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Autore: sam_di_angelo    24/10/2016    3 recensioni
Quando gli occhi di un ragazzo dalle cattive abitudini incontrano per puro caso lo sguardo dell'altro, inchiodato in un letto d'ospedale, tutto cambia, tutto assume un aspetto differente.
Due mondi a sé stanti, due personalità troppo simili eppure così puramente diverse.
casa[cà-sa] s.f.
1 Edificio a uno o più piani, di dimensioni e aspetto vari, adibito ad abitazione dell'uomo.
Qual è la vera casa di Cole Blaze? La sua piccola dimora numero 251 affacciata sulla strada più vecchia e consumata del suo quartiere, oppure quegli occhi a mandorla color caffè che continuano imperterritamente a tormentarlo?
"It's their loss. Not yours."
CAST:
Park Chanyeol - Cole Blaze
Byun Baek-hyun - Boyce Hanks
© Sam Di Angelo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Baekhyun, Baekhyun, Chanyeol, Chanyeol, Kai, Kai, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IMPORTANTISSIMO!
Mi dispiace people, ma avevo dimenticato di pubblicare il capitolo 6... Dovete perdonarmi... Andate a leggerlo e poi tornate qui, ci sarà uno spargimento di lacrime, lo sento! 



 

1

Cole si sentiva strano. Parecchio strano. 

La giornata al parco era andata come da lui desiderato: si era divertito con Tani, aveva urlato sulle giostre fino a perdere la voce, aveva mangiato lo zucchero filato - che lui adorava - ed era riuscito finalmente a provare la casa dei fantasmi. I suoi amici non avevano mai acconsentito ad accompagnarlo, neanche Kellin (fifoni). Tani invece, dopo qualche supplica, aveva accettato. Si erano divertiti da matti perché lui l'aveva punzecchiata nel buio e lei aveva gridato in faccia ad ogni zombie che era spuntato dal nulla. Forse era stato più divertente per Cole a pensarci, dato che Tani non appena uscita dall'attrazione era pallida e spaventata. Alla fine però era scoppiata in una risata e aveva mandato Cole a quel paese, dicendogli che le doveva un frullato alla fragola.

Si erano dati appuntamento per il secondo mercoledì del mese, ovvero tre giorni dopo il loro incontro, per andare al cinema (Cole le avrebbe offerto il frullato promesso). 

Il gigante dalle orecchie a sventola era tornato a casa felice, con il numero di telefono di una ragazza che finalmente lo incuriosiva e la sera stessa aveva persino studiato di buon umore, senza lamentarsi neanche una volta.

Poi era arrivato il lunedì, e Chanette aveva dovuto minacciarlo agitando un mestolo di legno a mezz'aria. 

Adesso si ritrovava in macchina, seduto accanto ad una donna isterica, probabilmente nel suo periodo del mese, che continuava a borbottare. Si sentiva come un pesce fuor d'acqua. 

Non voleva andare a trovare sua nonna, affatto. Quella donna aveva contribuito attivamente al tradimento di suo padre nei confronti della sua famiglia e Cole non avrebbe voluto nemmeno vederla da lontano. 

Cole era stato adottato quando, rimasto orfano, era finito in un istituto. Una donna dai capelli biondi e lucenti lo aveva salvato, lo aveva accolto fra le sue braccia e se l'era portato a casa. Il bambino l'aveva sempre vista come un angelo, circondata da una potente aura di luce che gli infondeva calore e protezione. Questa figura angelica, nei ricordi intatti di Cole, era perennemente affiancata da un uomo alto, scuro di pelle, con gli occhi a mandorla simili ai suoi e un portamento regale, che lo faceva sembrare un eroe, uno di quelli che nei fumetti, di giorno, sono normali essere umani, con un lavoro e una vita normale, e che di notte si trasformano in leggende e combattono il crimine. 

Poi quell'uomo era sparito, forse era volato via come superman, con il suo mantello rosso, a salvare il mondo. Al piccolo Cole piaceva pensarlo così, come un eroe. Poi, crescendo, aveva scoperto man mano che gli eroi non esistono, così come non esisteva quell'immagine di onore e sani principi che si era fatto di suo padre. Quell'uomo era stato un farabutto, era scappato con la sua segretaria, lasciando il suo bambino e sua moglie da soli. Era stato un fottuto codardo.

«Dove trovi la forza di andare a trovare quasi ogni giorno quell'ammasso di rughe?» chiese Cole a sua madre, sprezzante, con lo sguardo fisso fuori dal finestrino. 

