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Autore: FoolThatIam    21/10/2016    3 recensioni
Come reagirebbe Levi se un giorno non potesse ricomprare la sua amata candeggina? E come sarebbe Hanji se facesse il vigile urbano in un piccolo comune di provincia? E se questi due fossero due studenti di Chimica alle prese con la sessione invernale?
Una serie di one shot Alternative Universe sulla coppia Hanji/Levi, inizialmente ispirate dai prompt della levihan AU week del marzo 2016
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon pomeriggio a tutti.
Credo che ci sia stata un po’ di confusione rispetto a quando avrei pubblicato l’epilogo di Quando finisce una guerra… con fine del mese, non intendevo dire esattamente il mese in corso, ma la fine di un mese qualsiasi, quindi sinceramente non capisco questo malcontento…
Mh, c’è cascato qualcuno?
Suppongo di no!
Chiedo sinceramente scusa, davvero. Se può consolarvi questo lungo ritardo non era affatto voluto, anzi, ma quando ho riaperto il capitolo finito pensando che aveva solo bisogno delle ultime revisioni, mi sono trovata difronte alla cosa più schifosa e insensata che ho mai scritto, giuro di aver buttato giù liste della spesa con più senso di quell’accozzaglia. Ora siamo arrivati alla quarta stesura ex novo e comincio a credere che quella storia abbia preso vita propria e non voglia essere finita. Spero di essere pronta entro la fine di questo mese, ma non ve lo prometto perché a questo punto è un braccio di ferro.
Per farmi perdonare dell’assenza, ritorno ad uno dei prompt della levihan AU week  di questo inverno che avevo finito di scrivere quest’estate, uno che mi sono divertita particolarmente ad immaginare in questi mesi, mettendoci un po’ di miei ricordi universitari sparsi qua e là nella narrazione. La vita del fuori sede, le studiate finali prima degli esami, le sbronze epiche e la sensazione di quel tipo di vita che puoi fare solo nei primi venti, anche se lì per lì non te ne rendi conto: più cose fai e più ne faresti, dormire a volte non è nemmeno così necessario… bei tempi!
Le battute di spirito che cito non sono tutte di mia invenzione, ovvio, e darei i giusti crediti agli autori se mi fosse possibile, ma trovarli sembra un po’ complesso dato che in effetti le ho riportate quasi tutte direttamente dai miei ricordi.
Giusto per non mettere fastidiose note che spezzano la lettura, premetto per chi non lo sapesse che il Quark è una particella subatomica. Capirete poi perché lo dico.
Buona lettura e grazie per la pazienza!




Contesto universitario (2° prompt della AU levihan week)

Papere subatomiche

Già da un paio di minuti buoni Hanji aveva lasciato cadere la testa sul libro di Chimica Organica che aveva davanti, e di tanto in tanto si lasciava andare a un lamento che le usciva direttamente dalla gola.
«Mnuuuurggghhh!»
Levi, seduto sul letto con le spalle appoggiate alla parete, le gambe stese sulle coperte e un libro identico aperto sulle ginocchia, a un certo punto aveva alzato lo sguardo sulla sua compagna di studi, un po’ scocciato che lo stesse disturbando con i suoi lamenti. Non che l’avesse fatto con grande slancio, non voleva farle certo male, ma senza tanti complimenti le aveva lanciato la matita che teneva in mano centrandola perfettamente al centro della schiena, esprimendo così tutto il suo scontento.
Il lamento era aumentato.
«Tu, insensibile bastardo! Perché aggiungi altra sofferenza alla mia sofferenza, eh?» si era sentito chiedere da quel bozzolo che stava seduta alla scrivania, arrotolata nella coperta che si era messa sulle spalle un’oretta prima. Quella casa era il classico appartamento per studenti che non vedeva una ristrutturazione da almeno tre o quattro decadi, forse persino di più, e in quel gelido febbraio, se non potevi far altro che stare seduto a studiare, il freddo s’impossessava facilmente delle tue membra.
«Dai Hanji, un ultimo sforzo» le aveva detto per incoraggiarla. «Domani diamo quest’esame di merda e poi ci manca solo la tesi. Ce la possiamo fare.»
«No, io non ce la faccio… lasciami qui, salvati, ormai sono solo un peso morto… vai avanti… addio… ricordati di me…»
Dicendo queste parole aveva fatto finta di morire rantolando.
A Levi era venuto spontaneo ridere di quella messinscena così drammatica, Hanji si era accasciata di nuovo sul libro con la bocca aperta e gli occhi sbarrati, la lingua rosa che per un pezzetto le usciva dalle labbra e gli occhiali che le erano caduti sul naso. Una scena madre, veramente ben eseguita.
Era un periodo stressante, capiva bene come si sentisse la sua amica, ma ormai erano davvero a un passo dal traguardo, c’era da tenere duro ancora per poco. Inoltre, se tra i due c’era qualcuno che aveva da preoccuparsi, quello semmai era Levi. Hanji di fatto aveva una capacità e un’intelligenza talmente superiori ai suoi che quella laurea avrebbe potuto prenderla a occhi chiusi, e se era riuscito a rimanere in pari con gli esami e a tenere la media alta abbastanza per mantenere la borsa di studio, lo doveva proprio a quella stramba ragazza con cui aveva preparato ogni singolo esame sin da quando si erano incontrati alla facoltà di Chimica, poco meno di tre anni prima.
«Vai a morire da qualche altra parte se proprio devi farlo, scema!» le aveva detto, ricevendo in risposta un altro lamento sofferente.
Levi aveva sospirato, evidentemente non c’era modo di convincerla a rimettersi a studiare in silenzio, in modo da poterlo fare anche lui.
«Ok, va bene, facciamo una pausa. Vuoi un po’ di tè?» le aveva chiesto alzandosi dal letto e rimettendosi le scarpe.
«Sì… Earl Grey, eccellente per resuscitare i morti…»
Levi aveva annuito prima di uscire dalla stanza, si era diretto in cucina passando per il soggiorno di quella casa poco fornita ma funzionale, dove aveva trovato uno dei suoi coinquilini sdraiato sul vecchio divano, con un braccio a coprirsi gli occhi mentre ripeteva sottovoce; sul petto, aperto e con la costola rivolta in alto, teneva uno dei libri del terribile esame di Patologia Generale I.
Quello era un classico esempio del premiato metodo Erwin, terzo anno alla facoltà di Medicina: isolarsi dalla realtà e ripetere fino allo stremo delle sue forze.
Che stesse sul divano del loro piccolo soggiorno, invece che al buio in camera sua, era già una conquista. Levi ricordava con terrore i cinque mesi che ci aveva impiegato il primo anno per preparare Anatomia, durante i quali l’avevano visto venir fuori da camera sua solo per i bisogni primari, sempre più alienato ogni volta. Si era fatto un mazzo incredibile per poi arrivare all’esame e sentirsi chiedere l’unica parte del programma su cui si sentiva un po’ meno sicuro, ed era finita che pur meritando un trenta si era dovuto accontentare di un venticinque: se ci ripensava, anche a distanza di due anni dal fattaccio, ancora il ricordo gli faceva digrignare i denti.
Alto com’era, la sua longilinea figura usciva per la lunghezza dei polpacci dal divano, e in fondo non era nemmeno il più alto di casa, cosa che a Levi faceva decisamente invidia, essendo sempre stato di statura davvero piccola.
