Capitolo
5
“Sei
tu Eiko Wadswoth?”
La
mattina seguente, non essendo riuscita a dormire molto, mi alzo prima
del
solito. Nonostante manchino due ore all’inizio delle lezioni,
decido di
prepararmi e scendere in sala da pranzo per la colazione. Terminato il
pasto,
lascio la residenza con largo anticipo e mi dirigo a scuola. Arrivati a
destinazione, Arthur mi scorta fino all’ingresso, studiando
con attenzione i
dintorni, infine, dopo avermi strappato la promessa di contattarlo
immediatamente qualora dovesse succedermi qualcosa, si allontana per
raggiungere la limousine, dove molto probabilmente mi
attenderà fino al termine
della giornata.
L’aria
pungente di questa mattina primaverile accarezza la mia pelle
risvegliandola
dal torpore di una notte insonne, mentre con incedere stanco percorro
il
cortile. Le uniche persone a venirmi incontro per accogliere il mio
arrivo sono
i due guardiani della scuola. Sono sicura che anche questa loro
giornata sia
iniziata con il sorgere dell’alba. Saluto entrambi con molta
cordialità mentre
mi oltrepassano, armati di scope e sacchi dell’immondizia:
con ogni probabilità
trascorreranno la prossima ora a raccogliere i petali caduti dai
ciliegi in fiore,
che ricoprono ormai una buona parte del cortile frontale.
A
quest’ora non ci sono studenti in giro, se non i membri dei
club sportivi che
si allenano regolarmente in vista dei prossimi campionati. Ovviamente
anche i
ragazzi della squadra di basket sono già in palestra. Visto
che sono in
anticipo, potrei fare un salto per vedere come se la cavano. Prima di
incamminarmi verso il campo, però, voglio raggiungere
l’edificio principale e
assecondare questo angosciante sentimento che mi assilla da quando ho
lasciato
casa.
***
Ultimamente
mi capita sempre più spesso di provare un po’ di
invidia nei confronti di
Akashi e degli altri membri della squadra. La perseveranza che li
spinge ogni
mattina ad arrivare a scuola prima degli altri studenti solo per
sottoporsi ad
un allenamento sfiancante è qualcosa che fino a poco tempo
fa avrei ritenuto
incomprensibile. Perché mai un ragazzo delle medie
sceglierebbe spontaneamente
di sacrificarsi in questo modo, spingendosi oltre i propri limiti? Per
amore
del basket? Per autocompiacimento? Per noia? Sacrificare preziose ore
di riposo
o di svago per passare il proprio tempo in una palestra, correndo per
ore fino
a sentire i polmoni soffocare, tirando una palla fino a sentire le
braccia
staccarsi dal corpo. Che cosa c’è di tanto
straordinario nell’avere un
obiettivo e nel ridursi allo stremo delle forze per raggiungerlo? Ogni
volta
che osservo questi ragazzi impegnarsi tanto e ambire alla vittoria a
costo del
sacrificio non posso fare a meno di interrogarmi sul reale motivo che
li spinge
a tanto. Eppure, nonostante la mia limitata capacità di
comprendere fino in
fondo la loro passione e la loro devozione verso questo sport, prima
ancora di
rendermene conto, sono diventata gelosa. Tuttavia non si tratta di un
sentimento negativo. Forse sarebbe più corretto chiamarlo profonda ammirazione. Dopotutto, da
emozioni come l’invidia e la
gelosia, scaturisce il desiderio di possedere l’oggetto di
quella stessa ammirazione,
strappandolo così ad altri. E se non si riesce
nell’intento, la frustrazione
spinge ad ostacolare e danneggiare la persona invidiata, fino alla
miseria.
Benché la determinazione di Akashi e degli altri ragazzi
susciti ogni volta la
mia meraviglia, questo non vuol dire che anche io desideri
ciò che al momento
non possiedo. Questa gelosia che sento dentro non fa di me una persona
avida,
una persona desiderosa di possedere l’oggetto della sua brama
ad ogni costo. La
verità è che, pur invidiando segretamente coloro
che hanno un obiettivo e che
si impegnano per realizzarlo, non sono ancora disposta a sacrificarmi
allo
stesso modo: sarebbe un sacrificio inutile e sciocco. Parlando
ottimisticamente, il mio potrebbe essere il comportamento di una
ragazza
estremamente razionale, che prende atto dei propri limiti e rimane con
i piedi
ben piantati a terra. D’altro canto, la mia potrebbe invece
essere
semplicemente codardia, paura di mettersi in gioco, di vedere le
proprie
speranze deluse, di accettare il confronto con persone eccezionali come
Akashi
solo per essere costretta a dichiarare pubblicamente la mia
mediocrità.
