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Autore: ___Page    18/10/2016    4 recensioni
-So che è difficile ma Usopp ha preso la decisione che lui ha reputato migliore per se stesso. È giusto e normale che ti manchi ma devi anche essere felice per lui. Ha deciso di intraprendere una strada diversa dalla nostra e noi dobbiamo credere in lui e forse un giorno lo incontreremo di nuovo- spiegò, sorridendo materna.
Chopper tirò su con il naso.
-E se non dovessimo vederlo mai più-
-In quel caso avrai sempre il suo ricordo nel tuo cuore-
Genere: Avventura, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Usop
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La nave rollava lieve mentre scorreva seguendo il corso placido della corrente e, sdraiato nell’erba, il sole sul viso e la brezza nei capelli, Dex si godeva quell’attimo di pace, gli occhi chiusi e le mani intrecciate sulla nuca a fargli da cuscino.
Era così rilassante e tutto così silenzioso che quasi non gli sembrava vero. Non sapeva a cosa o a chi dovesse quel miracolo ma sapeva che finché fosse durato non avrebbe sprecato quel momento.
Sarebbe stato assolutamente perfetto se solo ci fosse stata an…
Aprì gli occhi prima che il pensiero si formasse completo nelle sua mente e scosse la testa con vigore. Doveva smetterla di fare quei ragionamenti, smetterla di pensare quelle cose. Avrebbe solo rovinato tutto o combinato qualche danno, lo sapeva.
Decise di concentrarsi sui suoni ovattati che permeavano la nave qua e là, mischiandosi allo sciabordio delle onde che si infrangevano delicate sulla chiglia della Sunny e della Fenix a rimorchio.
In cucina Sanji e Neena cucinavano, così concentrati che il cuoco dei Mugiwara non aveva perso sangue dal naso o ululato nemmeno una volta e solo il suono di pentole e padelle arrivava fino al ponte. Sotto di lui, l’erba ogni tanto tremolava appena a causa delle esplosioni, che a lui giungevano lontanissime, quasi impercettibili, che Usopp e Franky stavano ripetutamente provocando nel laboratorio del cyborg per un motivo difficile da capire. Sul castello di poppa, Pascal stava segando e sgrossando alcune assi di legno e Nami era intenta ad aggiornare le proprie cartine e il rumore ritmico della sega e della matita contro la carta aveva un che di ipnotico. Se si fosse lasciato andare si sarebbe addormentato in tempo zero.
Inspirò a pieni polmoni e fece per abbandonarsi quando qualcosa di strano entrò nel suo campo visivo e lo risvegliò di colpo.
Aveva visto bene?!? Due… due occhi erano appena apparsi sull’albero maestro?!
Il tempo di girarsi a pancia in giù e controllare e gli occhi erano scomparsi. Gli venne il dubbio di essersi immaginato tutto nel dormiveglia ma era sicuro al cento per cento di ciò che aveva visto e, a dirla tutta, gli erano parsi anche parecchio famigliari, quegli occhi.
Si guardò intorno in tensione, indeciso sul da farsi, un po’ inquietato dalla situazione, quando qualcuno uscì sul ponte dalla porta alle sue spalle, camminando con passo leggero e pacato. Dex lanciò un’occhiata da sopra la propria spalla e poi si mise rapidamente seduto per salutare con i dovuti modi l’archeologa dei Mugiwara che era chiaramente diretta verso di lui.
-Ciao Robin!-
Robin non parlò finché non si trovò a pochi passi da lui. Si sedette al suo fianco e gli rivolse un serafico sorriso. -Buongiorno, Dexter.-
Dex la osservò qualche istante. Il fascino che emanava quella donna era quasi insostenibile. Non si stupiva che Franky ci avesse perso del tutto la testa. Era bellissima ma non si limitava certo a quello. Il suo atteggiamento pacato nascondeva una volontà di ferro e mille risorse, il suo sorriso sempre etereo prometteva il paradiso a chiunque avesse il coraggio di provare a impossessarsene e i suoi profondi occhi cerulei nascondevano un mondo di…
Aspetta un attimo.
Occhi cerulei?!
