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Autore: sam_di_angelo    22/10/2016    1 recensioni
Quando gli occhi di un ragazzo dalle cattive abitudini incontrano per puro caso lo sguardo dell'altro, inchiodato in un letto d'ospedale, tutto cambia, tutto assume un aspetto differente.
Due mondi a sé stanti, due personalità troppo simili eppure così puramente diverse.
casa[cà-sa] s.f.
1 Edificio a uno o più piani, di dimensioni e aspetto vari, adibito ad abitazione dell'uomo.
Qual è la vera casa di Cole Blaze? La sua piccola dimora numero 251 affacciata sulla strada più vecchia e consumata del suo quartiere, oppure quegli occhi a mandorla color caffè che continuano imperterritamente a tormentarlo?
"It's their loss. Not yours."
CAST:
Park Chanyeol - Cole Blaze
Byun Baek-hyun - Boyce Hanks
© Sam Di Angelo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Baekhyun, Baekhyun, Chanyeol, Chanyeol, Kai, Kai, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1

Cole Blaze era assonnato, affamato, annoiato e disidratato.

Impegnato a scrivere la sua tesina per gli esami, aveva iniziato a ripetere il programma di biologia del terzo anno, prima che le parole iniziassero a trasformarsi in rune elfiche. 

Più leggeva e più si sentiva un marziano che non aveva mai sentito parlare di biologia in vita sua. 

Quelle conoscenze che in terzo aveva completamente assorbito ed imparato sembravano essere evaporate. Non ricordava categoricamente niente.

Sbatté il libro con violenza e lo lanciò in un angolo della stanza.

Frustrato, cercò qualcosa per distrarsi. Guardare un film? Leggere un fumetto? Fumarsi una sigaretta? 

O meglio, provare a chiedere a Chanette del parco divertimenti? Quello sì che sarebbe stato un impegno che avrebbe potuto distrarlo.

Il ragazzo si alzò, e, sperando che sua mamma fosse di buon umore, scese le scale e andò in cucina. Un piacevole odore di torta alle mele gli invase le narici, facendolo sospirare. Se sua mamma cucinava dolci, allora era felice.

«Mamma?» la chiamò, notandola spuntare da dietro al bancone, con tutto il grembiule rosso sporco di farina.

«Sì?» lo guardò scostandosi goffamente i capelli dal volto, le mani fasciate dai guanti da cucina. 

«Ti vedo molto dimagrita, vai ancora in palestra nel giorno libero?» la donna dai lunghi capelli biondi guardò il figlio con l'espressione di chi la sa lunga.

«Che vuoi, Cole?» il figlio allacciò le mani dietro la schiena e iniziò a dondolare sui piedi.

«Mi chiedevo... Se... Tu...» 

«Cole, dai! Devo mettere lo zucchero a velo sulla mia bellissima apple pie.» Cole aggrottò le sopracciglia.

Apple pie? 

Fece spallucce.

«Mi presteresti i soldi per andare al parco divertimenti con Lou e gli altri domani?» chiese cercando di sembrare piccino e tenero. 

Aveva già dato conferma ai suoi amici che l'indomani ci sarebbe andato al parco divertimenti... cosa molto stupida, dato che non aveva ancora chiesto il permesso a sua mamma. 

«D'accordo, ti farà bene respirare un po' di aria e divertirti.» Cole spalancò gli occhi, sorpreso dalla favolosa riuscita dell'impresa. «Ad una sola condizione.» continuò Chanette.

Eh già, era sembrato fin troppo facile.

«Lunedì vieni con me a trovare nonna Georgia, e stavolta ti ci porto con il guinzaglio.» Cole nemmeno ci rifletté su, ed ignorò anche quale fosse il motivo per cui sua mamma insisteva tanto per fargli vedere sua nonna. 

«Okay.» accettò, senza pensarci due volte.

 

2

Non appena il gruppo di adolescenti varcò la soglia del parco divertimenti ognuno di loro spalancò la bocca. 

Nel momento in cui Cole notò la cima di una montagna russa in lontananza si mise a ridere e quasi saltellò come un bimbo nel giorno di Natale. La giostra saliva a più di 40 metri e scendeva in picchiata, scatenando le urla delle persone su di essa, udibili fin dall'entrata.

