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Autore: vincey_strychnine    20/10/2016    0 recensioni
Lui le assomigliava sotto molti aspetti. Anche lui era vuoto, ma ad un certo punto nella sua vita doveva aver riempito gli spazi con rabbia e odio verso tutto, tutti e magari anche verso sé stesso.
(...)
Cercò di nascondere il dolore mentre gli domandava, con tono di scherno, “Perché? Hai paura?”
“No,” disse lui. “Ma tu sì.”
La risposta innescò dentro di lei un fuoco e il dolore della sua stretta d’acciaio si attenuò per un momento. Avrebbe anche potuto strapparle le mani, non le importava. Lei non aveva paura di Cato, non aveva paura di nulla.
A denti stretti quasi sputò le parole, “Invece no.”
Cato e Clove partecipano agli Hunger Games perché per loro è un onore, perché l'hanno scelto. Ma se nella vita sono stati cresciuti ed addestrati per essere macchine letali, come fanno a sapere che non c'é nient'altro, nulla di meglio al di là dell'uccidere?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brutus, Cato, Clove, Lyme, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un’altra notte calò davanti ai suoi occhi ben aperti. Silenziosa. Lenta.

 

Quando finalmente il sole fece capolino nel cielo rosa sopra agli edifici sfavillanti di Capitol City, la stanchezza e la frustrazione iniziarono ad appesantirla. Mentre si muoveva, la sua mente elaborò solo alcune immagini; piedi pallidi su un tappeto verde soffice, un asciugamano rosso appoggiato su un braccio, una grande porta bianca, un viso inerte che la fissava dallo specchio, gocce d’acqua da una doccia.

 

Ancora due giorni.

 

Il pensiero fu sufficiente a risvegliare i suoi sensi intorpiditi.

 

Ancora due giorni.

 

**

 

“Dormito bene, Principessa?”

 

Cato le regalò uno dei soliti sorrisetti mentre si trovavano assieme in ascensore, dopo aver notato i capelli scompigliati che lei aveva raccolto in un concio scuro e le ombre violacee sotto ai suoi occhi che quasi le sfioravano le guance. Non si erano visti quella mattina a colazione, avevano entrambi avuto un incontro privato con i rispettivi mentori. Quello era il terzo giorno d’allenamento e, di conseguenza, il giorno delle sessioni d’addestramento a porte chiuse.

 

Non era dell’umore per discutere con lui.

 

“Va’ all’inferno,” ribatté.

 

Le sessioni d’addestramento erano un’occasione per i tributi di mostrare il loro talento agli Strateghi e di ricevere un punteggio che sarebbe stato comunicato a tutta Panem. Ma in quanto tributo del Distretto Due, il punteggio di Clove avrebbe significato molto di più che un semplice bel numero per attirare sponsor. Sarebbe stato uno specchio non solo di quanto diligentemente si era allenata nel corso degli anni, ma anche della sua accademia, del suo settore, e dell’intero Distretto Due. dai tributi del suo distretto non ci si aspettava solo un punteggio alto; ci si aspettava il più alto. L’unica cosa più importante dell’ottenere un buon punteggio era vincere gli stessi Hunger Games.

 

In cambio della possibilità data ai tributi di partecipare ai giochi, un punteggio eccellente era un modo per ringraziare il distretto per aver garantito quell’onore e quel privilegio.

 

Ad ogni modo, Clove aveva molto di più da dimostrare di quanto un normale tributo del Distretto Due avrebbe dovuto.

 

I tributi normali del Distretto Due avevano diciassette o diciott’anni. I tributi normali del Distretto Due, anche le ragazze, erano enormi per stazza e potenza. I tributi normali del Distretto Due avevano una forza bruta che si rifletteva nel loro aspetto fisico.

 

Ed eccola lì, nemmeno sedicenne, esile e bassa; col viso giovane cosparso di lentiggini. Anche alla mietitura, l’espressione dei suoi compagni era stata più che chiara mentre passava loro davanti per andare sul palco: quella era il loro tributo femminile per quell’anno?

 

Ma lei era più che meritevole.

