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Autore: Luxanne A Blackheart    29/10/2016    1 recensioni
Costantinopoli, 1518, Sublime Stato Ottomano.
Ibrahim Pargali Pascià, il Gran Visir, giunge a Palazzo Topkapi con un regalo speciale per il suo sultano. Si tratta di Roxelana, una schiava dai lunghi capelli rossi e la pelle bianca come il latte. Roxelana è stata venduta ad Ibrahim in cambio di soldi. Verrà condotta nell'harem di concubine di Süleyman il Magnifico. Nonostante l'amore incondizionato e puro che il suo padrone le dimostra, la rossa non si sente a casa, poiché non vuole essere una semplice schiava del piacere. Ella non vuole essere la favorita del sultano, vuole la libertà. Il suo animo ribelle e combattivo non si fermerà davanti a nulla pur di raggiungere il suo scopo: il potere. Non si fermerà neanche davanti all'omicidio e alla morte. A tutto ciò si aggiunge l'odio viscerale e l'amore proibito che le accecano la vista, emozioni che non sono destinate a Süleyman . Sentimenti contrastanti che la faranno impazzire.
Cosa rimarrà della schiava dai capelli rossi quando il destino chiederà il conto?
STORIA IN REVISIONE.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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Era mattino inoltrato, forse le otto o le nove. Tutti dormivano ancora profondamente nei loro morbidi letti della miglior fattura, mentre i servitori si aggiravano per il castello occupati dalle quotidiane mansioni come pulire, raccogliere la frutta che doveva essere servita al mattino, preparare il pane o semplicemente recarsi al mercato per comprare il necessario. I ricevimenti azzeravano quasi tutte le risorse cibarie del castello.
Le concubine del sultano, invece, erano in piedi da qualche ora e si occupavano delle loro normali mansioni. C'era chi leggeva, chi studiava, chi suonava l'arpa e chi si esercitava nel ballo. Ognuna di loro possedeva qualcosa a differenziarle dall'altra; o almeno tutte, tranne Hurrem. La sua specialità era quella di entrare nel cuore delle persone e di rimanervi per lungo tempo, soprattutto in quello del sultano, che da quando l'aveva incontrata, non aveva più invitato nessun altra nelle sue stanze. Chiedeva solo di lei e addirittura ci dormiva tutta la notte. Dove si trovava la rossa, si trovava anche Selim. Sembravano attaccati da una corda che non li permetteva di allontanarsi per molto tempo l'uno dall'altra.
Gulbahar sbuffò, guardandosi allo specchio. Si era applicata del trucco sul viso che la rendeva più bella e graziosa di quanto già non fosse, i suoi capelli neri erano straordinariamente belli quel giorno con quei piccoli boccoli naturali... Ma a cosa serviva prepararsi ogni mattina, farsi bella, esercitarsi in ciò che le riusciva meglio, quando l'uomo che amava non la degnava di uno sguardo? Era la madre dell'erede al trono e contava meglio di niente a corte. Ne aveva abbastanza di essere costantemente eclissata da una ragazzina dai capelli rossi e dalla voce stridula.
Hurrem non era diversa da tutte loro; avevano passato tutte brutti momenti nel passato, avevano sofferto tutte la fame, alcune di loro erano state anche picchiate crudelmente durante la cattura, altre avevano guardato morire i propri cari, brutalmente assassinati, altre avevano visto i loro villaggi bruciare. Nonostante ciò nessuno le aveva premiate com'era successo a lei, nessuno le aveva mai trattate in quel modo, nessuno le aveva mai amate così. Avevano imparato a volersi bene col tempo, era come avere tante sorelle a cui badare e di cui occuparsi; questo era il motivo per cui nessuna di loro si reputava superiore alle altre. Hurrem dal primo giorno in cui aveva messo piede a palazzo, non aveva mai provato ad instaurare un rapporto con loro, anzi se le era inimicate e messe tutte contro. Se ne stava sempre lì in un angolo a parlare in russo, pensando di non essere capita da nessuna di loro. Gulbahar la comprendeva. Nonostante avesse la pronuncia perfetta e non praticasse quella lingua da anni, la ex Favorita del sultano era russa. L'avevano rapita all'età di quindici anni e portata a corte per la sua bellezza glaciale e per il modo sublime in cui le sue dita suonavano l'arpa.
