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Autore: EmilyW14A    18/10/2016    3 recensioni
Succede spesso di convincerci che le persone ci guardano e critichino ogni singola cosa che facciamo, ma non è così. La verità è che gli esseri umani sono tutti perfettamente egoisti e non hanno tempo da dedicare agli altri, anche se si tratta di uno sconosciuto seduto nel sedile davanti sul treno. Noi ci convinciamo che gli altri passino il loro tempo a commentare i nostri abiti, i nostri capelli, i piercings, i tatuaggi, i nostri lineamenti, il nostro fisico; in realtà nessuno si sofferma veramente a giudicare cosa fanno gli altri. Nonostante ciò, in questo momento non riesco a togliermi di dosso la sensazione che tutti i passeggeri della metropolitana si siano accorti di quello che ho appena fatto e mi stiano fissando con sguardo indagatore. Cerco di darmi velocemente un contegno, sistemo la camicia e la giacca, e proseguo nel mio cammino. Controllo l'orologio e mi accorgo che tra meno di due ore devo iniziare il turno a lavoro. Decido di fermarmi qualche fermata prima per pranzare in un posto tranquillo. Ho bisogno di riflettere da solo su tutto quello che è appena successo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Reita, Ruki, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Finisco di impastare l'ultima ciotola di burro e zucchero cercando di non sporcare tutto il tavolo. Oggi la signora Wazuka è di cattivo umore e vorrei evitare di farla arrabbiare ulteriormente quando tornerà al negozio. Generalmente la signora non resta quasi mai nelle cucine o in sala; preferisce passare il tempo nel suo studio al piano superiore in cui siede dietro una grande scrivania perfettamente ordinata su cui tiene appuntati su una grande agenda tutte le ordinazioni e gli appuntamenti dei clienti. Oggi è venuta in cucina a salutare i pasticceri e ha iniziato ad urlare che le crostate erano quasi tutti bruciacchiate e le creme erano troppo poco dolci. Alcuni miei colleghi, Yuu compreso, hanno dovuto buttare alcune torte e riniziare da capo. Spero che i miei cookies americani siano usciti abbastanza bene. Non ho voglia di rimanere qui ulteriormente solo perchè la signora oggi ha la luna storta. Cerco di impegnarmi al massimo evitando di sbagliare le dosi per la ricetta.
Aggiungo l'estratto di vaniglia, la farina setacciata e le uova e continuo a mescolare. Infine aggiungo le gocce di cioccolato e mescolo fino ad avere un composto omogeneo e abbastanza solido. Con le mani prendo dei pezzi di impasto e li maneggio fino a ricavarne piccole palline che poso ordinatamente su un vassoio ricoperto di carta da forno. Dopo aver impastato circa cinquanta palline, inforno a 180° e mi tolgo i guanti di plastica esausto. Mi asciugo la fronte con un panno e mi appoggio al banco frigo cercando di rilassarmi per pochi attimi. Guardo l'orologio che mi ricorda i venticinque minuti che mancano alla fine del mio turno. Quando l'ultimo vassoio di biscotti sarà pronto potrò andare a casa.
Dopo mezz'ora di cottura sforno i biscotti fumanti e profumati e ne assaggio uno. È delizioso, proprio come quelli che ho cucinato questa mattina. Li appoggio su un piatto da portata e mi affaccio alla sala scostando le tende color rosa e fucsia che separano la cucina dal negozio. Mi guardo intorno e chiamo Yuu a gran voce.
“Yuu, lascio i cookies qui e stacco il turno! Ci vediamo”
Il mio collega mi risponde con un cenno della mano e torna immediatamente a concentrarsi sull'ordine di un gruppo di clienti appena entrati. Torno dentro la cucina e mi dirigo verso il camerino. Mi spoglio togliendomi i vestiti e la divisa da cuoco, ripiego tutto con cura e lo ripongo nel mio armadietto. Mi rivesto e recupero la mia borsa. Appena esco sento il telefono squillare.
Guardo il display e non mi stupisco di trovare il nome del mio migliore amico.
“Moshi moshi”
“Stronzo non dirmi che sei a lavoro!”