Qualunque sia la risposta, è indubbio che sono ancora
lontana dal realizzare il
mio proposito e diventare una persona migliore. Al contrario, il mio
entusiasmo
non ha fatto che diminuire da quando ho scoperto di essere entrata nel
mirino
di uno sconosciuto deciso a sbarazzarsi di me con ogni mezzo. Anche
questa
mattina, nonostante sia arrivata a scuola prima del solito, ho trovato
una
nuova lettera nel mio armadietto. Ho promesso ad Akashi che lo avrei
immediatamente messo al corrente qualora il misterioso ricattatore mi
avesse
lasciato un nuovo messaggio, però oggi non sono sicura di
volerlo informare,
non dopo aver letto il contenuto del biglietto.
«Per
questa mattina ci fermiamo qui», la voce di Akashi risuona
all’interno della
palestra, annunciando il termine degli allenamenti.
Senza
farselo ripetere, la squadra si ritira negli spogliatoi, mentre Satsuki
e
Mayumi si apprestano a raccogliere i palloni sparpagliati per il campo.
Osservo
le mie amiche darsi da fare, standomene seduta sulla panchina. Sembrano
così
felici, soprattutto Mayumi. Mi ha confessato di essere diventata una
manager
solo per poter passare più tempo insieme a Kise, ma sono
certa che ora prenda
molto seriamente il suo ruolo ed è evidente che si sia
affezionata anche agli
altri membri della squadra. Si dà sempre un gran da fare per
sostenere tutti
quanti durante gli allenamenti, nonostante questo la costringa ad
alzarsi
presto ogni mattina e a sacrificare spesso i week-end. Eppure non si
è mai
lamentata una sola volta. Non potrei perdonarmi se a causa mia dovesse
perdere
tutto ciò per cui sta lavorando così duramente.
«E’
piuttosto insolito vederti assistere agli allenamenti così
presto».
«Akashi»,
pronuncio con molta calma, nonostante il suo saluto improvviso mi abbia
bruscamente risvegliata dai miei pensieri. «In effetti, non
sono un tipo
mattiniero», un lieve sorriso si distende sulle mie labbra
mentre con estrema
cautela allontano il mio sguardo da quello del capitano. È
stata una reazione
involontaria, ma sono sicura che abbia insospettito Akashi. Percepisco
infatti
i suoi occhi rubini che scrutano silenziosamente il mio volto. La sua
vicinanza
in questo momento è soffocante: se non mi allontano da lui
mi forzerà a
confessargli ciò che ho intenzione di tacergli.
«Penso
che aiuterò Mayumi e Satsuki», mi alzo dalla
panchina per raggiungere le mie
amiche intente a raccattare i palloni. Forse sono stata troppo
esplicita e a
questo punto è impossibile che una persona acuta come Akashi
non abbia capito.
Entro la fine di questa giornata dovrò comunque affrontarlo,
ma per ora ho
bisogno di un po’ di tempo per riorganizzare i miei pensieri.
Mentre
mi allontano da Akashi, la mia attenzione viene tuttavia attirata dalla
figura in
penombra sulla soglia della porta della palestra. Non l’avevo
notata prima.
Forse è uno dei ragazzi di ritorno dagli spogliatoi, anche
se a giudicare dalla
corporatura insolitamente esile probabilmente mi sbaglio. Per qualche
secondo i
miei occhi si posano sulla misteriosa ombra. Se ne sta immobile e ho
come
l’impressione che stia proprio guardando me. Stringo le
palpebre cercando di
mettere meglio a fuoco l’immagine. Un improvviso e gelido
brivido percorre la
mia schiena, provocando un tremito nel mio corpo. E’ la
stessa sensazione che
ho avvertito questa mattina appena arrivata a scuola. Che si tratti del
mio
persecutore? Possibile che mi abbia osservata per tutto questo tempo?
Fino ad
oggi non avevo idea di chi fosse, ma adesso, guardando con
più attenzione, non
ho più dubbi: si tratta davvero di una ragazza. Se la
cogliessi di sorpresa
correndo nella sua direzione potrei riuscire a vederla in faccia. No,
è meglio
di no, dopotutto non sono sola. Se adesso provassi a rincorrerla
metterei in
allerta anche Mayumi e Satsuki. Inoltre sono sicura che Akashi non
resterebbe a
guardare e si precipiterebbe all’inseguimento. Dopo la
lettera che ho ricevuto
questa mattina, non voglio assolutamente che Akashi entri in diretto
contatto
con una persona tanto pericolosa e imprevedibile. Credo sia
più sicuro far
finta di niente e raggiungere le mie amiche come avevo programmato.