Dex sgranò i propri e trattenne il fiato, indicando alternativamente Robin e l’albero maestro e poi ancora Robin e ancora Robin e l’albero, l’albero e Robin e Robin, mentre balbettava sconnesso -T-tu… i tuoi occhi… tu… su-sull’albero ma… maestro…-
-Oh sì erano effettivamente i miei occhi. Li hai visti? Mi complimento, devi avere riflessi molto sviluppati, li ho fatti apparire solo per poche frazioni di secondo.- spiegò, dando quasi l’impressione di non essere accorta dello shock che aveva colto il ragazzo. -Ad ogni modo, sono desolata se la cosa ti ha turbato, Dexter, credevo conoscessi il mio potere.- continuò imperterrita a sorridere.
-N-no io… io sapevo delle… delle…- balbettò ancora, incrociando le braccia davanti al petto come a formare una X.
-So farlo con molte altre parti del corpo. Con tutte si potrebbe dire.-
Dex ebbe un lieve capogiro da tanto ambigua suonava quell’ultima precisazione. Scosse energicamente la testa e si schiarì la gola. -Come… come mai lo hai fatto?-
-Ti cercavo e ho pensato di metterci meno così piuttosto che setacciare l’intero vascello.-
-Cercavi me?! Tu?!- chiese, preso in contropiede.
-M-mh.- mormorò l’archeologa, annuendo piano.
Un sorriso soddisfatto ed ebete si dipinse sul volto del navigatore. Non poteva non sentirsi lusingato dal fatto che una simile donna lo stesse cercando.
-Come posso aiutarti?- chiese, con un tono lievemente più suadente di ciò che era nelle sue intenzioni.
Robin gli sorrise e poi piegò il capo all’indietro perdendosi ad ammirare il cielo, senza rispondere.
Dex attese, sempre più perplesso ogni secondo che trascorrevano in silenzio e fu proprio quando aprì bocca per chiederle se era tutto a posto che Robin si decise finalmente a parlare.
-Suppongo tu stia seguendo dei ben precisi ordini del tuo capitano, Dexter.- cominciò la corvina, senza smettere di fissare le nuvole spumose e bianche, che sembravano fatte di panna montata.
Il sorriso scivolò via dal volto di Dex, che si irrigidì in allerta.
-E non dubito che tra gli ordini ci sia quello di non dire assolutamente niente a nessuno di noi neppure a seguito di un’educata richiesta.-
Dex si preparò ad alzarsi per andarsene ma proprio in quel momento Robin tornò ad agganciarlo con i propri occhi e il ragazzo deglutì, sentendosi in trappola. Erano in mezzo all’oceano, sulla loro nave e in minoranza anche se per poco. Cosa sperava di ottenere, allontanandosi?
Robin lo avrebbe cercato ancora, lo sapeva, non si sarebbe liberato facilmente di lei.   
-Ho anche l’impressione che ti farebbe bene avere accanto qualcuno che riesca a capire il tuo disagio quindi hai tutto da guadagnare dall’accordo che voglio proporti.- proseguì tentatrice l’archeologa.
Dannazione! Ora capiva perché si era guadagnata il soprannome di bambina demoniaca!
-Se pensi che tradisca la fiducia del mio Capitano non hai capito con chi stai parlando.- sibilò, indurendo la mascella con rabbia, gesto che fece solo allargare il sorriso di Robin.
-Non ho mai dubitato della tua lealtà verso il tuo capitano. Basta guardarti in sua presenza.- affermò ancora e Dex sobbalzò. -Tuttavia non considererei un disobbedire ai suoi ordini se tu ti limitassi a confermare le mie impressioni. Che ne dici? Io ti dico cosa penso che stia succedendo e tu ti limiti a dirmi se ho intuito bene oppure no.-
Dex sollevò il mento, fiero.
Non poteva, non doveva, non voleva cedere! Anche se la tentazione era tanta e voleva dirlo, dirlo ad alta voce così da ricordarsi come stavano davvero le cose.