Aveva visto morire i suoi genitori, sua nonna e tutti quelli che conosceva. Aveva sofferto anche lei come Hurrem, ma nessuno le aveva mai rivolto simili attenzioni, come avevano sempre fatto con la rossa. Chi diavolo era per meritarsi un trattamento del genere? Non era giusto ed equo per nessuna di loro.
Selim non l'aveva mai guardata in quel modo... E la cosa che più le faceva male e la feriva, era che il padre di suo figlio non era stato talmente entusiasta di aspettare un bambino, il suo primo bambino ed erede al trono, come quando aveva compreso di quello che aspettava la rossa.
Eppure il suo piccolo Mustafà, la luce dei suoi occhi, la cosa migliore che le fosse mai capitata, era amato e adorato da tutti, persino da Hurrem che passava ore a giocarci in giardino.
Gulbahar la detestava perché il figlio che portava in grembo lei, che contava poco e niente ancora, agli occhi di Selim era più importante del piccolo Mustafà, vivo e meraviglioso.
Avrebbe fatto di tutto, persino uccidere, per non far vivere suo figlio nell'ombra di qualcun altro e per garantirgli il futuro che gli spettava. Mustafà era il legittimo erede al trono, nessun altro.
Da che epoca e mondo si provenga, le madri garantiranno sempre un futuro degno ai propri figli, non importano le conseguenze, quanto sangue potrebbe versarsi o quanto male si possa fare.
-Madre! Madre! Posso andare a giocare con Hurrem in giardino? - Mustafà entrò nella stanza, sbattendo violentemente la porta contro il muro. Aveva tutti i capelli scuri scompigliati e le guance paffute rosa per la corsa. La balia, dietro di lui, era disperata; le faceva penare tutte.
La concubina rise, sollevandolo di peso e facendoselo sedere sulle ginocchia.
-Non si usa più dare il buongiorno alla mamma adesso? - La donna gli sorrise, baciandolo sul capo ricciuto. Mustafà ridacchiò, mormorando un piccolo 'giorno' fra i capelli della madre.
Lo amava così tanto che il cuore le sarebbe potuto scoppiare. Il suo bellissimo bambino.
Lo guardò negli occhi, carezzandogli la tenera guancia con l'indice.
“Tutto per te, mio amore. Dobbiamo pensare a noi stessi, adesso che tuo padre ci reputa meno di niente.”


*** ***
Roxelana passeggiava tranquillamente per i giardini. Il sole splendeva nel cielo, illuminando tutto l'ambiente circostante. Un leggero venticello le scompigliava i capelli rossi, acconciati in una semplice treccia che le scendeva morbida sulla spalla. Era la stessa che le faceva sua madre, la domenica mattina, prima di recarsi a messa. Pensando a lei le venne un groppo in gola perché né lei né le sue sorelle sarebbero mai venute a sapere del figlio che aspettava in grembo o degli altri che sarebbero arrivati. Chissà se la nominavano ancora nei momenti di silenzio o la sera riuniti intorno a quel camino malandato. Chissà se soffrivano la sua mancanza. Soffrivano ancora la fame? Il bambino che aspettava sua madre era nato oppure c'erano state complicazioni? Suo padre, il suo dolce ed umile padre, riusciva ancora a reggersi in piedi? Troppe domande, ma nessuna risposta.
Mustafà le corse incontro, urlando come un matto. Le sue piccole braccine le strinsero la vita, abbracciandola. Roxelana si chinò, baciandolo sulle guance paffute e fredde.
