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Autore: LadyLicionda    25/10/2016    0 recensioni
Eiko Wadsworth scopre improvvisamente di soffrire di Disturbo Dissociativo dell'Identità, ovvero personalità multipla. I suoi problemi iniziano quando realizza che ogni personalità è dotata di una volontà propria, di desideri propri e di ambizioni uniche. Come se non fosse abbastanza, ognuna di loro si scopre ben presto innamorata di una persona diversa. Riuscirà Eiko a mantenere il suo segreto e a destreggiarsi fra le attenzioni romantiche di sette irresistibili ragazzi senza soccombere ai capricci delle sue eccentriche personalità? NOTA BENE: Per questa versione è previsto un finale multiplo (uno per ognuno dei ragazzi di KNB). Il rating potrebbe cambiare con il progredire della storia. I personaggi di KNB appartengono all'autore originale Tadatoshi Fujimaki, tutti gli altri sono personaggi creati da me.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kiseki No Sedai, Nuovo personaggio, Taiga Kagami, Yukio Kasamatsu
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6

“Non voglio avere più niente a che fare con te”

 

 

 

 

 

 

Conosco questa voce. È la voce di Akashi. Credevo fosse già andato via: dopotutto sono stata proprio io a dirgli di non aspettarmi. Allora perché sento la sua voce così vicina?

«Eiko. Stai bene? Riesci a sentirmi?».

Sto bene? Non lo so. Ho perso i sensi: devo essere svenuta di nuovo. Ultimamente mi sento sempre meno me stessa e, quando torno in me, non ricordo nulla di quello che è successo. Proprio come ora.

«Signorina Eiko, la prego, apra gli occhi».

Arthur? Questa è sicuramente la sua voce. È insolitamente tremolante. Immagino sia molto preoccupato per me, ma non riesco a ricordare nulla. Che cosa mi è successo? Lentamente sollevo le ciglia e la luce perfora le mie pupille con una forza tale da indurmi a distogliere lo sguardo. Qualcosa di morbido e caldo accarezza la mia testa dolorante. Un’intensa fragranza di lavanda penetra le mie narici e risveglia i miei sensi. Apro gli occhi e sopra di me compare un soffitto che non riconosco: questa non è la mia stanza e con ogni probabilità non sono neanche a casa mia. Ruoto la testa di lato e due gemme di rubini splendenti mi salutano con tenerezza.

«Finalmente ti sei svegliata».

«Akashi?», il suono che abbandona le mie labbra è più simile a un gorgoglio che ad una voce. Le mie iridi appannate scivolano sul ragazzo al suo fianco. Proteso in avanti, mi osserva con i suoi occhi di cobalto lucido, quasi trasparente. «Arthur, sei tu?».

«Si, signorina. Sono qui con lei».

L’espressione nei suoi occhi è così pietosa e allo stesso tempo intrisa di colpevolezza. L’ultima cosa che voglia è che si senta responsabile di quanto mi è accaduto.

«Sto bene, Arthur», pronuncio distendendo le labbra in un sorriso, «perciò, ti prego, non sentirti in colpa», infine domando: «Dove mi trovo?».

«Sei a casa mia», risponde Akashi.

Questo spiega perché non ho riconosciuto né la stanza né l’odore di lavanda che emana dalle lenzuola che mi avvolgono. Provo a sollevarmi dal cuscino e subito dalla mia testa esplode una tremenda pena, simile a mille aghi, che provoca il mio grugnito di dolore.

«Non ti sforzare. Sei ancora debole», il braccio di Akashi si stringe dolcemente intorno alla mia schiena e ne accompagna la discesa sul materasso.

«Che cosa è successo?», mi informo, non sopportando di non ricordare.

«Ti spiegherò tutto dopo. Adesso pensa solo a riposarti», nonostante il tono gentile della sua voce, la severità nello sguardo di Akashi mi è sufficiente ad interpretare le sue parole come un vero e proprio ordine. Tuttavia non posso fare a meno di preoccuparmi.