 

Non solo aveva superato tutte le ragazze più grandi della sua accademia in bravura, aveva anche superato tutte le ragazze di tutte le accademie esistenti nel suo distretto. Ottenere l’approvazione per potersi offrire volontari alla mietitura non era semplice. Numerosi candidati venivano selezionati da tutti i quattordici settori del distretto e poi giudicati da un comitato nell’arco di quaranta giorni. Era un duro lavoro ma alla fine un maschio e una femmina che si fossero dimostrati adatti avrebbero avuto l’approvazione per partecipare ai giochi. Durante la mietitura nel loro distretto, i nomi non venivano nemmeno più sorteggiati. Semplicemente c’era Pallas, che era l’accompagnatore di Capitol City per il loro distretto da quasi un decennio, che saliva sul palco a chiamare i volontari. Nessun tributo proveniente dal Due finiva negli Hunger Games per caso.

 

Ad ogni modo, se non avesse ottenuto un punteggio fenomenale, non avrebbe causato vergogna solo al suo distretto. Avrebbe causato vergogna a tutti gli insegnanti che aveva avuto negli anni e a tutto il suo settore. Non era comune che una persona così giovane potesse rappresentare il distretto che aveva reso gli Hunger Games una professione. Infatti, Lyme l’aveva informata solo quella mattina che era la concorrente più giovane del loro distretto in quarantacinque anni.

 

Dire che quello era un giorno importante per lei era un eufemismo.

 

“Non è carino da parte tua,” rispose Cato, proprio nel momento in cui le porte dell’ascensore si aprivano.

 

Nonostante fossero compagni di distretto, in questo caso stavano competendo l’uno contro l’altra. Anche se erano entrambi del Distretto Due venivano da settori totalmente differenti e di conseguenza accademie totalmente diverse; Clove dal settore sette che si trovava nella parte più orientale del distretto, più vicina a Capitol City, e Cato dal settore dodici che stava a nord. Mentre Clove aveva passato la vita in mezzo a strade ricche e pavimentate e privilegiati, Cato l’aveva passata in mezzo a muratori e alle montagne selvagge. Mentre la sua accademia era nota per la preparazione dei pacificatori, quella di lui produceva tributi violenti. E sempre riguardo alla gente del suo settore, questi erano noti anche per ben altro. Clove aveva sentito molte storie sui barbari rabbiosi e quasi privi di leggi del settore dodici, un luogo dove un piccolo litigio per un pezzo di terra poteva rapidamente trasformarsi in un combattimento cruento e mortale. Si diceva che la selezione naturale là valesse ancora per gli umani; i gracili e i deboli venivano uccisi prima che potessero riprodursi, e quelli fisicamente forti si accoppiavano e mantenevano il settore funzionante. Non c’era da meravigliarsi che Cato fosse così duro.

 

Quando entrarono nel centro d’addestramento la prima coppia che videro furono Marvel e Lux i quali, dopo averli visti, voltarono loro le spalle.

 

La piccola rivalità fra Clove e Cato per ottenere il punteggio maggiore per rappresentare il loro settore non era nulla in confronto alla competizione generale per ottenere i punteggi migliori e rappresentare il Due. Era cruciale per ottenere il supporto di Panem e l’onore per il loro distretto provando che erano migliori degli altri. Tuttavia, quasi ogni anno i tributi dei Distretti Uno, Due e Quattro ottenevano punteggi simili. Clove non ricordava nemmeno un’edizione in cui tributi minori avessero ottenuto punteggi più alti di questi.

 

Cato sogghignò alla vista di Marvel e Lux che facevano del loro meglio per evitarli mentre li superavano.

 

“Brutus te l’ha detto?” chiese Clove.

 

“Sì,” disse Cato. “Non mi sorprende. Quei coglioncelli  frivoli.

 

A quanto pareva era abitudine dei tributi del Distretto Uno ignorare completamente tutti gli altri tributi il giorno delle sessioni private, compresi quelli del loro branco. Clove immaginava fosse uno stupido stratagemma per mostrare la loro superiorità. Non significava che l’alleanza fosse rotta. Era solo una tradizione del distretto.

 

Il Distretto Due non aveva bisogno di una simile idiozia. La loro preminenza derivava direttamente dal loro nome.

 

Testa di Pesce si avvicinò a loro; agitandosi con tanta energia che sembrava volesse saltare sui muri, come al solito. Quel ragazzo camminava come un maledetto cagnolino. Ad ogni modo, la testa color sabbia della sua compagna poteva essere vista mentre gli oscillava dietro e puntava dritta verso la stazione di Lux.