Mike, terzo anno alla facoltà di Ingegneria Informatica, l’altro abitante della casa che era certamente in camera sua a studiare come loro per il suo esame di Sistemi Operativi, non solo era persino più alto di Erwin, ma addirittura mancava di poco i due metri.
Erano amici dai tempi del liceo, quando si erano iscritti all’università avevano deciso di scegliere la stessa città per fare i fuori sede e avevano cominciato una serena convivenza fatta di una chiara divisione dei compiti secondo le inclinazioni dei singoli, scherzi idioti, pacche sulle spalle d’incoraggiamento e quando serviva pure qualche calcio nel sedere.
Poco dopo la loro immatricolazione al loro trio si era aggiunta Hanji, che aveva cominciato a frequentare Levi piuttosto assiduamente. Non viveva con loro essendo originaria della città, ma la si poteva trovare spesso in quella casa, gli altri due dopo poco non ci avevano fatto nemmeno più caso a quella presenza quasi costante, per quanto ormai si erano abituati ad averla tra i piedi.
C’era poi da ammettere che Hanji aveva subito saputo come farsi volere bene. Era una ragazza allegra, educata e non arrivava mai a mani vuote: che fossero bottiglie di vino sgraffignate dalla cantina di famiglia, teglie giganti di lasagna o torte che sua nonna le preparava appositamente per dividerle con loro, era sempre ben felice di contribuire a quella vita da fuori sede che facevano i ragazzi dell’appartamento. Diceva sempre che era persino un po’ gelosa di tutta quella loro libertà: sarebbe piaciuto anche a lei andarsene dalla casa dei suoi con la scusa di andare a studiare altrove, ma non aveva nemmeno potuto prendere in considerazione l’idea, dato che la facoltà di Chimica non solo era presente in quella città, ma era anche una delle migliori del paese.
Straordinariamente, a detta di Erwin e Mike, considerando il carattere schivo e all’apparenza molto spigoloso del loro amico, Hanji con Levi era andata d’accordo sin all’inizio della loro conoscenza. Il piccoletto di casa, infatti, era affetto da una grave forma di orsite acuta ringhiante, come gli aveva ironicamente diagnosticato Erwin, e a suo parere, il fatto che Hanji fosse riuscita a non farsi spaventare dai suoi sguardi truci e dai suoi modi sempre sulla difensiva, non era davvero cosa da poco.
In verità, sia lui che Mike avrebbero detto che sembravano anche più di amici quei due, ma erano ormai quasi tre anni che Levi negava con forza, probabilmente mentendo a se stesso prima che agli altri due sui suoi sentimenti.
Quando Erwin gli faceva notare che lui e Hanji dormivano insieme molto più spesso di quanto due che erano solo amici avrebbero dovuto, Levi rispondeva che era diverso scegliere di dividere il letto con una ragazza dallo stramazzarle accanto, per dormire qualche ora dopo aver passato la notte sui libri.
«Se non sai la differenza che c’è tra studiare e scopare» rispondeva alle sue punzecchiature su quanto tempo passassero nella sua stanza da soli, «stai pur certo che a farmi curare da te, sempre che ce la fai a laurearti, non ci verrò nemmeno se rimani l’ultimo medico del mondo.»
L’altro se la rideva sempre alle sue battute caustiche, e di solito replicava a tono.
«E io invece ti prometto che prima o poi la troverò una cura per la tua orsite acuta ringhiante, amico mio, la troverò e ti salverò da te stesso, te lo giuro!» gli diceva tra l’ironico e l’enfatico.
Di solito Levi a questo punto si limitava salutarlo col dito medio, senza aggiungere altro. Non era certo uno di tante parole, lui, ma si faceva capire benissimo.
Poteva negare quanto voleva di provare qualcosa per Hanji che andasse al di là dell’amicizia, ma dalle pareti che dividevano le loro stanze, sia Erwin che Mike li sentivano ridere spesso durante le loro sessioni di studio. Era qualcosa che Levi faceva raramente, e se quella ragazza riusciva a farglielo fare, un motivo ci doveva pur essere.

«Oh, Rain Man, tè?» aveva chiesto Levi ad Erwin passandogli vicino, chiamandolo col nomignolo che usavano quando lo vedevano studiare in quella maniera, sottintendendo che quell’atteggiamento avesse un che di autistico.
«Mh, no… caffè… » aveva replicato il ragazzo togliendosi il braccio dalla faccia e cercando di riabituarsi alla luce. Aveva strizzato gli occhi infastidito mentre si sedeva con calma, dopo qualche ora di quasi completa inattività fisica rimettersi in piedi troppo velocemente non era una buona idea.
«Io faccio il tè, se vuoi il caffè te lo fai da solo» era stata la replica secca di Levi. Ma poi, nel tempo che Erwin aveva impiegato ad arrivare in cucina prendendosela in tutta comodità, aveva già riempito il bollitore, preparato e messo sul fuoco la moka, e disposto le tazze per tutti, Mike incluso. Conoscendolo bene, sapeva che si sarebbe materializzato anche lui in cucina al primo accenno dell’odore della bevanda che si sarebbe diffuso in casa.
Gli piaceva fare lo scorbutico, ma a ben guardare, sotto quella scorza dura, Levi era capace di grande affetto per tutti: la parola no, seguita di poco da culo, merda e altre parolacce varie, era probabilmente il suo vocabolo preferito, ma non era quasi mai necessariamente un diniego secco e perentorio, più una reazione iniziale magari, seguita immediatamente dopo da più miti consigli. Spesso ti guardava come se stesse meditando di uccidere te, tutta la tua famiglia e persino il tuo cane, ma era tutta scena. In verità era probabilmente la persona più affidabile e comprensiva che conoscessero, un vero amico da avere al proprio fianco.
Quando era entrato nella stanza e aveva visto la tavola preparata e la caffettiera sul fuoco, Erwin non si era minimamente stupito che avesse già fatto tutto lui. Non avendo nient’altro di cui occuparsi si era appoggiato con la schiena al muro vicino al lavello, aveva incrociato le braccia e aveva semplicemente aspettato che la caffettiera cominciasse a borbottare.
«Qualcuno ha messo a fare il caffè?» si erano sentiti chiedere pochi minuti dopo da Mike, nessuno si era stupito del suo arrivo.
«Sì, c’è già la tazza per te sul tavolo» aveva risposto Levi mentre cercava l’Earl Grey per Hanji in uno degli scaffali della cucina, una volta che l’aveva trovato si era girato trovandosi il nuovo arrivato davanti. Guardandolo gli aveva rivolto una smorfia di disgusto.
«Vabbè che sei sotto esame, ma quant’è che non ti fai una doccia e la barba?»
Con i capelli chiari che gli cadevano sempre davanti alla faccia e quel suo solito modo di muoversi vagamente goffo, tipico di parecchie persone molto alte, Mike si era lasciato crollare su una sedia accanto al tavolo della cucina.
«Boh…» aveva risposto noncurante alla domanda di Levi.
Non si radeva da qualche giorno in effetti, questo era vero, ma per il resto non si preoccupava del giudizio di Levi sulla sua igiene personale. Chiunque era sporco per i suoi standard, dato che lui faceva almeno due docce al giorno.
«Non è che sei un fiorellino di campo manco tu, tanto per dire… quant’è che non dormi?» gli aveva chiesto puntando un dito verso i suoi occhi, a mettere l’accento sulle occhiaie pronunciate del suo amico.