E in un secondo gli occhi marroni di Cole Blaze si spalancarono, e vennero travolti da un'ondata di orrore che lo fece rabbrividire. Guardò i suoi amici, tutti con lo zainetto in spalla, che decidevano quale zona del parco esplorare alla ricerca di ragazze. 

Già, perché Lou, Mark, Davy e Kam erano sempre andati al parco divertimenti per rimorchiare, cosa alquanto idiota, oppure per andare su quelle giostre per bambini. Cole quasi scoppiò a piangere. Tanto preso dall'adrenalina aveva completamente dimenticato il fatto che ogni volta che il suo gruppo andava ad un parco di divertimenti, lui e Kellin si separavano appena entrati per andare a farsi rimescolare le budella sulle giostre a 100 km orari, mentre gli altri sparivano alla ricerca di giovani amori.

«Cole, andiamo? Ci stiamo spostando verso l'area dinosauri.» annunciò Mark, tutto contento. Il viso piccolo, da volpe, era acceso da un'espressione determinata e furba, il corpo fasciato da dei pantaloni neri e una maglia grigia, stretta. 

Davy era vestito altrettanto bene, così come Lou e Kam. Cole ripescò dalla mente il ricordo di quella mattina, quando si era svegliato e aveva preso le cose più comode che gli erano capitate dall'armadio, vale a dire una t-shirt oversize verde e scolorita con su stampato Hulk e dei pantaloni neri tutti strappati.

«Okay...» sussurrò deglutendo, a malincuore, stringendo le spalline del suo zainetto nero preferito. L'idea di rimorchiare qualche bella ragazza non gli dispiaceva, ma se si trattava di dover scegliere fra una delle tante tipe e le giostre spericolate aveva sempre scelto le giostre, assieme a Kells. 

Dio, quanto gli mancava.

 

3

Cole Blaze non poteva credere a quello che stava accadendo. Era seduto da un abbondante quarto d'ora su un muretto, i gomiti sulle ginocchia e il viso sui palmi, a guardare la gente che si divertiva. Vedeva i bambini tirare le maniche dei genitori, gruppi di ragazzi che correvano tutti bagnati per via delle attrazioni ad acqua, ragazze che mettevano in mostra i loro costumi da bagno colorati e persino qualche nonnetto... il tutto condito con delle risate che riecheggiavano nella testa del ragazzo e gli affettavano il cervello come fossero coltelli.

Sospirò, in preda alla malinconia più assoluta. Aveva mollato i suoi amici quando questi avevano deciso di andare a vedere lo spettacolo di magia... erano davvero impossibili. 

Quasi non si accorse di una persona che si era parata proprio davanti a lui.

«Ciao!» disse una voce dolce, ma allo stesso tempo squillante e allegra.

Cole osservò le converse rosse e scolorite che aveva davanti agli occhi, per poi risalire lungo due gambe magre al punto giusto, passare su degli shorts di jeans strappati e larghi, su per una porzione di pancia scoperta, i fianchi accennati, una maglia corta stile vecchio college, seno dalla taglia assolutamente proporzionata e collo sottile adornato da una catenella argentata. Si soffermò sul sorriso della ragazza, cordiale e sincero, sul naso piccolo, sugli occhi a mandorla dello stesso colore dei suoi e sui capelli mossi e corvini legati in modo disordinato con un elastico.

Sembrava simpatica e gentile.

«Ciao.» rispose infine, drizzando la schiena. Era davvero una ragazza carina, e sembrava pulita, a differenza di quelle che era abituato a frequentare.

«Ti annoi proprio, eh?» Cole fece spallucce. «Già.» la ragazza lo squadrò un attimo e poi si sedette accanto a lui, lasciando cadere a terra il suo zaino rosso pieno di spillette e toppe di band rock.

«Ti andrebbe di fare qualche giostra assieme? Anche io sono sola, le mie amiche scorrazzano in giro e cercano ragazzi.» alzò gli occhi al cielo. Sarebbe potuta sembrare una richiesta maliziosa, se solo fosse stata pronunciata da una delle tante che Cole conosceva, qualcosa come "Ehi, ti va qualcosa di spericolato? Solo io e te". Invece quella domanda era risultata cristallina e cordiale, priva di fraintendimento.