“Buon giorno anche a te Kouoyou” dico io con aria sarcastica.
“Akira dove sei?”
“Sono a Ikebukuro, ho appena staccato il turno”
“Devi tornare in biblioteca. Ricordi cosa ti ho detto l'altra sera? Non puoi mollare ora.”
“Lo so Kouyou, ma sinceramente non mi interessa. Ormai non ho più nessun tipo di interesse nel ringraziarlo. Mi basta così.”
“Quel libro però devi restituirlo prima o poi. Il che significa che prima o poi dovrai rivederlo.”
“Non è detto. Magari il giorno che mi presenterò io lui non sarà a lavoro e così non lo rivedrò mai più”
“Akira sei un'idiota. Devi ripensare a tutto quello che ti ho detto. Prendi la moto e corri laggiù. Hai preso un impegno con te stesso e non puoi tradire la tua promessa.”
Lo saluto e chiudo la chiamata. Osservo le mie punte dei piedi. Rimango fermo immobile e in piedi davanti alla stazione dei treni. Non ho voglia di muovere un singolo muscolo. L'altra sera sono stato a casa di Kouyou e gli ho racconto tutto quello che è successo in quella biblioteca. Gli ho raccontato i miei fallimenti e come mi sono comportato da idiota davanti a lui. Gli ho raccontato ogni mia impressione e ogni mio pensiero. Parlavo così tanto che quando abbiamo finito di chiacchierare era già mattina e il sole stava facendo capolino dai tetti delle case. Kouyou ha detto che sono un completo cretino e ha ragione. Non ho avuto il coraggio di dire nulla. Ma come diavolo posso dire una cosa del genere in quel modo? Mi avrebbe potuto tirare un pugno o uno schiaffo e a quel punto non avrei nemmeno potuto avere il diritto di replicare. Non è così semplice dire una cosa così tanto delicata. Kouyou mi ha consigliato di dirglielo fuori dalla biblioteca, magari nel cortile, dopo che il suo turno è terminato. Ma anche questa opzione non mi piace. Sembrerei uno stalker o un maniaco con cattive intenzioni mentre l'unica cosa che voglio fare è dire semplicemente un 'grazie'.
Sono così confuso. Forse ho bisogno di tornare a casa e dormire un po'. Prendo la metropolitana e arrivo a casa in un tempo minore di quello che impiego di solito. Decido di andare ad allenarmi in palestra per schiarirmi le idee. Potrei incontrare Jonathan visto l'orario tranquillo. Mi ha detto che ama allenarsi nei momenti in cui la palestra è poco affollata. Probabilmente lo troverò lì e se mi sbrigo riesco ad allenarmi insieme a lui. Recupero il borsone ed esco di casa, sforzandomi di non pensare alle parole di Kouyou.









*








Destra, sinistra. Una piccola inclinazione laterale e poi di nuovo diritto. La velocità deve essere proporzionata all'inclinazione graduale e se non c'è equilibrio tra le due cose si rischia di cadere e farsi molto male. Il segreto sta nel non stare troppo eretti né troppo storti. È importante sentire il baricentro di noi stessi. Bisogna diventare un'unica cosa con la motocicletta. Il mio baricentro è il baricentro della moto. Devo inclinarmi ma tenere fermo il centro del mio corpo. Mio zio mi disse quando ero piccolo che guidare una moto è qualcosa che si impara con il tempo e che può diventare quasi una forma di arte. Un po' come suonare il piano o dipingere. Il mio buon vecchio zio Hajime era una grande appassionato di moto. Ogni fine settimana prendeva la sua fedele Suzuki RM 125 targata 1991 e sfrecciava per le strade di Shizuoka e amava andare ai ritrovi di appassionati di moto e macchine da corsa. È lui che mi ha passato questa grande passione. Quando ero molto piccolo mi regalava i piccoli modellini di motociclette d'epoca tutte le volte che andavo a trovarlo. Così quando avevo sedici anni iniziai a mettere dei soldi da parte per comprarmi la mia prima moto. Me la ricordo ancora. Era una Yamaha usata e molto vecchia, però aveva ancora tanta energia e infatti mi ha accompagnato per cinque anni della mia vita. Non dimenticherò mai la sua vernice rovinata, il motore rumoroso e il suo sedile scomodo. Un po' come il primo amore. Quella moto è stata la mia prima fidanzata.
