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Autore: Amatus    20/10/2016    3 recensioni
I grandi eroi esistono per sconfiggere grandi nemici e pericoli mortali. E se il confine fra eroe e mostro non fosse così evidente? Se l'eroe non sapesse contro cosa realmente combatte? Se il nemico fosse convinto di essere un eroe?
E se il nemico più pericoloso fosse l'eroe pronto a combattere per la propria giusta causa a dispetto di tutto il resto?
Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista. Questa storia ne presenta due. Due potenziali eroi. Due potenziali mostri. Distinguere l'uno dall'altro potrebbe essere più difficile di quanto si pensi.
Era troppo tempo che qualcuno non gli rivolgeva una parola gentile e fare nuove conoscenze era una cosa così tanto al di fuori delle sue aspettative che non sapeva come reagire. Quando alla fine pronunciò il suo nome quelle lettere così scandite suonarono buffe alle sue orecchie. Non avevano più nessun significato da tempo immemorabile. Solas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così, sentire quel nome, anche se pronunciato dal nano lo fece sentire meglio.
[IN REVISIONE]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Inquisitore, Solas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fen'Len - Figlia del Lupo'
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XXXIV
Dalish. Ancora una volta quegli insulsi dalish.
Il fastidio di Solas in questo caso aveva però molto poco a che fare con principi e visioni del mondo, doveva ammetterlo. La sua dolce amica aveva appena spazzato via tutte le sue paure con poche parole. Il terrore di essere solo era irrazionalmente svanito, perché lei aveva detto di essergli accanto. Solas aveva sentito il proprio cuore scaldarsi riconoscendo la verità di quelle parole, ma allora doveva permetterle di vedere, di conoscere e poi di scegliere liberamente. Con tutte le creature al mondo a cui aveva fatto dono della libertà, non poteva sottrarre proprio alla sua preziosissima amica l’opportunità di conoscere la verità e decidere da sola il proprio destino. Certo sarebbe stato un processo lento, nessuno può accettare che la propria idea del mondo venga sovvertita in un istante, nessuno potrebbe accettare una verità troppo lontana da sé, per quanto abbia una mente acuta e cuore aperto ai cambiamenti. Erano questi i pensieri che intrattenevano ed eccitavano la sua mente quando quegli sciocchi soldatini si erano fatti avanti sperando di poterli prendere di sorpresa.
Si ritrovavano ora seduti in un misero accampamento circondati da carri malandati e maleodoranti. Tutto era ammantato di miseria e disperazione, più che gli eredi dell’antico popolo sembravano relitti lasciati indietro da tempi inclementi, spaventati dal mondo e dalle intemperie, con una sola preghiera negli occhi: “Lasciateci in pace, non fateci del male.” Per la prima volta e per pochi istanti, Solas si sentì solidale con loro, con i giovani costretti a questa vita senza un vero ideale che nobilitasse tanti stenti; solidale con i bambini inconsapevoli ancora di avere davanti a loro una vita da prede in fuga; solidale con chi, per sfuggire alle catene della schiavitù, aveva imboccato un sentiero tetro che portava ciascuno ad essere schiavo dei propri bisogni materiali, rinunciando autonomamente a ciò che eleva lo spirito e rende una vita degna di essere vissuta. Poveri figli del suo stesso errore. Come al solito più disprezzava coloro che si ergevano a capi, più era disposto a mostrare pietà per coloro che vivevano da sottoposti, e per quanto potessero riempirsi la bocca di parole che non comprendevano, quei poveri elfi erano semplici sudditi, guidati da un Guardiano ignorante e cieco. La storia si ripeteva ancora. Tutto era cambiato, ma niente era cambiato davvero, nonostante tutto ciò che era stato sacrificato.
