Capitolo
6
“Non
voglio
avere più niente a che fare con te”
Conosco
questa voce. È la voce di Akashi. Credevo fosse
già
andato via: dopotutto sono stata proprio io a dirgli di non aspettarmi.
Allora
perché sento la sua voce così vicina?
«Eiko.
Stai bene? Riesci a sentirmi?».
Sto
bene? Non lo so. Ho perso i sensi: devo essere svenuta di
nuovo. Ultimamente mi sento sempre meno me stessa e, quando torno in
me, non
ricordo nulla di quello che è successo. Proprio come ora.
«Signorina
Eiko, la prego, apra gli occhi».
Arthur?
Questa è sicuramente la sua voce. È insolitamente
tremolante. Immagino sia molto preoccupato per me, ma non riesco a
ricordare
nulla. Che cosa mi è successo? Lentamente sollevo le ciglia
e la luce perfora
le mie pupille con una forza tale da indurmi a distogliere lo sguardo.
Qualcosa
di morbido e caldo accarezza la mia testa dolorante.
Un’intensa fragranza di
lavanda penetra le mie narici e risveglia i miei sensi. Apro gli occhi
e sopra
di me compare un soffitto che non riconosco: questa non è la
mia stanza e con
ogni probabilità non sono neanche a casa mia. Ruoto la testa
di lato e due
gemme di rubini splendenti mi salutano con tenerezza.
«Finalmente
ti sei svegliata».
«Akashi?»,
il suono che abbandona le mie labbra è più simile
a
un gorgoglio che ad una voce. Le mie iridi appannate scivolano sul
ragazzo al
suo fianco. Proteso in avanti, mi osserva con i suoi occhi di cobalto
lucido,
quasi trasparente. «Arthur, sei tu?».
«Si,
signorina. Sono qui con lei».
L’espressione
nei suoi occhi è così pietosa e allo stesso tempo
intrisa di colpevolezza. L’ultima cosa che voglia
è che si senta responsabile
di quanto mi è accaduto.
«Sto
bene, Arthur», pronuncio distendendo le labbra in un
sorriso, «perciò, ti prego, non sentirti in
colpa», infine domando: «Dove mi
trovo?».
«Sei
a casa mia», risponde Akashi.
Questo
spiega perché non ho riconosciuto né la stanza
né l’odore
di lavanda che emana dalle lenzuola che mi avvolgono. Provo a
sollevarmi dal
cuscino e subito dalla mia testa esplode una tremenda pena, simile a
mille
aghi, che provoca il mio grugnito di dolore.
«Non
ti sforzare. Sei ancora debole», il braccio di Akashi si
stringe dolcemente intorno alla mia schiena e ne accompagna la discesa
sul
materasso.
«Che
cosa è successo?», mi informo, non sopportando di
non
ricordare.
«Ti
spiegherò tutto dopo. Adesso pensa solo a
riposarti»,
nonostante il tono gentile della sua voce, la severità nello
sguardo di Akashi
mi è sufficiente ad interpretare le sue parole come un vero
e proprio ordine.
Tuttavia non posso fare a meno di preoccuparmi.
«Mi
sono preso la libertà di contattare la tua famiglia e
informarli che questa notte sarai mia ospite», le mie pupille
si allargano
mentre cerco di processare l’improvviso annuncio di Akashi.
Questo vuol dire
che trascorrerò la notte a casa sua? E i miei genitori sono
d’accordo?
Le
mie attenzioni si spostano prontamente su Arthur, in attesa
di un chiarimento.
«Ho
parlato con la Signora e le ho assicurato che sarei rimasto
con lei».
Ora
ha più senso. Sapendo che Arthur è insieme a me,
è naturale
che i miei genitori non abbiano opposto resistenza. Tuttavia sono
pronta a
scommettere che Tatsuo non l’abbia presa tanto bene, invece.
Probabilmente
quando tornerò a casa mi sottoporrà ad una severa
ramanzina. A volte sembra più
un vecchio padre geloso della figlia, che un fratello maggiore. In
fondo è
sempre stato il più apprensivo di tutti nei miei confronti.
