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Autore: maryana    11/05/2009    0 recensioni
Fan fiction che tratta di Twilight dal punto di vista di Edward. In attesa che la Meyer pubblichi l'originale, ne ho dato una mia liberissima interpretazione. Da premettere che non ho dato il minimo sguardo ai capitoli in inglese già disponibili sul web.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2

Eccezione

 

Sbattei lo sportello della macchina con rabbia, impugnai il volante stringendolo in tensione, ero fuori di me!

Quando fui raggiunto dai miei fratelli, cercai di ritrovare la calma ma non credo di essere stato molto bravo a nascondere la mia irritazione.

Soprattutto con Jasper che possedeva un talento come me: era in grado di percepire gli stati d’animo di quelli che lo circondavano, influenzandoli.

Ero sicuro, che tutti si fossero accorti che qualcosa non andava, che non ero come al mio solito, eppure nessuno pose domande.

Premendo sull’acceleratore partii a tutta velocità verso casa, non vedevo del tutto la strada davanti a me…la mia mente era altrove: questa ultima giornata scolastica mi aveva riserbato due gran brutte sorprese…non riuscivo a leggere nella mente della nuova arrivata, e nonostante ciò mi infastidisse poteva passare come problema, ma che il suo odore mi facesse perdere la testa, senza riuscire ad impormi il mio solito contegno, era inammissibile!

Scossi il capo ripetutamente, per tutte quelle volte in cui la sua figura compariva prepotente davanti i miei occhi, ed il mio olfatto ricordava sensibilmente il suo odore…chi era, cosa aveva di speciale…perché lei?!

Nei pressi di casa, ero ormai prossimo a convincermi che poteva esserci una sola soluzione: andare via, per sempre!

Li lasciai tutti in garage, prima di rimettere in moto la macchina.

“Tu non vieni?”

Mi chiese telepaticamente Alice, guardandomi sorpresa: abbassai il finestrino.

<< Devo fare una commissione, arriverò prima che faccia buio >>

Mentii, certo se le avessi rivelato i miei piani di fuga non mi avrebbe mai lasciato andare.

Annuì con un sorriso e raggiunse gli altri in casa.

Fu così che tornai verso il centro di Forks, dovevo parlare con mio padre, il medico della città, così mi diressi all’ospedale.

Entrai senza indugio, anche se il mio cuore era in tempesta: mi ero visto costretto a lasciare la mia famiglia, ciò che in quel momento avevo di più caro.

Non vedevo realmente il lungo corridoio bianco, davanti a me c’era il viso dolce e gli occhi amorevoli di Esme, la mia madre adottiva, li immaginai rattristati dalla mia decisione.

Ero arrivato davanti la porta dello studio di Carlisle, ma rimasi con la mano sospesa in aria esitante: e se avessi lasciato perdere?!

Ma improvvisamente ripensai ad Isabella, e il risultato fu lo stesso, la gola bruciava e la bramosia del suo sangue era sempre più forte.

No, dovevo andarmene al più presto. E l’unico che potevo mettere al corrente della mia decisione era Carlisle. Esme ed Alice ero certo non avrebbero mai permesso la mia partenza.

<< Devo andare via! >>

Mio padre si alzò dalla sua scrivania, allibito:

<< Cosa è successo? >>

<< Se voglio evitare la morte di un’innocente, devo lasciare Forks >>

Carlisle era sempre più sconcertato.

<< Per favore, Edward, calmati e spiegami tutto più chiaramente >>

Mi lasciai cadere su una sedia, improvvisamente esausto:

<< La figlia dell’ispettore capo Swan… è diversa- a parte che non riesco  leggerle nella mente, cosa di per sé inspiegabile- il suo odore è diverso. Non riesco a starle vicino, ho avuto più d’una volta la tentazione di volerla uccidere bevendo il suo sangue >>

Parlavo veloce, senza controllo.

Carlisle annuì con il capo, prima di sedersi di fronte a me, al di là della scrivania.

<< Pensi proprio di non poter sopportare oltre? >>

Scossi il capo con le narici dilatate, scuro in volto.

<< Non posso trattenerti, se in gioco c’è la vita di una ragazza >>

<< Grazie, sapevo che avresti capito >>

Ci alzammo entrambi, mi abbracciò con fare paterno:

<< Dove andrai? >>

<< In Alaska, pensavo di recarmi un po’ ospite dal clan di Denali >>

<< Ottima idea, li avverto del tuo arrivo >> si avvicinò al telefono << Ma sono certo che ti accoglieranno senza problemi >>

Assentii con il capo un’ultima volta, prima di voltarmi pronto ad andarmene:

<< Edward >>

Mi rigirai nel sentire il mio nome, ma la mano stringeva già la maniglia.

