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Eccezione
Sbattei lo sportello della macchina con rabbia,
impugnai il volante stringendolo in tensione, ero fuori di me!
Quando fui raggiunto dai miei fratelli, cercai
di ritrovare la calma ma non credo di essere stato molto bravo a nascondere la
mia irritazione.
Soprattutto con Jasper che possedeva un talento
come me: era in grado di percepire gli stati d’animo di quelli che lo circondavano,
influenzandoli.
Ero sicuro, che tutti si fossero accorti che
qualcosa non andava, che non ero come al mio solito, eppure nessuno pose
domande.
Premendo sull’acceleratore partii a tutta
velocità verso casa, non vedevo del tutto la strada davanti a me…la mia mente
era altrove: questa ultima giornata scolastica mi aveva riserbato due gran
brutte sorprese…non riuscivo a leggere nella mente della nuova arrivata, e
nonostante ciò mi infastidisse poteva passare come problema, ma che il suo
odore mi facesse perdere la testa, senza riuscire ad impormi il mio solito
contegno, era inammissibile!
Scossi il capo ripetutamente, per tutte quelle
volte in cui la sua figura compariva prepotente davanti i miei occhi, ed il mio
olfatto ricordava sensibilmente il suo odore…chi era, cosa aveva di
speciale…perché lei?!
Nei pressi di casa, ero ormai prossimo a
convincermi che poteva esserci una sola soluzione: andare via, per sempre!
Li lasciai tutti in garage, prima di rimettere
in moto la macchina.
“Tu non vieni?”
Mi chiese telepaticamente Alice, guardandomi
sorpresa: abbassai il finestrino.
<< Devo fare una commissione, arriverò
prima che faccia buio >>
Mentii, certo se le avessi rivelato i miei
piani di fuga non mi avrebbe mai lasciato andare.
Annuì con un sorriso e raggiunse gli altri in
casa.
Fu così che tornai verso il centro di Forks,
dovevo parlare con mio padre, il medico della città, così mi diressi
all’ospedale.
Entrai senza indugio, anche se il mio cuore era
in tempesta: mi ero visto costretto a lasciare la mia famiglia, ciò che in quel
momento avevo di più caro.
Non vedevo realmente il lungo corridoio bianco,
davanti a me c’era il viso dolce e gli occhi amorevoli di Esme, la mia madre
adottiva, li immaginai rattristati dalla mia decisione.
Ero arrivato davanti la porta dello studio di
Carlisle, ma rimasi con la mano sospesa in aria esitante: e se avessi lasciato
perdere?!
Ma improvvisamente ripensai ad Isabella, e il
risultato fu lo stesso, la gola bruciava e la bramosia del suo sangue era
sempre più forte.
No, dovevo andarmene al più presto. E l’unico
che potevo mettere al corrente della mia decisione era Carlisle. Esme ed Alice
ero certo non avrebbero mai permesso la mia partenza.
<< Devo andare via! >>
Mio padre si alzò dalla sua scrivania,
allibito:
<< Cosa è successo? >>
<< Se voglio evitare la morte di
un’innocente, devo lasciare Forks >>
Carlisle era sempre più sconcertato.
<< Per favore, Edward, calmati e spiegami
tutto più chiaramente >>
Mi lasciai cadere su una sedia, improvvisamente
esausto:
<< La figlia dell’ispettore capo Swan… è
diversa- a parte che non riesco leggerle
nella mente, cosa di per sé inspiegabile- il suo odore è diverso. Non riesco a
starle vicino, ho avuto più d’una volta la tentazione di volerla uccidere
bevendo il suo sangue >>
Parlavo veloce, senza controllo.
Carlisle annuì con il capo, prima di sedersi di
fronte a me, al di là della scrivania.
<< Pensi proprio di non poter sopportare
oltre? >>
Scossi il capo con le narici dilatate, scuro in
volto.
<< Non posso trattenerti, se in gioco c’è
la vita di una ragazza >>
<< Grazie, sapevo che avresti capito
>>
Ci alzammo entrambi, mi abbracciò con fare
paterno:
<< Dove andrai? >>
<< In Alaska, pensavo di recarmi un po’
ospite dal clan di Denali >>
<< Ottima idea, li avverto del tuo arrivo
>> si avvicinò al telefono << Ma sono certo che ti accoglieranno
senza problemi >>
Assentii con il capo un’ultima volta, prima di
voltarmi pronto ad andarmene:
<< Edward >>
Mi rigirai nel sentire il mio nome, ma la mano
stringeva già la maniglia.
