Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: WillofD_04    23/10/2016    1 recensioni
Questa storia è il seguito di "Lost boys". Per leggerla non è necessario aver letto "Lost boys", ma è consigliato.
A quanto pare, l'avventura di Cami non è affatto finita, anzi, è appena cominciata! Che cosa le è successo? Sarà in grado, questa volta, di risolvere la situazione? Questo per lei sarà un viaggio pieno di avventure e di emozioni, che condividerà con persone molto speciali.
Non posso svelarvi più di così, se siete curiosi di sapere cosa le è capitato, leggete!
DAL TESTO:
Poco ci mancò che non caddi all’indietro dall’incredulità. Infatti dovetti reggermi agli stipiti della porta che era dietro di me per rimanere in piedi. Dieci paia di occhi mi fissavano, tutti con un’espressione diversa. C’era chi era divertito, chi indifferente, chi curioso e chi stupito.
«Oh cazzo...è successo di nuovo!» esclamai, al limite dell’esasperazione.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«Oh oh» avevo detto, guardando in basso. Poi ero ricaduta all’indietro e Penguin e Shachi mi avevano afferrato. Bepo aveva fissato le mie ferite per un po’, poi si era ripreso e si era catapultato fuori della stanza chiamando Law a gran voce. Questo è tutto ciò che ricordo. Non avevo perso i sensi, semplicemente non mi ricordavo come avessi fatto ad arrivare sul lettino dell’infermeria. Ed ora ero lì, con un tizio che mi stava disinfettando il braccio e la parte destra dell’addome. Non ero nemmeno sicura di sapere il suo nome. Lo lasciai fare, osservando il tutto in silenzio. Era pur sempre un’occasione per imparare. Quando finì di pulire le ferite, scostò la sedia dal lettino e si tolse i guanti in lattice. Se non fossi stata troppo stordita per parlare, gli avrei chiesto dove stava andando. Rimasi stesa per un paio di minuti e fissai le ferite. Senza tutto quel sangue, sembravano molto più innocue. Erano pur sempre due notevoli squarci, però. Sentii dei passi in lontananza e la porta scricchiolare.
«Vedi cosa succede a prendersela con gli orsi polari lamentosi?»
Avevo la vista un po’ sfocata – forse per la quantità di sangue che avevo perso – ma non c’era bisogno di vedere per capire chi fosse.
«Gli chiederò un risarcimento per danno biologico alla mia persona» cercai di essere spiritosa, per sdrammatizzare, ma la voce mi uscì leggermente impastata. In più, oltre alle ferite che mi aveva procurato l’ascia, provavo dolore anche per i calci di Bepo e per la botta che avevo preso ricadendo per terra. Insomma, ero stata sicuramente meglio.
«Sarai tu a ricucirmi?» chiesi dopo aver fatto mentalmente il punto della situazione
«Non temere, sarò delicato» ghignò, mentre si infilava i guanti. Rabbrividii leggermente. Avevo imparato a non fidarmi di quel suo ghigno malefico. Non portava niente di buono.
Come sempre, il mio istinto aveva ragione. Un bagliore di terrore attraversò i miei occhi quando lo vidi con una siringa in mano.
«C-che ci devi fare con quella?» domandai balbettando e cercando di indicare l’oggetto. Sembrò sorpreso della mia domanda e mi rispose quasi scocciato, come se fosse ovvio. Io, poi, che stavo studiando medicina avrei dovuto saperlo meglio di tutti. E lo sapevo, poteva starne certo, ma semplicemente desideravo e speravo che si fosse sbagliato o che l’iniezione non fosse destinata a me.
«Devo anestetizzare le ferite. O vuoi provare il brivido di sentir ricucire i lembi della tua pelle con l’ago una trentina di volte?» sorrise ancora, più sadico che mai.
Scossi la testa. Aghi, troppi aghi. Aghi ovunque. No. Non mi avrebbero avuta. Mi alzai e mi misi a sedere sul bordo del lettino, con cautela. Law era di spalle, intento a prendere il filo da sutura. Quando si rigirò, mi guardò con uno sguardo che non ammetteva repliche.