Ma non importava, la lealtà verso il Capitano era tutto e lui…
-Alla fine siete sulla nostra nave, Dexter. E ci siamo anche appena alleati. Spero tu possa capire, se non mi aiuti e ho il sospetto che ci sia sotto più di quel che penso dovrò condividere le mie preoccupazioni con il resto dei miei Nakama e, se avessi ragione, temo che sarebbe molto peggio così.-
Senza parole e senza fiato, Dex metabolizzò rapido la minaccia. Che pure suonava anche come un invito ad aiutarlo.
Fissò quella donna, materna e spietata al tempo stesso, pronta a tutto per difendere i suoi ma non per questo disposta a lanciarli in pasto agli squali.
Così contorta.
Così unica, Nico-Robin.
Con un po’ di riluttanza e un po’ di sollievo, Dex annuì piano. -Va bene.-
Robin chinò il capo di lato, i capelli scuri che fluttuavano nella brezza. -Fantastico.-
 

 
§

 
L’infermeria era permeata dal lieve scoppiettare dell’acqua che sobbolliva nell’ampolla del distillatore, un rumore che aiutava Chopper a concentrarsi quando era intento ad aggiornare i propri appunti. Il librone delle erbe mediche aperto davanti a sé, la lingua che spuntava a lato della bocca a dimostrazione della sua concentrazione e la penna stretta nello zoccolo, la piccola renna lanciava solo sporadiche occhiate al volume per verificare che le sue deduzioni fossero esatte, sorridendo lieve ogni volta che ne trovava conferma.
I due anni trascorsi nel Regno degli Uccelli gli avevano confermato qualcosa che già sapeva e che era assolutamente fondamentale per un medico pirata che solcava il Nuovo Mondo. Non credere mai di non avere più niente da imparare.
Le malattie in cui si sarebbe potuto imbattere erano più numerose dei rimedi terapeutici esistenti e il suo obbiettivo era precisamente quello di portarli a un numero pari in modo da poter curare chiunque da qualsiasi patologia. Un sogno così titanico per una creatura così piccola ma dal cuore tanto grande.
Sollevò il capino quando qualcuno busso piano alla porta aperta del suo studio, un’espressione un po’ sorpresa, quasi si fosse dimenticato di essere sulla nave insieme ad altre quattordici persone.
-Scusa il disturbo, mi chiedevo se posso approfittare della tua ospitalità, Chopper.- gli sorrise Lilith dalla porta. Tra le braccia aveva una scatola, un mortaio e un pestello, tutti in legno e dall’aria di essere stati intagliati a mano come i bracciali e i ciondoli che portava.
-Vieni pure!- la invitò il piccolo medico, rispondendo con un sorriso altrettanto radioso.
-Davvero? Grazie mille, Saku sta facendo delle analisi ed è insopportabile quando deve concentrarsi, non si può nemmeno respirare in sua presenza!- la botanica esplose come un fiume in piena, entrando a passo di marcia e depositando gli oggetti tra le sue mani sul tavolo. -Mi serviva solo un misurino galenico e a momenti mi colpisce in pieno sulla mano con quei suoi stupidi coltelli!- aggiunse, lievemente isterica, prima di sbuffare via una ciocca di capelli che le era ricaduta davanti agli occhi.
Riportò lo sguardo su Chopper e fu il suo turno di reagire come se si fosse dimenticata di essere lì con lui. Le mani sui fianchi, gli sorrise un po’ imbarazzata. -Eheh! Ehm… Scusa io…-
-Non c’è problema!- la fermò la renna, sollevando gli zoccoli neri per poi saltare giù dal suo sgabello e zampettare verso una delle scaffalature che coprivano due delle quattro pareti dell’infermeria e recuperare una scatola di plastica rossa. -Qui ho dei misurini galenici e se vuoi lì c’è un altro sgabello!- le disse, appoggiando la scatola sul tavolo.
Lilith lo guardò grata prima di recuperare lo sgabello e accomodarsi al tavolo, lanciando un’occhiata al tomo che Chopper stava studiando. -È un’ottima enciclopedia questa- commentò, mentre entrambi si accomodavano per dedicarsi alle proprie attività.
