Capitolo 2: The
voyage of the fallen
Come on a voyage with us
Too long we’ve roamed these
waters
We’ve blown our hearts
down
Our homeland we’ve forgotten
All we’ve known is gone now.
(“The voyage of the fallen” – Xandria)
Non
era pensabile che un’esperienza così orribile com’era stata quella del Principe
Alfonso non lasciasse su di lui delle conseguenze. Il ragazzo era riuscito ad
addormentarsi, esausto, ma dopo due ore si svegliò gridando disperato, in preda
a incubi spaventosi nei quali riviveva quegli atroci supplizi.
Il
Generale, che giaceva accanto a lui, si destò di soprassalto e tentò di
calmarlo, posandogli una mano sulla bocca, stringendolo e parlandogli in tono
pacato.
“Calmati,
Principe, è solo un incubo, è tutto finito” gli disse, piano. “Non urlare così
o penseranno che ti stia sgozzando… basta, adesso, calmati. Nessuno ti farà più
del male.”
“Voi…
voi mi avete fatto male, mi avete trascinato laggiù, mi avete picchiato!” gridò
di nuovo Alfonso, divincolandosi e non riuscendo evidentemente a distinguere il
passato dal momento attuale. Tutto era eternamente presente per lui.
“Adesso
basta, quello che ti è successo è stata la giusta punizione per il tuo
misfatto” replicò l’uomo, prendendolo per le spalle e scuotendolo leggermente,
“ma, se d’ora in poi ti comporterai bene, non avrai più niente da temere, mi
hai capito?”
Quelle
parole gelarono il sangue del Principe, ma allo stesso tempo servirono a farlo
tornare in sé. Di nuovo Alfonso annuì, cercando di dominare la paura e
l’angoscia che lo invadevano; si lasciò scivolare sul letto e tentò di
riaddormentarsi, sperando con tutto il cuore di non avere altri incubi… o,
peggio, che i suoi incubi non tornassero a presentarsi nella realtà.
Il
Generale lo guardò mentre riprendeva sonno. Si accorse del polso destro bendato
e rammentò in che modo il Principe si fosse fatto quella ferita: tentando
disperatamente di sfuggire alle torture, aveva cercato di sfilarsi le manette e
il ferro gli aveva tagliato la carne quasi fino all’osso. Ancora una volta si
rese conto di quanto Alfonso fosse giovane e indifeso e un pensiero gli sorse
spontaneo alla mente.
E’ solo un ragazzo
spaventato. Di sicuro l’idea di infestare Napoli con una pestilenza e di
infettare il Re non è venuta da lui. Il Principe si è limitato a mettere in
atto ciò che il papa Borgia gli ha suggerito di fare, perciò ha già pagato per
le sue colpe. Adesso sarà quel maledetto Borgia a pagare, è lui la causa di
tutto!
Il
mattino successivo, il Generale ordinò al dottore di prendersi nuovamente cura
del Principe Alfonso e di medicarlo con attenzione.
“Io
vado a parlare con Sua Maestà e gli anticiperò la tua visita” disse, rivolto al
ragazzo. “Poi tornerò a prenderti e ti accompagnerò al suo cospetto. A quel
punto tu farai atto di sottomissione e chiederai perdono per tutto il male che
gli hai causato, ti dichiarerai disposto a riconoscerlo come legittimo sovrano
di Napoli davanti all’Italia intera, non avrai più nulla da temere e sarai
tenuto a palazzo come un ostaggio di alto rango.”
Chiedergli perdono
di che cosa?, si chiese il
Principe, ma non disse niente e si limitò ad annuire ancora una volta.
Più
tardi, il Principe era stato nuovamente curato e medicato di tutte le sue
ferite, aveva potuto lavarsi e vestirsi con gli abiti adatti alla sua
posizione. Era stato bello sentirsi, almeno in parte, quello di un tempo dopo
la fuga disperata sulle pendici del Vesuvio, la sporcizia, le vesti lacere, la
fame e poi… quelle torture orribili, oscene. Però adesso, solo nella sua stanza
mentre attendeva di essere scortato al cospetto di Re Carlo, Alfonso cominciava
a riflettere sulla sua situazione e capiva che non c’erano speranze per lui,
che non aveva vie di uscita e che si trovava completamente in mano ai francesi.
Il Re francese è
convinto che sia stato io a propagare la peste a Napoli e a farlo ammalare… è
forse pazzo? Se solo avessi un tale potere non sarei certo qui in questo
momento… eppure ne era tanto sicuro che mi ha fatto straziare senza pietà. Chi
mi assicura che, se faccio quello che vogliono, mi lasceranno vivere in pace?
Non c’è un modo sicuro… quello potrebbe alzarsi una mattina e decidere di farmi
morire tra le torture solo perché piove invece di esserci il sole! No, non
posso restare in loro balia… ma che altro posso fare?