«Capitano» esordii «sto bene. Me ne torno nei miei alloggi. Non c’è bisogno di farti perdere ulteriormente tempo. Arrivederci».
Poggiai i piedi per terra ma esitai prima di muovere un passo. Mi girava un po’ la testa e la cosa peggiore che avessi potuto fare sarebbe stata cadere come una pera cotta davanti al chirurgo. Chissà che in quel caso non avrebbe deciso di farmi una flebo. Avrei avuto ancora aghi infilati nella carne, tanto per non farmi mancare nulla.
«Mi stai facendo perdere tempo ora. Torna a distenderti sul lettino.» ordinò, aspro. Il suo tono di voce e il suo modo di fare mi ricordarono di quella volta che mi ero presa un’insolazione, nel mio mondo e di quando il mio – allora non ancora – capitano aveva spinto la mia testa con due dita sul cuscino per impedirmi di alzarmi e andarmene. Pensavo che il nostro rapporto fosse cambiato, che avessimo fatto dei passi in avanti. Invece mi sbagliavo. O forse, era davvero così e lui semplicemente non sopportava le persone codarde, come lo ero io in quel momento. Obbedii e mi rimisi sdraiata.
 
Guardai l’intero processo. Ci volle circa una mezz’ora per suturare le ferite e per me fu quasi una tortura. Mi ci vollero trentuno punti di sutura per ricucire i lembi di pelle, dodici per il braccio e diciannove per il fianco. La parte più dolorosa fu quando Law conficcò l’ago contenente il liquido anestetico nelle lacerazioni. Era così che si doveva fare, lo capivo, ma faceva un male cane uguale. E pensare che nel mio mondo molte persone mi prendevano in giro per questa mia paura “irrazionale” degli aghi. Avrei voluto vedere loro al mio posto! Comunque, quando il chirurgo iniziò a mettermi i punti, l’anestesia locale aveva fatto effetto e non avevo sentito alcun dolore, solo una leggera pressione. La parte brutta era stata il dover guardare ogni passaggio di quella operazione. Dovevo osservare per poter imparare, aveva detto il capitano, perché un giorno avrei dovuto farlo anche io, forse perfino su me stessa, e a quel punto non ci sarebbe stato nessuno ad aiutarmi o a guidarmi passo per passo e se avessi sbagliato avrei potuto pagarne caramente le conseguenze. La medicina è una cosa molto delicata. È un po’ come andare in battaglia. Un’esitazione, un minimo sbaglio e sopraggiunge la morte. Solo che non sei tu a morire, ma la persona che ha affidato la propria vita nelle tue mani. Un fardello piuttosto pesante da portare, un fardello che ancora non ero pronta a sostenere, ma che prima o poi avrei inevitabilmente dovuto caricare sulle spalle.
Quando finì quello che doveva finire, il moro ebbe anche il coraggio di chiedermi se sapevo dirgli perché non aveva usato una garza per coprire le ferite suturate. Non gli risposi. Ero ancora troppo rintronata per fare qualsiasi cosa, perfino per cercare di ribattere alla sua “comunicazione” che, sebbene le ferite non fossero profonde, sarebbe stato meglio se fossi rimasta un paio di giorni in osservazione in infermeria. Avevo pur sempre perso una quantità di sangue non indifferente e avevo anche altre contusioni ed era bene che non mi sforzassi troppo, per non far saltare i punti. Li osservai e feci una faccia un po’ schifata, ricordandomi di quanto avevo visto poco prima. Poi guardai Law cestinare i guanti e pulire e rimettere a posto gli strumenti. Di solito erano gli assistenti che facevano queste cose, ma lui era meticoloso e non voleva che qualcuno si occupasse di ciò che era suo. Fece il giro del lettino e si avvicinò a me. Iniziò ad alzare ed abbassare il mio braccio sinistro. Poi passò alla spalla, stavolta facendole compiere movimenti circolari. La toccò e io mi feci sfuggire un sussulto. Non solo mi faceva male, ma aveva anche le mani fredde.