<< Chiama quando arrivi >>
<< Certo >>
<< Buona fortuna, figliolo >>
<< Grazie… abbraccia Esme da parte mia…
>> fui sopraffatto dal dispiacere nel pronunciare il suo nome.
Fuori dall’ospedale, presi la macchina di
Carlisle, avevo bisogno di un pieno.
Avevo percorso pochi kilometri quando sentii
una voce nella mia testa:
“ Non
farlo, Edward!”
Era mia sorella Alice, evidentemente ero ancora
abbastanza vicino da poterla sentire.
Una parte di me aveva sperato che mia sorella,
dotata come me di un talento, non avesse una visione sulla scelta che avevo
fatto…ma invece, lo sapeva eccome.
Non potevo rispondere alla sua supplica, ma lei
continuò a scongiurare:
“Resisti ce la puoi fare”
Più i kilometri aumentavano, e più la sua voce
andava sbiadendosi.
“Mi mancherai…”
Fu l’ultimo pensiero di Alice che riuscii a
percepire.
Strinsi con forza il volante,sapevo che sarei
mancato a tutti loro, e la cosa era reciproca ma nonostante il grande affetto
che ci legava, non potevo fermarmi…potevo solo continuare il mio viaggio, con
il cuore sempre più pesante.
Non guidai con troppa foga, non avevo fretta di
raggiungere la mia meta, meno che mai di lasciare Forks.
Prima di imbarcarmi per il viaggio vero e
proprio, avevo bisogno di fare una piccola deviazione…la struttura che mi era
dinnanzi era silenziosa, l’ispettore capo non era ancora rientrato. Scesi dalla
macchina, alzai gli occhi verso il piano superiore e la vidi: mi dava le
spalle, potevo scorgere solo i suoi lunghi capelli; così era per lei che me ne
stavo andando!
Per un uomo normale sarebbe stato un viaggio
impossibile senza concedersi una sosta, ma al mio arrivo avvenuto durante le
prime luci dell’alba, ero fresco e riposato come se mi fossi appena messo in
viaggio.
Percorsi pochi e lenti passi, quando mia cugina
Tanya spalancò la porta raggiante, venendomi incontro a braccia spalancate.
<< Edward, finalmente!! >>
Mi fermai, per ricambiare l’abbraccio.
<< Sono così contenta che tu sia qui!
>> disse ancora stretta a me.
<< Fa piacere anche a me >> non era
del tutto vero, ma lei non poteva saperlo.
Mi liberai della sua stretta, leggendo il suo
pensiero:
“Forse…”
Non volevo sapere il resto, non credo mi
interessasse saperlo.
Senza mostrare la delusione, che i suoi
pensieri tradirono, mi sorrise.
<< Vieni, entriamo in casa >> mi
invitò prendendomi sottobraccio.
Il resto della famiglia era composto dalle sue
sorelle.
Carlisle aveva ragione, si mostrarono tutte
molto liete di ospitarmi a tempo indeterminato.
Come promesso, dopo i convenevoli e l’avermi
mostrato la stanza che avrei occupato, seduto sul bordo del letto recuperai il
cellulare per comporre il numero di casa.
Fu sufficiente un primo squillo per sentire una
voce dolce all’altro capo del telefono:
<< Esme…sono io >>
<< Edward… >> fu ciò che disse lei,
dopo un secondo di silenzio. << Come stai? >>
Passammo il resto della conversazione a parlare
del più e del meno: il mio viaggio, come avevo trovato i nostri parenti, dovevo
ricordarmi di salutarglieli.
Finita quella breve telefonata, non trovai la
voglia di scendere al piano sottostante e circondarmi dell’affetto delle
vampire mie ospiti.
Mi avvicinai alla libreria ben rifornita di
libri e ne scelsi uno a caso.
Lessi solo qualche capitolo, quando sentii
picchiettare sulla porta:
<< Sì?! >> chiesi garbato.
A quel punto sbucò la testa bionda di Tanya.
<< Disturbo? >> mi chiese gentile,
mostrandomi il suo solito solare sorriso.
<< No, figurati! >> avrei gradito
la solitudine, ma essere scortese non era nei miei piani.
<< Che fai qui tutto solo? >>
Era una domanda retorica così mi limitai a
sollevare il libro.
Tanya scosse il capo a braccia conserte. Mi
osservò piegando il capo da un lato senza smettere di sorridere, prima di
avvicinarsi a me e prendermi per mano.