-Buongiorno, mio bel principino!-
-Buongiorno, Hurrem. Come sta il mio fratellino? - Mustafà premette l'orecchio contro il ventre della rossa per poi urlare: - Mi senti? Ehi tu, ho chiesto come stai! Perché non mi rispondi mai?! -
-Mustafà, non urlare così tanto, rimarrai senza voce. - Hurrem rise, notando che il principe si fosse imbronciato. Era davvero buffo con quell'espressione contrariata e le braccia incrociate sul petto.
-Non mi risponde mai. -
-Invece hai torto, perché lui ti ha risposto... Sei tu che non puoi sentirlo. -
-Dici sul serio? -Gli occhi del bambino si illuminarono di gioia nell'udire quella notizia.
-Sì. Quando i bambini sono nella pancia, solo le mamme li possono sentir parlare perché mamme e figli hanno un legame molto speciale. - La rossa lo prese per mano, mentre continuavano a camminare per il giardino. - Mi ha detto che ti vuole molto bene e non vede l'ora di nascere per poter giocare con te. -
-E non può uscire da lì dentro adesso? Giuro che se nasce io lo proteggo dalle persone cattive, non lo perderò di vista neanche un secondo. Purtroppo con il fratellino che c'era nella pancia della mamma, mi sono addormentato, ma con lui non succederà. Farò il bravo. - Mustafà era sul punto di piangere. La rossa si intenerì vedendolo in quello stato e lo abbracciò, baciandolo su una guancia.
-Oh, piccolino, non succederà. Non decido io, ma lui. Ma stai sicuro che il tuo fratellino non vede l'ora di poter giocare con te. -
Istintivamente si accarezzò il ventre ancora piatto, sentendo una fitta. Le parole della strega le erano tornate in mente. Pregava tre volte al giorno perché le parole di quella vecchia non si avverassero.
Mustafà venne chiamato dalla balia e dopo aver salutato la matrigna, fuggì via così come era giunto.
Brutti pensieri circolavano nella mente di Roxelana che non si accorse di essersi seduta su una panchina, quando si riprese. Era rimasta sola.
Non poteva assolutamente perdere quel bambino, perderlo significava perdere tutto quello che poco alla volta stava costruendo. Selim avrebbe sicuramente trovato un'altra Favorita e lei sarebbe stata abbandonata proprio come era successo a Gulbahar... Ma lei una minima importanza ce l'aveva, era la madre dell'erede al trono. Lei,al contrario, non contava niente a corte. L'amore di Selim era l'unica cosa che la rendeva importante, ma è risaputo che l'amore non è eterno ed è destinato a morire. Doveva rendersi indispensabile e quello era uno dei modi, quel bambino che aspettava e ciò che ne sarebbe derivato dopo, l'avrebbero resa indispensabile per Selim e quindi per tutto l'impero.
Quando sollevò lo sguardo verso uno dei finestroni che dava sulle camere da letto, quello che notò mandò all'aria tutti i suoi piani futuri.


*** ***


Un forte bussare alla porta della stanza fece sobbalzare la principessa Hatice. Era mattino e i raggi del sole filtravano attraverso le leggere tende viola appese sulle finestre.
-Haticeee! Haticeeee! Oh, Haticeee, mia bella Haticeeee! - Una voce maschile stava urlando a squarciagola. Hatice balzò a sedere, notando di indossare ancora il vestito della sera precedente e di aver dormito per tutta la notte con le scarpe, il diadema e in una posizione molto scomoda. - Se non mi aprite, sarò costretto ad entrare e non mi importa in che condizione io vi troverò, mia bella principessa! -
-Non ci posso credere, Iksander! E' praticamente l'alba, andatevene, maledetto voi! - Borbottò Hatice, cercando di rimettersi in sesto. Rabbrividì quando si guardò allo specchio per il suo aspetto. Tutto il trucco che le serve le avevano applicato sugli occhi era completamente sbavato e il risultato era davvero orribile. Sembrava uno di quegli orsi cinesi che mangiavano solo bambù. I suoi bellissimi capelli, quelli a cui teneva maggiormente, erano tutti un ammasso indistinto di peli scuri sulla testa, nel quale il diadema si era intrecciato malamente. E il suo vestito... oh, il suo adorato vestito! Era completamente stropicciato.