«Mi sono preso la libertà di contattare la tua famiglia e informarli che questa notte sarai mia ospite», le mie pupille si allargano mentre cerco di processare l’improvviso annuncio di Akashi. Questo vuol dire che trascorrerò la notte a casa sua? E i miei genitori sono d’accordo?

Le mie attenzioni si spostano prontamente su Arthur, in attesa di un chiarimento.

«Ho parlato con la Signora e le ho assicurato che sarei rimasto con lei».

Ora ha più senso. Sapendo che Arthur è insieme a me, è naturale che i miei genitori non abbiano opposto resistenza. Tuttavia sono pronta a scommettere che Tatsuo non l’abbia presa tanto bene, invece. Probabilmente quando tornerò a casa mi sottoporrà ad una severa ramanzina. A volte sembra più un vecchio padre geloso della figlia, che un fratello maggiore. In fondo è sempre stato il più apprensivo di tutti nei miei confronti.

«Visto che sei sveglia, ti farò portare la cena», dichiara Akashi sollevandosi dalla sedia. «Hai bisogno di recuperare forze».

Con un lieve cenno del capo, ringrazio silenziosamente il capitano e lo seguo con lo sguardo mentre si appresta a lasciare la stanza. Mi sento ancora parecchio frastornata, ma ho come la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato nel modo in cui si allontana da me. Qualcosa di diverso nella sua camminata. Possibile che Akashi sia ferito? Una nuova pungente fitta alla testa mi ammonisce, ordinandomi di mettere a riposo il mio cervello e, con esso, il mio corpo. Prima di chiudere gli occhi, invito Arthur a sedersi accanto a me. Sebbene incerto e titubante, acconsente alla mia richiesta senza distogliere lo sguardo dal mio volto stanco e insieme attendiamo il ritorno di Akashi.

 

***

 

«È sicura di non voler magiare altro?», domanda Arthur, sperando in un mio ripensamento.

«Non ho più fame», rispondo allontanando il piatto ancora mezzo pieno. Quindi mi volgo verso Akashi. «Mi spiace. Sono sicura che i tuoi cuochi si siano dati molto da fare per preparami la cena, ma ho un po’ di nausea e non credo sarebbe saggio ingoiare un altro boccone. Però vorrei che sapessero che era tutto delizioso».

«Mi assicurerò di riportare i tuoi elogi personalmente», promette Akashi, ordinando subito dopo a una domestica di portare via il vassoio d’argento brillante.

Ora che mi sono rifocillata, sento di aver ripristinato parte delle mie energie, anche se non posso affermare di essere completamente in salute. La benda che avvolge la mia testa è più stretta di quanto necessario e sento il cervello pulsare violentemente nel mio cranio, come un martello che batte incessante su un chiodo troppo testardo per conficcarsi nella parete. Non sono nelle condizioni migliori per sostenere una conversazione, ma non ho intenzione di rimandare oltre. Ho bisogno di sapere cosa è successo. Abbandono dunque la schiena sui cuscini dietro di  me e cerco di mettermi in una posizione quanto più comoda possibile, anche se non è facile rilassarsi in un letto che non mi appartiene, circondata da mura estranee.

«Sono pronta ad ascoltare il tuo racconto», dichiaro infine, invitando Akashi a mettere luce sulla nebbia che offusca la mia memoria.

«Oggi hai corso un grande pericolo, Eiko», esordisce il ragazzo al mio fianco, in tono serioso. «Qualcuno ha seriamente attentato alla tua vita».

Le mie gote gelano mentre il sangue defluisce dal mio volto, scolorandolo. Dunque la figura che ho visto sporgersi dalla finestra era il mio persecutore? Non oso immaginare cosa ne sarebbe stato di me se Akashi non mi avesse trovata in tempo. Perché credo di non sbagliare nel supporre che sia stato lui a salvarmi.

«L’ultima cosa che ricordo è che, dopo aver parlato con Takeda-sensei, mi sono diretta ai cancelli principali per raggiungere Arthur e tornare a casa», confesso portando una mano alla tempia. Per quanto mi sforzi di ricordare, tutto ciò che è avvenuto dopo non è che un enorme buco nero.