Quei
francesi non rispettavano niente, non riconoscevano né il diritto feudale né le
leggi della cavalleria, erano dei barbari venuti dal Nord, brutali e senza
scrupoli. Lo avevano catturato e trattato come un comune malfattore, lui, un
Principe della casata aragonese! Lo avevano trascinato a forza nelle camere di
tortura, senza alcun riguardo per il suo rango o per la sua giovane età, poi lo
avevano messo in mano a degli aguzzini che gli avevano… Alfonso tremava al solo
ricordarlo. Non poteva restare con loro, avrebbero potuto fargli ancora una
cosa simile o anche peggiore per puro divertimento, erano più crudeli delle
bestie… Immerso in questi pensieri angoscianti, il Principe era arrivato senza
nemmeno accorgersene davanti alla finestra della sua stanza e si era sporto
giù.
Perché no? Un salto
nel vuoto e sarebbe finito tutto…, pensò, salendo sul davanzale.
“Principe,
ma che stai facendo?” la voce del Generale, entrato nella camera, lo fece
trasalire, tanto che per poco non cadde giù davvero. “Avanti, scendi di là, Sua
Maestà ti sta aspettando e non è un uomo paziente.”
Il
ragazzo si voltò, pallidissimo e con gli occhi pieni di lacrime.
“Non
voglio venire! Il Re mi ha fatto torturare e voleva farmi morire in mezzo a
mille patimenti! Non mi fido di lui, mi farà di nuovo del male senza motivo” esclamò,
disperato.
Il
Generale sospirò e provò a fare qualche passo avanti: ci voleva davvero una
pazienza infinita con quel ragazzino viziato e arrogante, non gli aveva già
spiegato almeno dieci volte che non gli sarebbe più stato fatto del male?
“Sai
benissimo per quale motivo Sua Altezza ti ha voluto punire. Si è ammalato per
colpa tua, ma adesso…”
“Non
sono stato io, come ve lo devo dire?” gridò il Principe, fuori di sé. “Io non
ho fatto niente e voi invece mi avete
fatto delle cose orribili, oscene, delle cose che non possono nemmeno esistere
nelle leggi di Dio e degli uomini! Siete solo dei barbari!”
“Fingerò
di non averti sentito, Principe, ma adesso scendi da quel davanzale e vieni con
me da Sua Maestà” ripeté il Generale, a metà tra il seccato e il divertito,
muovendo qualche altro passo verso il giovane.
“No,
non vi avvicinate! Mi butto, mi butto giù!” minacciò Alfonso.
Il
comandante francese scosse il capo con un sorrisetto ironico.
“No,
non lo farai” dichiarò, tranquillo.
“Voi
che ne sapete? Non mi conoscete, non sapete niente di me. Io mi butto giù!”
“Se
avessi voluto, l’avresti già fatto” tagliò corto l’uomo, che non voleva far
attendere il suo sovrano per i capricci del Principe. “Va bene, se proprio
insisti ti aiuterò io. Una bella spinta e sarà tutto finito.”
“Cosa?”
trasecolò Alfonso, mentre il Generale si avvicinava e lo afferrava per un
braccio, fingendo di volerlo spingere nel vuoto. L’istinto di conservazione
ebbe la meglio e il giovane si aggrappò convulsamente alle braccia dell’uomo, artigliandogli
la veste, spaventato ora dalla prospettiva di essere buttato giù. “No, no, non
voglio, vi prego…”
Senza
il minimo sforzo, il francese lo trasse a sé, tirandolo giù da quel famigerato
davanzale e scoppiando a ridere.
“Visto?
Lo sapevo che non l’avresti fatto” disse, compiaciuto. “Adesso basta con le
sciocchezze e andiamo da Sua Maestà. Dovrai chiedergli perdono per la
pestilenza che hai scatenato e, a questo punto, anche per averlo fatto
attendere.”
“Io
non ho fatto niente” insisté il Principe, continuando ad aggrapparsi
affannosamente all’uomo.
“Sono
convinto che l’iniziativa non sia stata tua, bensì del papa Borgia:
probabilmente aveva già pianificato tutto fin dall’inizio, ha mostrato di voler
incoronare pubblicamente Sua Maestà come sovrano di Napoli e, nel frattempo,
mandava dei sicari con qualche veleno perché diffondessero la peste nella
città. Quei Borgia sono bravi con i veleni… tu hai solo collaborato al piano di
quel maledetto e sei stato punito per questo. E’ di questa scellerata collaborazione
che dovrai chiedere perdono a Sua Maestà, ma non temere, anche il Borgia avrà
la sua punizione e ben più severa della tua.”