Intanto la tempesta si era scatenata come preannunciato e Solas e la sua amica erano bloccati sotto un grosso tendone al centro del campo. L’Inquisitore era riuscita a parlare con qualcuno a cui affidare un messaggio per i compagni rimasti all’accampamento, non sapevano se sarebbero stati raggiunti o se i due avrebbero invece deciso di rimanere all’asciutto nelle tende, ma Solas si trovò inaspettatamente a sperare di vederli arrivare presto. Dopo quel breve contatto con gli abitanti del campo, nessuno si era più occupato di loro e i due amici erano rimasti ad attendere al freddo ed esposti all’umidità. La giovane spazientita si apprestò ad accendere un fuoco, ma la poca legna nei dintorni era infradiciata dalla pioggia e ancor più dalla costanza dell’umidità in quella regione. Il mago, nonostante sapesse quanto l’Inquisitore odiasse quel tipo di interferenze, cercò di rendersi utile con un piccolo incantesimo che permise al fuoco di iniziare a scoppiettare timidamente. Lo sguardo che la ragazza gli lanciò fu per un attimo carico di rimprovero, ma si sciolse presto e un’espressione soffice ne prese facilmente il posto.
Dopo un tempo che sembrò lunghissimo, durante il quale i due compagni non si scambiarono quasi una parola, il Guardiano del clan ebbe finalmente la buona creanza di accoglierli ufficialmente.
Il vecchio elfo era poco più di un capo tribù, non vi erano differenza tra questi selvaggi e gli Avvar, i bruti delle montagne. Il Guardiano era vestito con capi vistosi ma di pessima fattura, borioso e saccente come ogni altro dalish che avesse mai incontrato.
Quasi come ogni altro dalish, si trovò a pensare, comparando anche semplicemente l’apparenza ampollosa del vecchio elfo e la presenza fiera e naturale della sua bella amica.
“Benvenuti fratelli, sono lieto di potervi accogliere nel nostro campo.”
Qualunque buon ospite avrebbe parlato di umile campo, pensò Solas infastidito.
“E’ un onore per noi averti qui da’len, abbiamo sentito parlare molto di te”
Inquisitore, non da’len, pensò ancora Solas irritato, cosa gli fa credere di potersi prendere tanta confidenza con qualcuno così palesemente superiore a lui in spirito e condizione?
“Siamo fortunati ad essere vostri ospiti con un tempo così inclemente, spero che i nostri compagni e il vostro messaggero possano raggiungerci presto.” L’elfa sembrava perfettamente a proprio agio nell’affrontare quei convenevoli.
“Potrete cenare con noi se vorrete, la nostra mensa è modesta ma sono i nostri cacciatori a provvedere ai nostri bisogni e devo supporre che sia molto tempo che non mangiate della carne appena cacciata.”
Insopportabile arrogante.
“In realtà passiamo molto del nostro tempo in missione in territori come questo e per mangiare spesso preferiamo la caccia alle provviste. Quindi grazie per la cortesia, ma non potremmo mai dare fondo alle vostre scorte con la nostra presenza, la vostra mensa è modesta avete detto, meglio serbare le fatiche dei cacciatori per il clan. Noi abbiamo comunque già mangiato per oggi, non preoccuparti hahren
Piccola scaltra, aveva rimesso al proprio posto quel vecchio borioso con tanta cortesia da non lasciare spazio a nessun tipo di risposta. Aveva con una sola frase ristabilito la propria autorevolezza e messo in luce la miseria in cui quei bruti vivevano. Le lezioni di Josephine si rivelavano davvero utili. Solas ricordava un tempo in cui la dalish che era in lei avrebbe preso il sopravvento rispondendo all’insulto con rabbia e irruenza, ora invece aveva semplicemente avuto la meglio. Senza conseguenze.
Il Guardiano si affrettò infatti a cambiare argomento: “Da’len sappiamo tutto di te, ma chi è il tuo compagno? Non porta i marchi del nostro popolo, è forse uno degli schiavi degli shem’len?”
Solas vide il disappunto fare capolino sul viso dell’amica, ma fu brava ancora una volta a mantenere il controllo. “Solas è uno dei pilastri dell’Inquisizione, è nato in un villaggio del nord ed è sempre vissuto libero.”
“Siamo gli ultimi elvhen e non saremo mai più sottomessi.” disse Solas scimmiottando una delle frasi che aveva sentito ripetere ritualmente da quel branco di selvaggi. L’Inquisitore cercò a fatica di reprimere una risata, mentre lui si trovò a pensare che nonostante quelle parole fossero state pronunciate con intento provocatorio si dimostravano nel profondo ironicamente ed innegabilmente vere, tanto adatte a lui quanto poco lo erano a quei bambini certi di conoscere tutto riguardo come va il mondo.