Chopper riprese in mano la penna ma non poté fare a meno di sbirciare quando Lilith aprì la scatola di legno e un intenso profumo si sprigionò nella stanza, denso, pungente e leggermente aspro. Con gesti esperti e misurati, Lilith estrasse un sacchettino di seta dalla scatola e ne versò sul tavolo una parte del suo contenuto, che si rivelò essere una manciata di capsule color pesca, vuote e aperte a metà. Chopper allungò il collo e sbirciò dentro il contenitore di legno, restando colpito da ciò che vide. Nella scatola c’erano tre file di oggetti impilati fino al bordo, oggetti sottili, abbastanza lunghi e abbastanza stretti non completamente identici ma molto uguali tra loro.
Non fossero stati così poco spessi, Chopper avrebbe detto che erano pezzi di corteccia, una corteccia nera con riflessi violacei. Quando Lilith ne prese uno e lo sbriciolò nel palmo della mano e versò la polvere ottenuta nel mortaio, Chopper concluse che dovevano essere o foglie o petali secchi. Ma di che pianta? Non aveva mai visto niente del genere in vita sua.
-Vuoi un petalo da analizzare?- domandò Lilith, sventolandogliene uno davanti agli occhi con un sorriso incoraggiante.
Solo allora Chopper si accorse di essere in piedi sullo sgabello, gli zoccoli appoggiati al tavolo e il busto tutto piegato in avanti. Scattò all’indietro e il suo naso mirtillo assunse un’interessante sfumatura bordeaux.
-S-scusa… Ero solo curioso…-
-Non c’è problema, dottore.- lo rassicurò Lilith, con un divertito guizzo negli occhi. Chopper ondeggiò appena nel sentirsi chiamare “dottore”.
-È Althea?- chiese, più tranquillo ma Lilith scosse la testa, sbriciolando ancora alcuni petali nel mortaio.
-È Devil Penstemon.- Con delicatezza prese il pestello e cominciò a sminuzzare le briciole in una polvere finissima, con dei movimenti così eleganti che sembrava che stesse danzando. Chopper ebbe l’impressione di stare assistendo a un rituale sacro. -Non devi stupirti se non lo hai mai visto né sentito. Sei un bravo dottore, hai una conoscenza vastissima.- gli disse con un sorriso dolce. -Questo fiore cresce solo su Nirvana e non è presente in nessuna enciclopedia medica su fiori e piante.-
-Perché no?- si accigliò la renna.
-Perché si crede che non abbia alcuna proprietà curativa.- proseguì Lilith, prelevando un po’ di polvere con il misurino galenico e versandola con cura in una delle capsule prima di sigillarla.
Un turbinio di domande invase la mente del piccolo medico ma era rapito dai movimenti così delicati e armonici di Lilith e dai riflessi viola che riverberavano sui petali neri, in qualche modo così famigliari. Chopper aggrottò le sopracciglia. Dove aveva già visto quel fenomeno? Quella precisa sfumatura di viola? Per chi erano quelle pillole?
Lilith gli lanciò una rapida occhiata e un rapido sorriso e una lampadina si accese nella testa di Chopper. -Sono per te!-
Lilith sollevò la testa e si stinse nelle spalle, con un’espressione che sembrava volesse dire “che posso farci?”.
Ora Chopper sapeva dove aveva già visto quello strano riverbero. Lo aveva notato il secondo giorno e uno dei commenti al glucosio di Sanji glielo aveva confermato. Lilith non aveva gli occhi completamente viola. Erano come intarsiati da un giro di marrone cioccolato sull’esterno dell’iride, quasi che portasse le lenti a contatto colorate. Ed era esattamente la stessa sfumatura di viola del Devil Penstemon.  
-Il colore dei tuoi occhi… È un effetto collaterale vero? Per questo tu li hai viola e i tuoi fratelli li hanno scuri!- esclamò, un po’ agitato di trovare conferma della propria intuizione.
-Mi hai beccata!- esclamò Lilith. -Ma devi ammettere che è un effetto collaterale esteticamente vantaggioso.-
La botanica riprese a polverizzare il Devil Penstemon sotto gli occhi sempre attenti di Chopper, afferrò di nuovo il misurino galenico, prelevò con cura un po’ di polvere e riempì un’altra capsula.