Il
Principe Alfonso non sembrava affatto convinto, tremava ancora e aveva lo
sguardo smarrito al solo pensiero di presentarsi nuovamente di fronte a Re
Carlo, ma aveva capito che non serviva a nulla protestare. Dal canto suo, il
Generale cominciava a provare una sorta di attrazione sempre più intensa nei
confronti di quel giovane che, nonostante le apparenze, in fin dei conti
dimostrava di essere inesperto e spaventato, intrappolato in qualcosa di
enormemente più grande di lui. Quando lo teneva così vicino, come in quel
momento, avvertiva desideri particolari mai provati in precedenza per nessun
altro. Doveva ammettere che era anche per quel motivo che si era dichiarato
disposto a occuparsi di lui e di tenerlo costantemente sotto la sua tutela…
Re
Carlo si trovava nella sala del trono e aveva preso il posto del defunto Re
Ferrante, tanto per chiarire a tutti chi era che comandava adesso. Quando
Alfonso vi giunse, accompagnato dal Generale, rimase avvilito nel vedere il
sovrano francese al posto del padre e ancora peggio fu notare la sedia vuota
alla sua destra: quello era il posto che occupava sempre lui durante le udienze
e ora, invece…
“Chi
si rivede!” commentò Re Carlo in tono sarcastico, rivolgendosi al ragazzo.
“Dobbiamo ammettere che, adesso che ti vediamo ben vestito e ripulito, una
certa qual aria da Principe ce l’hai.”
“Mio
sovrano, il Principe Alfonso è qui per presentarvi le sue scuse e dichiarare la
sua totale disponibilità a riconoscervi quale legittimo e unico Re di Napoli”
affermò il Generale.
“Ne
siamo lieti” replicò il sovrano. “Bene, allora parla, Principe, stiamo
aspettando. Ma forse non sei abbastanza comodo lì dove ti trovi? Preferiresti
accomodarti qui, dove eri solito sedere quando il Re era tuo padre?”
Era
crudele da parte del Re francese insinuare una cosa simile, non solo perché
ricordava al giovane Principe tanti momenti felici ormai finiti per sempre, ma
ancor più perché proprio la sera precedente lo aveva invitato a sedere a tavola
alla sua destra e Alfonso si era illuso che questo fosse un buon segno… salvo
poi scoprire che lo stava soltanto prendendo in giro e che il suo vero intento
era trascinarlo nelle segrete e farlo torturare a morte.
Il
Principe si morse il labbro inferiore per cercare di frenare le lacrime che gli
erano salite agli occhi e, per tutta risposta, scosse il capo.
“Non
vuoi sederti qui? Come preferisci, Principe. In fondo hai ragione, questo non è
più il tuo posto. Anzi, a dire il vero avevamo pensato ad un’altra sistemazione
che sarebbe stata molto più adatta a te, ma poi il nostro Generale ci ha
convinti a cambiare idea. Peccato, perché sarebbe stata perfetta…” continuò il
sovrano, caustico.
“Vostra
Maestà, ne abbiamo già parlato” intervenne il Generale, vedendo che Alfonso era
sempre più pallido e spaventato. “Io ritengo che sia molto più favorevole per
voi e per la vostra tranquillità prendere i giusti accordi con il Principe. Avete
già l’investitura papale e, quando anche l’erede del casato aragonese vi avrà
riconosciuto come legittimo sovrano di Napoli, nessuno potrà discutere in
proposito.”
Il
Re assunse un’espressione annoiata.
“Va
bene, va bene, pensiamo prima ai doveri e poi al divertimento” disse. “Dunque,
Principe, cosa hai da dire in proposito?”
Il
giovane, intimorito dalle allusioni maligne del Re, aveva dimenticato tutto
quello che gli era stato consigliato. Rivolse uno sguardo disperato al Generale
che lo incoraggiò con un cenno del capo.
“Come
prima cosa il Principe desiderava presentarvi le sue scuse, non è così?” suggerì
poi.
“Ah…
sì” mormorò Alfonso, chiedendosi se per caso dovesse essere lui a scusarsi per essere stato
torturato… “Vostra Altezza, domando il vostro perdono per… per aver… perché vi
siete ammalato per… colpa mia…”
“Non
sei affatto convincente, lo sai, vero?” ribatté il Re, divertendosi nel vedere
il terrore suscitato nel Principe dalle sue parole. “Tu hai avvelenato tutta la
tua città, d’accordo con quel papa depravato, con l’intento di far morire noi e
tutto il nostro esercito di peste. E’ questo che volevi dire?”
Ancora con quella
storia… ma crede davvero che io sia in grado di provocare la peste a mio
piacimento? Cosa pensa che sia, uno stregone?, pensò Alfonso, ma poi si affrettò
a rispondere in ben altro modo.
“Sì,
Vostra Altezza Reale” disse, cercando di tenere il più possibile ferma la voce.
“E’ stato un… un piano di papa Alessandro e io… io ho dato il mio consenso.”