«Eiko,
che cosa fai lì imbambolata?», è la
voce di Mayumi: meglio non insospettirla.
«Non
è niente», ribatto portando le mie attenzioni su
di lei con un sorriso forzato.
«Volevo aiutarvi a raccogliere i palloni».
Mi
affretto quindi verso il centro del campo di gioco, trascinando con me
il
carrello, ma prima decido di riportare velocemente le pupille sulla
misteriosa
figura nascosta nella penombra solo per rendermi conto che è
sparita. Fino ad
oggi non si era mai avvicinata così tanto a me.
Probabilmente vuole farmi
sentire sotto pressione facendomi sapere che, finché
resterò in questa scuola,
nessun posto sarà abbastanza sicuro per me. Se queste erano
davvero le sue
intenzioni, è riuscita a raggiungere lo scopo.
***
Il
trillo dell’ultima campanella della giornata è
accompagnato da un esasperato
sospiro di liberazione. Sono esausta. Non credevo che mantenere la
guardia alta
per tutto il giorno fosse così stancante. Non è
stato affatto semplice evitare
di rimanere da sola con Akashi e tenermi allo stesso tempo lontano dai
luoghi
più isolati della scuola; dopotutto non volevo rischiare di
incombere in un
attacco a sorpresa da parte del mio perseguitatore. Finalmente capisco
come si
sentono i poveri animali della savana che devono costantemente
guardarsi le
spalle dai loro feroci predatori. La consapevolezza di avere una
pericolosa
sconosciuta alle calcagna pronta ad attentare alla mia vita ha
innescato ancora
una volta il meccanismo della paranoia nella mia testa. Ho dovuto
impiegare
ogni singola cellula del mio corpo per mascherare la mia inquietudine
in
presenza di Mayumi e di Satsuki. Quelle due sono incredibilmente acute
e se mi
avessero costretto a vuotare il sacco non sarei stata in grado di
mantenere il
sangue freddo, non questa volta.
«Ehi,
Eiko, ti vogliono».
Mayumi
conquista la mia attenzione indicando la ragazza in attesa sulla porta
della
classe. Non credo di conoscerla, ma non appena i nostri sguardi si
incrociano
mi invita ad avvicinarmi chiamandomi a sé con la mano. Ha un
viso dolce,
rotondo e incredibilmente grazioso. I capelli neri e liscissimi le
ricadono
sulle spalle incorniciando le guance rosee.
«Sei
tu Eiko Wadsworth?», mi domanda con voce sottile e lievemente
acuta. Annuisco.
«Takeda-sensei vuole vederti. Dovresti raggiungerlo in sala
professori».
«Ti
ringrazio, vado subito», le assicuro, senza mostrare
eccessivo entusiasmo,
intuendo il motivo dell’improvvisa convocazione.
Il
professore Takeda insegna arte e ha un’ossessione per il
talento artistico di
Seiichi. Sono sicura che vorrà di nuovo chiedermi di
convincerlo a prendere
parte a qualche mostra. Non importa quante volte mio cugino lo
respinga:
quell’uomo non sa proprio quando arrendersi. Dopo essermi
data appuntamento con
Mayumi e Kise al cancello principale, mi separo da loro per dirigermi
in sala professori.
Le mie gambe si muovono più per dovere che per un mio reale
desiderio e una
volta giunta a destinazione il tocco delle mie nocche sulla porta
è
accompagnato da un profondo respiro di rassegnazione.
«Professore,
posso entrare?».
«Eiko,
vieni, ti stavo aspettando», la voce di Takeda-sensei
è ovattata dalla parete
che ci separa, ma non abbastanza da camuffarne l’entusiasmo
in essa racchiuso.
Mi preparo dunque ad affrontare l’euforico insegnante,
sapendo di non potermi
sottrarre all’estenuante sessione di richieste che mi
attende, e compio il
primo passo all’interno della stanza.
***
Il
sole è già tramontato quando Takeda-sensei si
decide a lasciarmi andare.
Seppure contro la mia approvazione, è riuscito a strapparmi
la promessa di
convincere Seiichi ad esporre almeno una delle sue opere alla mostra
che sarà
allestita la prossima settimana per presentare i giovani talenti
artistici
della città. Sono pronta a scommettere fin da adesso che,
qualsiasi cosa dirò
per persuadere mio cugino, si risolverà nel mio fallimento,
costringendomi, per
l’ennesima volta, a deludere le speranze del professore
Takeda. Lo so che questa
sua ostinazione è semplicemente la prova del suo desiderio
di vedere mio cugino
debuttare ufficialmente in società, ma preferirei non essere
coinvolta in
questo duello, del quale dubito vedrò mai una lieta
conclusione.