 

“Ah, Finnick le ha detto di non parlare con loro,” disse Testa di Pesce.

 

Osservarono mentre Marina si appoggiava alla rastrelliera delle varie spade con un sorriso che non sarebbe potuto essere più falso di così. Lux dava loro le spalle ma Clove era certa che l’espressione non fosse ricambiata.

 

Quando Marina arrivò dov’erano, il suo sorriso sera trasformato in un ghigno.

 

“Che c’è?” chiese innocentemente in risposta ai loro sguardi perplessi. “Volevo solo farle un saluto.”

 

Forse la piccola lumaca di mare aveva più fegato di quanto Clove avesse pensato. Ma ciò non avrebbe reso ucciderla meno allettante

 

**

 

L’allenamento era inclemente quel giorno.

 

Era come se gli altri tributi fossero stati invisibili. La tensione fra i Favoriti era così tangibile che Clove riusciva a percepirla attorno a sé mentre camminava. Era uguale anche per gli altri. Scorse Cato che fissava Marvel subito dopo aver dato una dimostrazione feroce di come si tagliavano via tutti e quattro gli arti di un fantoccio in meno di un minuto. Vide Marvel sorridere soddisfatto in maniera irritante dopo aver colpito con la lancia il centro di un bersaglio a più di venti metri di distanza. Lux rivolse lo sguardo verso Clove pensando di non essere vista. Persino Marina, che probabilmente si sentiva terribilmente cazzuta quel giorno, riuscì a fare un sorrisetto a Clove dopo aver fatto il suo solito giochetto con l’arpione.

 

Ciò era sufficiente a far ridere Clove. Stupida ragazza. Stupida, stupida lumachina di mare.

 

Quei suoi occhi blu le sarebbero stati cavati dalle orbite entro pochi giorni.

 

Clove era la prossima per il combattimento corpo a corpo, che per sua somma gioia si faceva in mezzo alle stazioni attualmente occupate dai suoi colleghi Favoriti.

 

Ora gli avrebbe fatto vedere lei.

 

Alla sua vista, l’alto istruttore fece un cenno ad una donna in un’altra stazione. Ma Clove scosse il capo.

 

“No,” disse. “Voglio te.”

 

L’istruttore la squadrò.

 

“Non so se è una buona idea,” disse con esitazione.

 

Ho detto,” ripeté Clove con lentezza, “Che voglio te.”

 

“D’accordo,” ribatté l’allenatore, divertito dalla sua mancanza di rispetto. “Molto bene allora.”

 

Negli anni passati all’accademia, aveva imparato qualcosina sui punti di pressione nel corpo umano che era sufficiente a compensare la sua bassa statura e il suo scarso peso. Era il suo talento nascosto: forse non era in grado di abbattere le sue vittime con la sola forza, ma poteva metterle alle strette con una serie di attacchi mirati in zone specifiche solo con le mani, e tenerle a terra quanto voleva. Se era abbastanza precisa, poteva anche stordirle.

 

Era come uno scorpione: letale, rapida, velenosa.

 

Allora perché era nervosa per la performance di quel giorno? Quando fosse arrivato il momento, sarebbe stata perfetta.

 

Ma per ora si stava esibendo per i suoi alleati.

 

L’allenatore si mise in posizione di fronte a lei ma la sua postura era totalmente scorretta. Stava già iniziando a fare errori.

 

Lei si concentrò su varie parti del suo corpo e il diagramma studiato all’accademia prese vita davanti ai suoi occhi.

 

Una goccia di sudore gli rotolò lungo la clavicola. Arteria succlavia. Un muscolo si tese nel suo braccio. Brachiale. Un ciuffo di peli rossi che gli copriva l’orecchio e scendeva fino ai lati del viso. Superficiale temporale. L’elastico blu dei suoi pantaloncini. Iliaca. La parte interna della sua coscia. Femorale.

 

“Ora, cominceremo con qualcosa di facile, quin- AGH!”