-Non me ne andrò, Hatice, abbiamo un appuntamento noi due e dovete rispettare la parola data. - La maniglia della porta si abbassò e dopo pochi secondi Iksander entrò nella camera. Hatice era davvero allibita. L'aveva fatto davvero, era entrato così all'improvviso nella sua stanza. - Beh, sì, non è malaccio qua dentro, posso capire perché voi non vogliate uscire. -
-Non sono presentabile, Iksander, quindi gradirei che ve ne andiate e chiamaste le mie serve. - Borbottò Hatice rossa in viso e dandogli le spalle, nel tentativo di togliersi quel maledetto diadema dai capelli. Avrebbe dovuto tagliarseli? Il solo pensiero le faceva venire i conati.
Iksander, fresco di bagno e cambiato di vestiti, si avvicinò, poggiando le mani grandi sulle spalle della ragazza e facendola sedere senza troppi complimenti sulla sedia davanti alla toeletta. Hatice spalancò gli occhi, incredula dei suoi comportamenti rudi e fece per controbattere, ma fu interrotta: - State zitta, mia cara e lasciate fare a me. -
-Ma non sono cose di cui un uomo... -
-Sshh, so di cosa mi occupo, mia madre me lo lasciava fare sempre. Sono abituato e poi sarà un pretesto per mettervi le mani addosso, no? - Iksander le sorrise malizioso, facendola arrossire sia di imbarazzo che di rabbia. Era davvero snervante! - Sto scherzando! Non voglio che voi pensiate che io sia un pervertito, cosa vera sotto certi aspetti, ma... -
-Ho capito, Iksander. - Hatice scosse il capo, esasperata. Quando attaccava con le spiegazioni non la terminava più. - Allora lascio i miei capelli nelle vostre mani, ma sappiate che sono la parte del mio corpo che più preferisco. Trattateli con cura. -
-Tratterò i vostri capelli così come farei con il vostro cuore, mia principessa, con amore, dedizione, tenerezza e delicatezza. Prometto che non li farò soffrire. -
Hatice rimase spiazzata, ma sorrise comunque. Iksander poteva passare dall'essere un completo imbecille all'uomo più dolce della terra in pochi attimi. Con lui non ci si annoiava mai.
In pochi attimi il diadema fu liberato dai capelli scuri di Hatice e Iksander glieli stava pettinando delicatamente. Aveva un tocco straordinariamente delicato per un uomo, per un militare.
-Dove mi portate di bello questa mattina, mio cavaliere? - Mormorò Hatice, chiudendo gli occhi mentre Iksander le passava sul viso un panno umidiccio per rimuoverle il trucco. I movimenti erano ancor più delicati e lui sembrava così maledettamente serio e concentrato da aver paura.
-In un meraviglioso posto, mia cara donzella, di cui non avete mai sentito parlare. Ma, per prima cosa, dovete cambiarvi di vestito. Io opterei per quello celeste, vi sta di incanto. Anche se voi stareste bene con qualunque cosa. -
-Smettetela, Iksander, l'essere adulata non farà crescere la mia stima nei vostri confronti. - Hatice si alzò dalla sedia, trovandosi a pochi centimetri di distanza da Iksander. Sentiva il suo respiro sulla pelle del viso e il calore del suo corpo contro il busto. Un solo passo falso e sarebbe potuto accadere l'inevitabile.
-Che situazione imbarazzante, non è vero? - Scherzò Iksander. - Direi quasi che la principessa sia arrossita, voi non credete? -
-Iksander, smettetela di prendermi in giro! - Borbottò la mora, maledicendosi per il rossore.