«Visto
che sei sveglia, ti farò portare la cena»,
dichiara
Akashi sollevandosi dalla sedia. «Hai bisogno di recuperare
forze».
Con
un lieve cenno del capo, ringrazio silenziosamente il capitano
e lo seguo con lo sguardo mentre si appresta a lasciare la stanza. Mi
sento
ancora parecchio frastornata, ma ho come la sensazione che ci sia
qualcosa di
sbagliato nel modo in cui si allontana da me. Qualcosa di diverso nella
sua
camminata. Possibile che Akashi sia ferito? Una nuova pungente fitta
alla testa
mi ammonisce, ordinandomi di mettere a riposo il mio cervello e, con
esso, il
mio corpo. Prima di chiudere gli occhi, invito Arthur a sedersi accanto
a me.
Sebbene incerto e titubante, acconsente alla mia richiesta senza
distogliere lo
sguardo dal mio volto stanco e insieme attendiamo il ritorno di Akashi.
***
«È
sicura di non voler magiare altro?», domanda Arthur, sperando
in un mio ripensamento.
«Non
ho più fame», rispondo allontanando il piatto
ancora mezzo
pieno. Quindi mi volgo verso Akashi. «Mi spiace. Sono sicura
che i tuoi cuochi
si siano dati molto da fare per preparami la cena, ma ho un
po’ di nausea e non
credo sarebbe saggio ingoiare un altro boccone. Però vorrei
che sapessero che
era tutto delizioso».
«Mi
assicurerò di riportare i tuoi elogi
personalmente»,
promette Akashi, ordinando subito dopo a una domestica di portare via
il
vassoio d’argento brillante.
Ora
che mi sono rifocillata, sento di aver ripristinato parte
delle mie energie, anche se non posso affermare di essere completamente
in
salute. La benda che avvolge la mia testa è più
stretta di quanto necessario e
sento il cervello pulsare violentemente nel mio cranio, come un
martello che
batte incessante su un chiodo troppo testardo per conficcarsi nella
parete. Non
sono nelle condizioni migliori per sostenere una conversazione, ma non
ho
intenzione di rimandare oltre. Ho bisogno di sapere cosa è
successo. Abbandono
dunque la schiena sui cuscini dietro di
me e cerco di mettermi in una posizione quanto
più comoda possibile,
anche se non è facile rilassarsi in un letto che non mi
appartiene, circondata
da mura estranee.
«Sono
pronta ad ascoltare il tuo racconto», dichiaro infine,
invitando Akashi a mettere luce sulla nebbia che offusca la mia
memoria.
«Oggi
hai corso un grande pericolo, Eiko», esordisce il ragazzo
al mio fianco, in tono serioso. «Qualcuno ha seriamente
attentato alla tua
vita».
Le
mie gote gelano mentre il sangue defluisce dal mio volto,
scolorandolo. Dunque la figura che ho visto sporgersi dalla finestra
era il mio
persecutore? Non oso immaginare cosa ne sarebbe stato di me se Akashi
non mi
avesse trovata in tempo. Perché credo di non sbagliare nel
supporre che sia
stato lui a salvarmi.
«L’ultima
cosa che ricordo è che, dopo aver parlato con
Takeda-sensei, mi sono diretta ai cancelli principali per raggiungere
Arthur e
tornare a casa», confesso portando una mano alla tempia. Per
quanto mi sforzi
di ricordare, tutto ciò che è avvenuto dopo non
è che un enorme buco nero.
«E’
stato il signorino Akashi a trovarla poco prima che perdesse
i sensi», il tono rammaricato di Arthur mi induce a spostare
lo sguardo su di
lui. I suoi occhi rifiutano di incontrare i miei mentre le sue mani si
stringono in due pugni lungo i fianchi. Oh Arthur, quanto ancora hai
intenzione
di biasimarti a causa mia? Darei qualsiasi cosa per cancellare dal tuo
volto il
senso di colpa che ingiustamente ti stai imponendo.