<< Non puoi fare sul serio…Scendi giù con
me, un po’ di compagnia è ciò di cui hai bisogno! >>
Mi lasciai condurre docile al piano di sotto,
dove mi accolsero cinque visi ilari.
Mi sedetti accanto a Tanya su uno dei due
divani, ascoltavo in silenzio i loro discorsi senza sentirli davvero, la mia
mente non era lì con loro…
<< Edward? >>
La voce di mia cugina, mi riscosse:
<< Scusate, mi ero distratto un attimo
>>
Le mie scuse suscitarono un risolino in tutte
loro.
<< Perché non suoni per noi?! >>
Le guardai interrogativo:
<< La tua fama ti ha preceduto…Esme ci ha
detto che sei un talento unico! >>
Non mi stupii più di tanto del complimento,
però indugiai dall’alzarmi per sedermi al piano.
<< Su, non farti pregare! >> disse
Tanya.
Mi girai ad incontrare i suoi occhi dolci,
sorrisi a mezza bocca e mi alzai.
Le accontentai, se non altro avrei messo a
tacere le loro incitazioni.
Durante il mio soggiorno trascorsi ben poco
tempo da solo, forse premurosamente si preoccupavano di non farmi sentire
troppo la mancanza della mia famiglia.
Era piacevole stare con loro, ma non era
paragonabile a Forks…
Fu quello che pensai la seconda notte passata
in casa loro, guardando fuori dalla finestra: e se stavo commettendo il più
grosso sbaglio, forse allontanarmi da Forks non era stata una grande idea,
cominciavo a nutrire l’idea di poter tornare e affrontare la situazione al
meglio…magari con un po’ di buona volontà ci sarei riuscito. Dopotutto chi era
Isabella Swan per impedirmi di vivere dove desideravo.
Ad interrompere la scia dei miei pensieri fu
l’entrata di Tanya:
<< Posso entrare? >>
Le sorrisi in segno di assenso.
Si sedette sul divano dietro la finestra,
vicino a me…i raggi lunari rischiaravano la nostra pelle, rendendola più
pallida del naturale.
<< A cosa pensi? >> mi chiese
dolcemente.
<< A casa… >> lasciai il discorso
sospeso, non volevo parlarne.
<< Da quando sei qui, non ci hai detto
perché te ne sei andato >>
Sospirai prima di risponderle con franchezza:
<< Preferirei non affrontare il discorso…
>>
Distolsi lo sguardo da lei, che si avvicinò
maggiormente a me.
Al tocco delle sue dita sulle mie, tornai a
guardarla:
<< Ti puoi fidare di me… >> disse
con voce flebile, le fronte corrugata dal dispiacere per il mio essere turbato.
<< Lo so…davvero, e ti ringrazio…ma…
>>
<< Ma, non me lo dirai >> tagliò
corto lei, ritirando la mano.
“Perché mi respingi?”
A testa china, i lunghi capelli biondi le
nascondevano il volto, probabilmente sofferente.
Mi alzai, dandogli le spalle guardai fuori
dalla finestra:
<< Credimi, non ne vale la pena! >>
Si alzò anche lei, potevo percepirla a pochi
metri da me.
<< Sì, invece…>> fece una piccola
pausa, la sentii deglutire << Sei tu che non darai mai il tuo cuore a
nessuna…anche se il perché mi è difficile stabilirlo! >>
Continuavo a tenere gli occhi fissi sul
panorama notturno, ascoltammo i nostri respiri asincroni senza fiatare.
Fui io a spezzare quella quiete:
<< Meglio se torno a Forks… >>
Tanya non si mosse, non pronunciò parola, la
sentii solo sospirare. Mi girai a guardarla:
<< Grazie dell’ospitalità >> le
dissi posandole una mano sulla spalla.
Lei continuò a restare in silenzio, si limitò
ad annuire.
Fu così che dotato di una grande forza di
determinazione mi rimisi in viaggio, verso casa e accada quel che accada…
Appena entrato nell’ingresso vidi Alice
precipitarsi sulle scale, mi abbracciò di slancio:
<< Lo sapevo!! >> esclamò
entusiasta.
Sorrisi scuotendo il capo.
C’era una sola cosa da fare prima del grande
rientro: una grande caccia, arrivare a scuola il più sazio possibile.
Come le prima volta, non vidi Isabella fino
all’ora di pranzo; avevo deciso che la cosa migliore era quella di mostrare
indifferenza e mostrarmi il più naturale possibile, così come tutti gli altri,
anche io ed i miei fratelli giocammo con la neve godendoci la giornata.