Sfreccio veloce nelle curve autostradali fino a che non scorgo il centro cittadino sulla mia sinistra. Esco alla mia uscita e pago il pedaggio. Entro in città e riduco la velocità per evitare pericolosi inconvenienti. Chiedo informazioni a qualche passante perchè non sono mai stato in questa zona della città in motocicletta e ho paura di perdere tempo inutilmente a cercare una strada percorribile dai veicoli. Continuo a percorrere il grosso viale indicatomi da un gentile signore che mi ha consigliato di evitare certe vie del centro che sono troppo affollate. Mi fermo in un parcheggio tranquillo non troppo lontano dal grande viale alberato. Spengo la moto e scendo con agilità spostando il cavalletto. Mi sfilo il casco e lo ripongo al suo posto. Mi assicuro di aver chiuso la moto e mi avvio verso il parco. Stringo il libro rosa nella mano destra e il casco nell'altra. Forse questo abbigliamento sportivo con tanto di giacca di pelle non è adeguato ad una biblioteca così elegante e raffinata, ma ormai non posso tornare indietro. Ho cambiato idea all'ultimo minuto. Ho lanciato il borsone che uso per la palestra nel mio garage e ho recuperato subito la mia moto. Ho infilato il casco senza pensare a nulla e sono partito. Alla fine vince sempre Kouyou; forse perchè mi conosce meglio di quanto io conosca me stesso. Dopo una decina di minuti scorgo l'entrata del grande edificio rosa. Non mi perdo in troppi pensieri ed entro dall'ingresso. Nonostante sia solo la seconda volta che mi trovi qui, mi sento già a casa. Le biblioteche e le librerie hanno il potere di farti sentire sempre a casa; ti fanno sentire sempre accettato. Non importa quanti anni hai, come ti vesti, che musica ascolti. Tutti possono entrare in una biblioteca, sedersi e leggere un buon libro.
Percorro la strada che mi porta al terzo piano senza indugiare. Mi sento così a casa che sembro un membro del personale nonostante sia vestito con i pantaloni neri e la giacca di pelle. Solo quando arrivo al mio piano mi guardo i piedi e mi accorgo di essermi lasciato gli anfibi. Non è proprio il massimo vedere un uomo tornare a restituire un libro di letteratura russa vestito come un centauro che sta appena andando ad un ritrovo di Harley Davidson. Non posso stupirmi se appena metto piede in sala la gente inizierà a guardarmi male. Appena la mia scarpa tocca la moquette liscia, sento il pavimento scricchiolare così forte che mi sembra che persino le altre persone sugli altri piani possano sentire il rumore che sto facendo camminando. Percorro il corridoio indugiando il meno possibile così da evitare di disturbare troppo i lettori seduti con i miei pesanti anfibi. Mi guardo intorno cercando Matsumoto con lo sguardo ma non trovandolo. Mi accorgo che c'è un ragazzo seduto dietro al bancone e riconosco che è lo stesso che avevo visto lunedì insieme a Matsumoto. Continuo a cercarlo con lo sguardo ma non lo vedo. Così mi prendo un po' di tempo per pensare a cosa fare. Entro in uno scaffale per dare un'occhiata a qualche libro; in caso di domande scomode voglio avere qualche cosa di intelligente da dire. Leggo i nomi di qualche autore molto famosi come Chuck Palahniuk, Banana Yoshimoto e George Martin. Sono nella sezione 'contemporanea' e me ne accorgo perchè è quella con gli scaffali più forniti. Cerco qualche altro titolo e mi soffermo a leggere alcune trame. Dopo svariati minuti mi ricordo di quello che mi è stato detto giorni fa. Non posso sfogliare i libri in piedi. Rimetto tutto apposto assicurandomi che nessuno mi abbia visto. Decido di cambiare aria e spostarmi nel prossimo scaffale. Giro l'angolo e mi scontro contro qualcosa di estremamente duro. Sento dei forti rumori che rimbombano sul pavimento della moquette. Mi volto verso la fonte di quel frastuono e vedo una manciata di libri caduti rovinosamente in terra e l'uomo dai capelli corvini disteso sul pavimento. Lo aiuto ad alzarsi e raccolgo tutti i volumi da terra accorgendomi che sono piuttosto pesanti.