 

Prima ancora che lui potesse finire la frase lei l’aveva già attaccato. Due dita indice nella sua zona pelvica erano bastate a farlo cadere a terra. Teneva le mani attorno alle sue braccia, spingendo sui punti sensibili sotto ad esse. I suoi piedi stavano sulle sue gambe, il suo corpo era inarcato come quello di un gatto mentre soffia.

 

“Cosa?” chiese timidamente.

 

Lui se la scrollò di dosso e riassunse la posizione, più in allerta.

 

“Bene,” disse con un tono così grave che solo lei poté udirlo. “A quanto pare abbiamo una professionista.”

 

I distretti non erano tecnicamente ‘autorizzati’ ad avere delle accademie. Ma tutti sapevano della loro esistenza. Gli altri distretti lo sapevano -per questo definivano i tributi dell’Uno, del Due e del Quattro i ‘Favoriti’. Capitol City sapeva della loro esistenza. Il Presidente stesso aveva fatto visita alla sua accademia quando lei era solo una bambina.

 

Per questo non era sicura del perché l’allenatore avesse messo tanta avversione nel modo in cui le aveva quasi sputato le parole contro. Forse perché l’aveva umiliato. O magari perché aveva qualche tipo di legame con i distretti inferiori. Ad ogni modo, non le importava.

 

La seconda volta, poiché se lo aspettava, fu più difficile da battere. Le afferrò subito il braccio destro ma prima che potesse fare lo stesso per il sinistro lei riuscì a conficcare due dita nel punto di pressione nel lato superiore della mascella- superficiale temporale. Poi con un calcio rapido al punto femorale, lo batté nuovamente.

 

Riuscì a fare la stessa cosa per altre tre volte anche se non consecutivamente, ma era comunque un buon risultato considerando che era grosso due volte lei.

 

I volti stupiti che la circondavano ne erano la prova. Certi appartenevano agli allenatori, altri ai tributi. Aveva guadagnato un discreto numero di spettatori.

 

La loro paura era inebriante.

 

Testa di Pesce aveva totalmente lasciato perdere il suo coltello e la fissava in una maniera decisamente appropriata al suo soprannome. Marina voltò a testa non appena Clove si voltò a guardarla ma a quest’ultima non erano sfuggiti i denti conficcati nel labbro della ragazza. Marvel era concentrato sul bersaglio alla sua stazione, forse un po’ troppo concentrato. Lux la scrutava con gli occhi a fessura.

 

Quando trovò Cato, la sua espressione non era come quella degli altri. Stava sorridendo.

 

Non solo non era ad una stazione, ma non stava nemmeno facendo finta di essere impegnato in qualcosa. Si trovava in piedi a nemmeno dieci metri da lei con le braccia incrociate. La sua testa era leggermente piegata di lato come se avesse appena visto una curiosa esibizione di strada, e stava con la schiena appoggiata ad un muro. La sua postura era totalmente rilassata. Ma i suoi occhi trasmettevano qualcosa del tutto differente.

 

L’intensità di quelle iridi glaciali avrebbe potuto soffocarla.

 

All’improvviso non appariva più così rilassato. Il modo in cui il suo petto si alzava e si abbassava, le dita piantate nella carne dei suoi bicipiti, i denti digrignati dietro al sorriso…

 

Dovette spostare lo sguardo altrove. Ma anche quando se ne fu andata dall’allenatore e si fu spostata ad un’altra stazione, si sentiva comunque esagitata. Qualcosa nel suo corpo pulsava e l’elettricità sembrava scorrerle nelle vene. Quegli occhi l’avevano inebriata.

 

**

 

Distretto Due - ragazza.”

 

La voce automatica risuonò negli altoparlanti della mensa. Clove si alzò con sicurezza.

 

Sperava che gli Strateghi fossero pronti per lei. era un peccato che lo spettacolo migliore della serata arrivasse così presto.

 

Cato stava gironzolando fuori dal centro d’addestramento mentre lei entrava. Sembrava tronfio, ma in realtà cosa poteva mai aver fatto di così speciale? Probabilmente aveva affettato un paio di fantocci. Niente che non avessero mai visto fare prima da un Favorito ben piazzato.

 

“Vedi di non tagliarti le dita,” le sussurrò mentre le loro spalle si sfioravano.

 

Bastardo.