«Ho dormito ben tre solide ore stanotte, perché mi rompi le palle?»
Entrambi a questo punto si erano girati verso Erwin, che stava versando il caffè per sé e per Mike nelle tazze. Sentendosi osservato li aveva guardati a sua volta, come a chiedere che volessero, anche se forse lo capiva da solo.
«Io sto una favola, non avete niente a cui attaccarvi.»
In effetti aveva ragione, dei tre era sempre stato quello più in forma, e anche in quel clima pre esame riusciva a mantenersi perfettamente in ordine. Nemmeno a dirlo, era pure quello di loro che con le ragazze aveva più successo.
Non era un semplice fatto di aspetto, ovvio che aiutava che fosse un biondone con le spalle larghe, l’occhio ceruleo e il sorriso assassino, era proprio che ci sapeva fare.
Non che gli altri due, a modo loro, non potessero essere considerati attraenti, ma Mike aveva il classico approccio da nerd, tipico dello studente di Ingegneria non abituato ad avere molte donne intorno, e Levi le spaventava quasi tutte con lo sguardo da omicida che si ritrovava. Tutte tranne Hanji, che almeno fino a quel momento rimaneva salda al suo fianco.
Avevano riso dell’uscita di Erwin, poi era stato proprio lui a fare un’osservazione su qualcosa che, stranamente, non era ancora venuto in mente a nessuno di loro.
«C’era mai capitato di finire una sessione d’esami tutti lo stesso giorno?» aveva osservato, riferendosi al fatto che tutti e tre avevano quel traguardo fissato per il mattino dopo.
Gli altri ci avevano pensato e avevano convenuto che fosse una prima assoluta.
«Io direi di invitare un po’ di gente domani sera e devastarci a modo» aveva suggerito Mike.
«Oh, certo, cosa c’è di meglio che festeggiare di aver dato Patologia se non con una bella botta alcolica al fegato…» aveva osservato ironico Erwin.
Levi aveva mugugnato a denti stretti, richiamando l’attenzione degli altri due.
«Frega cazzi del tuo fegato, tutte le volte che questo propone di invitare gente e devastarci questa casa mi diventa un porcile, e voi due non siete benché minimamente capaci di aiutarmi a riportarla ad uno stato di decenza minima!» aveva tuonato.
Gli altri due erano scoppiati a ridere.
«Levi, quanto mi attizzi quando entri nel tunnel della pulizia!» aveva scherzato Mike. «Per me mettere casino in casa è metà del divertimento, il resto è vederti pulire imbufalito il giorno dopo mentre mi riprendo dalla botta!»
Erwin non riusciva a smettere di ridere immaginandosi la scena, al che Levi, che nel frattempo aveva finito di preparare i tè per lui e Hanji, aveva puntato minaccioso il dito verso entrambi.
«Tu, vaffanculo» aveva detto a Erwin, poi si era rivolto a Mike. «E tu, fatti una doccia e poi vaffanculo.»
Poi aveva preso le tazze ed era uscito dalla cucina, lasciandoli a sghignazzare beati.
Quando era rientrato nella sua camera aveva trovato Hanji mentre rideva guardando lo schermo del suo cellulare. Anche se sotto sotto era sollevato di rivederla allegra dopo come l’aveva lasciata poco prima, in un gesto automatico che esprimeva tutta la sua frustrazione aveva roteato gli occhi verso il cielo.
«Oddio, sono circondato. Che hai anche tu da ridere tanto?»
«Quark, quark, quark!» gli aveva risposto la ragazza con aria divertita.
«E cosa vorrebbe dire?» le aveva chiesto scettico.
«Sono una papera subatomica!»
«Tu sei una scema subatomica» le aveva risposto, porgendole la sua tazza e fingendosi sconsolato a quella triste battuta da scienziati. «Dove l’hai sentita questa nuova cazzata?»
«Facebook. Le leggeresti anche tu se ti decidessi una buona volta ad accettare il ventunesimo secolo e farti un profilo.»
«Mh, aspetta che ci penso… mh… no.»
Hanji aveva riso. «In effetti per te sarebbe meglio Twitter: gli insulti più fantasiosi per tutti in soli centoquaranta caratteri! Avresti un sacco di follower.»
«La massima aspirazione della mia vita, esattamente.»
«Levi Ackerman, maestro di vita e di eleganza» aveva ribattuto sarcastica.
«Questo è vero» aveva scherzato lui a sua volta, con l’aria serissima però.
Si era seduto nuovamente sul suo letto, prendendo a sorseggiare la sua tazza di tè, mentre Hanji faceva lo stesso.
«Ci vieni a un concerto con me domani sera?» aveva chiesto la ragazza dopo un po’.
Levi ci aveva riflettuto qualche secondo. «I trogloditi di là pensavano di invitare un po’ di gente e fare baldoria, per cui quasi quasi sì, almeno me ne risparmio un po’. Chi suona?»
«Si chiamano Soviet Soviet, ho sentito il loro album tipo un casino di volte, mi piacciono un sacco.»
A sentire quel nome Levi aveva alzato un sopracciglio. «E che roba sarebbero, la risposta dei nostalgici del blocco comunista ai Duran Duran?»
Hanji era scoppiata a ridere. «Fanno un alternative rock un po’ post punk e un po’ new wave alla anni duemila. Sono abbastanza certa che ti piaceranno.»
Levi aveva fatto un’alzata di spalle, il suo modo di dire che per lui andava bene senza però mostrare mai eccessivo entusiasmo. Di solito Hanji lo trascinava in cose che finivano per piacergli, per cui non temeva che sarebbe incappato in un’esperienza spiacevole.
«Riparliamone domani sera, intanto pensiamo a sfangare questa» aveva detto riaprendo il libro per rimettersi a rivedere le ultime cose.
La ragazza però aveva scosso la testa, poi era andata con un dito a sistemarsi gli occhiali che le erano caduti sul naso. «Io non ce la faccio più, veramente. Tanto ormai quello che so, so, non ha senso accanirsi.»
Levi l’aveva guardata scettico. «Lo dici come se non avessi studiato abbastanza. Ci metto la mano sul fuoco che come al solito per te è un trenta e lode, cara la mia secchiona.»
«Secchiona sarà tua nonna!» gli aveva risposto la ragazza di getto, facendo l’offesa, anche se in verità, quando era lui a chiamarla così, sapeva bene che era solo un modo innocuo per punzecchiarla.
Quella della secchiona era un’etichetta che le avevano affibbiato suo malgrado per tutta la vita, quasi che il fatto di non essersi mai presentata un singolo giorno a scuola impreparata fosse un fatto da sfigati che non avevano una vita.
Ma non c’era niente di più falso, lei una vita ce l’aveva eccome: suonava il violoncello da quando aveva sei anni, era una più che decente giocatrice di tennis; oltre ad avere una passione smodata per le scienze era appassionatissima di storia contemporanea, e anche se poi per la sua carriera universitaria aveva preferito il ramo scientifico, poteva parlarti alla pari di certi professoroni universitari, se non persino meglio, di argomenti come la Rivoluzione Culturale di Mao, del sequestro Moro, della guerra del Vietnam o del movimento Solidarność, anche se qui Levi avrebbe suggerito a chiunque di non darle troppo spago sull’argomento Cortina di Ferro, a meno di non avere la giornata del tutto libera.