«Non conosco nemmeno il tuo nome, mamma e papà non vogliono che io vada a farmi sballottolare su delle giostre con degli sconosciuti.» la ragazza rispose scoppiando in una risata, gettando la testa indietro. Cole notò i tre orecchini, cerchietti, che le risalivano l'orecchio piccolo, in fila.

«Sono Tani, piacere.»  disse dopo essersi ricomposta, allungando una mano dalle dita lunghe e affusolate. Cole la strinse, notando con piacere quanto la sua pelle fosse morbida e tiepida.

«Cole, piacere mio.» 

«Bene, adesso che mi conosci, ti va di andare a provare qualche giostra?» fece un'enorme sorriso. Cole non poté fare a meno di ricambiarlo. 

«Mi hai convinto, ma sh, mamma e papà non devono saperlo.» lei strizzò un occhio.

«So mantenere i segreti.» sussurrò, prima di alzarsi e incamminarsi. Si fermò un attimo, per constatare se Cole la stesse seguendo. Il ragazzo guardò i suoi capelli ondeggiare e il suo sorriso radioso, che gli risultava stranamente familiare. Fatto davvero strano, dato che in quelle circostanze Cole avrebbe squadrato più il sedere di una ragazza, invece che il suo viso.

Si affrettò a raccogliere lo zaino e si alzò in tutto il suo metro e ottantacinque di altezza. Raggiunse Tani e la affiancò, notando quanto lei fosse irrimediabilmente bassa. Gli arrivava a mala pena alle spalle! Il ragazzo ridacchiò sotto i baffi.

«Cose c'è di così divertente? Vorrei poter ridere anche io.» gli chiese lei, sempre con quel tono scherzoso.

«Nulla, semplicemente mi ricordi una persona... siete bassi uguali.» e Cole rise, la prima risata della giornata, per via Boyce, per la sua altezza. In un certo senso gli mancava quel ragazzo, anche se lo conosceva davvero poco. 

«Capisco... Allora, ti va di provare lo Speed Master? Ho sentito che raggiunge i 120 km orari in 0.2 secondi!» Cole spalancò gli occhi. «Assolutamente!» rispose in preda all'euforia. 

Finalmente si prospettava una giornata interessante. 

Così i due si incamminarono verso la montagna russa rossa che Cole aveva adocchiato all'entrata. Entrambi non potevano stare nella pelle. Chissà, magari sarebbe potuta nascere un'amicizia... 

 

3

«Cosa dice?» chiese l'uomo. Se ne stava lì, dritto, davanti al suo interlocutore. 

«Avevamo raggiunto miglioramenti, poi c'è stato un crollo, apparentemente senza una motivazione valida.» rispiegò l'altro, col cimice bianco e la targhetta col suo nome. Si aggiustò sulla sua sedia girevole in pelle, cercando di mantenere contegno e professionalità sotto lo sguardo vigile dell'uomo alto che aveva d'innanzi. Per un istante il volto di quest'ultimo si contrasse in un'espressione indecifrabile, per poi tornare come prima: impassibile.

Con uno scatto improvviso si avvicinò al medico, chinandosi sulla scrivania, la giacca nera e la camicia bianca tese sui muscoli pronunciati. I lineamenti asiatici si indurirono, mettendo il dottore in soggezione. Il ripiano di legno su cui poggiava le braccia cautamente, unico ostacolo che lo separava dall'uomo elegante, sembrò essere fatto di cartapesta. 

«La avverto.» iniziò, la voce profonda e rauca. Un raggio di luce che filtrava nello studio cozzò contro l'orologio costoso dell'uomo in cravatta, facendo schizzare un filo argenteo sui muri bianchi. 

«Lei ha un solo compito.» continuò. Il medico a quel punto dovette impedire ai suoi arti di tremare. 

«Tenga quel ragazzo in vita, o saranno guai seri.» annunciò, e il medico temette per la sua vita. Le sopracciglia folte dell'altro si incresparono, conferendo al viso un'ulteriore dettaglio di ira e forza. Si allontanò e si risedette garbato, di nuovo apparentemente apatico. 

«Sono stato abbastanza chiaro?» chiese infine, incrociando le mani sul tavolo. Il dottore annuì immediatamente, docile come un agnellino.

«Chiarissimo.»       

 
   
 
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