«È solo una contusione. Basterà applicare una pomata e tra qualche giorno il livido scomparirà» sentenziò. Dopodiché, mi abbassò leggermente i pantaloncini – non senza un certo imbarazzo da parte mia – e controllò la coscia. C’era un brutto livido anche lì, però era sempre una contusione, niente da temere, dunque. Il mio capitano si offrì perfino di spalmarmi la crema sul momento, ma io risparmiai l’imbarazzo ad entrambi e declinai gentilmente l’offerta.
«La faccia come sta?» chiesi infine, preoccupata di aver subito qualche deformazione. Lui prese il mio mento con l’indice e il pollice della sua mano e mi girò delicatamente il viso.
«Ha passato periodi migliori» constatò dopo averlo osservato attentamente. Non lo disse con freddezza ma quasi come se fosse una battuta. Infatti un mezzo sorriso era apparso sul suo volto.
«Chi bello vuole apparire, un poco deve soffrire» feci io, ridendo delle mie stesse parole e facendo subito dopo una smorfia di dolore. I punti tiravano. Lui mi rivolse uno sguardo di rimprovero ed io non parlai più.
 
Poco dopo qualcuno bussò alla porta e Law fece entrare il misterioso visitatore, che si rivelò essere Bepo. Avanzò a testa china e per quel poco che potei vedere, sul suo viso c’era dipinta un’espressione estremamente mortificata. Il capitano gli fece cenno di prendermi tra le braccia e di trasportarmi nel letto dalla parte opposta della stanza. Mi sollevò con una delicatezza quasi surreale, quasi come se fossi una bambola di porcellana fragilissima e potessi rompermi da un momento all’altro se avesse applicato troppa pressione. Fu molto accorto anche nel breve viaggio dal lettino al letto vero e proprio, evitando di sballottarmi troppo. Si premurò perfino di coprirmi con la coperta. Evidentemente doveva sentirsi molto in colpa per quello che mi era capitato. Ma non era colpa sua, come poteva esserlo? Era vero, mi aveva lanciato in aria senza pensarci due volte ed io ero riatterrata in malo modo, ma le ferite me le ero procurata da sola, perché non ero stata abbastanza attenta nel valutare la situazione.
Il moro, capendo prontamente la situazione, se ne andò e ci lasciò soli. Non si disturbò nemmeno ad inventarsi una scusa. Non che ce ne fosse bisogno, ma di solito era consuetudine fare così, almeno da dove venivo io. Era questo che amavo ed odiavo allo stesso tempo di lui. Se ne fregava delle convenzioni e non era imbarazzato nel fare ciò che andava fatto. Per quanto potesse apparire controllato, distaccato, freddo e calcolatore, era comunque un pirata, un capitano, e quindi uno spirito libero. O perlomeno, lo era da quando non aveva più vendette da attuare contro ex draghi celesti membri della flotta dei 7.
«Sono profondamente dispiaciuto per l’accaduto» Bepo, con le mani congiunte e il capo chino, richiamò la mia mente alla realtà. Girai la testa verso di lui, sospirai e portai la mia mano “sana” sopra le sue.
«Non è stata colpa tua, Bepo. Tu stavi solo cercando di insegnarmi» gli dissi dolcemente. Poi continuai. «In più, tecnicamente sono stata io ad infliggermi le ferite, quindi sei scagionato da ogni accusa».
Gli sorrisi, cercando di non farlo sentirlo in colpa più di quanto già si sentisse, ma non sembrò funzionare.
«È stata colpa mia. Non avrei dovuto forzarti così. Dovevo capire che non eri pronta» aveva un tono amareggiato e teneva ancora la testa bassa.
Sospirai ancora. Dovevo fargli entrare in quella stupida testa pelosa che non aveva nessuna colpa. Non che un pochino non lo incolpassi, ma di questo non ne sarebbe di certo venuto a conoscenza.
«Non sei tu che dici sempre che la battaglia non aspetta?» chiesi, retoricamente. Lui annuì debolmente.