«E’ stato il signorino Akashi a trovarla poco prima che perdesse i sensi», il tono rammaricato di Arthur mi induce a spostare lo sguardo su di lui. I suoi occhi rifiutano di incontrare i miei mentre le sue mani si stringono in due pugni lungo i fianchi. Oh Arthur, quanto ancora hai intenzione di biasimarti a causa mia? Darei qualsiasi cosa per cancellare dal tuo volto il senso di colpa che ingiustamente ti stai imponendo.

«Appena ti ho vista collassare», Akashi interrompe le mie riflessioni reclamando la mia attenzione, «ho notato il vaso che precipitava e l’ombra del colpevole che si ritirava all’interno della scuola. Probabilmente in quel momento si è accorto della mia presenza e si è dato alla fuga».

«Hai detto vaso?», ripeto, sgranando gli occhi. Questo significa che l’oggetto rotondo che ho intravisto tra le mani del mio assalitore era un vaso, l’arma che ha utilizzato per sbarazzarsi di me. Istintivamente porto una mano alla nuca, accarezzando il punto da cui il dolore sembra propagarsi al resto del mio cranio.

«Quella ferita te la sei procurata quando sei svenuta», chiarisce immediatamente Akashi.

«Vuoi dire che il vaso non mi ha colpita?».

Il capitano annuisce. «Sono riuscito a raggiungerti prima che ciò accadesse».

La nebbia nella mia memoria comincia lentamente a diradarsi e la voce di Akashi, che disperatamente chiama il mio nome, prende forma tra i miei ultimi ricordi. In poche parole, mi ha protetta con il suo corpo e ha incassato il mortale colpo al mio posto. Questo spiegherebbe l’irregolarità che ho scorto poco fa nella sua andatura. Quasi certamente il vaso si è frantumato sulla sua schiena mentre mi faceva da scudo. Come ho potuto permettere che rischiasse la vita per una persona come me? Se le cose fossero andate diversamente e Akashi non fosse stato così fortunato…? Quel vaso era destinato a me e me soltanto. Un momento. Perché a quell’ora Akashi si trovava ancora a scuola nonostante gli avessi detto di non aspettarmi?

«Pensavi davvero che ti avrei lasciata sola sapendo che qualcuno ti stava pedinando?», ancora una volta la risposta del capitano anticipa le mie parole, decifrando i miei pensieri. «Dopotutto, ho promesso di tenerti al sicuro».

Giusto. Ma se avessi saputo che nel farlo avrebbe rischiato la sua stessa vita, avrei rifiutato la sua proposta di alleanza senza battere ciglio. Tutta questa storia mi sta sfuggendo di mano. Non riesco a capire per quale motivo una persona dovrebbe arrivare a tanto solo per liberarsi di una ragazza come me. Che cosa mai avrò fatto per finire in questa situazione? Beh, dopo aver letto l’ultimo messaggio di questa mattina, ora penso di avere un’idea. Ed è proprio per questo che non posso assolutamente coinvolgere Akashi più di quanto non abbia già fatto.

«Ti spiacerebbe dirmi cosa stai facendo?», si informa Akashi mentre mi osserva annaspare tra le lenzuola.

«Sto cercando di alzarmi per tornare a casa mia», rispondo senza interrompere i miei movimenti. Tutti miei muscoli sono indolenziti e il terribile mal di testa che sta esplodendo nel mio cranio con lo stessa potenza di mille cannoni non mi rende le cose meno complicate.

Un lungo sospiro esasperato abbandona le labbra di Akashi e il suo sguardo, dapprima indulgente e compassionevole, si assottiglia in due minacciose fessure cremisi.

«Rimettiti subito a letto, Eiko».