<< Chiama quando arrivi >>

<< Certo >>

<< Buona fortuna, figliolo >>

<< Grazie… abbraccia Esme da parte mia… >> fui sopraffatto dal dispiacere nel pronunciare il suo nome.

Fuori dall’ospedale, presi la macchina di Carlisle, avevo bisogno di un pieno.

Avevo percorso pochi kilometri quando sentii una voce nella mia testa:

 “ Non farlo, Edward!”

Era mia sorella Alice, evidentemente ero ancora abbastanza vicino da poterla sentire. 

Una parte di me aveva sperato che mia sorella, dotata come me di un talento, non avesse una visione sulla scelta che avevo fatto…ma invece, lo sapeva eccome.

Non potevo rispondere alla sua supplica, ma lei continuò a scongiurare:

“Resisti ce la puoi fare”

Più i kilometri aumentavano, e più la sua voce andava sbiadendosi.

“Mi mancherai…”

Fu l’ultimo pensiero di Alice che riuscii a percepire.

Strinsi con forza il volante,sapevo che sarei mancato a tutti loro, e la cosa era reciproca ma nonostante il grande affetto che ci legava, non potevo fermarmi…potevo solo continuare il mio viaggio, con il cuore sempre più pesante.

Non guidai con troppa foga, non avevo fretta di raggiungere la mia meta, meno che mai di lasciare Forks.

Prima di imbarcarmi per il viaggio vero e proprio, avevo bisogno di fare una piccola deviazione…la struttura che mi era dinnanzi era silenziosa, l’ispettore capo non era ancora rientrato. Scesi dalla macchina, alzai gli occhi verso il piano superiore e la vidi: mi dava le spalle, potevo scorgere solo i suoi lunghi capelli; così era per lei che me ne stavo andando!

 

Per un uomo normale sarebbe stato un viaggio impossibile senza concedersi una sosta, ma al mio arrivo avvenuto durante le prime luci dell’alba, ero fresco e riposato come se mi fossi appena messo in viaggio.

Percorsi pochi e lenti passi, quando mia cugina Tanya spalancò la porta raggiante, venendomi incontro a braccia spalancate.

<< Edward, finalmente!! >>

Mi fermai, per ricambiare l’abbraccio.

<< Sono così contenta che tu sia qui! >> disse ancora stretta a me.

<< Fa piacere anche a me >> non era del tutto vero, ma lei non poteva saperlo.

Mi liberai della sua stretta, leggendo il suo pensiero:

“Forse…”

Non volevo sapere il resto, non credo mi interessasse saperlo.

Senza mostrare la delusione, che i suoi pensieri tradirono, mi sorrise.

<< Vieni, entriamo in casa >> mi invitò prendendomi sottobraccio.

Il resto della famiglia era composto dalle sue sorelle.

Carlisle aveva ragione, si mostrarono tutte molto liete di ospitarmi a tempo indeterminato.

Come promesso, dopo i convenevoli e l’avermi mostrato la stanza che avrei occupato, seduto sul bordo del letto recuperai il cellulare per comporre il numero di casa.

Fu sufficiente un primo squillo per sentire una voce dolce all’altro capo del telefono:

<< Esme…sono io >>

<< Edward… >> fu ciò che disse lei, dopo un secondo di silenzio. << Come stai? >>

Passammo il resto della conversazione a parlare del più e del meno: il mio viaggio, come avevo trovato i nostri parenti, dovevo ricordarmi di salutarglieli.

Finita quella breve telefonata, non trovai la voglia di scendere al piano sottostante e circondarmi dell’affetto delle vampire mie ospiti.

Mi avvicinai alla libreria ben rifornita di libri e ne scelsi uno a caso.

Lessi solo qualche capitolo, quando sentii picchiettare sulla porta:

<< Sì?! >> chiesi garbato.

A quel punto sbucò la testa bionda di Tanya.

<< Disturbo? >> mi chiese gentile, mostrandomi il suo solito solare sorriso.

<< No, figurati! >> avrei gradito la solitudine, ma essere scortese non era nei miei piani.