 

Gli Strateghi erano tutti allineati nelle loro poltrone viola sovrastanti il centro. Sedevano attenti, alcuni con le mani intrecciate, altri mormorando fra di loro. La prova di Cato doveva essere stata particolarmente buona. Il capo degli Strateghi era seduto davanti. Le fece un cenno d’assenso.

 

Dopo aver ricambiato bruscamente il gesto si voltò e marciò verso la rastrelliera con le armi.

 

Oh.

 

Era davvero una vista spettacolare; coltelli e spade e asce di ogni tipo, sospesi sul velluto blu notte, luccicanti nella luce fioca come una piscina d’acqua alla luce della luna. Se avesse potuto sarebbe rimasta più a lungo lì, a far scorrere le dita sulle varie lame, ad ammirare la più fine opera d’artigianato, ma aveva uno scopo da raggiungere.

 

Con una cintura di coltelli sofisticati sui fianchi, si diresse al centro. Gli Strateghi la osservavano con curiosità. Bene, aveva la loro attenzione.

 

Un esercito di busti umani le stava di fronte. Assunse la posizione.

 

In precedenza quel giorno lei e Lyme avevano pianificato tutta la dimostrazione. Ci sarebbero stati tre atti letali.

 

Il primo atto era la velocità.

 

I suoi coltelli sibilarono nell’aria sottile mentre ognuno di essi giungeva esattamente sul bersaglio. Non ci fu nemmeno un istante in cui meno di due coltelli furono in aria allo stesso tempo: prima ancora che il primo avesse tempo di raggiungere la destinazione ne lanciava subito un altro. In sette secondi, dodici tristi busti se ne stavano sconfitti sui loro piedistalli davanti a lei, ognuno con un coltello piantato nel cuore.

 

Alcuni degli Strateghi annuirono ma la maggior parte restarono immobili. Non erano palesemente impressionati ma andava bene così. Non si aspettava che lo fossero ancora.

 

“Possono muoversi?” chiese, assicurandosi di aggiungere dolcezza alla sua voce.

 

A questo punto molti degli strateghi presero ad annuire e a rumoreggiare. Il capo degli Strateghi, il cui cognome era abbastanza certa fosse Crane, fece un gesto diretto ad un angolo della stanza. Il personale rimosse busti e li sostituì con dei manichini interi, posizionandoli su delle righe nel pavimento.

 

“Grazie,” disse, ed era certa di non essere mai suonata così educata in vita sua.

 

Il secondo atto era la precisione.

 

Si allontanò ancora di più. I manichini iniziarono a muoversi tutti in direzioni differenti. Alcuni erano rapidi, alcuni lenti.

 

Non importava quale fosse la loro velocità reale, lei li vedeva tutti immobili mentre il tempo rallentava. Un respiro ininterrotto le risuonò nelle orecchie. Le sue dita si strinsero sul coltello.

 

Lux le stava correndo davanti, la più veloce di tutte. Thwack. La ragazza del Dodici si muoveva verso il fondo, la sua treccia scura volava al vento. Thwack. La rossa del Cinque girava in tondo. Thwack. Marina, che era rimasta a guardare mentre gli altri morivano ora scappava da lei, terrorizzata. Thwack. Il ragazzo dell’Undici tentò di proteggere la sua amichetta. Thwack. Thwack.

 

Ne restava uno. Si fermò un attimo.

 

Cato stava puntando contro di lei, con la spada sguainata.

 

Fece oscillare un braccio attorno al corpo con forza il coltello finale volò dritto nella sua testa.

 

Il ronzio dei sussurri riportò la sua attenzione sugli Strateghi. Parlavano fra di loro con eccitazione. Persino Crane sedeva con i gomiti sulle ginocchia e la testa appoggiata ai palmi, osservandola con  intensità.

 

Li aveva tutti in pugno.

 

“In cerchio?” chiese.

 

Crane annuì e gesticolò verso il personale di nuovo.

 

Il terzo atto era l’agilità.

 

Ora i corpi di plastica si muovevano attorno a lei, molto distanti l’uno dall’altro. Chiuse gli occhi.

 

Quando li aprì si trovava nell’arena che aveva visto qualche anno prima. Era davvero piuttosto bella, un campo vasto e aperto fatto interamente di alti cespugli di lavanda. Era un mare viola. La maggior parte dei tributi quell’anno noni erano nemmeno mossi subito dai loro piedistalli, tanto erano incantati.