“Ci siamo scontrati e abbiamo fatto un bel chiasso” dico io sorridendo.
Matsumoto mi fissa curioso e poi accenna un sorriso. “La ringrazio. Può rendermi i libri ora” dice lui.
“Si figuri. Chiedo scusa inanzi tutto. Posso aiutarla io a rimetterli apposto, sono veramente pesanti” dico sforzandomi di essere gentile.
“Molto gentile da parte sua ma faccio questo lavoro da troppi anni. So come si portano dei libri anche se sono pesantissimi. Se non mi fossi scontrato con lei probabilmente non sarebbe successo nulla.”
Colpito ed affondato. Gli sto pure antipatico. Perfetto. Sarà un bel casino parlare con lui. Mentre penso ad un modo per uscire dalla situazione, i suoi occhi mi scrutano curiosi.
“Ma lei è l'uomo di qualche giorno fa?” chiede lui con una tonalità sorpresa. Non capisco l'accezione della sua domanda e così non rispondo. “Come mai è qui? Ha già finito di leggere il libro di Nabokov?”
“Sì” rispondo “Vorrei restituirlo.”
“Capisco. Mi faccia rimettere a posto questi volumi e sono subito da lei.”
Lo seguo con lo sguardo e lo vedo sparire dietro uno scaffale di libri antichi. Non stacco lo sguardo da quel punto della stanza nemmeno per un secondo. Come posso iniziare la discussione? Questo non è assolutamente il posto più adatto. Raccolgo tutto il coraggio che ho dentro e assumo una postura più sicura di me. L'uomo dai capelli corvini riappare poco dopo e mi passa davanti senza nemmeno degnarmi di uno sguardo. Lo sento sussurrare un 'mi segua' e così percorro il corridoio dietro di lui.
“Vuole prendere un altro libro in prestito? Sembra una di quelle persone che divorano i libri in pochi giorni. Forse le conviene prendere in prestito qualche libro in più”
“Non saprei. Lei può consigliarmi qualcosa?” chiedo io nascondendo ogni tipo di insicurezza. Lo osservo con uno sguardo severo, non voglio che pensi che sia un idiota.
Mi guarda per pochi secondi prima di rispondere. “Non conosco i suoi gusti. Non saprei proprio cosa consigliarle.”
“Qualsiasi cosa va bene.”
L'uomo sparisce dietro ad un mobile alto e grosso. Poco dopo torna di fronte a me e mi porge un libro.
“Vedo che le piacciono i classici. Mi sento di consigliarle questo. Non solo è un classico, ma è anche un romanzo di avventura e di fantasia. È molto rilassante secondo me, anche se lo stile di scrittura è un po' difficile. Spero sia di suo gradimento”
Leggo immediatamente la copertina: I VIAGGI DI GULLIVER – JONATHAN SWIFT. Mai sentito. Nascondo subito la faccia sorpresa.
“Ne ho sentito parlare. La ringrazio. Lo leggerò con piacere”
Faccio la mia richiesta di prestito e alla fine del procedimento prendo in mano la situazione. Ho tutto sotto controllo e non posso sbagliare ora. Sono tranquillo e non ho nulla da perdere, perchè non provare?
“Senta. Non vorrei sembrarle una persona con cattive intenzioni ma...vorrei chiederle scusa per averla scontrata prima e per essere un cliente così rompiscatole. Posso offrirle un caffè? Posso aspettare la fine del suo turno ovviamente, ho tanto tempo a disposizione.” la semplicità con cui ho pronunciato queste parole stupisce anche me. Attendo con ansia uno schiaffo o un pugno che alla fine non arriva. Mi fissa con aria leggermente sorpresa e imbarazzata. Abbassa dolcemente lo sguardo guardandosi le mani.