Il modo in cui il capitano pronuncia il mio nome provoca un brivido lungo la mia schiena. Non avevo mai sentito tanta asprezza, tanto distacco, tanta intimazione nella sua voce. Il comando che mi ha appena impartito vibra sotto la mia pelle come il freddo pungente dell’inverno e senza volerlo le mie braccia si stringono attorno alle mie spalle, proprio come da bambina ero solita rannicchiarmi in un angolo della mia stanza dopo essermi svegliata nel cuore della notte per colpa di un incubo. Ma il tono con il quale Akashi ha emesso il mio nome è reale, così come è reale la sensazione di disagio che provo in questo momento. Mi sento pietrificata, non solo nel corpo, ma anche nella mente. La sola idea di trasgredire all’ordine del capitano è sufficiente ad annullare completamente la mia volontà e a piegarmi ad una servile ubbidienza. E proprio come un servo sottomesso, non oso sollevare lo sguardo sul volto di Akashi.

«Per favore, Eiko, torna a letto».

Le labbra del capitano si schiudono nuovamente ma questa volta la sua voce è di nuovo gentile e mi abbraccia con una dolcezza che irradia tepore in tutto il mio essere. È calda e sembra voglia sciogliere il mio turbamento, rassicurandomi.

«I-Io…non posso. Mi dispiace», lascio cadere le braccia sul mio grembo e rilasso le spalle. Ammiro Akashi con tutta me stessa e non potrò mai ripagarlo abbastanza per avermi salvato la vita. Il suo comando intimidatorio per un attimo mi ha colta di sorpresa, ma in fondo ho sempre saputo quanto autoritario fosse il capitano della squadra di basket ed è proprio questa sua silenziosa e implicita arroganza, frutto di un’esistenza di successi, a renderlo un indiscutibile leader. Ma è altrettanto vero che, per quanto straordinario, geniale sia, Akashi resta sempre un essere umano, con un corpo umano, vulnerabile al dolore e alla morte. Di conseguenza devo allontanarmi da lui prima che sia tardi, prima che il degenerato che oggi ha attentato alla mia vita decida di deviare il suo risentimento verso di lui. Non posso indebitarmi ulteriormente; non posso diventare io stessa una minaccia al futuro di Akashi, non adesso che sono finalmente venuta a conoscenza della motivazione che sta muovendo il mio aggressore contro di me.

«Arthur, prepara l’auto: torniamo a casa».

Mi sollevo dal materasso sostenendomi alla testiera del letto e punto verso la porta. Arthur si affretta a recuperare la mia cartella e mi affianca ma, non appena raggiungo l’uscio e afferro la maniglia, mi accorgo che la serratura è bloccata.

«Se vuoi lasciare questa stanza avrai bisogno di questa», una piccola chiave dorata oscilla a mezz’aria fra il pollice e l’indice di Akashi.

«Che cosa significa?», protesto all’indirizzo del capitano.

Akashi abbandona la sedia e si avvicina, mantenendo gli occhi ben piantati nei miei. Il suo volto si arresta a pochi centimetri dal mio, esponendo un’espressione insolitamente amareggiata.

«Questo dovrei chiedertelo io. Che cosa mi stai nascondendo?».

Nel momento in cui le mie orecchie carpiscono la domanda il mio corpo si  immobilizza nuovamente. Se ne è accorto. Si è accorto del mio segreto. Da quanto tempo, poi? Possibile che abbia iniziato a sospettare di me da questa mattina, in palestra? Trattandosi di Akashi, è piuttosto probabile. E se ha aspettato fino adesso per uscire allo scoperto significa che sperava in una mia spontanea confessione. Una confessione che, tuttavia, non avrai. Questa volta sarò io a proteggerti.

«Non capisco di cosa parli», rispondo all’accusa, imponendomi di non distogliere lo sguardo.

«Ne sei sicura?».

«Assolutamente».

Le pupille di Akashi si abbassano sulla mia cartella, saldamente impugnata da Arthur. Il suo braccio si distende infine per afferrare l’oggetto e il mio corpo reagisce istintivamente alla provocazione.

«Non toccare!», la mia mano si stringe con forza attorno al suo polso.