<< Che fai qui tutto solo? >>

Era una domanda retorica così mi limitai a sollevare il libro.

Tanya scosse il capo a braccia conserte. Mi osservò piegando il capo da un lato senza smettere di sorridere, prima di avvicinarsi a me e prendermi per mano.

<< Non puoi fare sul serio…Scendi giù con me, un po’ di compagnia è ciò di cui hai bisogno! >>

Mi lasciai condurre docile al piano di sotto, dove mi accolsero cinque visi ilari.

Mi sedetti accanto a Tanya su uno dei due divani, ascoltavo in silenzio i loro discorsi senza sentirli davvero, la mia mente non era lì con loro…

<< Edward? >>

La voce di mia cugina, mi riscosse:

<< Scusate, mi ero distratto un attimo >>

Le mie scuse suscitarono un risolino in tutte loro.

<< Perché non suoni per noi?! >>

Le guardai interrogativo:

<< La tua fama ti ha preceduto…Esme ci ha detto che sei un talento unico! >>

Non mi stupii più di tanto del complimento, però indugiai dall’alzarmi per sedermi al piano.

<< Su, non farti pregare! >> disse Tanya.

Mi girai ad incontrare i suoi occhi dolci, sorrisi a mezza bocca e mi alzai.

Le accontentai, se non altro avrei messo a tacere le loro incitazioni.

Durante il mio soggiorno trascorsi ben poco tempo da solo, forse premurosamente si preoccupavano di non farmi sentire troppo la mancanza della mia famiglia.

Era piacevole stare con loro, ma non era paragonabile a Forks…

Fu quello che pensai la seconda notte passata in casa loro, guardando fuori dalla finestra: e se stavo commettendo il più grosso sbaglio, forse allontanarmi da Forks non era stata una grande idea, cominciavo a nutrire l’idea di poter tornare e affrontare la situazione al meglio…magari con un po’ di buona volontà ci sarei riuscito. Dopotutto chi era Isabella Swan per impedirmi di vivere dove desideravo.

Ad interrompere la scia dei miei pensieri fu l’entrata di Tanya:

<< Posso entrare? >>

Le sorrisi in segno di assenso.

Si sedette sul divano dietro la finestra, vicino a me…i raggi lunari rischiaravano la nostra pelle, rendendola più pallida del naturale.

<< A cosa pensi? >> mi chiese dolcemente.

<< A casa… >> lasciai il discorso sospeso, non volevo parlarne.

<< Da quando sei qui, non ci hai detto perché te ne sei andato >>

Sospirai prima di risponderle con franchezza:

<< Preferirei non affrontare il discorso… >>

Distolsi lo sguardo da lei, che si avvicinò maggiormente a me.

Al tocco delle sue dita sulle mie, tornai a guardarla:

<< Ti puoi fidare di me… >> disse con voce flebile, le fronte corrugata dal dispiacere per il mio essere turbato.

<< Lo so…davvero, e ti ringrazio…ma… >>

<< Ma, non me lo dirai >> tagliò corto lei, ritirando la mano.

“Perché mi respingi?”

A testa china, i lunghi capelli biondi le nascondevano il volto, probabilmente sofferente.

Mi alzai, dandogli le spalle guardai fuori dalla finestra:

<< Credimi, non ne vale la pena! >>

Si alzò anche lei, potevo percepirla a pochi metri da me.

<< Sì, invece…>> fece una piccola pausa, la sentii deglutire << Sei tu che non darai mai il tuo cuore a nessuna…anche se il perché mi è difficile stabilirlo! >>

Continuavo a tenere gli occhi fissi sul panorama notturno, ascoltammo i nostri respiri asincroni senza fiatare.

Fui io a spezzare quella quiete:

<< Meglio se torno a Forks… >>

Tanya non si mosse, non pronunciò parola, la sentii solo sospirare. Mi girai a guardarla:

<< Grazie dell’ospitalità >> le dissi posandole una mano sulla spalla.

Lei continuò a restare in silenzio, si limitò ad annuire.

Fu così che dotato di una grande forza di determinazione mi rimisi in viaggio, verso casa e accada quel che accada…

Appena entrato nell’ingresso vidi Alice precipitarsi sulle scale, mi abbracciò di slancio:

<< Lo sapevo!! >> esclamò entusiasta.

Sorrisi scuotendo il capo.

C’era una sola cosa da fare prima del grande rientro: una grande caccia, arrivare a scuola il più sazio possibile.