“Ma non c'è bisogno di scusarsi  e poi-”
“Insisto.”
Non penso di essere stato così sicuro e determinato in tutta la mia vita. Sono così concentrato che non mi accorgo nemmeno che la persona di fronte a me ha appena pronunciato qualcosa. Sorrido.










“Questo caffè fa schifo!” dico io posando il bicchiere sul tavolo con una faccia un po' disgustata.
La persona davanti a me ride.
“Oggi sono stato un fallimento continuo. Ho sbattuto contro un commesso e ho fatto cadere in terra dei pesantissimi volumi, per non parlare del fatto che ho disturbato ogni singola persona seduta in quella sala lettura. E per completare il tutto, ho offerto a quel commesso un caffè schifoso. Poteva andarmi meglio” dico io sorridendo.
L'uomo dai capelli neri risponde al mio sorriso guardandomi negli occhi. “Non fa così schifo suvvia. E comunque quel commesso la ringrazia per il caffè, ma non occorreva. In fondo capita di scontrarsi e ancora di più di far cadere qualche libro in terra” dice lui nascondendosi una ciocca ribelle dietro l'orecchio. Un piccolo neo dalla forma rotonda cattura la mia attenzione.  Quel delicato puntino scuro spicca sul lato sinistro del suo mento donando al suo volto un’infantile tenerezza. Non lo avevo mai notato prima.  C’è da dire che la foto di cui ero in possesso riusciva a malapena a svelarmi le caratteristiche più importanti. Osservandolo meglio noto un altro neo sul collo,  leggermente più grosso e scuro. 
“Però deve ammettere che sono stato proprio un grande rompiscatole. Ho disturbato un sacco di persone, ho infranto le regole della biblioteca e l'ho quasi uccisa. Come minimo devo portarle qualcosa in regalo per farmi perdonare”
“Ancora? Ma le ho detto che non occorre!” l'uomo ride e la sua risata riempie l'aria accarezzando le mie orecchie. Non avevo mai udito una risata simile; è una risata dal tono maturo e profondo, ma allo stesso tempo mi ricorda qualcosa di infantile. Osservo i suoi occhi. Sono color nocciola e sembrano riflettere tutte le luci presenti nella stanza.
Sono ormai trenta minuti che io e Matsumoto siamo seduti in questa caffetteria. L'ambiente è molto carino e ricorda i diner bar americani, ma molto più sofisticato ed elegante. Tuttavia non conoscendo il posto mi sono fidato solo del listino prezzi e in verità non sono soddisfatto del caffè. In pochi secondi il mio latte macchiato alla vaniglia è diventato una poltiglia di un colore davvero poco invitante. L'uomo davanti a me ha ordinato un americano e non ha fatto commenti sulla qualità; evidentemente sono una persona troppo complicata e mi faccio troppi problemi.
Cerco di trovare una scusa per iniziare l'argomento ma sembra sempre troppo difficile.
“Mi scusi lei mi ha detto di chiamarsi Matsumoto, vero?”
“Sì! Matsumoto Takanori. Lei invece è Akira Suzuki. Non so perchè ma riesco a memorizzare molto bene i nomi e i cognomi dei nostri clienti.” dice lui sorseggiando il suo caffè.
“Ammirevole. Si ricorda anche quando sono nato?”
“Mi sta chiedendo troppo” risponde ridendo e coprendosi la bocca con la mano.
Guardo attentamente ogni suo singolo movimento e particolare fisico. Sembra un uomo molto misterioso che non ama raccontare molto di sé. Lo capisco da come muove le mani, da come tiene stretta la tazza di caffè e da come sta seduto. Assume delle posizioni insignificanti. Non sembra né interessato né annoiato. Non riuscirei a capire cosa pensa nemmeno se lavorassi come criminologo o psicologo nel corpo di polizia. Tossisco schiarendomi la voce.
“Sa che...io conoscevo già il suo nome?” domando con un leggero tremolio nella voce.
“Davvero? E come?” il suo tono si fa più curioso.
'Perchè lei è la persona che mi ha salvato la vita.'