Mi
affretto giù per le scale ed esco fuori. Costeggio
l’edificio per raggiungere
il cancello principale, dove Arthur mi sta aspettando. La scuola
è silenziosa
come un cimitero notturno e improvvisamente il mio animo è
colto
dall’inquietudine. Affretto la marcia mentre passo sotto le
finestre del
corridoio dell’ala nord. So che a quest’ora non ci
sono più studenti a scuola,
eppure ho la sensazione di essere osservata. Nonostante sia
l’unica persona nei
paraggi, non posso fare a meno di guardarmi intorno con il cuore in
gola. Credo
di essere paranoica ma, dopo aver letto l’ultimo biglietto
lasciatomi dal mio
persecutore e dopo lo strano incontro di questa mattina in palestra, mi
sembra
di percepire una presenza invisibile e ostile spiarmi
nell’ombra. Forse avrei
dovuto accettare l’offerta di Akashi e lasciare che mi
aspettasse, ma non me la
sono sentita di costringerlo a rimanere a scuola fino a tardi. In
questi ultimi
giorni mi sono abituata così tanto alla sua presenza
protettiva che adesso mi
sento completamente vulnerabile senza di lui al mio fianco.
E’ inutile piangere
sul latte versato. Se ho il tempo di pentirmi della mia decisione,
è meglio che
mi sbrighi a raggiungere Arthur.
Forse
è perché questa notte non sono riuscita a
chiudere occhio, ma il mio corpo è
diventato incredibilmente pesante e la stanchezza che sono riuscita ad
ignorare
fino adesso si sta ora imponendo sui miei piedi, rallentando il mio
passo. A
giocare da complice, è anche lo stress che ho accumulato
giorno per giorno da
quando ho scoperto di essere diventata la preda di un insano cacciatore
senza
nome e senza volto.
Scuoto
la testa per scacciare via la sonnolenza che si aggrappa alle mie
palpebre: non
è stata una mossa intelligente, ma non ho il tempo di
pentirmene. Il brusco
movimento altera momentaneamente il mio senso
dell’equilibrio, facendomi
barcollare. Non potendo fare affidamento sulla vista,
anch’essa manomessa e
instabile, cerco con la mano qualcosa a cui appigliarmi per non
precipitare
sull’asfalto del cortile. Ma più cerco di dominare
lo stordimento, più sento di
perdere il controllo sul mio corpo. Come in uno di quegli specchi che
si
trovano nei parchi a tema, la realtà intorno è me
è ora completamente distorta
a tal punto che non posso distinguere l’alto dal basso, la
destra dalla
sinistra. Mi sembra di fluttuare in una dimensione intermedia, al di
fuori
dello spazio terrestre. Conosco questa sensazione fin troppo bene:
è il
preludio a un episodio di svenimento. Le mie gambe si piegano con uno
scatto,
come due rami spezzati, e mi trascinano in basso. Sollevo gli occhi al
cielo e
scorgo una figura, lontana, sbiadita. Istintivamente porto in alto un
braccio e
cerco di toccarla ma è troppo in alto perché
possa raggiungerla. Un dolore
acuto si diffonde dalla mia nuca e il mondo sparisce momentaneamente
davanti ai
miei occhi, come per l’effetto di un improvviso blackout.
Percepisco il ruvido
asfalto sfregare contro la mia schiena mentre cerco di muovermi. Quando
riapro
le palpebre, l’indecifrabile figura è ancora
lì, sopra la mia testa. La vedo sporgersi
da una delle finestre e alzare entrambe le braccia. Le sue mani
sembrano stringere
qualcosa di rotondo, ma sono troppo debole e assonnata per chiedere
aiuto. L’ultimo
ricordo impresso nella mia coscienza è il suono di una voce
familiare che grida
il mio nome.
Nota
D’Autrice: Salve, Ragazzi! ^^
Finalmente,
dopo la lunga pausa estiva, il nuovo capitolo è pronto. Vi
chiedo di perdonarmi
per l’interminabile attesa ma ho dovuto dedicare
l’estate agli esami. L
Ma
oggi ho ripreso di nuovo a scrivere e conto di portarvi nuovamente
nuovi capitoli
con più o meno regolarità.
Vi
esorto sempre a condividere con me i vostri pensieri e vi abbraccio
tutti.
Buon
Week-end!!!! >_<