 

Nonostante la sua bellezza, tuttavia, doveva essere stata una delle arene più letali degli Hunger Games che avesse mai visto. Nessun luogo verso cui correre. Nessun luogo in cui nascondersi.

 

3…2…1.

 

Partì e conficcò un coltello nel suo primo ostacolo, il ragazzo del Cinque. Dopo di lui ecco Brutus, che correva verso di lei con la clava sollevata. La evitò rotolando a terra e comparve dietro di lui, piantandogli il coltello nella schiena. C’era di nuovo Lux, che stavolta puntava verso di lei. Clove evitò un fendente della sua spada e la colpì allo stomaco. Fece una svolta rapida e lanciò velocemente un coltello nella gola di Pallas che stava fermo con espressione inebetita nel campo. Accanto a lui c’era Lyme-

 

No, un momento. Non era Lyme. No, no. Lyme non era lì.

 

Era la ragazza dell’Otto. Sì, ecco di chi si trattava. La stupida ragazzina dell’Otto che tirava sempre su con il naso. Un altro coltello tagliò l’aria e atterrò nel suo occhio sinistro. Si voltò. Il ragazzo del sette ora la inseguiva, brandendo l’ascia che probabilmente sapeva maneggiare dalla nascita. Si scansò, evitandolo per un pelo. Poi gli saltò alla schiena, emettendo il grido di un animale mentre gli tagliava il collo con il coltello.

 

Il tempo si era fermato. Le piante di lavanda si muovevano ancora nel vento.

 

Percepì un respiro, il suo. Un battito cardiaco, il suo.

 

Respira. Rilassati. Rilassati.

 

Applausi.

 

Per primi tornarono i muri grigi del centro d’addestramento. Poi l’alone aranciato delle luci. Il ronzio delle voci.

 

Le sessioni private. Gli Strateghi. Giusto.

 

Quasi tutti erano in piedi ora. Alcuni avevano la bocca aperta dallo stupore. La guardavano, poi si guardavano fra di loro. La maggior parte sorridevano. Erano deliziati. Cane aveva gli occhi sgranati. Un sorriso gli illuminava il viso.

 

Aveva fatto centro.

 

Una performance perfetta.

 

“Grazie,” disse, con un piccolo inchino del capo.

 

**

 

Era sera inoltrata e Cato e Clove sedevano rigidamente fianco a fianco sul divano circondati dai loro concitati team di preparazione, stilisti, mentori e ovviamente dall’accompagnatore di Capitol City, tutti in attesa che venissero trasmessi i loro punteggi. L’intera squadra si era riunita per questo.

 

Normalmente i loro stilisti stavano da parte. Erano due donne alte, lunghe, simili a modelle con i loro zigomi modificati chirurgicamente e dei tatuaggi attorno agli occhi. Dal momento che erano del Distretto Due, Cato e Clove avevano il privilegio di avere due delle stiliste più in voga di tutta Capitol City al loro servizio. Gli unici tributi ad avere una coppia migliore erano quelli dell’Uno, ma non era una novità dal momento che era l’unico distretto a parte Capitol City ad interessarsi ad un capriccio come la moda.

 

In quel momento stavano chiacchierando con rabbia del Distretto Dodici. Clove riusciva a sentire lo strano odore di vino e naftalina che emanava la sua stilista. Il suo nome era Faun.

 

“-Cinna. Non so nemmeno da dove sia sbucato. Quello che ha fatto è stato tremendamente azzardato. Forse troppo azzardato per un debuttante,” sibilò con la sua voce profonda. “Non fraintendermi, i loro costumi erano carini. Ma il concetto mi è parso un po’ stupido. E ora chiamano quella ragazzina- oh, qual’è il suo nome? Ah, sì, Katfish, la chiamano ‘La Ragazza in Fiamme.’ Ma sul serio, essere in fiamme? Per me è semplicemente-“

 

Clove si distrasse rapidamente dal discorso. Pallas stava in piedi accanto allo schermo della televisione, e come al solito appariva nervoso. Perché era sempre così teso? I componenti dei loro team di preparazione multicolore erano qua e là, pronti a scattare agli ordini delle stiliste, rimbalzando da una angolo all’altro della stanza. Erano stancanti anche solo da guardare.