«Ecco. Quindi non devo essere pronta, ma preparata. Tu mi stai addestrando ad essere preparata e gli incidenti capitano durante il processo. Anzi, meglio che tutto questo sia successo qui, sul sottomarino, sotto gli occhi del migliore chirurgo in circolazione, che non durante un combattimento vero e proprio»
«Avrei dovuto prestare più attenzione» piagnucolò
«Non sono morta, ok? Non è successo niente che con qualche giorno di riposo non si possa risolvere. Vedrai che ci dimenticheremo tutti in fretta dell’accaduto e tra un paio di settimane riprenderemo l’allenamento come se nulla fosse»
«No. Io...io sarei dovuto essere più prudente. Quando si tratta di combattere mi trasformo in un’altra persona, in un mostro, e non mi rendo conto di quello che faccio...non posso più farti da maestro. Chiederò a Jean Bart di sostituirmi. Lui ci sa fare con queste cose e poi...»
«Bepo!» lo interruppi. «Non chiederai a nessuno di sostituirti.» gli presi la testa tra le mani e incastonai il mio sguardo al suo. «Io voglio che sia tu ad addestrarmi. Tu sei il migliore maestro che potessi desiderare. Non sei un mostro, ma un combattente. Io voglio che sia un combattente ad addestrarmi. Non mi addestrerò con nessun altro all’infuori di te. Chiaro?»
Si morse il labbro, perplesso sul da farsi.
«Ma guarda! Guarda cosa ti ho fatto!» esclamò prendendo dalla mensola uno specchio e puntandomelo dritto in faccia. Vidi il mio riflesso e per un attimo mi spaventai. Sullo zigomo destro e sulla guancia sinistra c’erano due chiazze violacee non indifferenti. Mi avvicinai un po’ per capire se quelle non fossero allucinazioni. No, avevo visto benissimo. Le toccai. Mi facevano un po’ male. Pensai che se mia madre mi avesse vista così le sarebbe preso un colpo. Mio zio avrebbe dato di matto e i miei amici avrebbero riso di me, facendo congetture su come avessi fatto a ridurmi in tale modo. L’ipotesi più quotata sarebbe stata che ero caduta dalle scale, ma avrebbero potuto scherzare sul fatto che avessi fatto a botte. La nostalgia si stava facendo strada nella mia mente e mi sfuggì un sospiro.
«Mi dispiace tanto, non sai nem...»
«Guariranno. Sono solo lividi. Non mi hai deformato il viso» mi affrettai a dire, anche se un po’ incerta. Non avevo ossa rotte o deformazioni, vero? No, Law me lo avrebbe detto altrimenti.
«Ma potrebbero rimanerti per sempre le cicatrici, per colpa mia, per questo stupido incidente che poteva essere evitato! Che io potevo evitare!» gridò.
Cicatrici? Parlava sul serio? Mi sarebbero rimaste le cicatrici? Mi intristii un po’ al pensiero, ma cercai di non darlo a vedere. Dovevo chiederlo al chirurgo.
«Non importa. Potrò pur sempre mostrarle con orgoglio ai miei figli e raccontare loro in quale modo eroico me le sono procurate. Sono cicatrici di guerra, dopotutto»
«Ma io...» iniziò il navigatore. Lo fulminai con lo sguardo, sbuffando dal naso. Alzai le sopracciglia per assicurarmi che il concetto gli fosse arrivato alle orecchie – e soprattutto che l’avesse recepito – forte e chiaro.
«D’accordo. Grazie di avermi perdonato» abbassò ancora la testa, sorridendo sollevato. Era stato quasi un parto, ma finalmente l’aveva capito.
«Se c’è qualsiasi cosa che posso fare, chiedi pure» annunciò. Stavo per congedarlo, perché ero stanca e avevo bisogno di riposare e tutta quella faccenda mi aveva un po’ innervosita, ma poi ci ripensai e lo mandai in camera mia a prendere il mio smartphone, le cuffie e il caricabatterie. Prevedevo che sarebbero stati dei giorni di degenza noiosi, dovevo passare il tempo in qualche modo.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: WillofD_04