«Appena
ti ho vista collassare», Akashi interrompe le mie
riflessioni reclamando la mia attenzione, «ho notato il vaso
che precipitava e
l’ombra del colpevole che si ritirava all’interno
della scuola. Probabilmente
in quel momento si è accorto della mia presenza e si
è dato alla fuga».
«Hai
detto vaso?», ripeto, sgranando gli occhi. Questo significa
che l’oggetto rotondo che ho intravisto tra le mani del mio
assalitore era un
vaso, l’arma che ha utilizzato per sbarazzarsi di me.
Istintivamente porto una
mano alla nuca, accarezzando il punto da cui il dolore sembra
propagarsi al
resto del mio cranio.
«Quella
ferita te la sei procurata quando sei svenuta»,
chiarisce immediatamente Akashi.
«Vuoi
dire che il vaso non mi ha colpita?».
Il
capitano annuisce. «Sono riuscito a raggiungerti prima che
ciò accadesse».
La
nebbia nella mia memoria comincia lentamente a diradarsi e la
voce di Akashi, che disperatamente chiama il mio nome, prende forma tra
i miei
ultimi ricordi. In poche parole, mi ha protetta con il suo corpo e ha
incassato
il mortale colpo al mio posto. Questo spiegherebbe
l’irregolarità che ho scorto
poco fa nella sua andatura. Quasi certamente il vaso si è
frantumato sulla sua
schiena mentre mi faceva da scudo. Come ho potuto permettere che
rischiasse la
vita per una persona come me? Se le cose fossero andate diversamente e
Akashi
non fosse stato così fortunato…? Quel vaso era
destinato a me e me soltanto. Un
momento. Perché a quell’ora Akashi si trovava
ancora a scuola nonostante gli
avessi detto di non aspettarmi?
«Pensavi
davvero che ti avrei lasciata sola sapendo che qualcuno
ti stava pedinando?», ancora una volta la risposta del
capitano anticipa le mie
parole, decifrando i miei pensieri. «Dopotutto, ho promesso
di tenerti al
sicuro».
Giusto.
Ma se avessi saputo che nel farlo avrebbe rischiato la
sua stessa vita, avrei rifiutato la sua proposta di alleanza senza
battere
ciglio. Tutta questa storia mi sta sfuggendo di mano. Non riesco a
capire per
quale motivo una persona dovrebbe arrivare a tanto solo per liberarsi
di una
ragazza come me. Che cosa mai avrò fatto per finire in
questa situazione? Beh,
dopo aver letto l’ultimo messaggio di questa mattina, ora
penso di avere
un’idea. Ed è proprio per questo che non posso
assolutamente coinvolgere Akashi
più di quanto non abbia già fatto.
«Ti
spiacerebbe dirmi cosa stai facendo?», si informa Akashi
mentre mi osserva annaspare tra le lenzuola.
«Sto
cercando di alzarmi per tornare a casa mia», rispondo senza
interrompere i miei movimenti. Tutti miei muscoli sono indolenziti e il
terribile mal di testa che sta esplodendo nel mio cranio con lo stessa
potenza
di mille cannoni non mi rende le cose meno complicate.
Un
lungo sospiro esasperato abbandona le labbra di Akashi e il
suo sguardo, dapprima indulgente e compassionevole, si assottiglia in
due
minacciose fessure cremisi.
«Rimettiti
subito a letto, Eiko».
Il
modo in cui il capitano pronuncia il mio nome provoca un
brivido lungo la mia schiena. Non avevo mai sentito tanta asprezza,
tanto
distacco, tanta intimazione nella sua voce. Il comando che mi ha appena
impartito vibra sotto la mia pelle come il freddo pungente
dell’inverno e senza
volerlo le mie braccia si stringono attorno alle mie spalle, proprio
come da
bambina ero solita rannicchiarmi in un angolo della mia stanza dopo
essermi
svegliata nel cuore della notte per colpa di un incubo. Ma il tono con
il quale
Akashi ha emesso il mio nome è reale, così come
è reale la sensazione di
disagio che provo in questo momento. Mi sento pietrificata, non solo
nel corpo,
ma anche nella mente. La sola idea di trasgredire all’ordine
del capitano è sufficiente
ad annullare completamente la mia volontà e a piegarmi ad
una servile
ubbidienza. E proprio come un servo sottomesso, non oso sollevare lo
sguardo
sul volto di Akashi.