La sua era una vita assolutamente piena, lo era sempre stata. Semplicemente, non era mai ruotata intorno agli interessi più comuni dell’adolescente medio. E a quell’età, è tristemente risaputo che se sei un po’ diverso te la fanno sempre pagare cara.
Se alla sua peculiarità si aggiungevano i suoi drammi di famiglia e il fatto che Hanji non era mai stata definibile come una ragazza attraente nel senso più comune del termine, con quel fisico con pochissime forme che si ritrovava, un brutto naso, gli occhiali spessi e dotata per giunta di un senso estetico nel vestire tutto suo, si poteva ben capire come la sua adolescenza non fosse stata delle migliori.
Ma fortunatamente, anche se a quell’età sembra che il tempo non passi mai, il liceo era finito, e con l’inizio del nuovo capitolo universitario si era resa conto, finalmente, che la vita era molto di più di quel microcosmo fatto di paturnie di ragazzini.
Hanji aveva sospirato mentre Levi ridacchiava della sua reazione al suo chiamarla secchiona. Il trucco riusciva sempre, ecco perché era divertente.
«No, stavolta non credo che andrà così bene come dici col voto. Mah, chi se ne importa, basta passarlo.»
Dopo aver fatto quest’osservazione, si era rimessa in piedi e si era stiracchiata per un po’. Levi l’aveva guardata mentre tirava su le braccia e il maglione che portava era salito a scoprirle per un secondo le ossa prominenti delle anche. Se non fosse che la vedeva mangiare spesso, avrebbe temuto che fosse affetta da un qualche disturbo dell’alimentazione per quanto era magra, non che questo la rendesse brutta ai suoi occhi, però. Sapeva bene che per i canoni estetici comuni Hanji non fosse proprio una gran bellezza, ma Levi in verità l’aveva sempre trovata piuttosto attraente, a modo suo.
«Torno a casa e ti lascio in pace» aveva detto, andando a recuperare le sue cose e rimettendole dentro il suo zaino. «Ci vediamo domattina al solito posto, brontolo.»
Gli aveva dato una pacchetta sulla testa prima di uscire che Levi non era riuscito a schivare, anche se ci aveva provato.
«Ok, ciao» aveva appena fatto in tempo a risponderle prima che uscisse dalla porta.
Prima di andare via era passata a salutare gli altri ragazzi e augurato loro in bocca al lupo, augurio che le era stato restituito, con la promessa che si sarebbero rivisti la sera seguente per festeggiare.
La mattina dopo, Hanji aveva preso il trenta e lode più scontato di tutte le carriere universitarie di tutti i tempi, mentre Levi era stato ben soddisfatto del suo ventisette.
Una volta usciti dalla facoltà, anche se faceva freddo e il cielo era grigio, alleggeriti di quel fardello, la vita era sembrata di nuovo molto più bella.

Era esattamente quello che le ci voleva dopo quel mese di fuoco: un’uscita serale con il suo migliore amico che prevedesse un po’ di sano rock ‘n’ roll e bel un bicchierone di birra. Niente mancava all’appello in quel momento, mentre se ne stavano l’uno di fianco all’altra in mezzo al pubblico di quel piccolo locale del centro città, con una birra in mano e godendosi quella band di ragazzi nemmeno tanto più grandi di loro, a giudicare dal loro aspetto, che stavano mettendo su uno spettacolo davvero godibile. Aveva cercato di distrarsi canticchiando le loro canzoni che già conosceva e che le piacevano, ma ogni tanto non riusciva a non girarsi verso Levi che se ne stava tranquillo alla sua sinistra, assorto nella musica che stavano ascoltando. Gli rivolgeva occhiate furtive, sperando che lui non facesse caso ai suoi sguardi, non riusciva a farne a meno.
Doveva parlargli di una cosa importante, doveva farlo da settimane in verità, ma sembrava che il momento giusto per farlo non arrivasse mai, le parole le morivano in gola ogni volta senza che potesse farci niente. Aveva voluto farlo poco prima delle vacanze di Natale, prima che i ragazzi tornassero a casa dalle loro famiglie fino a gennaio, non riuscendoci in quel momento si era detta che era meglio aspettare la fine della sessione invernale. Adesso che era passata anche quella, non aveva più scuse.
Continuava a guardarlo di tanto in tanto, cercando di leggere qualcosa che non sapeva nemmeno lei cosa fosse dietro a quell’espressione imperturbabile che Levi aveva quasi sempre in faccia, dietro la quale nascondeva sempre i suoi pensieri e i suoi sentimenti.
Era strano se ci rifletteva, ma si era presa una cotta per lui quasi subito quando l’aveva conosciuto, nonostante quella sempiterna espressione glaciale che aveva e quell’atteggiamento sempre sulla difensiva. Colta più dalla curiosità che altro, Hanji gli aveva dato da parlare un giorno dopo una lezione e si era ritrovata a capire che non era poi un ragazzo così inaccessibile come voleva far credere.
Che con lui non ci sarebbe stato mai di più del rapporto che avevano in quel momento era qualcosa su cui si era fatta una ragione già da molto tempo, il modo in cui Levi la trattava le aveva sempre fatto intendere chiaramente che quel ragazzo non l’aveva mai considerata sotto un profilo romantico. Per un po’ era stato doloroso accettarlo, ma doveva ammettere che l’amicizia che li legava non le faceva rimpiangere niente, le andava bene così. Aveva imparato a convivere con l’idea che quel suo desiderio non sarebbe mai stato soddisfatto, oltre che con l’amara costatazione che probabilmente, la ragione per cui le cose stavano così, era perché non era abbastanza bella e femminile da suscitare in lui quell’interesse.

Quando il concerto era finito erano subito tornati a casa di Levi, per controllare che una casa ci fosse ancora, come aveva detto lui. Si erano arrampicati fino all’ultimo piano del palazzo e arrivati al penultimo, davanti alla porta dell’anziana signora che aveva l’appartamento esattamente sotto il loro, e che per fortuna sua era dura d’orecchi, dalla tromba delle scale avevano cominciato a sentire un po’ di baccano, segno che la festa era nel pieno del suo svolgimento.
Hanji aveva a stento bloccato una risata quando aveva visto Levi fare una smorfia tirata all’idea di avere la casa invasa di gente. Orso com’era in queste faccende, di sicuro non era la sua scena ideale.
E la baraonda c’era, in effetti: c’era gente stipata ovunque, tanti dei quali Levi non aveva la minima idea di chi fossero, e questo in parte non gli dispiaceva, se non li conosceva non doveva necessariamente salutarli. Hanji invece era passata in mezzo a quel mucchio di persone salutando e sorridendo, non perché conoscesse poi molte più persone di lui, ma a differenza sua era una ragazza estroversa.
Aveva trovato nella folla i suoi coinquilini, mezzi ubriachi e felici, si era raccomandato che tenessero d’occhio la situazione, ma s’era reso conto che le sue raccomandazioni erano rimbalzate loro addosso in quel clima festoso. Del resto anche lui, dopo aver accettato una serie di shot che gli avevano messo in mano, era ben presto arrivato a uno stato in cui l’ubriachezza era ancora lontana, ma un bel po’ dei suoi problemi sociali sparivano.