-Perché prendi quelle pillole?- chiese Chopper dopo un po’, cauto.
Lilith sorrise, gli occhi fissi sulla capsula che stava riempiendo. Alcuni lunghi secondi di silenzio seguirono la domanda di Chopper. -Se anche i miei occhi non fossero viola per via di questo fiore, non sarebbero comunque uguali a quelli di Saku e Neena. Io sono stata adottata, non siamo fratelli di sangue.- raccontò con tranquillità e, dopo un iniziale attimo di stupore, Chopper si risedette comodo sullo sgabello, in attento ascolto. -Quando ero una bambina, nella città dove vivevo scoppiò una grave epidemia. Mio padre viaggiava in quelle acque all’epoca, con altri membri della tribù e una sera si accorsero che l’intera isola sembrava in fiamme. Si avvicinarono e scoprirono che per contenere il presunto contagio, la città era stata messa a ferro e fuoco e i malati sterminati. Mio padre è un medico, è da lui che Saku ha imparato tutto e anche se ormai non c’era più nessuno da salvare, decise di cercare dei campioni per poter studiare la malattia e cercare una cura se mai si fosse ripetuta altrove. Entrò nell’ospedale in fiamme e mi trovò, chiusa in un armadio, in lacrime e sola. Non pensò nemmeno per un secondo al rischio di contagio, mi prese con sé e mi portò fuori dall’ospedale prima che saltasse in aria, dritto sulla sua nave.- Lilith si fermò un attimo e prese un profondo respiro. -Io non ho alcuna memoria di tutto questo. Lo so perché me lo ha raccontato lui. Non ricordo neanche niente della mia vita prima di diventare una Chagall. Il primo ricordo che ho è di quando mi sono risvegliata nell’infermeria della nave di mio padre. Forse il trauma di quello che è successo… forse è la mia testa che cerca di proteggermi ma io non ricordo assolutamente niente.- si girò verso Chopper. -Per me è come raccontare la storia di qualcun altro.- ammise. -Comunque, quando mi portarono sulla nave, ero in fin di vita. Papà era convinto che non ce l’avrei fatta. Ma sul comodino accanto al letto c’era una pianta di Devil Penstemon che mia madre gli aveva dato prima che lui partisse.- riprese il racconto, accarezzando delicata uno dei petali nella scatola. -Come tutto ciò che ha origine su Nirvana, anche questo fiore riconosce un cuore puro e cerca di preservarne la vita. Durante la notte il fiore crebbe fino a raggiungermi e avvolgermi il braccio. Al mattino mio padre scoprì che le macchie sul mio braccio erano sparite e le mie condizioni migliorate. Già che avevo superato la notte per lui era un miracolo. Preparò un unguento e mi curò ma dopo alcune settimane, mentre eravamo in viaggio verso Nirvana, i sintomi si ripresentarono.- Chopper trattenne il fiato e Lilith sbriciolò il petalo nel mortaio con le mani macchiate di viola. -Non posso guarire, almeno non con questa cura. Il Devil Penstemon tiene solo sotto controllo la malattia ma è già molto. Per anni abbiamo provato a smettere la terapia per vedere se la malattia se ne fosse andata ma si è sempre ripresentata puntuale. Saku è riuscito a individuare un valore nel mio sangue che gli permette di controllare lo stato della malattia senza farmi interrompere la cura. Sta giusto facendo quelle analisi oggi ma tanto so già la risposta e, in fondo, mi va bene così.- sorrise convinta Lilith. -Non importa cosa c’è nel mio sangue, mi importa solo di stare in questo mondo ancora per un po’.-  
La renna la fissò senza parole per un lungo istante e poi scosse il capino per riscuotersi. Era sconvolto da quella rivelazione ma, ancor di più, dalla serenità con cui Lilith affrontava la sua condizione. Era vero, finché prendeva il Devil Penstemon era come essere sana e anche il suo stato fisico lo confermava ma era pur sempre affetta da una patologia sconosciuta, di cui a quanto pare non si sapeva nulla e che sarebbe potuta degenerare in ogni momento. Eppure Lilith non aveva paura. Proprio come il dottor Hillk, non aveva paura. Non finché aveva i suoi fiori con sé.
