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Autore: Slits    12/05/2009    5 recensioni
« Perché deve essere così difficile? » perché l’amore è infido, Nami-san.
Bastardo, cruento, spietato. Meraviglioso, mia bambina. E quell’insignificante castello di carte su cui con così tanta fatica avevamo costruito ogni cosa adesso è andato distrutto.

Quando le basi son fragili, l'amore che vi pianta le radici è appena percettibile.
[Sanji/Nami]
[OOC; Introspettivo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nami, Sanji
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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House of Cards


Il solito raggio di sole mi colpì in pieno viso anche quella mattina, irrompendo con tenacia fra le immagini dell’ennesimo, irrequieto sogno. Se non fosse probabilmente dipeso dal fatto che esser svegliato dall’incombere dell’alba in pieno week-end mi lasci sempre una certa indisposizione addosso, avrei persino potuto essergli stato grato.
Muovendomi a fatica in quell’ingrovigliato ammasso di federe e lenzuola riuscì a conquistare la tanto agognata posizione eretta. Per cinque, lunghissimi secondi il mondo creato dalla mia piccola camera mi apparve nitido come non mai. Spazi di luce interminabili, ordine e perfezione.
Cinque secondi che il mio organismo non riuscì a sopportare un attimo di più, facendomi ricadere a peso morto su ciò che rimaneva di un letto mal fatto.
Imprecando e scalciando, riuscì a giungere a due, irrilevanti conclusioni. L’esser reduce di una sbronza probabilmente mi dovette esser apparsa come la più evidente.
In sin dei conti il dolore pulsante alle tempie e la vista sfocata non sarebbero potuti esser stati riconducibili a nient’altro. E poi il numero di lattine vuote di birra sul pavimento sembrava saperla molto più lunga della mia mente annebbiata. Non mi rimase nient’altro che affidarmi a quel misero fattore.
La mia seconda, ermetica soluzione, trovata con maggior fatica, stava appena lasciando la camera, vestita di tutto punto. Con occhi stanchi mi ritrovai ad osservarla andar via dal nostro rifugio d’amore, uscendo con non curanza dalla stanza.
Sul comodino un foglietto stropicciato ad attestare il suo passaggio ed a confermare, come se fosse stato necessario, il posto dove poterla ritrovare. Lo presi gettandolo fra i tanti che affollavano il cassetto del mobile.
Se lo scorrere della mia vita non fosse scandito da quelli insignificanti recapiti telefonici, probabilmente non avrei esitato a prenderlo di peso e ribaltarlo nel cestino dei rifiuti.
Senza quasi accorgermene mi corressi scuotendo la testa.
Più che da quei numeri, era alle voci che rispondevano alle chiamate che avrei dovuto esser stato grato. Ed in sin dei conti non avrei potuto pretendere nulla di meglio da quell’esistenza piuttosto avara in quanto sentimenti.
Il suono insistente del campanello contribuì a far crescere esponenzialmente il cerchio attorno ai miei lobi. Maledicendolo, e maledicendomi per non averlo staccato la sera prima, strinsi con rabbia la presa contro il legno del portone. Deciso a buttar fuori a calci in culo chiunque avesse deciso di irrompere senza uno straccio di preavviso nella pace che unicamente di domenica si sarebbe potuta assaporare fra quelle mura ammuffite.
Ma un sorriso gentile finì con il disarmarmi ancora una volta, facendomi ingoiare ogni buon proposito. Accompagnato dalle scarne parole con cui ogni volta ero solito riceverla, quella mattina tuttavia ingabbiate in una sottile barriera di fumo ed effluvi di alcol. La vidi osservarmi accigliata, per poi borbottare qualcosa di molto simile ad un – ancora- .
- Quando metterai la testa apposto, eh? – la lasciai entrare ancora una volta come una tempesta nella mia vita, travolgendomi lentamente.
Mai nome più appropriato sarebbe potuto esser dato ad una persona.
- Sempre a far baldoria! Casino! Ma è mai possibile? – continuai ad osservarla divertito lanciare qua e là mutande ed altri vestiti sparsi senza troppa cura sui pavimenti della casa, imprecando occasionalmente contro qualche boxer finito nel posto sbagliato. Sapevo che nonostante tutto quella era la stessa, medesima vita che conduceva lei.
Il fatto che riuscisse a conciliarla con un lavoro a tempo pieno, degli studi sempre più frenetici ed un amico incasinato come me, di certo non cambiava le cose. Serviva solo a mescolare ancor più le carte in tavola.
Le rendeva illeggibili agli occhi di estranei e per qualche assurda ragione sempre più chiare ai nostri. Ci aiutava e forse ci sosteneva persino.
Ma di certo non cambiava nulla.
- E togliti quel sorrisino idiota dal volto!Sai che serve solo a farmi incazzare ancora di più! –  non so cosa fu a scatenare il mio riso in quel momento.
Se la serietà con cui pronunciò quella frase accompagnata dalla splendida immagine del suo corpo travolto da una massa informe di capi di vestiario. Se il suo tono, così aspro eppure quasi materno o il suo semplice sguardo: curiosa astrazione di un’arrabbiatura che nonostante tutto il suo spirito sembrasse quasi non riuscire più a simulare.
Non so che cosa mi fece star bene in quelli istanti e che tutt’ora probabilmente la mia anima si ostina ad ignorare. Ma mi piacque, e per un attimo riuscì quasi a spingermi a gettare realmente il contenuto di quel maledetto cassetto nella spazzatura.