«Cole, sai come la penso a proposito.»

«Sì» rispose lui, voltandosi «"nonna ha sbagliato, è vero... Ma, quella donna mi ha sempre accettata in famiglia, e non puoi biasimarla se ha scelto di aiutare il suo unico figlio a scappare con la coda fra le gambe con una donna più giovane di lui di venti anni."» aggiunse, imitando la voce di Chanette.

«Cole, nella vita bisogna imparare a perdonare quando si può. Certo, tuo padre non l'ho mai perdonato per ciò che ha fatto, perché non potrei mai farlo, ma tua nonna... E' vecchia ormai, Cole, non le resta molto da vivere. Ha sbagliato, è vero... Tu però cosa avresti fatto al suo posto? Non ha aiutato tuo padre a fuggire se non dandogli dei soldi, i soldi che suo figlio l'ha implorata di dargli con le lacrime agli occhi. Lei ci teneva alla sua felicità, e sai anche che non sapeva a cosa sarebbe servito quel denaro. Cole, era sua madre... cerca di comprendere. Io l'ho fatto, e ho perdonato.» Chanette strinse le mani attorno al volante. 

Cole osservò le sue iridi azzurre scintillare nella luce del primo pomeriggio, come zaffiri. Secondo Dante il colore azzurro e limpido di quelle pietre simboleggiava la liberazione.

 

2

Cole restò immobile. Era in quell'ospedale, nello stesso in cui non metteva piede da tempo. Lo stesso in cui era intrappolato il ragazzo che aveva abbandonato per giorni. Ma in quel momento non ebbe importanza. 

Era in piedi davanti ad un numero diverso stampato sulla porta blu, dietro al quale avrebbe trovato la donna che, assieme a suo padre, aveva cancellato completamente dai suoi pensieri.

«Cole, aspetto fuori, oppure vuoi che io entri?» il ragazzo guardò sua madre, la quale gli rivolgeva uno sguardo deciso e preoccupato al tempo stesso.

«Entro da solo.» Cole afferrò la maniglia, e con uno slancio entrò. Diede il tempo ai suoi occhi di abituarsi alla luce bianca, quasi paradisiaca - o infernale - e studiò attentamente la stanza in cui si trovava. La disposizione degli arredi era diversa da quella della camera di Boyce, lo spazio era più ridotto, ma principalmente risultò familiare. 

Poi gli occhi di Cole, che fin a quel momento avevano indugiato, si fermarono sulla donna che sprofondava nel letto bianco, e che continuava a fissarlo sbigottita. 

«Cole?» lo chiamò, credendo di avere le allucinazioni. «Oh, Gesù... quelle medicine mi stanno dando alla testa...» affermò la donna, sul punto di piangere. Si portò una mano sugli occhi, sfregandoseli come per cancellare quell'illusione che aveva appena visto. Cole notò la pelle più raggrinzita di quanto la ricordasse, piena di macchie dovuto alle vecchiaia. Spuntava fra le rughe, da sotto un cerotto, un piccolo tubicino di plastica scintillante, che Cole seguì con lo sguardo fino ad arrivare al sacchetto di una flebo. Il liquido trasparente scendeva a piccole gocce, ad un ritmo ipnotico.

«Sono io.» disse semplicemente, deciso ad ignorare a tutti i costi il sapore del vomito in bocca che minacciava di venir fuori. 

«Sei mio nipote?... Sono morta per caso?» a Cole fece pena il viso dell'anziana. Era più magro, meno luminoso, con più rughe. Aveva le cataratte agli occhi, quegli occhi marroni come quelli di suo padre, che un tempo furono dolci e splendenti, ora velati da uno strato sottile che li rendeva opachi. 

Il viso era lo stesso dell'uomo che lo aveva abbandonato, lo ricordava a Cole tremendamente. 

«Georgia, sono qui solo perché l'ho promesso a Chanette.» disse piano Cole, respirando a fondo.

«Cole, mio piccolo angelo, sei tornato da me... Mi dispiace Cole, mi dispiace!» la nonna paterna del ragazzo cercò di alzarsi, facendo tremare tutti gli apparecchi collegati a lei, tutti quei tubi conficcati nelle sue vene.

Cole si affrettò ad avvicinarsi, mise le mani sulle spalle della donna e la tenne ferma. La pelle era fredda sotto il suo tocco, la maglietta del pigiama che indossava consumata. 

«Stenditi, non voglio avere nessun morto sulla coscienza.» la donna sembrò colpita da quelle parole, il viso contratto nell'espressione di chi ha appena preso una coltellata in pieno petto.