“Mai più.” Rispose con una gravità che non poté che risultare ridicola ai due compagni e l’Inquisitore dovette simulare un attacco convulso di tosse per mascherare una risata insopprimibile.
Come erano finiti con il giocare il ruolo dei discoli davanti al capo villaggio? Però Solas doveva ammettere di apprezzare il ruolo e l’aria di complicità che poteva chiaramente respirare, sentiva di essere tornato ragazzo e di poter comportarsi da monello come era solito fare in giorni lontanissimi. E sentiva di essere vicino come non mai alla ragazza che aveva accanto. Vicino in modo spontaneo e sconsiderato, proprio come due ragazzi che si affacciano all’amore e alla vita per la prima volta. Sciocchi!
“E i tuoi vallaslin, da’len? Non credo di riconoscerli, il tuo clan ci ha scritto qualcosa in proposito, ma non credo di aver dato sufficientemente attenzione a questo dettaglio.”
Fenedhis! Solas vide la mascella dell’Inquisitore contrarsi e le mani serrarsi a pugno, Solas comprese che le indicazioni di Josephine erano state completamente obliate dalle parole del vecchio. Per quanto non gli sarebbe dispiaciuto vedere quel campo raso al suolo e dato alle fiamme, per il bene dell’Inquisitore si sentì in dovere di  intervenire in qualche modo.
“I vallaslin dell’Inquisitore non sono dedicati a nessun dio, ma all’antico popolo. Solo le guide del popolo avevano quei marchi nei tempi antichi, per questo oggi se ne è persa quasi completamente notizia, solo pochissimi giovani, non più di una manciata per ogni generazione, meritano di portare questi segni ed in questo caso la scelta si è rivelata profetica.”
Il vecchio elfo non avrebbe mai ammesso di ignorare una vecchia leggenda, quindi semplicemente tacque e la ragazza sembrò rilassarsi un poco sebbene la sua voce tremasse ancora di rabbia quando disse: “Posso chiedere come mai il mio clan vi ha scritto?”
“Ma come non lo sai? E’ in cerca di protezione, sta pianificando di lasciare gli altipiani di Urthemiel e di muoversi a est, pare che non sia più al sicuro in quel territorio. Mi chiedo in effetti come mai l’Inquisitore non sia in grado di fornire protezione al suo stesso clan.”
Di nuovo l’Inquisitore stava lasciando il posto ad una giovane elfa infuriata, Solas intervenne ancora una volta: “L’Inquisizione sta facendo il possibile per i Lavellan. Speriamo che tutto si concluda per il meglio.”
L’arrivo dei due compagni risultò provvidenziale, fatte le dovute presentazioni il guardiano diede prova di non gradire la presenza di un mago del Tevinter e tolse il disturbo con la massima fretta.
Il fuoco magico bruciava ancora allegro e aveva ormai asciugato il terreno nei dintorni, i compagni poterono quindi sedersi tranquilli senza temere il fango. La pioggia cadeva ancora con violenza e Dorian e Il Toro erano giunti al campo piuttosto inumiditi nonostante un incantesimo del mago li avesse protetti dallo scrosciare fragoroso della pioggia per gran parte del tragitto.
“Dorian, abbiamo decisamente fatto la scelta peggiore venendo qui. Il nostro accampamento è in un punto ben più riparato e molto meno fangoso.”
“E nonostante questo bestione e le discutibili abitudini igieniche di Solas, il nostro campo puzza innegabilmente meno.” Aggiunse ironico il mago, ignorando il qunari e rivolgendosi invece all’Inquisitore che però non rise della battuta dell’amico. Disse semplicemente: “Mi dispiace, sareste dovuti rimanere all’accampamento, volevo solo farvi avere notizie e non farvi preoccupare.”
“Credi forse che ti avremmo lasciato in questo posto orribile e puzzolente tutta sola? Ora avrò tantissimo di cui lamentarmi e tu sarai obbligata a starmi a sentire. Ne è valsa senza dubbio la pena.” Disse Dorian  ammiccando, poi aggiunse con maggior serietà: “L’importante è riuscire ad andare via al più presto.”
“Anche io vorrei potermi allontanare da qui il prima possibile. Ormai però abbiamo accettato il loro invito, non possiamo fuggire così, nel bel mezzo di un temporale tra l’altro. Dovremo aspettare che il guardiano ci presenti al clan e questo non avverrà prima che la tempesta sia passata.”
