Per un attimo avevo creduto che Lorenzo fosse venuto a prendermi dall’oscurità di quella notte per portarmi via con lui, come un vero principe, con tanto di cavallo bianco, magari. La realtà mi crollò addosso con una noncuranza che mi disarmò. Ma la delusione durò poco: una chioma dorata, leggermente mossa, mi sfiorava quasi il viso, mentre due labbra fini, appena socchiuse respiravano, riscaldandomi la guancia, e due occhi scuri mi fissavano maliziosi. “Stai in disparte?” ripeté alimentando il calore sulla mia pelle, dovuto, oltre che al respiro del “nuovo arrivato”, alla porpora imbarazzata che stava lentamente ricoprendo il mio viso. Feci la sostenuta per paura di quello che il suo sguardo mi stava esplicitamente dicendo. “Beh, sì.. volutamente”. Lui rimase qualche secondo appiccicato alla mia fronte, poi si alzò, visibilmente sicuro del suo “charme”. “Ah, ricevuto il messaggio” disse con un’espressione lievemente ferita. “No, aspetta!”. Si voltò falsamente stupito, con un sorriso malcelato che mi fece quasi arrabbiare, ma, in fin dei conti, non aveva fatto niente di male e non me la sentivo di stare ancora lì ferma in silenzio. “Scusa, non volevo essere maleducata, non te ne andare”. Lui si sedette esageratamente vicino a me, considerata la quantità di parole che ci eravamo scambiati. Mi allontanai istintivamente e lui non insistette, anche se mantenne quel sorriso ebete. “Allora? Che fai qui tutta sola?”. “Nulla di particolare, pensavo” dissi ironica. “A cosa? O forse.. a chi?”. “Niente, stupide speranze da adolescente”. “Ah, allora è un “chi” davvero!” disse sorridendo, per la prima volta spontaneo. Notai che aveva un sorriso dolce. “Beh, come hai visto le conosco bene certe illusioni. In effetti, mi sembrava strano che una ragazza così carina fosse libera”. “Allora ho qualcosa di strano o non sono così carina come dici, perché sono libera davvero!” dissi incredibilmente allegra. “Ma un fortunato “lui” ha il tuo cuore e, probabilmente, presto tu avrai il suo”. “Non ne sarei così sicura”. Ora che aveva smesso di provarci, quel tipo iniziava decisamente a piacermi, nonostante fosse comunque esageratamente lusinghiero. Chiacchierando con lui, mi sentivo a mio agio, non avevo bisogno di nascondere niente, o forse era impossibile farlo, perché riusciva a tirarmi fuori le parole dalla bocca, come se il mio cuore avesse trovato un amo a cui abboccare e, pur sapendo cos’era, avesse deciso di assecondarlo, solo per il gusto di uscire un po’ fuori dall’acqua. Parlammo della scuola, degli amici, della festa, ma soprattutto di Lorenzo. Sembrava incuriosito da come riuscivo a rimanergli amica senza mai sfociare in situazioni imbarazzanti. Mentre gli raccontavo tutta la nostra storia per filo e per segno, il mio ascoltatore commentava, rideva, criticava e elogiava, condivideva le mie sensazioni di due anni e mi consigliava. Certe volte mi faceva arrossire con complimenti come: “Quel Lorenzo dev’essere proprio matto.. o forse è cieco, che ne dici?” o “Se io fossi al suo posto, approfitterei subito di tutto questo affetto da parte tua, invece di lasciarlo andare così!”. Ma in fondo era proprio questo suo aspetto che mi faceva sentire a posto con me stessa. Dimenticai tutto il resto, passammo tutta la sera sparlando e ridendo, seduti sul muretto del ristorante, fregandosene delle battutine scherzose dei miei compagni, sotto le stelle, che tanto mi avevano fatta intristire, sotto la luna che illuminava una simpatia a pelle che non riuscivo a scacciare. I miei amici avevano frainteso, non era sbocciato nessun “nuovo amore”, nessuna “passione focosa”, Lore era sempre ben impresso nella mia testa, solo che il suo nome era ormai solo un sottofondo, che arricchiva la mia conversazione con quello sconosciuto di cui non sapevo nemmeno il nome.
“Mi chiamo Federico”. “Federico?”. Scoppiò a ridere, probabilmente a causa del tono della mia voce: “Sì, è così strano?”. Non resistetti e mi aggiunsi al coretto della sua ilarità: “No, no! È che non sei un tipo da “Federico”!”. “In che senso, scusa?”. “Nel senso che non è un nome che ti avrei attribuito..”. “Ah… e allora come mi avresti chiamato? Magari “Romualdo” o qualcosa del genere!” Ripartì a ridere! “Uffi, no, cretino! Semmai.. boh.. Andrea, ecco..”. “E come mai “Andrea” sì, e Federico, no?”. “Mi sembri un tipo da “a”..”. Sorrise rassegnato: “Un tipo da “a”..”.
A fine serata ero tranquilla e allegra. Mi aveva fatto piacere parlare con quello sconosciuto: forse avevo bisogno di dire finalmente quello che avevo dentro a qualcuno che non ne avesse niente a che fare. La storia di Francesca mi aveva un po’ spiazzato (solo un po’?!) e avevo bisogno di riprendere fiato. Perciò quando mi accorsi del tempo passato, mi stupii dell’angoscia che mi salì su all’idea di separarmi da Fede (che ormai, per me, era inevitabilmente e irrimediabilmente Andrea). Mi sentivo come in una di quelle giornate afose sulla spiaggia, quando arriva la folata fresca che aspettavi e ti fa sentire bene per quei pochi secondi, fino a quando non cala il vento e hai addirittura più caldo di prima. Avevo paura di aver trovato solo altre sensazioni di cui sentire la mancanza. Fortunatamente il venticello tornò presto a rinfrescare i miei dubbi: “Beh.. mi dai il tuo numero?”. Lo fissai falsamente sconcertata e lui si corresse subito: “Mi scusi, mademoiselle, se ho avuto l’ardire di domandarle un’informazione così intima, riformulo.. gradirebbe, se non le spiace, darmi il suo numero di cellulare?”. “Uhm.. credo di poterla accontentare..” risposi sorridendo. Forse non l’avrei mai chiamato, ma almeno avrei saputo di averne la possibilità e non avrei rimpianto niente.
Quando arrivai a casa, per prima cosa mi buttai sul letto. Sonno! Già, meglio dormire subito: il giorno dopo ci sarebbe stata scuola.. e Lorenzo.