Negli istanti di silenzio che seguono il mio gesto impulsivo, un ghigno compiaciuto guizza sulle labbra del capitano per ritirarsi immediatamente e riportare la bocca in posizione neutrale.

«Hai ancora intenzione di negare?», la sua voce è pacata ma seriosa. «Qualunque cosa tu stia nascondendo in quella cartella, ha sicuramente a che fare con l’incidente di questa sera. Mi sbaglio, Eiko?».

Per una persona perspicace come Akashi, il mio silenzio è più eloquente di mille parole. Non posso più mentire: dal momento che sono stata scoperta sarebbe sciocco e inutile. Ma non voglio confessare. Ho deciso di mantenere il segreto a qualunque costo. Ebbene, sia!

«Se vuoi il contenuto di questa cartella, dovrai prenderlo con la forza», esclamo infine, strappando la cartella dalle mani di Arthur e stringendola al petto.

«Mi stai chiedendo di usare violenza su una persona ferita? Capisco. Deve trattarsi di qualcosa di molto importante se sei disposta a tanto», commenta Akashi, compiendo un passo indietro e allontanandosi da me. «E’ chiaro che non posso accettare la tua sfida. In tal caso, resteremo entrambi chiusi in questa stanza».

«Vuoi tenermi prigioniera qui per sempre?», la mia voce esplode, piena di indignazione.

«Ti sbagli, Eiko. Sei tu a tenerti in prigione di tua volontà. Ti basterebbe confessare e domani saresti libera di lasciare questa casa».

Perché è così testardo? Ma soprattutto, perché lo sono io? Non è da me prendere posizioni così ostinate. Fronteggiare qualcuno con tanta veemenza e ardore. Ho sempre vissuto cercando di non sbilanciarmi mai; di mantenere i miei sentimenti in perfetto equilibrio; di affrontare ogni situazione con moderata razionalità. In un simile frangente sarebbe logico rivelare il contenuto dell’ultimo biglietto lasciatomi dal mio aggressore e affidarmi all’intelligenza e ai mezzi di cui dispone Akashi per superare la crisi. In poche parole, sarebbe normale lasciare che sia lui a risolvere la faccenda, visto che ha promesso di catturare il mio persecutore e tenermi al sicuro. Mantenere il silenzio significa invece raccogliere sulle mie spalle tutto il peso e farmi carico della frustrazione, dell’angoscia, dell’insicurezza che ne deriveranno. E questo è esattamente l’opposto di ciò che sono. Allora perché?

«Hai così poca fiducia in me, Eiko?».

Mi volto verso Akashi e lo vedo lì, in piedi, in tutta la sua armoniosa dignità, accentuata dal nobile e affabile sorriso sulle sue labbra, dall’elegante mano protesa verso di me in un silenzioso invito. Una visione principesca che riporta alla mia mente le splendide opere della ritrattistica rinascimentale, di quell’arte aristocratica tesa a omaggiare la gloria di illustri signori e potenti sovrani; capace di rievocare ancora oggi i fasti della vita di corte intrisa di cospirazioni, amori illeciti, favoritismi, ma anche di eccellenza, rettitudine, saggezza, virtù.

Come potrei non riporre la mia fiducia in una persona che emana perfezione e sicurezza da ogni minuscola parte di sé; che irradia un’aura di pura nobiltà e vivace intelligenza da ogni gesto, ogni parola? E’ ovvio che mi fidi di Akashi, ma, esattamente come un devoto popolano pronto a dare la vita per il suo magnanimo signore, anche io, in virtù di quella inestirpabile ammirazione che nutro dentro di me, non posso esporre il mio salvatore al pericolo.

«Akashi», il mio lungo silenzio infine si spezza, «in questo momento sei forse la persona di cui più mi fido. Ma sei anche la persona a cui devo la vita. Per questo motivo vorrei che rinunciassi a trovare il mio aggressore». Inspiro profondamente per non ritornare sui miei passi e lasciarmi convincere dal ripensamento. Sicura di aver preso la migliore decisione, infine dichiaro: «Non voglio avere più niente a che fare con te».

 

   
 
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