Solas stava per aggiungere qualcosa che avvalorasse le parole dell’Inquisitore, ma i due nuovi arrivati si scambiarono uno sguardo complice e rivolsero verso di lui la loro ironica attenzione.
“Bene vedo che la nostra orecchie a punta è stata piuttosto convincente. Sono certo che abbia usato le sue argomentazioni più valide per convincerti a tornare indietro con lei.”
Ecco aveva di nuovo ceduto il ruolo di ragazzino impertinente a quel Vint. “Non ti conviene usare quel nomignolo quando sei circondato da arcieri dalle orecchie a punta, loro potrebbero non cogliere l’ironia.”
Bull non disse nulla ma il modo in cui il grosso guerriero lo guardò lo fece sentire in imbarazzo quanto e più delle parole di Dorian. Maledetto qunari.
La sua bella amica rideva però divertita ora, e Solas si arrese ai commenti sconvenienti del mago dato che questi erano in grado di allontanare la tempesta dai pensieri della ragazza.
Una bambina si avvicinò titubante alla combriccola che si era fatta rumorosa. Portava con sé un piccolo calderone pieno di zuppa fumante che i genitori avevano preparato ed offerto, ma che erano fin troppo pavidi per consegnare di persona.
Accettarono il dono di buon grado. Nonostante il fuoco, il freddo e l’umidità stavano penetrando nei loro abiti e nelle loro ossa, un pasto caldo avrebbe reso sopportabile il tempo che li separava dal momento in cui avrebbero potuto lasciare il campo.
“Ehi, orecchie a punta, non ci hai mai detto nulla della tua famiglia, parli sempre solo del tuo clan, ma i tuoi genitori?” Dorian doveva essere incuriosito dalla bambina che aveva parlato di Mamae e Babae e aveva concepito una domanda del tipo che solo lui era solito rivolgere all’Inquisitore. E come sempre l’Inquisitore aveva risposto senza il minimo turbamento. Vi era qualcosa di speciale tra loro due. Tutto era naturale tra loro, non vi era imbarazzo o riserbo, ma un perfetto equilibrio di confidenza e riguardo. Solas fu un poco invidioso del coraggio e della confidenza che quel modo diretto di porre domande molto intime, dimostrava.
“Ogni clan ha consuetudini diverse riguardo i mille aspetti della vita, usanze che vanno dal commercio alla caccia, dai rapporti con gli altri clan e gli umani fino ai rapporti all’interno del clan. Il mio ha una struttura del tutto particolare.” Iniziò a raccontare la giovane, “sai il detto per cui per crescere un bambino serve un villaggio? Ecco il mio clan ha un rispetto letterale per quel detto. I bambini crescono tutti insieme nell’aravel dei piccoli, gli adulti sono tutti egualmente responsabili di ciascuno di quei bambini. Ovviamente gli adulti sanno chi ha fisicamente dato alla luce ciascun bambino, e a volte anche i piccoli lo sanno, ma alla fin fine non conta molto perché tutti sono semplicemente figli del clan.”
Il viso di Dorian aveva un’espressione sconvolta “Amica mia, lo credo bene che la tua infanzia sia stata un trauma per te! Che razza di selvaggi potrebbe mettere in pratica una tale innaturale pratica.”
“Veramente, non ho mai pensato che fosse una pratica da disprezzare, tutt’altro. Trovo piuttosto razionale che in una piccola comunità ciascuno sia responsabile del bene delle generazioni future e ti assicuro che finché è stato il Guardiano a dettare il tenore dei rapporti all’interno del clan, la mia infanzia è stata piuttosto serena. Immagina di vedere moltiplicato l’affetto e la cura, le ramanzine e i riconoscimenti. Immagina poi di avere un posto davvero tuo, non degli adulti, ma solo tuo e dei tuoi coetanei. L’aravel dei bambini, è un regno magico, un giorno nave dei pirati, il giorno dopo fortezza dei Custodi Grigi. Dal punto di vista di un bambino è quanto di meglio si possa immaginare. E anche adesso guardando a quel tipo di educazione non posso che vederne i lati positivi. In un villaggio troverai sempre qualcuno in grado di comprendere le tue inclinazioni, di assecondarle nel caso siano positive o di limitarle nel caso siano dannose. Quando gli adulti responsabili sono solo due è piuttosto probabile che nascano incomprensioni e frustrazioni, ad un’educazione condivisa invece non si sfugge e ogni bambino ha tutte le possibilità per poter dare il meglio di sé.”
