard, non è vero?

Kate si sedette vicino a lei e le prese la mano.

- Doveva venire a pranzo da me al distretto oggi, con Lily. Ma è da questa mattina che non lo sento. Abbiamo rintracciato il suo cellulare, era in un parcheggio, vicino alla sua macchina a East River. L’auto era aperta, il cellulare distrutto. Non sappiamo dove sono, nè Rick nè Lily… - Kate sospirò e disse le ultime parole con la voce incrinata dal pianto che sembrava voler prepotentemente farsi strada. Martha con gli occhi lucidi le accarezzò il volto e non vide il capitano di polizia, nè la donna forte che aveva sempre conosciuto. Era una madre, come lei, con le stesse paure e le stesse angosce che strisciavano vili dentro di loro. 

- Ho avvisato Alexis - le disse asciugandosi una lacrima, solo una, che aveva lasciato incustodita - Ha detto che avrebbe preso il primo aereo.

- Tuo padre? Hai chiamato Jim? - Si preoccupò Martha

- Sì, gli ho detto di venire qui… Non è un problema, vero?

- Stai scherzando Katherine? Hai fatto benissimo. È casa tua questa, non te lo dimenticare.

Kate, invece in certe occasioni sembrava dimenticarselo. Quando non c’era Castle. E non perché lui fosse uscito e dovesse tornare, si sentiva come quando lui era sparito per quei due mesi. Era apolide. Il loft era casa sua, la sentiva sua solo quando c’era lui. Quando lui non c’era, allora no, non la sentiva più casa sua. Nessun luogo era casa se Castle non c’era ed era ritornata a sentirsi immediatamente così, ospite in qualcosa che non era suo, perché mancava lui.

- Io… mi dispiace non avertelo detto prima ma… adesso tutti i nostri telefoni sono sotto controllo, per sicurezza.

- Non ho niente da nascondere, mia cara, non ti preoccupare di questo. Ma perché? Cosa è successo?

- Non lo so Martha… non sappiamo nulla, non mi ha contattato nessuno. Non lo so… io non lo so veramente…

Il suono del campanello le fece sobbalzare. Inutile dire che entrambe speravano che fosse qualcuno che nella loro razionalità non poteva essere. Kate si alzò per andare ad aprire e si sforzò di sorridere all’uomo dall’altra parte della porta.

- Katie…

- Papà…

Come al solito le parole furono poche. Martha si alzò e si offrì di preparare un caffè a Jim mentre Kate gli disse che sarebbe andata a cambiarsi.


Jim bevve il suo caffè in silenzio, mentre Martha provò a farsi forza con una più forte vodka, poi incoraggiò l’uomo a raggiungere Kate, che non era ancora uscita dalla camera. Bussò, ma la porta era aperta. La trovò rannicchiata sul letto, con le ginocchia al petto mentre stringeva tra le mani la coperta della culla di Lily, guardandola impassibile. Jim le si avvicinò e si sedette sul bordo del letto vicino a lei. La abbracciò e solo allora Kate si lasciò andare, tra le braccia di suo padre, ad un pianto disperato ed inconsolabile, come solo un’altra volta aveva fatto in tutta la sua vita, mentre lui le accarezzava la schiena e le ripeteva che sarebbe andato tutto bene e Martha, appoggiata alla muro fuori dalla porta della camera, sentiva solo i singhiozzi soffocati di Beckett e non riuscì a trattenere i suoi.

   
 
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