Si era prestato per un po’ alla baraonda, Hanji si stava divertendo e non voleva essere sempre il solito guastafeste, ma a un certo punto si era sentito afferrare per una spalla, e girandosi si era trovato una nanetta coi capelli rossi che conosceva fin troppo bene e che di solito cercava di evitare, se poteva.
Si era lasciato abbracciare entusiasticamente e per un po’ era stato costretto a darle attenzioni volendo essere educato, ma alla prima occasione possibile aveva trovato una scusa e aveva raggiunto Hanji, che dall’altra parte del soggiorno stava ridendo e bevendo con alcuni loro compagni di facoltà.
«Ma l’hai invitati tu Petra e gli altri di Chimica?» le aveva chiesto, leggermente irritato.
«Erwin mi ha detto di invitare chi mi pareva, ho fatto male?»
«Sì!» le aveva risposto di getto l’altro, per poi ripensarci un attimo dopo. «Cioè, no, ma cazzo, non me la scollo più di dosso la Ral adesso, lo sai?»
Hanji si era messa a ridere. «E ti lamenti? Ti sta dietro da un sacco di tempo, perché non la fai contenta? Non mi dire che non ti piace, è in assoluto una delle ragazze più carine della nostra facoltà.»
Levi aveva alzato un sopracciglio scettico. Per essere attraente non si poteva dire che la rossa non lo fosse, ma c’era qualcosa in lei che lo disturbava, e l’idea di andarci a letto tanto per fare, anche se l’aveva sfiorato in momenti in cui certi salutari appetiti si erano fatti sentire, non lo attirava poi troppo.
«Andiamo per un po’ sul tetto» aveva chiesto ad Hanji, in un tono che più che una richiesta sembrava quasi un ordine.
«Ma fa un freddo cane!» aveva ribattuto la ragazza.
«Dai, per favore, dieci minuti, voglio solo prendere un po’ d’aria.»
Hanji aveva sospirato, ma poi si era accinta a seguirlo senza farsi pregare troppo. Avevano recuperato i cappotti ed erano usciti sul balcone che stava in cucina, che era pieno zeppo di gente che stava fumando, cosa che aveva infastidito Levi oltre ogni misura, pensando a quanti mozziconi avrebbe dovuto spazzare via il giorno dopo. Almeno non stavano fumando in casa però, che era già qualcosa.
Come avevano fatto molte altre volte avevano scavalcato la balaustra ritrovandosi su un largo cornicione che dava direttamente sulle tegole del tetto del palazzo accanto. Fatti pochi passi su di esso, ben attenti a dove mettevano i piedi, avevano svoltato l’angolo e scavalcata ancora una bassa ringhiera si erano ritrovati su una piccola terrazza.
Non sarebbe stato loro concesso andarci, era uno spazio di competenza dell’appartamento che stava difronte al loro e dal quale si poteva accedere al terrazzino tramite una botola sul soffitto, ma l’appartamento era vuoto da mesi, per cui non ci sarebbe stato nessuno in quel momento che avrebbe potuto sorprenderli e lamentarsi di quella pacifica invasione.
Si erano seduti sul muro che cingeva uno dei lati della terrazza, in quella notte scura e senza luna le stelle erano quasi tutte fuori, Levi si era perso immediatamente a contemplarle, rimettendo a posto le costellazione con gli occhi.
Mentre lo guardava, Hanji aveva pensato che forse, in quel momento, con quel tanto di alcool in circolo da renderla un po’ più coraggiosa, era l’occasione adatta per parlargli finalmente.
«Sono ancora tutte lì?» gli aveva chiesto riferendosi alle stelle, ironicamente. Il suo fiato caldo si era condensato immediatamente all’impatto con l’aria fredda.
«Sembrerebbe di sì.»
«Ti devo dire una cosa» aveva aggiunto dopo ancora qualche secondo la ragazza.
«Lo so.»
Hanji l’aveva guardato scettica.
«È tutta la sera che mi guardi come se stessi aspettando… che ne so, il permesso di parlare?»
L’altra aveva sorriso appena, trovando divertente come spesso Levi sembrasse assolutamente disinteressato a quello che succedeva intorno a lui, eppure vedeva e intuiva tutto.
«Quindi, di che si tratta?» l’aveva incitata.
«Della specialistica.»
Levi aveva annuito, pensando che era già da un po’ che temeva che sarebbe successo. Che poi, temere che succedesse era una cretinata, perché in fondo era una cosa certa.
«Dove?» le aveva chiesto tagliando la testa al toro. «Gran Bretagna, Germania? O magari addirittura Stati Uniti?»
«Germania.»
Qualcosa aveva cominciato a premergli sul petto immediatamente alla risposta di Hanji, era quasi una sensazione di dolore, tuttavia quando era andato a risponderle non aveva fatto minimamente trasparire la sua tristezza nel sapere che se ne sarebbe andata in autunno.
«Buon per te, Quattrocchi. Sono contento, in fondo di andartene di qui è quello che hai sempre voluto, no?»
Era vero, Hanji non aveva mai fatto mistero che, appena ne avesse avuta l’occasione, voleva andarsene da quella città, dalla sua casa e dai tumulti del matrimonio dei suoi, che continuavano da anni e anni a stare insieme nonostante non avessero mai funzionato come coppia. Sin da quando era una bambina era stata sballottata di qua e di là nei loro litigi e nelle loro incomprensioni, spesso usata anche come merce di scambio o scusa per coprire o giustificare i loro attriti. Se tanti bambini avevano il terrore che i genitori potessero separarsi, lei invece lo sperava da quasi tutta la sua vita, e dato che probabilmente non sarebbe mai successo, aveva sempre aspettato il momento giusto per essere lei quella che se ne sarebbe andata, lasciandoli finalmente a vedersela da soli.
Era giusto che il suo amico fosse contento per lei se realizzava un desiderio che aveva da sempre, quindi perché in quel momento, il fatto che Levi la stesse prendendo così bene che se ne sarebbe andata le dava così fastidio?
«Siamo tutti contenti, benone. Ottimo» aveva commentato, e si era resa conto di averlo detto seccamente. «Fa troppo freddo, ho bisogno di rientrare se voglio continuare ad avere un naso» aveva aggiunto, alzandosi e prendendo la strada del ritorno.
«Ok, ci vediamo dopo» aveva ribattuto l’altro rimanendo seduto dov’era e continuando a guardare le stelle, imperterrito.
Se aveva captato il suo fastidio, Hanji non avrebbe potuto dirlo, e quella sua freddezza a quel punto la stava anche un po’ ferendo. Mentre camminava sul cornicione per rientrare, però, aveva pensato che in fondo non era così importante quello che pensava Levi della faccenda. Era la sua vita, non doveva spiegare le sue scelte a qualcuno a cui non importava poi molto di che ne sarebbe stato di lei. Inoltre, quella casa in quel momento era piena di gente a cui piaceva divertirsi esattamente come piaceva anche a lei, non come quel noioso musone.
Era rientrata, aveva mollato di nuovo il cappotto nella stanza di Levi e si era buttata nella mischia, con l’intenzione di non farsi rovinare la serata.
L’aveva visto di sfuggita solo una volta nelle ore che erano seguite, in un momento in cui Petra Ral era riuscita finalmente a placcarlo di nuovo e Hanji riusciva a cogliere tutto il disagio del suo amico. Sarebbe andata in suo aiuto in altre circostanze, ma in quel momento aveva fatto finta di non vedere. Che se la vedesse da solo.