Non le mostrai la mia attenzione fino a che
Jessica non le pose una domanda:
<< Bella, cosa stai guardando? >>
Me, guardava me, indagava sul mio volto…cercava
di scorgere una differenza che non sarebbe stata in grado di individuare.
Distolse lo sguardo, probabilmente,
imbarazzata. Chinò il capo lasciando che i capelli le coprissero il viso.
Continuai ad indagare sulla sua figura: dovevo
capire chi era.
Le permisi di arrivare per prima all’ora di
biologia, quando entrai in aula aveva già preso posto.
Scostai la sedia così da permettermi di
sedermi, ma lei non scostò gli occhi dal quaderno.
<< Ciao >> la salutai tranquillo
con un sorriso dipinto sulle labbra.
<< Mi chiamo Edward Cullen» continuai « La settimana scorsa non ho
avuto occasione di presentarmi. Tu devi essere Bella Swan >> usai
prontamente il suo diminutivo, perché chiunque l’avesse chiamata con il suo
nome di battesimo veniva prontamente da lei corretto.
Non
rispose, sembrava stordita neanche le avessi dato una botta in testa, aspettai
paziente che dicesse qualcosa:
<<
Co…come fai a conoscere il mio nome? >> balbettò confusa.
Mi
scappò una risata divertita:
<<
Oh penso che tutti sappiano come ti chiami. La città intera ti stava
aspettando. >>
<<
Intendevo, come mai mi hai chiamato Bella >>
<<
Preferisci che ti chiami Isabella? >> chiesi spacciandomi per confuso.
<< No, Bella
mi piace >> risposi lei. << Ma Charlie - voglio dire, mio padre -
quando parla di me credo mi chiami Isabella: a quanto pare qui tutti mi
conoscono con quel nome >>.
<<
Ah >> dissi, facendo cadere il discorso.
Il
perché la chiamai prontamente Bella non potevo rivelarglielo.
In
quel momento il professor Banner iniziò la lezione, spiegando l’elementare
esercizio che avremmo dovuto svolgere a coppie.
<<
Prima le donne, collega? >> le chiesi beffardamente, sorridendo.
Non
ripose, smisi di sorridere proponendo di cominciare per primo, ma lei si
riscosse prontamente dissente.
Analizzò
il vetrino nel microscopio:
<<
Profase >> fu il suo giudizio.
<<
Permetti che io controlli? >> non che non mi fidassi, volevo stuzzicarla.
Le
presi le mani per fermarla, evidentemente le mie erano troppo fredde perché
allontanò subito la presa.
<<
Scusa >> dissi ritirando la mano, mi piegai sul microscopio e analizzai
il vetrino a mia volta.
Continuammo
l’esercizio, che terminammo prima degli altri.
Nel
momento morto in cui ci trovammo, Bella cercava di non guardami ma fallì, si
girò ad incontrare i miei occhi già fissi su di lei.
<<
Porti le lenti a contatto? >> chiese con naturalezza.
Ecco
una domanda che preferivo non mi venisse posta…ed ora cosa m’inventavo?
<<
No >>
<<
Oh mi sembra di aver notato qualcosa di diverso nei tuoi occhi >>
Alzai
le spalle guardando altrove: però la ragazza si dimostrava una brava
osservatrice!
Il
professor Banner si avvicinò al nostro tavolo:
<<
Scusa, Edward, perché non hai lasciato usare il microscopio anche a Isabella?
>>, chiese il professor Banner.
<<
Bella >> lo corressi, automaticamente.<< A dire la verità, è stata
lei a identificarne tre su cinque >>.
Il
professore le chiese se aveva già fatto prima quell’esperimento, a quella
domanda Bella rispose affermativamente.
Rimasti nuovamente
soli, lei riprese a scarabocchiare sul quaderno.
Presi
spunto da una conversazione che aveva avuto a pranzo con Jessica per
riallacciare la conversazione.
<<
Peccato per la neve, eh? >>
<<
Non direi >> rispose con tutta sincerità.
Dedussi che
il freddo non le piacesse e lei aggiunse che non amava particolarmente neanche
l’umido.
La domanda
mi sorse spontanea:
<<
Allora perché, sei venuta qui? >>
<< E’
una storia…complicata >> si tenne sul vago.
<<
Penso di poterla capire >> insistetti, volevo saperne di più…cominciavo
ad essere interessato.