 

I loro mentori stavano appollaiati dietro di loro. Lyme era immobile, e i suoi occhi erano concentrati sullo schermo anche se al momento erano in onda solo pubblicità di Capitol City. Brutus era un po’ più vitale, prendeva in giro Pallas, rideva rumorosamente e beveva liquori.

 

Ma nessuno stava seduto sul divano a parte Cato e Clove. I due non si guardavano, non parlavano. Fissavano solo la televisione.

 

All’improvviso l’emblema di Capitol City apparve sullo schermo. Lyme alzò il volume, nonostante nulla a parte l’inno risuonasse durante la trasmissione. Era uguale ogni anno: l’inno suonava in sottofondo, una foto del tributo appariva sullo schermo, assieme al loro sesso e al simbolo del distretto con il loro punteggio lampeggiante sotto.

 

Marvel fu il primo. Aveva ricevuto un dieci. 

 

La reazione di Brutus rispecchiò i pensieri di Clove.

 

Merda,” borbottò. I pugni di Cato si contrassero. Era un male per loro. Se Lux avesse ottenuto lo stesso punteggio, il Distretto Uno avrebbe avuto un punteggio totale di venti.

 

Ma non era questo il caso. Con estremo piacere di Clove quando apparve il volto di Lux sullo schermo, sotto di esso lampeggiava il numero otto, un punteggio piuttosto basso per un Favorito.

 

Clove trattenne il fiato. Erano i prossimi.

 

Brutus chiuse le mani sulle spalle di Cato e le scosse leggermente mentre entrambi fissavano lo sguardo sullo schermo.

 

Cato aveva ricevuto un dieci.

 

Immediatamente emise un grido, Brutus colpì il suo petto con un pugno emettendo un lieve tonfo e gridò “Ah ha!

 

Clove percepì la mano tiepida di Lyme appoggiarsi sulla sua spalla mentre la sua immagine compariva sullo schermo.

 

Dieci.

 

Beh, non era più alto del punteggio di Cato ed erano già stati in tre a riceverlo, ma ad ogni modo, era buono. Non aveva portato vergogna al suo distretto. Magari non era l’unico punteggio più alto, ma era comunque il più alto. E di certo gli altri tributi non avrebbero fatto di meglio, dubitava che persino quelli del Quattro ci sarebbero riusciti. La competizione peggiore era già passata.

 

Il suo dieci lampeggiante aveva zittito le urla di gioia di Cato e Brutus.

 

Quando torse il collo per incontrare il volto del suo mentore, il suo punteggio iniziò a sembrare sempre di più un buon traguardo. Clove per poco non si contorse quando Lyme le arruffò capelli giocosamente, un gesto che lei non si sarebbe ami aspettata da quella donna minacciosa e stoica.

 

“Gliel’hai fatta vedere tu,” sussurrò.

 

Naturalmente, un contatto fisico così improvviso suscitò una reazione violenta in Clove. Ma la represse perché altrimenti l’avrebbe indirizzata su Lyme.

 

Si voltò quindi verso Cato, sicura di esibire un ghigno. La sua espressione era glaciale nonostante il suo sorrisetto sarcastico.

 

“Immagino che siamo pari,” disse.

 

“Sì,” disse Clove. “Immagino.”

 

Le squadre di preparazione applaudivano ed esultavano. Pallas parve respirare. Brutus chiese ai Senzavoce di portargli del whiskey.

 

Ora toccava al Distretto Quattro. Testa di Pesce aveva ricevuto solo un otto, e Marina un sorprendente nove. Ma comunque, non li avevano battuti.

 

“Ah,” sospirò Faun. “Questo significa che abbiamo i punteggi più alti quest’anno!”

 

Clove si sentiva bene ora. La sua reazione iniziale al punteggio ricevuto era stata causata in parte dalla sua natura ipercritica e in qualche modo cinica. Un dieci era buono. Anche se sia lei che Cato l’avevano ricevuto, non era necessariamente un punteggio standard per un tributo del Distretto Due. E ciò mostrava il suo valore. Lei non era da sottovalutare. Era pericolosa. Sarebbe stata un avversario serio. Aveva portato onore al suo distretto. I suoi pensieri si soffermarono vagamente sull’accademia, sui suoi vecchi insegnanti che annuivano con approvazione e indicavano la televisione, dicendo agli studenti di prendere nota.