Obbedì e si mise stesa, tirandosi su le coperte fin quasi a scomparire. 

«Mi dispiace Cole, devi credermi...» sussurrò con la voce dolce e pentita. «Non sapevo a cosa servivano quei soldi, non lo sapevo...» e fu allora che iniziò a piangere.

Un misto di emozioni travolse Cole, che si ritrovò nell'occhio di un immenso ciclone. Cosa diamine stava succedendo? Quella donna aveva aiutato suo padre, ma non intenzionalmente. Aveva aiutato il suo unico figlio perché era quello che ogni mamma avrebbe fatto.

«Avresti potuto chiedere perché quel verme di tuo figlio ti chiedeva tutti quei soldi, sei stata un'incosciente!» la donna in risposta singhiozzò. 

«Lo so, piccolo mio, lo so... E' solo che Marcus era così disperato... Non ho saputo ragionare lucidamente, dopotutto era mio figlio...» Cole si irrigidì.

«Non pronunciare quel nome, non voglio mai più sentirlo!» quasi urlò, scosso dal dolore delle unghie che si conficcavano nei palmi.

«Ti chiedo solo di perdonarmi, Cole... Mi sei mancato così tanto in questi anni... Così tanto... Eri, sei il mio piccolo angelo...» le lacrime scendevano lungo le guance incavate della donna, che iniziò a tirare su col naso.

Qualcosa dentro Cole si ruppe, come se una diga stesse cedendo alla pressione dell'acqua. La diga nel cuore di Cole esplose infradiciandolo da capo a piedi.

Sentì il nodo che si era stretto nella gola allentarsi. Cosa stava facendo? Stava gridando addosso ad un'anziana, che lo aveva riempito di amore quando era solo un bambino orfano e spaventato. 

Avevano sbagliato entrambi, e in quel momento, Cole l'aveva capito. Aveva sbagliato a chiudere sua nonna fuori dalla sua vita, solo perché guardarla gli ricordava il padre. Aveva sbagliato, ed era stato codardo tanto quanto quell'uomo che disprezzava.

Il ragazzo mando giù il magone che aveva nel petto e scoppiò a piangere. Era stato debole, aveva permesso al suo rancore di prendere il sopravvento, oscurando l'affetto che provava per Georgia. Cole si piegò sul letto e abbracciò sua nonna.

Si era creato tutte quelle ragioni per cui odiarla, perché per lui amarla era troppo difficile.

«Perdonami nonna... Perdonami...» sussurrò, respirando l'odore di fiori che sovrastava quello statico delle medicine. I capelli bianchi e boccolosi gli solleticavano le orecchie.

La donna, che fino a quel momento era rimasta immobile, strinse il nipote fra le braccia, non curandosi dei fili che la trattenevano, come se lei fosse una marionetta comandata da un burattinaio.

E Cole chiese scusa, per tutto il tempo che aveva perso con lei, per non essere riuscito a perdonarla, per aver creato il mostro dal quale scappava.

«Tu devi perdonare me, Cole...» rispose la donna, accarezzando la schiena del ragazzo.

«Non ti ho più cercato, ho aspettato come una bambina immatura che fossi tu a tornare da me, mi sono persa la tua adolescenza e adesso spunti qui, uomo, e sei tu a chiedermi scusa... Non lo merito.» Cole pianse ancora di più, abbandonandosi fra le braccia della nonna.

«Siamo stati due codardi Cole... Che ne dici di perdonarci, e di ricominciare daccapo?» Cole sciolse l'abbraccio. Guardò la donna con gli occhi tutti arrossati e sorrise.

«Solo se mi cucini una di quelle torte meravigliose che mi facevi da bambino.» la voce gli tremava.

«Non appena uscirò da questa gabbia di matti te ne cucinerò quante ne vuoi, te lo prometto.» restarono un po' a sorridersi, sollevati da quel peso che gli aveva schiacciati per anni.

Poi Cole aveva preso una sedia e l'aveva sistemata accanto al letto di Georgia, e le aveva raccontato tutto ciò che lei si era persa nel tempo. Dei suoi amici, della scuola, perfino di Tani. Perfino di Boyce.

Chanette, che aveva osservato la scena per tutto il tempo, nascosta, chiuse la porta e ci si appoggiò, sorridente.

Il suo Cole era davvero diventato un uomo.

«Torna presto a trovarmi, Cole...» il ragazzo rise.