Come le prima volta, non vidi Isabella fino all’ora di pranzo; avevo deciso che la cosa migliore era quella di mostrare indifferenza e mostrarmi il più naturale possibile, così come tutti gli altri, anche io ed i miei fratelli giocammo con la neve godendoci la giornata.

Non le mostrai la mia attenzione fino a che Jessica non le pose una domanda:

<< Bella, cosa stai guardando? >>

Me, guardava me, indagava sul mio volto…cercava di scorgere una differenza che non sarebbe stata in grado di individuare.

Distolse lo sguardo, probabilmente, imbarazzata. Chinò il capo lasciando che i capelli le coprissero il viso.

Continuai ad indagare sulla sua figura: dovevo capire chi era.

Le permisi di arrivare per prima all’ora di biologia, quando entrai in aula aveva già preso posto.

Scostai la sedia così da permettermi di sedermi, ma lei non scostò gli occhi dal quaderno.

<< Ciao >> la salutai tranquillo con un sorriso dipinto sulle labbra.

<< Mi chiamo Edward Cullen» continuai « La settimana scor­sa non ho avuto occasione di presentarmi. Tu devi essere Bella Swan >> usai prontamente il suo diminutivo, perché chiunque l’avesse chiamata con il suo nome di battesimo veniva prontamente da lei corretto.

Non rispose, sembrava stordita neanche le avessi dato una botta in testa, aspettai paziente che dicesse qualcosa:

<< Co…come fai a conoscere il mio nome? >> balbettò confusa.

Mi scappò una risata divertita:

<< Oh penso che tutti sappiano come ti chiami. La città intera ti stava aspettando. >>

<< Intendevo, come mai mi hai chiamato Bella >>

<< Preferisci che ti chiami Isabella? >> chiesi spacciandomi per confuso.

<< No, Bella mi piace >> risposi lei. << Ma Charlie - voglio dire, mio padre - quando parla di me credo mi chiami Isabella: a quanto pare qui tutti mi conoscono con quel nome >>.

<< Ah >> dissi, facendo cadere il discorso.

Il perché la chiamai prontamente Bella non potevo rivelarglielo.

In quel momento il professor Banner iniziò la lezione, spiegando l’elementare esercizio che avremmo dovuto svolgere a coppie.

<< Prima le donne, collega? >> le chiesi beffardamente, sorridendo.

Non ripose, smisi di sorridere proponendo di cominciare per primo, ma lei si riscosse prontamente dissente.

Analizzò il vetrino nel microscopio:

<< Profase >> fu il suo giudizio.

<< Permetti che io controlli? >> non che non mi fidassi, volevo stuzzicarla.

Le presi le mani per fermarla, evidentemente le mie erano troppo fredde perché allontanò subito la presa.

<< Scusa >> dissi ritirando la mano, mi piegai sul microscopio e analizzai il vetrino a mia volta.

Continuammo l’esercizio, che terminammo prima degli altri.

Nel momento morto in cui ci trovammo, Bella cercava di non guardami ma fallì, si girò ad incontrare i miei occhi già fissi su di lei.

<< Porti le lenti a contatto? >> chiese con naturalezza.

Ecco una domanda che preferivo non mi venisse posta…ed ora cosa m’inventavo?

<< No >>

<< Oh mi sembra di aver notato qualcosa di diverso nei tuoi occhi >>

Alzai le spalle guardando altrove: però la ragazza si dimostrava una brava osservatrice!

Il professor Banner si avvicinò al nostro tavolo:

<< Scusa, Edward, perché non hai lasciato usare il microsco­pio anche a Isabella? >>, chiese il professor Banner.

<< Bella >> lo corressi, automaticamente.<< A dire la verità, è stata lei a identificarne tre su cinque >>.

Il professore le chiese se aveva già fatto prima quell’esperimento, a quella domanda Bella rispose affermativamente.

Rimasti nuovamente soli, lei riprese a scarabocchiare sul quaderno.

Presi spunto da una conversazione che aveva avuto a pranzo con Jessica per riallacciare la conversazione.

<< Peccato per la neve, eh? >>

<< Non direi >> rispose con tutta sincerità.

Dedussi che il freddo non le piacesse e lei aggiunse che non amava particolarmente neanche l’umido.

La domanda mi sorse spontanea:

<< Allora perché, sei venuta qui? >>

<< E’ una storia…complicata >> si tenne sul vago.