Sorrido spostando la tazza di latte macchiato leggermente verso di me. “Perchè lo avevo letto sul suo cartellino appeso alla sua camicia”
L'uomo minuto scoppia a ridere di nuovo e fa di tutto per nascondere il suono buffo della sua risata.  
'Akira sei una perfetta testa di cazzo' mi ripeto nella mente. Mi sono fatto sfuggire l'ennesima occasione.
“Posso dirle una cosa signor Suzuki? Dall'abbigliamento pensavo fosse una di quelle persone egoiste e superbe che in verità non sanno nulla. Invece lei mi sembra un uomo molto intelligente ed è pure molto buffo”
“Buffo? Spero sia un complimento”
Non risponde ma fissa un punto preciso davanti a sé regalandomi un altro dei suoi sorrisi. Ho ancora qualche occasione per fissarlo e rubare qualche altro piccolo dettaglio di lui. È un uomo dannatamente curioso e oscuro. Mi sono accorto che quando parla gesticola parecchio e così mi sono concentrato sulla forma delle sue mani. Sono due mani curatissime, piccole e aggraziate. Guardandole meglio non sembrano per niente delle mani virili. Non hanno calli né vesciche e le unghie sono perfettamente limate ad arco. Sono simmetriche e rosate e sembrano fatte di porcellana. Mi chiedo quanta cura metta nel farsi la manicure così spesso. Il suo volto è liscio e limpido, mi ricorda la mattina di una giornata la mare in cui l'acqua è azzurrina e così chiara che si possono contare i piccoli sassolini posati sul fondo. I capelli sono leggermente mossi e sono castano scurissimo, quasi neri. Riesco a scorgere dei piccoli riflessi grazie alla lampadina posata sulle nostre teste che illumina tutto il tavolo. Nel complesso non sembra un uomo aggressivo o violento. Anzi...ad essere sinceri non me lo sarei mai aspettato così. Matsumoto Takanori è il ragazzo più minuto e magro che abbia mai conosciuto. Ha un qualcosa di femminile dentro di sé...forse perchè il suo corpo è così delicato e longilineo che potrebbe facilmente essere scambiato per una ragazza. Eppure ha una voce molto profonda, ha delle piccole basette e fuma tantissimo. Tuttavia riconosco che il suo volto ha dei lineamenti molto delicati, i suoi occhi hanno una forma particolare e le sue labbra sembrano molto morbide. È troppo femminile per i miei gusti, non riuscirei a trovarlo affascinante come farei con altri uomini.
“Riprendendo il discorso....lei è un amante dei classici da quanto ho capito. Quali sono i suoi scrittori preferiti?”
Improvvisamente la saliva mi va di traverso e tossisco un paio di volte.  
“I miei preferiti? Beh Nabokov, Goethe e...Stendhal” recupero qualche nome a caso da quello che riesco a ricordare circa le mie ricerche su internet o in qualche bookshop. Se fossi il personaggio di un cartone animato, sicuramente in questo momento mi asciugherei il sudore freddo sussurrando un 'fiuuu'. Ma rimango immobile nascondendo l'insicurezza.
“Wow gran bei gusti. Anche io li adoro....tuttavia i miei preferiti sono la Austen, Swift e Allan Poe. Sono tre generi totalmente diversi eppure sono molto collegati tra loro. Sono tre autori che in qualche modo hanno rivoluzionato la letteratura e il modo di vedere la società. Non so cosa darei per tornare indietro nel tempo nella loro epoca e stringere la mano ad ognuno di loro. Sarebbe un sogno” sussurra lui compiaciuto.
Non rispondo ma appoggio i gomiti sul tavolo mostrando profondo interesse per quello che ha da dire. Sembra molto coinvolto nella discussione e mi sembrerebbe uno spreco interromperlo.
“Adoro leggere. Leggo di tutto: romanzi, novelle, opere teatrali, prosa, poesia e persino alcuni testi di saggistica. Mi piacciono tantissimi generi, tranne i thriller e i polizieschi che mi annoiano un po'. Leggere è tutto per me. È la mia più grande passione; infatti sono felicissimo di lavorare in un luogo del genere. Non solo perchè è rinomato, grande e ordinato...ma soprattutto perchè entro sempre in contatto con i libri. Non sono vanitoso, ma a volte devo ammettere che amo il mio lavoro e lo considero uno dei migliori al mondo. A proposito, lei che lavoro fa?”