«Certo, nonna, sarò qui ogni volta che potrò. E' tanto il tempo che abbiamo perso... Ma solo alla morte non c'è rimedio, no?» la donna annuì energicamente. 

Cole tornò a casa con un peso in meno sul cuore. Non era andato da Boyce, ma questo problema passò in secondo piano. Aveva ritrovato sua nonna, aveva fatto pace con lei e con il suo passato, aveva perdonato ed era stato perdonato.

Amare chi ha sbagliato è difficile, ma non del tutto impossibile. 

 

3

 Cole sorrise alla ragazza al suo fianco e bevve un sorso del suo frullato al mango. Era il secondo mercoledì del mese, questo significava: cinema! 

Per via di una promozione, ogni secondo mercoledì del mese il prezzo dei biglietti era più che dimezzato: con i soldi che si spendevano normalmente per un biglietto, se ne potevano comprare quattro. 

Dopo il film - un bellissimo film sui supereroi - Cole Blaze e Tani si erano rifugiati in un piccolo bar nel centro della città. 

Cole adorava andare in quel posto, e ogni volta amava provare un gusto diverso di frullato. Tani ne aveva preso uno alla fragola, che prontamente Cole aveva pagato, come era nei piani. 

Tutta la città era andata al cinema, per via dell'imperdibile occasione, e i due avevano deciso, dopo essere usciti a mala pena illesi dal cinema, che quel pomeriggio sarebbe stato perfetto per saldare il debito di Cole.

Avevano chiacchierato del più e del meno, poi avevano iniziato a parlare di loro, delle loro vite. 

Tani era figlia di una normale famiglia, con un padre che andava a lavoro, una mamma che si occupava della casa e un fratello più piccolo. Aveva un anno in più di Cole e aveva finito da un anno la scuola. Si era presa una pausa, per fare qualche viaggio e divertirsi, poi avrebbe iniziato a frequentare un'università.

Cole gli parlò della sua famiglia, ovvero di Chanette. Fu tentato di raccontarle di quello che era successo con nonna Georgia, ma non era lei la persona a cui voleva parlarne.

Passarono una serata all'insegna delle risate e dello svago, poi Cole riaccompagnò Tani a casa con la sua macchina.

«Mi raccomando, fesso, scrivimi.» gli disse lei, chiudendo lo sportello della vettura. Quel giorno indossava una maglietta rossa, dei semplici jeans e degli stivaletti neri. Aveva i capelli legati in due trecce che partivano dal capo e che Cole trovava inevitabilmente adorabili. 

Il ragazzo spense il motore, tirò via le chiavi e scese dall'auto. 

«Mi accompagni addirittura alla porta? Ma come siamo galanti!» Tani gli sorrise. Era bella, con quel rossetto rosso e la pelle pulita. Solo quel filo di trucco scarlatto sulle labbra, nient'altro.

«Non vorrei mai che qualcuno stuprasse una donna davanti ai miei occhi.»

«Quindi stai dicendo che se succedesse non faresti nulla per difendermi?» chiese lei, a metà fra la risata e l'occhiataccia.

«Rischiando di sciupare questo fisicaccio?» Cole si indicò con un gesto raffinato delle mani.

«Vaffanculo, Blaze.» rise Tani, e Cole la abbracciò. «Scherzavo, lo sai.» lei ricambiò la stretta.

Quando si separarono Tani lo guardò con quel sorrisetto di che ne ha appena combinata una.

«Potrei averti sporcato la maglietta di rossetto.» Cole si guardò la maglia bianca che indossava, pronto ad infuriarsi. Prima che potesse farlo le labbra scarlatte di Tani raggiunsero la sua guancia, per poi baciarla. La ragazza si allontanò e rise divertita. «Il rosso ti dona!» poi con uno scatto arrivò alla porta e sparì nella sua casa, piccola ma carina come quella di Cole.

Il ragazzo restò un attimo imbambolato, poi alzò gli occhi al cielo sorridendo, e guidò fino a casa.           

 

Nota Autrice: Vorrei ringraziare in questa nota tutte le persone che continuano ad apprezzare e seguire questa storia, in particolare una ragazza che mi sostiene e mi ha aiutato a decidere cosa farne di questo capitolo AHAHAHAH Grazie mille Alessia ♥
Volevo avvisarvi anche del fatto che potete trovare questa storia anche su Wattpad, se vi risulta più facile leggere i capitoli da lì, il titolo è il medesimo. Lasciatemi un commento, un consiglio, una critica qui sotto in una recensione... Grazie in anticipo. Alla prossima! Love you all ~
-Sam ♥

 


 
   
 
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