<< Penso di poterla capire >> insistetti, volevo saperne di più…cominciavo ad essere interessato.

Fece una lunga pausa, mi guardò e con la sua solita naturalezza mi rispose:

<< Mia madre si è risposata >>

<< Non sembra così complicato >> addolcii il mio sguardo comprensivo << Quando è stato? >>

<< Settembre >> la sua voce si incrinò. Non potevo leggerle nella mente, ma era lampante che fosse triste.

<< E lui non ti piace >> conclusi io.

<< No, Phil va bene. Forse troppo giovane, ma un bel tipo >>.

<< Perché non sei rimasta con loro? >>

« Phil viaggia molto. Gioca a baseball. È un professionista » fece un mezzo sorriso.

« Lo conosco? », chiesi, sorridendo a mia volta.

« Probabilmente no. Non è un bravo professionista. Solo se­rie minori. Cambia squadra di continuo ».

« E tua madre ti ha spedita qui per poterlo seguire » conclusi semplicemente.

 « No, non è stata lei a spedirmi qui. Sono stata io » disse con un fremito visibile.

<< Non capisco >> aggrottai le sopracciglia…ma allora qui come c’era finita?!

« All'inizio è rimasta con me, ma lui le mancava. Era infeli­ce... perciò ho deciso che era il caso di passare un po' di tem­po in famiglia con Charlie » la sua tristezza divenne sempre più evidente.

« Ma ora sei infelice tu », suggerii contrariato.

« E...? », obiettò sfacciatamente, tirando fuori parzialmente il carattere.

« Non mi sembra giusto » osservai stringendomi nelle spalle, continuando a scrutarla.

 « Non te l'hanno ancora detto? La vita non è giusta » abbozzò un sorriso che rivelava tutto fuorché divertimento.

« Penso di averla già sentita », risposi laconico.

« E questo è tutto ».

Continuai la mia perlustrazione sul suo volto, analizzai le sue parole e le sue movenze, arrivando alla conclusione:

« Dai buo­na mostra di te », dissi lentamente. « Ma sono pronto a scom­mettere che soffri molto più di quanto dai a vedere ».

Storse la bocca contrariata e distolse lo sguardo.

« Mi sbaglio? » insistetti, indifferente dalla sua reazione.

Mi ignorò.

<< Io credo di no >> ribadii sfacciatamente, cominciavo a divertirmi.

<< Perché ti dovrebbe interessare? >> colsi la punta d’irritazione nella sua domanda.

<< Questa è una domanda molto sensata >> bofonchiai a mezza voce rivoltò più a me stesso.

Rimasi in silenzio: a dire il vero ero al primo a stupirsi dell’interessamento che le stavo riservando, come potevo risponderle.

Sospirò prima di guardare la lavagna.

<< Ti do fastidio? >>

<< Non esattamente. Sono io stessa a darmi fastidio. Il mio volto è così facile da leggere... mia madre dice sempre che sono un libro aperto >> disse aggrottando le sopracciglia.

Mi venne quasi da ridere istericamente, un libro aperto…lei?!

<< Al contrario, per me tu sei molto difficile da leggere >> dissi lasciando trapelare la mia sincerità.

<< Devi essere un bravo lettore, allora >> replicò.

<< Di solito, sì >> sorrisi a trentadue denti, conscio del mio talento unico.

Il professore prese la parola spiegando ciò che avevamo appena messo in pratica.

Si era aperta completamente con me, aveva risposto con sincerità e senza malizia, apprezzai il suo modo d’essere e di relazionarsi…ero soddisfatto di come la conversazione si era svolta…ma c’era qualcosa che ancora non andava.

Il suo profumo era ancora troppo appetibile per il mio palato, la gola mi bruciava costringendomi ad un grande sforzo di concentrazione e resistenza…la pelle del suo collo era così liscia…

Quando la campanella suonò mi alzai con un movimento fluido, contento in fondo di allontanarmi dal desiderio che sentivo per lei.

All’uscita, nel parcheggio la osservai appoggiato alla fiancata della mia Volvo a tre auto di distanza da lei.

Quando si accorse che il mio sguardo sfiorava la sua figura, distolse i suoi occhi ostentando indifferenza.

Ingranò con troppa fretta e per poco non urtò la Toyota che aveva dietro,fece in tempo ad inchiodare…non potei fare a meno di ridere.

Non avevo mai conosciuto in vita mia una persona come lei…era unica, proprio come il suo profumo.

 

  
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