Mi schiarisco la voce, preso alla sprovvista. “Sono un pasticciere” esclamo con naturalezza.
“Ma è un lavoro bellissimo! Io non so cucinare quasi nulla. Me la cavo così male con il salato, che con i dolci vado ancora peggio. Sono proprio negato e infatti cucino poco e spesso mangio fuori casa o compro il cibo precotto.” parla gesticolando e ridacchiando. I suoi occhi vagano per tutta la stanza. Non riesco a capire se è impaurito, nervoso, scocciato o annoiato. Spero nessuna delle quattro opzioni.
“Io sono totalmente l'opposto!” dico ridendo “Odio il cibo già preparato. Mi piace cucinare e mangiare quello che io stesso ho cucinato. Adoro comprare gli ingredienti freschi e preparare una ciotola di ramen caldo. E con i dolci beh...me la cavo” dico grattandomi il mento leggermente barbuto.
“Ma lei...E' pure uno sbruffone!” sussurra regalandomi un altro dei suoi sorrisi. Osservo la sua dentatura: l'arcata superiore è composta da denti non troppo grossi e molti simili tra loro; la dentatura ha un colore tendente verso l'avorio molto piacevole da guardare. Il suo timido sorriso è contornato da una bocca carnosa e naturalmente rosea.
“Pure sbruffone? Mi ha detto che sono intelligente, buffo e sbruffone....dovrò pure avere un difetto”
Lui mi guarda tirando fuori dalla borsa il pacco rosso e bianco di Malboro ed estraendo elegantemente una sigaretta stringendola saldamente tra le dita. Scoppia a ridere allontanando il busto dal tavolo e appoggiando la schiena allo schienale della poltrona su cui è seduto. La sua risata viene nuovamente coperta dalle sue piccole mani posate davanti alla bocca.
“Sentiamo...Mr Sbruffone, le è piaciuto il libro di Nabokov? La letteratura russa non è una cosa per tutti” dice lui con un tono moderato, come un vecchio saggio che dona consigli alla gente del suo villaggio.
Merda. E ora cosa dico? Sapevo che prima o poi sarebbe finita male. Arrendiamoci all'ennesima brutta figura.
“E' un libro molto intrigante, la trama ti coinvolge così tanto che a volte mi è stato difficile staccarmi totalmente dalla personalità del protagonista. La narrazione ha un ritmo molto lento ma cadenzato” dico io sforzandomi di essere il più convincente possibile. Lui mi osserva curioso.
“Wow non avevo mai sentito parlare di Lolita in questo modo.”
Non capisco se sia un apprezzamento o meno, ma decido di non indagare. Voglio evitare altre domande scomode. Lui però non sembra soddisfatto.
“E' strano però che lei abbia scelto proprio un libro del genere. Ha letto altri romanzi simili?”
Mi sento come se la terra sotto i miei piedi si stesse sbriciolando e io stia quasi per cadere in un burrone senza fine. Afferro i lati del piccolo tavolo con entrambe le mani come se quel mobile potesse aiutarmi in qualche modo a rispondere alla domanda. Mi guardo in giro cercando di prendere tempo. Appena apro bocca vengo subito interrotto dalla suoneria di un iPhone.
“Chiedo scusa”
“Prego” rispondo io.
Matsumoto si alza e si sposta in un angolo del locale rispondendo al telefono. Tiro un sospiro di sollievo. Questa volta mi è andata bene, ma la prossima volta mi aspetta una bella umiliazione. Dovrò prepararmi per bene a quel momento. L'uomo dai capelli corvini parla a voce bassa e non riesco a capire nulla di quello che sta dicendo. Giocherella con la sigaretta ancora integra e intatta e dopo poco riattacca. Si avvicina al nostro tavolo con passo leggermente affrettato.
“Mi dispiace interrompere così ma mi sono ricordato che stasera ho un impegno urgente. Devo scappare. La ringrazio tuttavia per il caffè. È stato molto gentile da parte sua” dice lui offrendomi l'ennesimo sorriso.