«Per
favore, Eiko, torna a letto».
Le
labbra del capitano si schiudono nuovamente ma questa volta
la sua voce è di nuovo gentile e mi abbraccia con una
dolcezza che irradia
tepore in tutto il mio essere. È calda e sembra voglia
sciogliere il mio
turbamento, rassicurandomi.
«I-Io…non
posso. Mi dispiace», lascio cadere le braccia sul mio
grembo e rilasso le spalle. Ammiro Akashi con tutta me stessa e non
potrò mai
ripagarlo abbastanza per avermi salvato la vita. Il suo comando
intimidatorio
per un attimo mi ha colta di sorpresa, ma in fondo ho sempre saputo
quanto
autoritario fosse il capitano della squadra di basket ed è
proprio questa sua
silenziosa e implicita arroganza, frutto di un’esistenza di
successi, a
renderlo un indiscutibile leader. Ma è altrettanto vero che,
per quanto
straordinario, geniale sia, Akashi resta sempre un essere umano, con un
corpo
umano, vulnerabile al dolore e alla morte. Di conseguenza devo
allontanarmi da
lui prima che sia tardi, prima che il degenerato che oggi ha attentato
alla mia
vita decida di deviare il suo risentimento verso di lui. Non posso
indebitarmi
ulteriormente; non posso diventare io stessa una minaccia al futuro di
Akashi,
non adesso che sono finalmente venuta a conoscenza della motivazione
che sta
muovendo il mio aggressore contro di me.
«Arthur,
prepara l’auto: torniamo a casa».
Mi
sollevo dal materasso sostenendomi alla testiera del letto e
punto verso la porta. Arthur si affretta a recuperare la mia cartella e
mi
affianca ma, non appena raggiungo l’uscio e afferro la
maniglia, mi accorgo che
la serratura è bloccata.
«Se
vuoi lasciare questa stanza avrai bisogno di questa», una
piccola chiave dorata oscilla a mezz’aria fra il pollice e
l’indice di Akashi.
«Che
cosa significa?», protesto all’indirizzo del
capitano.
Akashi
abbandona la sedia e si avvicina, mantenendo gli occhi
ben piantati nei miei. Il suo volto si arresta a pochi centimetri dal
mio,
esponendo un’espressione insolitamente amareggiata.
«Questo
dovrei chiedertelo io. Che cosa mi stai nascondendo?».
Nel
momento in cui le mie orecchie carpiscono la domanda il mio
corpo si immobilizza
nuovamente. Se ne è
accorto. Si è accorto del mio segreto. Da quanto tempo, poi?
Possibile che
abbia iniziato a sospettare di me da questa mattina, in palestra?
Trattandosi
di Akashi, è piuttosto probabile. E se ha aspettato fino
adesso per uscire allo
scoperto significa che sperava in una mia spontanea confessione. Una
confessione che, tuttavia, non avrai. Questa volta sarò io a
proteggerti.
«Non
capisco di cosa parli», rispondo all’accusa,
imponendomi di
non distogliere lo sguardo.
«Ne
sei sicura?».
«Assolutamente».
Le
pupille di Akashi si abbassano sulla mia cartella, saldamente
impugnata da Arthur. Il suo braccio si distende infine per afferrare
l’oggetto
e il mio corpo reagisce istintivamente alla provocazione.
«Non
toccare!», la mia mano si stringe con forza attorno al suo
polso.
Negli
istanti di silenzio che seguono il mio gesto impulsivo, un
ghigno compiaciuto guizza sulle labbra del capitano per ritirarsi
immediatamente e riportare la bocca in posizione neutrale.