 

Aveva dato motivo d’orgoglio al settore sette. Lyme aveva ragione. Gliel’aveva fatta vedere. A tutti.

 

Clove era così presa da sé stessa che quasi non se ne accorse. Se non fosse stato per gli urli di Brutus o per i suoi pugni che fecero agitare il divano con tanta forza da farla volare giù, avrebbe potuto sfuggirle. Ma eccolo lì, proprio davanti ai suoi occhi.

 

il simbolo del Distretto Dodici. La ragazza dall’espressione di pietra e dalla pelle olivastra. E l’undici che lampeggiava sotto al suo nome.

 

**

 

COSA?” strillò Clove. Schizzò su dal divano come un proiettile.

 

Un undici? La ragazza del Dodici, il più povero, il più disgustoso, il più patetico distretto di tutta Panem, aveva ottenuto un punteggio più alto del suo?

 

Il tavolino di legno all’improvviso stridette contro il pavimento, ribaltato di lato. I soprammobili ridotti a schegge acuminate. Cato stava ruggendo.

 

Quella fottuta puttana!

 

Quei dannati Strateghi erano forse ciechi? Si trattava di uno scherzo?

 

Clove non si era allenata per più di metà della sua vita per essere surclassata da una sporca piccola provinciale che doveva tornarsene da dov’era venuta: a vivere in una capanna e a rotolarsi nella merda.

 

Il suo distretto, il suo onore, tutto all’improvviso era in fiamme. La rabbia si gonfiava nel suo corpo. Era una cosa dotata di vita propria, respirava e la consumava di tanto in tanto. Era un’entità, un mostro, un vecchio amico. Ed era dappertutto adesso. Nelle sue vene pulsanti, nelle sue labbra tremolanti, nelle mani che si agitavano, nelle gambe irrigidite.

 

Diversamente da Cato che ora aveva un pugno incastrato nel muro, non la possedeva. Al contrario bolliva e bruciava mentre la teneva tutta dentro.

 

Quella ragazza doveva morire.

 

Non in modo qualsiasi, però. No. Meritava qualcosa di speciale.

 

Una volta Clove aveva visto spellare un maiale. Era vivo mentre lo facevano. La bestia piangeva e grugniva mentre tentava disperatamente di scalciare via la presa degli aguzzini. I suoi occhi marroni e sporgenti imploravano in un linguaggio che non necessitava traduzione. Ma avevano continuato a strappare gli strati viscidi della pelle giallastra, ogni nuovo strato più rosso del precedente.

 

Come sarebbe stato farlo sulla ragazza del Dodici? Che suono avrebbero avuto le sue grida? Che aspetto avrebbe avuto la sua pelle olivastra mentre veniva strappata via dalla sua faccia? Sarebbe stata gialla come quella del maiale? Magari verdognola? Quando avrebbe iniziato a sanguinare? Ci era voluto un bel po’ per il maiale. Solo quando avevano raggiunto lo strato roseo, venato e pulsante dei suoi muscoli il sangue aveva cominciato a colare in rivoli dai grumi di grasso biancastro…

 

La stanza era precipitata nel caos. Cato sembrava rompere qualcosa di nuovo ogni volta che una nuova ondata di rabbia si abbatteva su di lui. Brutus stava urlando al nulla. Pallas agonizzava per via del buco nel muro. Le stiliste e i team di preparazione stavano ai lati, attenti a non intralciare nessuno. Poi Lyme si diresse verso Cato per trattenerlo.

 

A Clove ci volle un po’ per quantificare il danno. Il tavolo i cui graffi marcavano righe profonde sul pavimento. Il buco nero irregolare che si spalancava davanti a loro come una bocca nel muro.

 

Dopo aver guardato nel vuoto oscuro del buco, il resto della nottata andò perduto per lei. La gente le parlava, le camminava davanti. Ad un certo punto doveva essere finita nel letto. Ma la sua mente era diventata un muro impenetrabile che bloccava fuori tutto ciò che le stava attorno, cosicché entro i suoi confini un solo nome potesse alimentare quel fuoco ardente.

 

Katniss. Katniss. Katniss.

 
  
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