Dorian non sembrava convinto dalle parole della ragazza e Solas si trovò invece a pensare a quanto nella loro ignoranza i membri del clan Lavellan avessero saputo mantenere vivo lo spirito dei tempi antichi, soprattutto quando si parlava di relazioni.
La sua giovane amica aveva avuto grandi privilegi, nonostante tutto, crescendo in quel clan.
Andarono avanti a chiacchierare a lungo e la pioggia non accennava a smettere, la notte avanzava quando una giovane si avvicinò loro e li invitò a seguirla. La tempesta non si placava ed il clan stava loro offrendo riparo per la notte, la ragazza li condusse davanti ad un aravel consegnò loro delle pelli con cui coprirsi e tornò a ripararsi nel caldo del proprio carro.
I quattro compagni entrarono e Solas notò subito il turbamento della giovane dalish, immaginò quanti sgradevoli ricordi il semplice entrare in uno di questi strani carri doveva riportarle alla mente e sentì una voglia insopprimibile di stringerla a sé e farla sentire al sicuro.
La ragazza era sbiancata in volto e non riusciva a muovere più di un passo verso l’interno.
“Ehi, se vuoi possiamo tornare all’accampamento, che si dannino questi straccioni, un nemico in più o in meno potrebbe non fare una grande differenza.” Dorian doveva aver fatto le sue stesse riflessioni e Solas non poté che concordare con lui.
“Datemi solo un momento. Sistematevi, vi raggiungerò tra breve. Non vi preoccupate.” Dette queste poche parole, l’Inquisitore uscì dall’aravel.
Solas fece per seguirla ma Il Toro lo bloccò: “Hai avuto il tuo spazio per riflettere, ora è il suo turno, lasciala sola per un po’, poi potrai andare a cercarla. Ad ogni modo credo che dovreste rivedere la vostra idea di preliminari.”
Il mago e il qunari scoppiarono all’unisono in una fragorosa risata che Solas ignorò senza fatica, era inutile ribattere, non avrebbe fatto altro che alimentare quelle chiacchiere da comari.
Il tempo passava e l’Inquisitore non accennava a rientrare, infine Solas stanco di aspettare si lanciò fuori dall’aravel ignorando i commenti dei compagni. Appena fuori dalla porta rischiò di inciampare proprio nella sua bella amica. Era raggomitolata sulle scalette del carrozzone, cercando di rimanere all’asciutto sotto la striminzita tettoia che ne riparava l’entrata.
“Sei qui.”
“Sì sono qui, mi spiace non volevo farti preoccupare.”
“Ti stai bagnando, non credi sia meglio rientrare?”
“Tra un momento.” La ragazza aveva parlato senza convinzione quindi Solas decise di sedersi accanto a lei.
“Possiamo andare via in qualunque momento. Non sei prigioniera. Dormire in uno di questi strambi carri non significa tornare indietro.”
La ragazza gli rivolse un mezzo sorriso, ma Solas non avrebbe comunque avuto dubbi sul fatto di aver colto nel segno.
L’elfa lasciò andare le gambe che teneva strette contro il petto e liberò le braccia che erano allacciate attorno alle ginocchia. A Solas sembrò che abbassasse la guardia e tornasse a respirare libera.
“Hai lo strano potere di ricordarmi costantemente chi sono. Se venissi con me credo che potrei addirittura incontrare il mio clan.” Solas sentì il suo vecchio cuore affaticato esultare di nuovo alle parole dell’amica.
“Se vorrai, sarò con te.” L’elfa lo guardò con gratitudine poi un dolore improvviso le attraversò il volto.
“Credo di doverlo fare davvero. Non posso permettere che continuino a seminare dubbi su di me, ne va del bene dell’intera Inquisizione.”
Come per nascondersi dalle sue stesse parole la ragazza portò di nuovo le ginocchia al petto assumendo quella posizione che per lei doveva essere di difesa ma che la faceva risultare agli occhi del mago incredibilmente vulnerabile, ben lontana dall’essere la giovane caparbia che lui era convinto di conoscere.