“E
adesso sei sinceramente pentito di quello che hai fatto? Ti rendi conto di che
cosa hai provocato? Ti rendi conto di aver tradito il tuo stesso popolo?”
incalzò Re Carlo, sempre più compiaciuto.
“Io…
sì, me ne rendo conto, sono desolato, sono pentito” continuò il Principe,
disposto a dire qualunque idiozia avessero voluto sentire pur di sfuggire al
pericolo sempre più incombente di essere nuovamente punito. “E’ stato un atto
infame, ve ne chiedo perdono.”
“Dunque
ritieni che la punizione sia stata giusta e adeguata ai misfatti che avevi
compiuto?” insisté il sovrano.
No, no, quello è
stato orribile e osceno e non sarebbe stato giusto nemmeno se avessi compiuto
davvero tutti gli atti scellerati di cui mi accusate e anche di più!, avrebbe voluto
gridare il giovane, ma se ne guardò bene e, con le lacrime che gli scendevano
lungo le guance, annuì ripetutamente.
“Sono
stato… giustamente castigato e ho espiato i miei crimini…” mormorò, disperato.
“Molto
bene” sorrise il Re, soddisfatto. “Quindi non dovremo temere da te altri
intrighi contro la nostra persona?”
“Mai
più! Anzi, io… io… sono disposto a dichiararvi pubblicamente legittimo sovrano
del regno di Napoli, dove e quando vorrete” disse in fretta il Principe,
sperando di sembrare convincente almeno in quello.
“Questo
ci compiace alquanto” replicò ironico Re Carlo. Cominciava a pensare che, in
fondo, tenersi accanto quello stupido ragazzino viziato e arrogante per
spaventarlo e umiliarlo sarebbe risultato molto più soddisfacente piuttosto che
straziarlo e ucciderlo una volta per tutte, com’era stata sua intenzione
all’inizio. Il suggerimento del suo Generale si rivelava davvero utile per più
di una ragione… sebbene lui iniziasse a pensare che anche il Generale avesse le
sue motivazioni personali per voler
mantenere in vita il Principe. E se anche fosse stato così? Nessun problema, il
Generale gli era sempre stato leale e meritava una ricompensa: se voleva che la
sua ricompensa fosse il Principe Alfonso, che se lo prendesse pure!
“Adesso
che tutto è stato chiarito e risolto, dobbiamo ammettere che non siamo stati
abbastanza lungimiranti” continuò poi il sovrano, con un ghigno. “Questa
soluzione è molto più vantaggiosa di quella che avevamo progettato noi. Sai,
Principe, la nostra intenzione era quella di metterti ad occupare la sedia
vuota, la sedia del traditore, nella sala da pranzo di tuo padre. Ci sembrava
la punizione più adeguata per un piccolo bastardo come te, tuttavia… come
sempre, il Generale ci ha consigliato per il meglio e ne siamo pienamente
soddisfatti.”
“Sono
molto lieto di esservi stato di aiuto, Vostra Maestà” disse l’uomo, con un
leggero inchino. Sperava che la cosa fosse finalmente risolta e che il Principe
venisse congedato prima che potesse rovinare tutto… L’accenno alla sedia di
Giuda nella sala da pranzo di Re Ferrante era stato chiaramente troppo per il
ragazzo, che adesso era bianco come un lenzuolo, tremava e stava per piangere
di nuovo.
“Sì,
beh, naturalmente, Principe, se ti venisse in mente di crearci qualche altro
fastidio, è bene che tu sappia che quella sedia è sempre lì ad aspettarti…
soltanto che, in quel caso, non ti ci metteremmo da morto, ma ti ci legheremmo
da vivo per qualche giorno e qualche notte, tanto per farti imparare ancora
qualcosa di nuovo” concluse il Re, con un ultima battuta maligna.
Senza
una parola o un gemito, Alfonso piombò sul pavimento privo di sensi.
Mentre
il Generale si affrettava a soccorrerlo, il Re scoppiò in una risata.
“Certo
che il nostro Principe è davvero fin troppo delicato! Come pretendeva di
governare un regno intero, se alle prime difficoltà sviene come una fanciulla?”
commentò, malizioso. “Meno male che ci sei tu ad occuparti di lui, Generale…”
Il
comandante prese in braccio il giovane e, dopo essersi congedato
rispettosamente dal suo sovrano, lo riportò in camera. Strada facendo,
rifletteva sul fatto che il Principe era indebolito e fiaccato dalle torture,
non aveva mangiato quasi niente dalla sera prima ed era molto spaventato: non
c’era da stupirsi che, alla fine di quel doloroso confronto con Re Carlo,
avesse perso i sensi.
Tuttavia,
proprio come aveva detto il sovrano, se ne sarebbe occupato lui…
FINE