Internamente si era maledetto immediatamente quando l’aveva vista allontanarsi, non bisognava essere tanto intelligenti per capire che l’aveva ferita. E non era sua intenzione, se non le aveva fatto capire che gli dispiaceva sapere che se ne sarebbe andata era stato solo perché non voleva mostrarle la sua debolezza, quella che lo aveva tenuto incollato lì seduto sul muretto al freddo ancora per un bel po’.
Era solo questione di mesi e avrebbe perso la sua migliore amica, forse l’unica persona, dopo Mike ed Erwin, che aveva saputo guardare oltre il suo carattere spigoloso e che lo aveva sempre accettato per quello che era.
Hanji era stata l’unica che aveva saputo spronarlo a uscire dal suo guscio e dalla quale si fosse lasciato trascinare, perché era anche vero che niente di tutto quello che era successo sarebbe stato possibile, se Levi stesso non fosse stato attratto da quella ragazza in un modo che gli era successo raramente nella vita di provare. Ed era stato semplice sin dall’inizio chiamare quel sentimento col suo vero nome, ma esserle amico era stato più facile: di sicuro a lungo andare sarebbe stato meno doloroso, perché una come Hanji non era fatta per uno come lui, ma per qualcun altro che aveva molto di più da offrirle.
Non che fosse completamente privo di pregi, ma Levi veniva dal nulla. Non aveva un buon carattere, non credeva di essere particolarmente di bell’aspetto. Era moderatamente intelligente, quasi uno scemo se solo si fosse paragonato a lei. Non aveva una famiglia alle spalle, solo uno strambo zio pregiudicato che l’aveva cresciuto e riusciva pure in parte a mantenerlo guadagnandosi da vivere in modi che Levi preferiva non sapere, e in quel terribile clima economico temeva anche di avere scarse prospettive di migliorare la sua situazione finanziaria il giorno che si fosse laureato.
Forse, se aveva fortuna, per un po’ sarebbero rimasti amici dopo che Hanji fosse partita. Si sarebbero scritti, telefonati, magari persino rivisti quando sarebbe tornata a casa, di tanto in tanto. Ma poi si sarebbero inevitabilmente perduti entrambi dietro alle loro vite, a nuove persone. E a lui, già lo sapeva, sarebbe rimasto solo il rimpianto di non averle mai detto quello che provava davvero.
Quando era rientrato in casa l’aveva fatto di malavoglia, solo per non congelarsi. Immediatamente era stato risucchiato nella baraonda di gente, in mezzo alla quale una rossa di sua conoscenza era riuscita a braccarlo di nuovo a un certo punto, mentre Levi non aveva gran forza d’animo e concentrazione per trovare un modo per sfuggirle.

Eventualmente era riuscito a mollare Petra, la ragazza si era dovuta allontanare e gli aveva intimato di non muoversi. Lui aveva semplicemente annuito, mentre pensava che era l’occasione giusta per dileguarsi, non solo da lei, ma da tutti. Aveva afferrato una bottiglia di vodka piena per un quarto, quindi si era nascosto in camera sua, sperando che nessuno andasse a cercarlo.
Aveva dato un paio di sorsate una volta che era stato sdraiato comodamente sul suo letto, ma sentiva che la sbronza gli stava salendo triste, che più che altro aveva sonno. Aveva appena avuto la decenza di appoggiare la bottiglia sul comodino prima di addormentarsi.
Si era svegliato un tempo imprecisato dopo per il rumore di una bottiglia che cadeva sul pavimento. Non aveva nemmeno idea di quanto fosse passato, aveva aperto gli occhi e si era ritrovato davanti Hanji. Sembrava molto più sbronza di lui, e aveva l’aria colpevole in faccia mentre guardava la bottiglia che aveva urtato. Non si era rotta, ma un po’ del liquido si era riversato sul pavimento, cosa che in circostanze normali l’avrebbe fatto saltare in piedi e correre a prendere il necessario per pulire, prima che il liquido facesse dell’appiccicaticcio sul pavimento. Eppure in quel momento non gliene poteva importare di meno, era solo contento di vedere Hanji lì di fianco a lui.
«Ops… l’ho fatta grossa?» gli aveva chiesto la ragazza, non riuscendo a interpretare l’espressione enigmatica sul suo viso.
«Disse quello che aveva guardato nel water prima di tirare l’acqua» le aveva risposto, serissimo.
Era una più che stupida freddura, eppure Hanji in quello stato l’aveva trovata la cosa più divertente del mondo e aveva cominciato a ridere della grossa, seguita a ruota da Levi, che aveva di colpo abbandonato la sua espressione impassibile, cedendo a una certa rilassatezza alcolica.
Hanji si era seduta sul letto accanto a lui mentre ancora rideva, poi si era sdraiata accanto al ragazzo, che le aveva fatto posto nel frattempo.
«Levi, Levi, senti questa: cosa pensa uno a cui un piccione l’ha appena fatta in testa?»
«Mh… boh… che schifo?» aveva replicato l’altro, ridacchiando.
«No, no… pensa che siamo fortunati che le mucche non volano!»
Era scoppiato a ridere, accasciandosi di faccia sui cuscini dietro a lui. «Questa è la più grossa cazzata che abbia mai sentito! Perché stiamo ridendo tanto? Mi fa male lo stomaco dal ridere…»
«No, no, non è la peggiore, senti quest’altra» aveva replicato Hanji, si era schiarita la gola quindi e aveva assunto la posa di chi stava per dire una cosa importantissima. «Lo sai cosa dice una cacca al sole? Non seccarmi!»
Per l’ennesima volta l’altro era scoppiato a ridere.
«Quattrocchi, passi troppo tempo a leggere stronzate su Facebook!» le aveva detto.
«Ma quale Facebook, nanerottolo! Queste sono freddure da scuola media, tipo quella dello sputo sulle scale.»
Levi l’aveva guardata perplesso.
«Cosa faceva uno sputo sulle scale?»
L’altro ridacchiava, incapace di pensare a una risposta che avesse un senso logico.
«Saliva!» aveva concluso Hanji soddisfatta.
Levi rideva, ma scuoteva la testa. «No, no, no, non si può ridere di cose del genere, sul serio, non si può, è un affronto alle nostre intelligenze!»
Eppure non riusciva a smettere di farlo.
Hanji a un certo punto aveva preso a lacrimare, gli occhiali le si erano appannati mentre per lo sforzo lo stomaco aveva cominciato a dolerle, più o meno come doveva essere successo a lui. Se li era tolti asciugandoli sulla maglietta di cotone che portava sotto il maglione e per un attimo il resto della stanza, Levi compreso, era sparito nella foschia della sua miopia fino a che non li aveva rimessi.
Avevano ridacchiato ancora per un po’, senza davvero che ci fosse niente per cui farlo.
«Com’è la situazione di là?» aveva chiesto Levi.
«Se ne sono quasi tutti andati via, c’è qualcuno accasciato sul mobilio del soggiorno, ma a parte questo il tuo regno è sgombro.»
«Mh, bene. Se però qualcuno mi sbava sul divano m’incazzo come una bestia.»