Condividevano un malridotto gradino di legno piuttosto stretto, quindi non fu difficile per Solas far passare un braccio attorno alle spalle della sua bella amica e stringerla a sé con decisione. Lena perdette quasi l’equilibrio ma allungata una gamba fino a poter toccare con il piede un gradino più in basso si stabilizzò e non fece niente per sottrarsi all’abbraccio dell’amico.
“Grazie anche per prima, per aver mentito per me riguardo i miei vallaslin. Lo apprezzo molto.”
L’odore dei capelli della ragazza si confondeva con l’odore della pioggia, e Solas ubriacato da entrambi percepì appena l’osservazione dell’amica. Ne colse il significato profondo con qualche attimo di ritardo. Rifletté brevemente e poi disse, dopo quella che gli sembrò una pausa eccessivamente lunga: “In realtà non ho mentito, non su tutto quantomeno.” Lo aveva detto, alla fine poteva iniziare con il rivelare alla ragazza una piccolissima verità. La ragazza aveva sollevato la testa dalla sua spalla e lo fissava ora incuriosita.
“Sai che non credo negli antichi dei, ma sono certo che ogni storia ogni leggenda abbia in sé una scintilla di verità. Nei miei lunghi viaggi ho sentito raccontare molte storie, alcune storie narrano del Temibile Lupo come il dio degli inganni, il dio che si è ribellato e ha imprigionato i suoi simili per brama di potere, il dio di cui il tuo popolo conosce la storia. Ma ci sono anche altre voci, che raccontano di una ribellione contro questi presunti dei. Parlano di un cosiddetto dio che si oppose ai potenti in difesa della sua gente, degli ultimi, degli schiavi. Se fosse così, di questo dio porteresti il marchio, sarebbe quindi davvero il marchio del popolo. In generale credo che il significato di quei segni sia ben lontano da quello che i dalish attribuiscono loro, ma questa è una storia adatta ad altri tempi.”
Gli occhi dell’elfa brillavano di meraviglia e probabilmente di commozione. Poteva davvero la verità giovarle così tanto? Un’espressione furba si dipinse sul suo volto quando disse piena di una convinzione teatrale: “Ma nella vecchia Arlathan, non vi erano schiavi. Tutto era scintillante, dalle strade agli abiti, dai gioielli alle mense. L’aria era più dolce e l’acqua più pura, anche la puzza di cane bagnato ero più piacevole ad Arlathan.” Solas era divertito dall’irriverenza della giovane nei confronti delle vecchie leggende, ma allo stesso tempo era rammaricato dal fatto che lei non avesse davvero idea di quali meraviglie vi fossero in quel mondo antico. Avrebbe dato tutti i suoi anni per poter mostrare all’amica anche solo un assaggio di quel mondo in cui spiriti ed elfi gareggiavano in saggezza e creatività, in cui la luce era limpida e la guerra ancora una minaccia lontana. Ma era di verità che stavano parlando quindi doveva mettere da parte la propria malinconia, e raccontare la verità sull’antico mondo, epurata dai sentimentalismi e dalla patina del tempo che sbiadisce i ricordi e getta una luce più indulgente sul passato.
“Mia giovane amica, chi credi che pulisse le strade di Arlathan? Chi credi si occupasse di preparare deliziose pietanze e di ripulire le cucine? Chi intesseva le belle vesti e chi forgiava i gioielli? Chi se non gli schiavi?”
“Ho sempre creduto che la magia fosse la risposta a tutte le esigenze.”
“Non posso credere che tu sia davvero tanto ingenua.”
Un sorriso sorse sulle belle labbra, davvero avrebbe accettato la verità con tanta semplicità?