Ricambio stringendoli la mano amichevolmente. La sua stretta è delicata ma sicura. Sorrido.
“Non si preoccupi. È stato un piacere per me, e la ringrazio per aver accettato. Mi dispiace averle fatto perdere tempo.”
“Assolutamente no!” dice lui guardandosi le punte delle scarpe.
Entrambi ci rivestiamo in fretta, recuperiamo le nostre cose e usciamo dalla caffetteria. Fuori tira un vento freddo ma piacevole. Chiudo la zip della mia giacca di pelle e mi assicuro di avere il casco con me. Mi guardo intorno leggermente imbarazzato, non sono mai stato bravo con i saluti e i ringraziamenti.
“Io vado di qua. Lei?”
“Ho la moto parcheggiata dalla parte opposta”
“Capisco” dice lui accendendosi la sigaretta. Sento lo scatto secco dell'accendino scorrere veloce sotto il colpo del suo dito. La fiamma illumina il suo volto e fa risplendere il riflesso dei suoi occhi. Aspira forte la sigaretta e soffia fuori una nuvola di fumo che si dissolve in pochi secondi. Mi soffermo ad osservarlo fumare in silenzio. Sento il cervello vuoto. In questo momento non saprei nemmeno dire dove mi trovo né quale sia il mio nome.
“Beh allora io vado. Grazie ancora! Spero di vederla presto in biblioteca così mi fa sapere cosa ne pensa del libro che le ho consigliato. Buona serata” mi sorride e mi volta le spalle, perdendosi nel viale affollato.
Lo saluto da lontano e torno sui miei passi con la mente così vuota da non sentire nemmeno il telefono vibrare nella mia tasca.































Eccomi qua! Dopo una settimana ogni dubbio può essere rimosso! Akira è tornato in quella biblioteca. Eppure non è così facile  come sembra. Come si può dire ad uno sconosciuto che ci ha salvato la vita? Io non mi sono mai trovata in una situazione così ma conoscendo la mia timidezza sono sicura che non riuscirei  a spiccicare parola...e il nostro protagonista sembra proprio che non sappia fare di meglio ;_; non riesce proprio a dire nulla a Takanori e cambia sempre discorso, tra l'altro comportandosi in maniera ambigua e buffa. Secondo voi Takanori sospetta qualcosa? Oppure non ha capito proprio nulla? Fatto sta che Takanori sembra un ragazzo molto misterioso e che sta sulle sue....forse non vuole avere niente a che fare con Akira. Magari non si rivedranno mai più <:  devo confessare che Takanori è b e l l i s s i m o ...non pensate anche voi? Ma poi immaginatelo....La pelle chiara, totalmente struccata e con la faccia pulita e i capelli sicurissimi quasi neri. Un angelo in pratica ;_; Vorrei che immaginate Takanori d'ora in poi come un ragazzo molto 'anonimo' che si veste con colori molto insignificanti e con uno stile casual-elegante. Anche Akira è un uomo molto casual, ma come abbiamo capito a volte ama vestirsi da centauro con le giacche di pelle e gli stivali neri. Tuttavia la cosa importante che vi chiedo è che vi stacchiate un po' dal Reita e Ruki dei the Gazette. Provate a pensare a Reita e Ruki come appaiono nelle foto o video di backstage o degli aeroporti. Indossano vestiti anonimi e in tinta unita, sono senza trucco e con i capelli lasciati al naturale e Reita non ha la noseband. Akira e Takanori della mia fanfiction sono un po' i Reita e Ruki che arrivano in aeroporto, oppure il Reita che esce la domenica in incognito a fare una passeggiata o un Ruki che esce la sera per portare a spasso Koron :3 è molto più bello pensare ai personaggi sotto questo punto di vista. Akira e Takanori sono due uomini giapponesi e lavoratori nella media che per caso o per destino si sono incontrati. Eh beh.....ora siamo nel vivo della storia e potrebbe succedere di tutto c: grazie di aver letto e...Alla prossima! 




   
 
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