-Ma come… Come fai ad averne tanti? Se crescono solo su Nirvana…-
-Li coltivo sulla Fenix, dalla pianta madre. La stessa che mi guarì quando avevo cinque anni. Il Devil Penstemon è una fiore estremamente longevo. Si raccolgono solo i petali più esterni e i fiori continuano a rigenerarsi, anche per secoli se ci sono le condizioni.- continuò a spiegare, felice di poterlo raccontare a qualcuno che si stava mostrando sinceramente interessato.
Il silenzio tornò a calare nell’infermeria e i due pirati rimasero zitti per un tempo indefinito, godendosi la tranquillità di cui raramente si poteva godere su quella nave, finché Chopper non riuscì più a trattenersi dal farle una domanda che gli frullava in testa da quando Lilith aveva iniziato il racconto.
-Lil?-
-Dimmi.-
-La… uhmmm… Della tua vera famiglia non hai mai…- titubò Chopper e non riuscì a proseguire quando lo sguardo viola di Lilith lo trafisse. -S-scusa io…-
-Non fraintendermi.- lo interruppe la botanica, ferma e determinata. -Quando dico che sono stata adottata è solo una constatazione. Se non me lo avessero detto, non lo avrei mai sospettato. Sono stata cresciuta come una Chagall, come sangue del loro sangue da tutti loro. Saku e Neena sono i miei fratelli, non importa se abbiamo origini diverse. Tutti questi ciondoli e bracciali, le decorazioni su questa scatola, me le ha intagliati tutti Saku, per me come per Neena. Io faccio parte di questa famiglia, Nirvana è casa mia. Io non mi sento una Chagall, io lo sono. E Nirvana mi ha accettato come sua figlia esattamente come ha fatto la mia tribù.- abbassò gli occhi sul tavolo per un attimo, prima di proseguire. -Per quanto riguarda la famiglia in cui sono nata… Sono certa che da qualche parte, sepolti dentro di me e nel mio cuore, loro ci siano ancora. Sono tutti lì che aspettano che io mi ricordi di loro e sono anche certa che, se mai ce ne sarà motivo, un giorno accadrà. Ma come tutte le cose, anche questa dovrà avere il suo tempo e il suo perché ed è inutile cercare di affrettarlo.-
-E se non dovessi ricordarli mai?- domandò Chopper, gli occhi pieni di lacrime che riflettevano quelli di Lilith, nei quali però riverberava anche un’innegabile serenità.
La botanica si sporse verso il piccolo medico e gli accarezzò la guancia morbida, ricoperta di pelliccia. -Vorrà dire che non c’era motivo per cui io ricordassi.-
-Ma… ma è…-
-Lo so, Chopper. Ma a volte… a volte la vita è crudele. E io sono stata più fortunata di tanti altri. Ho perso una famiglia e poi ne ho guadagnate tre.- sorrise, mentre una lacrima le rigava la guancia.
Chopper sgranò gli occhi, capendo immediatamente che la terza famiglia di cui parlava, oltre ai Chagall e ai Naga Hana, erano proprio loro, i Mugiwara. Sorrise e annuì energicamente, tirando su con il naso che ormai gli colava copioso, mentre Lilith gli asciugava le guance materna.
-Il gelato!!!- la voce di Neena riecheggiò per i corridoi della Sunny, seguita quasi immediatamente da un rimbombo di passi affrettati e un ululato facilmente riconducibile a un certo ragazzo di gomma.
Nonostante fosse ancora profondamente scosso, gli occhi di Chopper si accesero a quelle parole, un dettaglio che non sfuggì a Lilith.
-Andiamo prima che Rufy lo finisca tutto? Il gelato di Neena è eccezionale.-
-Io adoro il gelato!- esclamò Chopper, contenendo a stento l’eccitazione mentre saltava giù dallo sgabello e si avviava con Liliht fuori dall’infermeria.
-Dai?!- chiese la botanica. -Anche io! È in assoluto il mio dolce preferito!- 
  
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