Fece una
lunga pausa, mi guardò e con la sua solita naturalezza mi rispose:
<<
Mia madre si è risposata >>
<<
Non sembra così complicato >> addolcii il mio sguardo comprensivo
<< Quando è stato? >>
<<
Settembre >> la sua voce si incrinò. Non potevo leggerle nella mente, ma
era lampante che fosse triste.
<< E
lui non ti piace >> conclusi io.
<< No,
Phil va bene. Forse troppo giovane, ma un bel tipo >>.
<< Perché
non sei rimasta con loro? >>
« Phil
viaggia molto. Gioca a baseball. È un professionista » fece un mezzo sorriso.
« Lo
conosco? », chiesi, sorridendo a mia volta.
« Probabilmente no. Non è un bravo professionista.
Solo serie minori. Cambia squadra di continuo ».
« E tua madre ti ha spedita qui per poterlo
seguire » conclusi semplicemente.
« No, non è
stata lei a spedirmi qui. Sono stata io » disse con un fremito visibile.
<<
Non capisco >> aggrottai le sopracciglia…ma allora qui come c’era
finita?!
« All'inizio è rimasta con me, ma lui le mancava.
Era infelice... perciò ho deciso che era il caso di passare un po' di tempo
in famiglia con Charlie » la sua tristezza divenne sempre più evidente.
« Ma ora
sei infelice tu », suggerii contrariato.
« E...? »,
obiettò sfacciatamente, tirando fuori parzialmente il carattere.
« Non mi
sembra giusto » osservai stringendomi nelle spalle, continuando a scrutarla.
« Non te
l'hanno ancora detto? La vita non è giusta » abbozzò un sorriso che rivelava
tutto fuorché divertimento.
« Penso di
averla già sentita », risposi laconico.
« E questo
è tutto ».
Continuai
la mia perlustrazione sul suo volto, analizzai le sue parole e le sue movenze,
arrivando alla conclusione:
« Dai buona mostra di te », dissi lentamente. « Ma
sono pronto a scommettere che soffri molto più di quanto dai a vedere ».
Storse la
bocca contrariata e distolse lo sguardo.
« Mi sbaglio?
» insistetti, indifferente dalla sua reazione.
Mi ignorò.
<< Io
credo di no >> ribadii sfacciatamente, cominciavo a divertirmi.
<<
Perché ti dovrebbe interessare? >> colsi la punta d’irritazione nella sua
domanda.
<<
Questa è una domanda molto sensata >> bofonchiai a mezza voce rivoltò più
a me stesso.
Rimasi in
silenzio: a dire il vero ero al primo a stupirsi dell’interessamento che le
stavo riservando, come potevo risponderle.
Sospirò
prima di guardare la lavagna.
<< Ti
do fastidio? >>
<< Non
esattamente. Sono io stessa a darmi fastidio. Il mio volto è così facile da
leggere... mia madre dice sempre che sono un libro aperto >> disse
aggrottando le sopracciglia.
Mi venne
quasi da ridere istericamente, un libro aperto…lei?!
<< Al
contrario, per me tu sei molto difficile da leggere >> dissi lasciando
trapelare la mia sincerità.
<<
Devi essere un bravo lettore, allora >> replicò.
<< Di
solito, sì >> sorrisi a trentadue denti, conscio del mio talento unico.
Il
professore prese la parola spiegando ciò che avevamo appena messo in pratica.
Si era
aperta completamente con me, aveva risposto con sincerità e senza malizia,
apprezzai il suo modo d’essere e di relazionarsi…ero soddisfatto di come la
conversazione si era svolta…ma c’era qualcosa che ancora non andava.
Il suo
profumo era ancora troppo appetibile per il mio palato, la gola mi bruciava
costringendomi ad un grande sforzo di concentrazione e resistenza…la pelle del
suo collo era così liscia…
Quando la
campanella suonò mi alzai con un movimento fluido, contento in fondo di
allontanarmi dal desiderio che sentivo per lei.
All’uscita,
nel parcheggio la osservai appoggiato alla fiancata della mia Volvo a tre auto
di distanza da lei.
Quando si
accorse che il mio sguardo sfiorava la sua figura, distolse i suoi occhi
ostentando indifferenza.
Ingranò con
troppa fretta e per poco non urtò la Toyota che aveva dietro,fece in tempo ad
inchiodare…non potei fare a meno di ridere.
Non avevo mai
conosciuto in vita mia una persona come lei…era unica, proprio come il suo
profumo.