-Non vi prendo in giro, siete solo adorabile. - Iksander ruppe tutte le distante e con un movimento veloce e fulmineo la baciò sulla guancia. Pochi attimi delle sue labbra sulla pelle servirono a peggiorare la situazione. Il suo colorito, infatti, diventò ancora più pronunciato di quello che già era. - Adesso andiamo? -
-Mi farete impazzire fino alla fine. - Borbottò Hatice, afferrando il vestito e andando a cambiarsi.
Iksander sorrise, gli occhi che si illuminarono di qualcosa che raramente si vede in giro, la gioia: - Oh, lo spero. -


*** ***
Quando Roxelana alzò lo sguardo e vide quella scena, le sembrò di venire pugnalata alle spalle. Da una delle finestre che davano sui giardini, comparirono all'improvviso Gulbahar e Selim. Discutevano animatamente su qualcosa che la ragazza non riusciva ad udire, considerata la lontananza. La bellissima donna, più bella di quanto fosse ogni giorno, gesticolava con enfasi, sembrava sul punto di scoppiare in una crisi di nervi; Selim, invece, la guardava intensamente, un sorriso accennato sul volto barbuto.
Era una cosa che Selim faceva sempre. Quando qualcuno a cui teneva si arrabbiava per qualcosa in particolare che lui aveva fatto, non riusciva a restare serio, sorrideva, accrescendo così anche il nervosismo e l'arrabbiatura di chi gli stava parlando.
Quante volte avevano discusso e per quel motivo? Troppe. E lui, nonostante tutto, riusciva sempre ad averla vinta.
Adesso Gulbahar piangeva, aveva stretto la giacca del sultano fra le mani, strattonandola violentemente. Il sorriso di Selim, probabilmente notando le lacrime della donna, si era spento. Guardava intensamente negli occhi la sua ex Favorita con uno sguardo che Roxelana conosceva molto bene e a cui pensava di essere l'unica destinataria.
Nuovamente una fitta al cuore e una dietro le spalle. Tradita, ferita, schifata erano degli eufemismi per spiegare la sensazione che provava in quel momento.
Non sapeva perché stava continuando a guardare quella scena, avrebbe dovuto andarsene e fregarsene. Sapeva perfettamente di non essere l'unica, Selim possedeva un Harem pieno di concubine e Gulbahar era la madre del suo primo figlio, dell'erede al trono... Era perfettamente normale che i due comunicassero, lei non era l'unica donna della sua vita, non lo sarebbe mai stata. Da pensarlo a vederlo con i propri occhi però, faceva male. Dannatamente male.
Selim scattò all'improvviso e afferrando la donna saldamente per le spalle, la baciò in modo passionale. La mora cercò di ribellarsi, cercando di scacciarlo, ma alla fine cedette.
Quella che piangeva adesso era proprio Hurrem. Selim l'aveva appena tradita sotto i suoi occhi, aveva baciato un'altra donna, dopo averle giurato amore eterno davanti le stelle del cielo. Come osava farle una cosa del genere? Aveva promesso, aveva promesso di non farlo.
Roxelana strinse i pugni, mordendosi, fino a farlo sanguinare, il labbro. Con il palmo della mano si ripulì dalle lacrime.
L'avrebbe pagata cara, quella maledetta, era tutta colpa sua. Era andata lì per sedurre il suo uomo. Era da troppo tempo che architettava qualcosa, era sicuramente quello.
Selim la lasciò andare, accarezzandole dolcemente i capelli scuri e le disse qualcosa. La donna annuì, sorridendo felice, mentre Selim lasciava la stanza.
L'avrebbe pagata cara, oh se l'avrebbe pagata cara. Nessuno le avrebbe rubato ciò che stava faticando a conquistarsi, nessuno avrebbe preso il suo posto. Si sarebbe aggrappata ad esso con le unghie e con i denti e non importava quanto sangue avrebbe fatto versare per rimanervi. 
   
 
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