Hanji aveva riso per la sua ultima uscita, poi si era messa su un fianco, girata verso di lui. Aveva appoggiato la testa sulla sua spalla e Levi le aveva passato un braccio dietro le spalle, stringendola. Si erano guardati per un attimo, il ragazzo le aveva rivolto uno dei suoi rarissimi sorrisi, al quale non aveva potuto che rispondere, per poi rimanere in silenzio per un po’, godendosi la sensazione che quella scaramuccia di qualche ora prima fosse già acqua passata.
«Me la dici una cosa, nanerottolo?» gli aveva chiesto dopo un po’.
«Cosa?»
«Non te ne frega proprio niente che me ne vado?»
Levi aveva aggrottato le sopracciglia. «Per essere una tanto intelligente, sei veramente cretina a volte, Quattrocchi» le aveva risposto parlando a bassa voce. «Certo che me ne frega. Mi dispiace, ma che vuoi che faccia? Insomma, l’ho sempre saputo che eri destinata a cose più grandi, che volevi cose più grandi. Te le meriti, anche, qualsiasi cosa potrei offrirti io non dovresti nemmeno prenderla in considerazione per quanto non è alla tua altezza, nemmeno per un secondo.»
Probabilmente era stata la vodka a renderlo così sincero, si era immediatamente reso conto che stava parlando troppo.
«Hai un alito veramente, veramente pesante, lo sai?» aveva detto Hanji, facendolo ridere e contemporaneamente tirare un sospiro di sollievo all’idea che non avesse dato troppo peso a ciò che le aveva appena detto.
«Il tuo sa di rose, invece, guarda…» aveva ribattuto sarcastico, facendo ridere anche lei.
«Ho sonno. Posso dormire qui?» aveva domandato la ragazza dopo qualche secondo di silenzio.
«Sarebbe la prima volta che chiedi il permesso, di solito mi rotoli addosso e ti metti a ronfarmi nelle orecchie.»
«Sto diventando grande, metto giudizio.»
«Buon per te. Il tuo pigiama è al solito posto, io vado a lavarmi i denti.»
Quando Levi era uscito dalla stanza Hanji si era diretta verso il cassettone e aveva tirato fuori il pigiama che ormai era fisso in quella casa. A giudicare dall’odore Levi doveva averlo messo in lavatrice di recente. Si era cambiata buttando i vestiti che aveva addosso sulla sedia della scrivania, poi era uscita dalla stanza dirigendosi verso il bagno. Aveva bussato alla porta e Levi le aveva aperto. Ovviamente aveva anche un suo spazzolino in bagno, entrambi si erano messi a lavarsi i denti senza parlare.
«Ho visto il calzino sulla porta di Mike… ne deduco che ha avuto fortuna…» aveva osservato Hanji dopo, divertita, rimettendo a posto lo spazzolino.
«Le sbronze fanno miracoli» aveva commentato Levi, compiaciuto per il suo amico. Aveva anche un’espressione vagamente disgustata però in faccia.
«Mh… fammi indovinare… stai pensando a quel calzino, sperando che sia pulito, ma sai già che molto probabilmente non lo è…»
«Già.»
Erano scoppiati a ridere, Hanji dopo si era legata i capelli in una coda di cavallo non molto differente da quella che portava spesso, tirandoseli indietro per non bagnarli mentre si sciacquava il viso. Fra non molto, come al solito, quella pettinatura avrebbe cominciato a franare da varie angolature, e lei non se ne sarebbe minimamente curata.
Levi le aveva porto un asciugamano quando aveva finito di lavarsi, dopo essersi asciugata era rimasta un attimo ferma in mezzo alla stanza, l’altro aveva solo potuto stare a guardarla mentre se ne stava lì impalata con su l’espressione di qualcuno che sta riordinando dei pensieri.
C’erano un milione di motivi per stare zitti, ma Hanji per una volta stava decidendo di non seguire il buon senso. Erano state le parole che il suo amico aveva pronunciato poco tempo prima, o forse era l’alcool a prendere quella decisione, anche se sentiva di essere già molto più sobria in quel momento, ma non importava. Le sembrava di essersi tenuta i suoi sentimenti dentro per troppo tempo.
«Lo so che domani quando sarò sobria e leggermente nauseata mi pentirò di avertelo detto, ma è da quando ti conosco che più o meno penso che sei una delle persone più in gamba che ho incontrato, per cui non so che intendessi prima, quando hai detto che non hai molto da offrire. Non è vero, magari è che devi trovare persone che sappiano prenderti, questo sì.»
Per un attimo Hanji aveva abbassato lo sguardo verso il pavimento, cedendo all’imbarazzo, poi lo aveva rimesso subito su di lui.
«Nei primi tempi ho sperato per un po’ che potessi essere io… lo so, è una stupidaggine, se non ce la fa nemmeno una come Petra, io che speranze potevo avere?»
Di tutto quello che aveva detto, Levi sul momento aveva deciso di ribattere su quella meno importante, forse quasi pensando di aver capito male.
«Ma che cazzo dici, si può sapere?» le aveva chiesto, quasi indignato. «Petra è una gatta attaccata ai coglioni, come ti puoi paragonare a una così?»
«Però è molto bella.»
«Questo è vero, ma è noiosa, non ci puoi parlare di niente. E poi, lo dici come se fossi brutta. Non sei mica un cesso con gli occhiali, eh!»
Hanji aveva riso appena. «Magari no, ma di fatto quando mi piace qualcuno o finisce che si mette con una molto più bella di me, o rimango schiacciata nel ruolo sempiterno dell’amica.»
«Ci sono tipi ben idioti in giro» aveva commentato Levi, mettendole una mano sul braccio, stringendoglielo appena. Le fissava una clavicola, dato che stava esattamente davanti alla linea del suo sguardo essendo di qualche centimetro più basso di lei, incapace di guardarla negli occhi.
Non poteva più fingere di non capire cosa gli stesse dicendo, ma allo stesso tempo non si faceva alcuna illusione, anche e soprattutto per le nuove notizie che Hanji gli aveva dato quella notte.
«E in quanto a me, ho preso quello che potevo» aveva commentato senza nascondere il tono triste e un po’ rassegnato di quell’affermazione.
«Che vuoi dire?» aveva chiesto la ragazza, genuinamente incuriosita.
Levi aveva preso un respiro profondo, così facendo anche dandosi un attimo per riflettere. Non aveva ragione di non essere sincero anche lui, a questo punto.
«Mi sei sempre piaciuta Hanji, ma non ha grande importanza quello che provo. L’ho sempre saputo che eri fuori dalla mia portata e che se anche avessi avuto abbastanza culo da piacerti in quel modo sarebbe arrivato comunque il giorno in cui avresti preso baracca e burattini e saresti filata via. E ci siamo… Per cui che accidenti di senso ha fare questo discorso adesso, nel cesso, alle quattro di mattina mentre siamo ancora mezzi sbronzi? Cazzo…»
Si era messo una mano sugli occhi, massaggiandoseli. «Andiamo a dormire, se abbiamo fortuna siamo ancora abbastanza ubriachi da non ricordarci niente domani.»
Aveva fatto per andarsene, ma Hanji l’aveva trattenuto per un braccio. Prima che potesse dire qualcosa gli aveva messo le mani intorno al viso e aveva appoggiato le labbra alle sue.
Era successo nel giro di un secondo, la sorpresa l’aveva gelato per un attimo, ma immediatamente dopo l’aveva baciata a sua volta come si era immaginato di fare innumerevoli volte, e nessuna fantasia era stata mai perfetta come la realtà che stavano vivendo. Le aveva stretto le braccia intorno alla vita e semplicemente si era goduto il momento, almeno finché il suono di qualcuno che russava sonoramente non aveva interrotto la magia di quell’attimo.