«Hai
ancora intenzione di negare?», la sua voce è
pacata ma
seriosa. «Qualunque cosa tu stia nascondendo in quella
cartella, ha sicuramente
a che fare con l’incidente di questa sera. Mi sbaglio,
Eiko?».
Per
una persona perspicace come Akashi, il mio silenzio è
più
eloquente di mille parole. Non posso più mentire: dal
momento che sono stata
scoperta sarebbe sciocco e inutile. Ma non voglio confessare. Ho deciso
di
mantenere il segreto a qualunque costo. Ebbene, sia!
«Se
vuoi il contenuto di questa cartella, dovrai prenderlo con
la forza», esclamo infine, strappando la cartella dalle mani
di Arthur e
stringendola al petto.
«Mi
stai chiedendo di usare violenza su una persona ferita?
Capisco. Deve trattarsi di qualcosa di molto importante se sei disposta
a
tanto», commenta Akashi, compiendo un passo indietro e
allontanandosi da me.
«E’ chiaro che non posso accettare la tua sfida. In
tal caso, resteremo
entrambi chiusi in questa stanza».
«Vuoi
tenermi prigioniera qui per sempre?», la mia voce esplode,
piena di indignazione.
«Ti
sbagli, Eiko. Sei tu a tenerti in prigione di tua volontà.
Ti basterebbe confessare e domani saresti libera di lasciare questa
casa».
Perché
è così testardo? Ma soprattutto,
perché lo sono io? Non è
da me prendere posizioni così ostinate. Fronteggiare
qualcuno con tanta veemenza
e ardore. Ho sempre vissuto cercando di non sbilanciarmi mai; di
mantenere i
miei sentimenti in perfetto equilibrio; di affrontare ogni situazione
con
moderata razionalità. In un simile frangente sarebbe logico
rivelare il
contenuto dell’ultimo biglietto lasciatomi dal mio aggressore
e affidarmi
all’intelligenza e ai mezzi di cui dispone Akashi per
superare la crisi. In
poche parole, sarebbe normale lasciare che sia lui a risolvere la
faccenda,
visto che ha promesso di catturare il mio persecutore e tenermi al
sicuro.
Mantenere il silenzio significa invece raccogliere sulle mie spalle
tutto il
peso e farmi carico della frustrazione, dell’angoscia,
dell’insicurezza che ne
deriveranno. E questo è esattamente l’opposto di
ciò che sono. Allora perché?
«Hai
così poca fiducia in me, Eiko?».
Mi
volto verso Akashi e lo vedo lì, in piedi, in tutta la sua
armoniosa
dignità, accentuata dal nobile e affabile sorriso sulle sue
labbra, dall’elegante
mano protesa verso di me in un silenzioso invito. Una visione
principesca che riporta
alla mia mente le splendide opere della ritrattistica rinascimentale,
di quell’arte
aristocratica tesa a omaggiare la gloria di illustri signori e potenti
sovrani;
capace di rievocare ancora oggi i fasti della vita di corte intrisa di
cospirazioni,
amori illeciti, favoritismi, ma anche di eccellenza, rettitudine,
saggezza, virtù.
Come
potrei non riporre la mia fiducia in una persona che emana perfezione
e sicurezza da ogni minuscola parte di sé; che irradia
un’aura di pura nobiltà e
vivace intelligenza da ogni gesto, ogni parola? E’ ovvio che
mi fidi di Akashi,
ma, esattamente come un devoto popolano pronto a dare la vita per il
suo magnanimo
signore, anche io, in virtù di quella inestirpabile
ammirazione che nutro dentro
di me, non posso esporre il mio salvatore al pericolo.
«Akashi»,
il mio lungo silenzio infine si spezza, «in questo momento
sei forse la persona di cui più mi fido. Ma sei anche la
persona a cui devo la vita.
Per questo motivo vorrei che rinunciassi a trovare il mio
aggressore». Inspiro profondamente
per non ritornare sui miei passi e lasciarmi convincere dal
ripensamento. Sicura
di aver preso la migliore decisione, infine dichiaro: «Non
voglio avere più niente
a che fare con te».