“Se il tempo che fu viene rimpianto con tanto struggimento nonostante molti di noi fossero schiavi anche allora, quella città deve essere stata davvero esemplare.” Solas sorrise ancora. Arlathan, il mondo antico, era davvero una società da prendere ad esempio? Non del tutto, per questo era stato costretto a distruggerlo. E allora perché la sua lotta non poteva ancora dirsi conclusa? Quel mondo che lui aveva annientato, era infondo degno e meritevole. Questo invece? Riflesso negli occhi di quell’elfa così speciale, anche questo mondo sembrava degno e meritevole. Eppure questo mondo non era reale, Solas lo sapeva. Lui aveva creato questo mondo, e lo aveva fatto per errore. Lei avrebbe dovuto avere la forza per riconoscere la verità. Aveva riconosciuto quei primi frammenti e ne aveva riso. Certo era di storie che credeva di parlare la ragazza accanto a lui, niente che lei potesse davvero riconoscere come verità, eppure la sua irriverenza poteva essere un buon punto di partenza. Nella versione delle vecchie leggende che la sua gente aveva tramandato, la ragazza non trovava elementi divini o leggi inamovibili. Avrebbe potuto accettare quindi una verità dissacrante meglio di qualunque altro triste bigotto immerso animo e corpo in una realtà posticcia, avrebbe potuto meglio di chiunque altro, conoscere la verità sul vecchio mondo e confrontarlo con questo nuovo e magari avrebbe potuto essere d’aiuto nella costruzione del mondo che sarebbe venuto. Ma c’era tempo per tutto quello. E Solas ora non aveva più fretta oramai. Non era più solo.
“Vieni da’len, è davvero l’ora di rientrare.”
“Ho paura di quali orribili incubi potrebbero raggiungermi se dovessi addormentarmi qui dentro. Lasciami qui e vai a dormire non preoccuparti, una notte insonne in più non mi ucciderà.”
Quello dei sogni era senz’altro un territorio delicato per loro, quindi Solas trasse un lungo respiro prima di dire timidamente: “Se me lo permetti potrei prendermi cura dei tuoi sogni questa notte.”
L’Inquisitore gli scoccò uno sguardo scettico, ma qualcosa nell’espressione di Solas dovette farle cambiare idea. Si alzò ed entrò nell’aravel.
Si sistemarono nel poco spazio rimasto, Il Toro e Dorian dormivano curiosamente vicini occupando comunque una buona porzione del carro. Solas si sedette con le gambe incrociate e la schiena appoggiata ad una parete di legno. Arrotolò il mantello facendo attenzione a ripiegare all’interno la parte più fredda e umida, e se lo appoggiò sulle gambe, poi fece cenno all’Inquisitore di sdraiarsi invitandola ad appoggiare la testa sul mantello.
La ragazza si dimostrò ubbidiente, si sdraiò su un fianco e si lasciò coprire con una delle pesanti pelli a disposizione. Il mago iniziò ad accarezzarle la testa. “Chiudi gli occhi” sussurrò Solas, “e non preoccuparti di nulla, non avrai niente da temere questa notte. Neanche da me.”
La ragazza sorrise senza aprire gli occhi e disse: “Non ho paura di te.”
Anche Solas sorrise, sebbene la ragazza non potesse vederlo. “Ora dormi.”  Ma altre parole salivano alle labbra direttamente dal cuore e in quel giorno di verità, Solas decise di non frenarle: “Buonanotte, vhenan.”
L’elfa aprì gli occhi a quelle parole e cercò il suo sguardo. Lui sorrise e le accarezzò il viso, lei gli prese una mano e la trattenne tra le proprie. Si addormentò con un’espressione serena sul volto, mentre lui sussurrava le parole di un’antica ninna nanna:
Tel’enfenim, da’len
Irassal ma ghilas
Ma garas mir renan
Ara ma’athlan vhenas
Ara ma’athlan vhenas1

 
 
 
 
1Ninnananna dalish, tradotta approssimativamente dall’inglese:
Non temere, piccola
Dovunque andrai
Segui la mia voce
Ti riporterà a casa
Ti riporterà a casa

 
Ecco anche la seconda parte di questo lungo capitolo.
Solo una nota che riguarda il riferimento al luogo di provenienza del clan Lavellan. So che secondo il canon il clan proviene dai liberi confini, ma il mio clan è evidentemente piuttosto fuori canon, quindi ho deciso di dargli anche una collocazione geografica diversa. L'Altopiano di Urthumiel è un luogo che appare solo nella mappa del Thedas (estremo sud occidentale della mappa al confine con l'Orlais). Mi risulta che nessun gioco, romanzo, fumetto o altro abbia mai fatto menzione di questo luogo, mi sembrava quindi perfetto. Inoltre il nome mi piaceva, quindi eccolo qui.
Grazie come sempre a chi nonostante le lunghe pause e gli sproloqui continua a seguire questa storia. Grazie davvero.
   
 
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