All’inizio era stato un distaccarsi dovuto alla sorpresa, al leggero spavento che aveva causato in loro quel rumore nel silenzio, ma poi, quando avevano chiaramente capito di cosa si trattasse, avevano tirato un sospiro di sollievo.
Hanji si era messa a ridere, Levi aveva individuato immediatamente che quel rumore molesto veniva dalla vasca da bagno accanto a loro. Aveva tirato via con un gesto secco la tendina della doccia, trovandosi davanti Erwin che dormiva beato, rannicchiato in un angolo.
«Non ci posso credere…» aveva commentato Hanji tra una risata e l’altra.
Non sapendo se ridere o se arrabbiarsi, Levi era andato a scuotergli una spalla, l’altro si era a malapena ripreso. Quantomeno non era in coma etilico, e questo era già qualcosa.
«Ohi! Erwin! Va tutto bene?» lo aveva richiamato.
«Meravigliosamente…» aveva biascicato l’altro.
«Perché non te ne vai a letto?»
«Troppo lontano… mi riposo un attimo… ci vado dopo.»
L’istinto era stato di lasciarlo lì, ma si sarebbe svegliato tra qualche ora completamente dolorante per la posizione in cui stava e mezzo morto di freddo, magari col rischio di ammalarsi.
Si era girato verso la ragazza che guardava la scena divertita, rivolgendole un’espressione con gli occhi sbarrati che commentava eloquentemente quello che pensava della scena che avevano davanti.
«Ti tocca aiutarmi, non ce la faccio mica a portare questo bestione a letto da solo.»
Hanji aveva annuito divertita.
L’avevano tirato su e aiutato a camminare fino alla sua stanza, quindi Levi gli aveva tolto le scarpe e si era assicurato che fosse coperto mentre Hanji spostava il cestino della cartastraccia da sotto alla scrivania vicino al suo letto. Levi le aveva fatto un cenno di approvazione a quell’idea, mentre uscivano dalla stanza e andavano verso la sua.
Appena entrati Hanji si era seduta sul letto con le gambe incrociate, Levi si era spogliato per mettersi il pigiama a sua volta senza scomporsi, del resto non era la prima volta che si cambiava davanti a lei.
«Sei stato gentile a metterlo a letto» gli aveva detto, guardando per terra.
«È che non voglio che domani abbia scuse quando si tratterà di aiutarmi a ripulire quel casino, hai visto che schifo era ridotto il soggiorno? Razza di bestie…»
Hanji aveva riso, constatando per l’ennesima volta quanto Levi volesse sempre nascondere dietro la sua maschera burbera quanto in verità fosse gentile.
«Sei sempre dell’idea che speri che domattina non ci ricorderemo niente?» gli aveva chiesto dopo un po’.
«Penso sia alquanto impossibile a questo punto» le aveva risposto Levi quasi come se fosse una brutta cosa.
«Non vado via domani, lo sai questo? Sarò qui per altri sei o sette mesi almeno.»
«Ma alla fine te ne andrai comunque.»
Si era seduto accanto a lei dopo aver finito di vestirsi, si guardava le mani che teneva in mezzo alle ginocchia.
«Peccato che non viviamo nell’era di internet e dei voli low cost, vero? Vado in Germania, mica in Australia!» aveva scherzato lei, cercando di sdrammatizzare.
«Non pensi di correre, adesso?»
Hanji gli aveva sorriso appena, si era presa qualche secondo per replicare.
«Mettila così, ho molta fiducia nelle cose che cominciano bene. E se prosegue in modo epico quanto lo è stato il nostro primo bacio, potremmo avere per le mani la storia d’amore del secolo!» aveva scherzato.
In effetti cosa ci poteva essere di più epico di un bacio scambiato quasi per caso sulla scia di un’ubriacatura, in bagno, in piena notte, e interrotto dal coinquilino ubriaco che russa nella vasca da bagno?
Aveva riso appena pensandoci, ma non si era ancora deciso a guardarla, e questo cominciava a starle un po’ stretto.
«Levi… ehi…»
Gli aveva messo una mano sulla spalla, sortendo finalmente l’effetto di richiamare la sua attenzione. Una volta che si era girato verso di lei gli aveva appoggiato l’altra mano sull’altra spalla.
«Che ne so io come andrà, sto solo dicendo che se vorremo, in qualche modo la faremo funzionare. Intanto proviamo, che ragione abbiamo di negarci almeno questo? Piccoli passi, ok?»
Levi aveva annuito, si era sciolto dal tocco delle sue mani per poi alzarsi e camminare lungo il lato del letto, prendendo in mano le coperte.
«Rimani lì?» le aveva chiesto, vedendo che lo guardava senza capire quali fossero le sue intenzioni.
Hanji si era alzata quindi, raggiungendolo sotto le coperte dal lato opposto.
Era strano, era una cosa che avevano già fatto molte più volte di quanto avrebbe potuto contarle quella di dormire insieme, eppure era completamente diversa stavolta. Levi aveva come la sensazione di avere una cosa che aveva sempre voluto a portata di mano, ma gli era rimasto un fondo di esitazione che non sapeva spiegarsi troppo bene.
Erano entrambi sdraiati su un fianco, si fronteggiavano, aveva allungato una mano cercando di convincersi che era un gesto che finalmente non era fuori luogo. Con i polpastrelli le aveva sfiorato una guancia, proseguendo lungo lo zigomo. Si era ritrovato ben presto a sfiorarle i capelli sopra l’orecchio. Hanji gli aveva passato un braccio intorno alla vita abbracciandolo, gesto che anche lui aveva replicato dopo quella carezza.
Ed era stato quando l’aveva sentita tra le sue braccia, mentre gli stava premuta contro nella sua esile figura, che la realtà dei fatti gli era stata chiara. L’aveva colpito in pieno, dandogli uno strano ma appagante senso di soddisfazione e di appartenenza. Non importava quanto avesse negato in precedenza, quanto avesse cercato di non desiderare qualcosa che era certo non sarebbe mai potuto essere suo: era stato un idiota, aveva sprecato un sacco di tempo, ed era arrivato il momento in cui l’unica cosa intelligente da fare era di non buttarne via altro.
Le aveva sorriso, in un modo aperto e sincero che non gli veniva mai di fare, ma in quel momento era pervaso da una strana sensazione che somigliava alla felicità, e non aveva ragione di nasconderle che fosse a causa sua. Poi aveva appoggiato la fronte alla sua e chiuso gli occhi.
«Dato che il primo è andato bene, proviamo a vedere come va il secondo?» le aveva chiesto.
Hanji aveva riso appena e poi annuito, Levi l’aveva capito nonostante gli occhi chiusi dal modo in cui le loro fronti e i loro nasi si erano strofinati gli uni contro gli altri.
Non aveva indugiato quindi, aveva appoggiato le labbra sulle sue cominciando quel loro secondo bacio.
Poi ce n’era stato un terzo, e un quarto. Poi un quinto.
Poi contarli non aveva avuto più molto senso.




P.S.
I Soviet Soviet esistono. E se dovesse piacervi il genere, andatevi ad ascoltare il loro primo disco “Fate”, perché merita.
   
 
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