- In tazza o bicchiere? -  fu un attimo, ma i suoi occhi tornarono ad osservarmi confusi quasi come all’entrata. Mi limitai a ricambiare quello sguardo ambrato, nascondendo parte del mio dietro uno scompigliato ciuffo paglierino. Indossare le vesti di una sicurezza che non avevo mai posseduto era un gioco che con lei non avrebbe mai potuto reggere.
Meglio tornare ad esser il solito coglione di sempre, timoroso persino di una sua sgridata.
- Prego? -
- Il caffè, Nami–san. Come lo preferisci? –  le sue labbra si aprirono più volte, alla ricerca di qualcosa di sensato con cui controbattere. Conoscendola sapevo che mi avrebbe potuto rispondere tanto facilmente con un – in tazza – quanto con un maggiormente sensato, ed oltremodo doveroso fanculo.
- Non cambiare argomento adesso! – la fissai accigliato, soppesando una terza ipotesi che sino ad allora non avevo voluto constatare. Del resto il portare sin troppo a lungo una lite non era qualcosa che le si era mai ben addetto, forse ancor prima per la mia inerzia nelle discussioni che per la sua voglia di controbattere.
- Non sto cambiando proprio niente, ma incominciare la mattina senza una buona colazione è nocivo per la salute. –
- E non tirare in ballo il tuo lavoro! –   lasciai scivolare dolcemente il cucchiaio contro il bordo ricurvo della ceramica. La mia mente raccolse a malapena quell’indistinto pling riecheggiare sulle pareti graffiate della cucina, per infine scontrarsi con il respiro accelerato di lei.
- Sanji... – la sua voce tradì quell’insicurezza che tanto faticava pur di riuscire a mascherare. Era il nostro copione.
Saperlo rientrava unicamente a far parte di quel mazzo che così meticolosamente avevamo fatto in modo di mischiare.
- Non osare! – furono le ultime cose che riuscì a sussurrare prima di finire schiacciata sotto il peso del mio corpo. Ma la mia forza era inesistente, la mia stretta esigua.
Mi ritrovai così a stringerla come ogni altra volta su quel letto disfatto, caldo di un amore che nel mio cuore non aveva mai pulsato. Nessun bacio, nessuna carezza.
Solamente quell’abbraccio con cui tanto sapevo riuscire ad infastidirla e che tuttavia sembrava esser divenuto importante per la mia anima quasi quanto l’ossigeno per il resto di quell’inutile corpo.
- E’ da quando avevamo sei anni che vai avanti con questo gioco idiota. – il suo tono mi raggiunse ancora una volta simulando una durezza che nei miei confronti sapeva non poter riuscire più a conservare. Lo sentì divenire sempre più lento, sino a tramutarsi in un sussurro pacato.
- E’ divertente. –
- No, è semplicemente insensato. – eppure le sue mani affondarono nei miei capelli, scompigliandoli ancor più di quanto la natura li avesse concesso di essere. Socchiusi gli occhi al tocco del suo respiro contro la mia pelle.
- Non è di certo colpa mia se il solo modo con cui possa farti stare zitta è coglierti alla sprovvista. –
- Ed abbracciarmi è il solo modo che ti venga in mente ogni volta per farlo? –
- E’ il solo che conosca. -  l’avrei potuta amare, quella bambina.
Stringerla a me la notte sino a farle urlare il mio nome, donarle ogni singola parte del mio essere. Ma quell’amore di cui tanto ho amato riempirmi la bocca me lo ha sempre impedito, questo sfogo.
Sa che la ferirei solamente, privandola dell’unico fulcro saldo di una vita costruita su fragili impalcature. La farei vacillare, ferendola esattamente come uno dei suoi tanti ex a cui ho avuto il piacere, onore ed in parte onere di spaccare la faccia. Ed allora mi frena.
Così come spinge le mie mani a muoversi avidamente su corpi che neanche conosco, con lo stesso impeto mi urla di lasciarla andare. E non importa se è anche il suo animo a cercarmi.
Si sforza di riuscire ad ignorarle, quelle dita lente sulla pelle. Temendo di poterle far allontanare per sempre con un singolo, inutile passo falso.
Paura di perderla?
No.
Terrore. E, credetemi, la differenza è abissale.
- Ed allora stringimi ancora un po’, stupido cuoco. Perché questa semplice morsa non sarà più sufficiente a mettermi a tacere anche questa volta. -  e come in un riflesso incondizionato le mie mani si trovarono a scivolare sulla sua schiena, sfiorando quella carnagione diafana ed ancora calda.
La sentì premere il capo contro il mio petto, cercando quella fossetta poco sotto scapole in cui ogni volta il suo viso sembrava riuscire a trovare un rifugio sicuro.
- Perché deve essere così difficile? -  perché l’amore è infido, Nami-san.
Bastardo, cruento, spietato. Meraviglioso, mia bambina.
- Perché non possiamo amarci e basta? – ti dilania lentamente, privandoti di ogni cosa.
Ed io non posso permettere che i tuoi bell’occhi si inaspriscano, che la tua voce divenga vuota. Ti amo per ciò che sei, e non per il demone in cui potrei trasformarti.
- Non lasciarmi andare. Ti scongiuro, stupido cuoco. -  non ti lascerò cadere, lo sai.
Ma quell’insignificante castello di carte su cui con così tanta fatica avevamo costruito ogni cosa adesso è andato distrutto. E con lui, ogni nostro appiglio per non cedere alle lusinghe di un sentimento sin troppo feroce per non percepirne il battito. Per quanto ancora potremo ignorarlo?
- Ti amo
Per quanto rifugiarci ancora fra le nostre menzogne?
   
 
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