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Autore: Aisu Yuurei    13/05/2009    2 recensioni
Io e lui eravamo gemelli, ma non equivocate. Non avevamo nemmeno una traccia di quel legame che unisce due creature omozigoti. (Ho modificato il titolo della storia. Mi sono accorta di aver chiamato il protagonista Pendulus erroneamente, ho modificato il nome nei capitoli, scusate l'errore.)
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ultima volta che vidi sul viso di mio fratello un’espressione di gioia fu pressappoco vent’anni fa.

Io e lui eravamo gemelli, ma non equivocate. Non avevamo nemmeno una traccia di quel legame che unisce due creature omozigoti, eravamo in due mondi separati. Suppongo che io risiedessi in quello illuminato, lui in quello buio.

Ma questa distinzione non mi venne offerta, bensì imposta da lui, che ogni giorno mi rivolgeva un mero buongiorno forzato e poi spariva, completamente.

Non aveva alcun interesse particolare, al contrario di me che invece traboccavo di inutili hobby passeggeri. Lui non dedicava mai la sua attenzione a qualcosa per più di mezz’ora, di solito andava girovagando nel bosco malandato vicino casa, ma non ho idea di cosa provasse là dentro, non gliel’ho mai chiesto.

Timidamente avevo paura di lui, lo temevo, ero certa che se avessi rotto il suo religioso silenzio mi avrebbe picchiata. Così non lo feci mai, pensando erroneamente che lui volesse così e che io non avevo nessun diritto di sopraffare la sua volontà. Per me rappresentava una sorta di divinità evanescente, non osavo mai ignorarlo ogni volta che mi passava vicino, di solito la mia partecipazione consisteva in un lungo sguardo e lì si interrompeva.

Io sentivo mio fratello vicino, eppure lontanissimo. A volte lo udivo a un palmo dal mio naso, mentre mi urlava il suo dolore e la sua tristezza, altre lo sentivo sparire e di colpo diventava come un ricordo. Eppure nonostante lo avessi davanti, sembrava lo stesso un vago ricordo.

Lui era l’ombra di una persona, la sua presenza era appena presente, non parlava mai e non esprimeva mai opinioni. Si limitava a rispondere alle domande con monosillabi dettati dall’educazione ferrea che i nostri genitori ci avevano imposto.

Lui era lì, ma probabilmente non lo voleva. La mamma non poteva concepire che un ragazzino di  quindici anni non possedesse vivacità, per lei la nostra età era un prototipo di felicità, per mio fratello no. Non aveva mai riso.

Eravamo una famiglia molto povera, pertanto a volte ci affibbiavano dei lavoretti sotto la sorveglianza di gente sconosciuta, io li facevo sempre controvoglia, ma ero convinta che tutto questo giovasse per la mia ambita e desiderata carriera da scrittrice di successo, si sa che sono le esperienze a segnare la tua esistenza, più ne sapevo sul mondo meglio era.

Mio fratello,invece, sembrava farlo solo per obbedienza. Lavorava in modo impeccabile,  metteva impegno e dedizione anche mentre spostava un mattone, ma la sua espressione era atona, meccanica, priva di luce. Mi rattristavo per questo, mi chiedevo sempre perché lui non riuscisse a svelarmi anche solo un tenue spiraglio della sua personalità.

 Avevamo quindici anni a quel tempo e molte notti io rimanevo ad osservarlo, mentre dormiva pacificamente nella sua parte di letto e quando dico pacificamente intendo che non muoveva neppure un muscolo, sembrava morto. Forse lo era veramente, dentro.

Non aveva mai posato lo sguardo su di me, in tutta la mia vita non avevo mai incrociato il suo sguardo di ghiaccio. Cominciai a pensare che l’azzurro colore dei miei occhi non reggesse il confronto, mi convinsi che lui non osava guardare degli occhi che impallidivano al suo cospetto.

Ma la mia speranza non cedeva, continuavo a guardarlo per quanto mi era possibile e sembrava che a lui non desse fastidio, d’altronde sembrava che nulla e nessuno potesse scalfire la sua aura, tanto era compatta e solida. Tantomeno io, la sua gemella.

Tutto cominciò quando, mentre ciondolavo con una bambola di pezza sporca davanti casa, sentii un miagolio sommesso. All’inizio pensai fossero i soliti gatti di passaggio che infastidivano tutto il quartiere, poi ascoltando meglio notai che sembrava provenire da un posto alto. Allora mi voltai per cercare di individuarlo e lo scorsi immediatamente nel ramo più alto della magnifica quercia che risiedeva nel campo incolto vicino casa. Era terrorizzato, la sua espressione era di autentico terrore. Così, presa da un violento moto di pietà, mi arrampicai velocemente sulla quercia e dolcemente lo afferrai. Temevo che opponesse resistenza e volasse giù, invece rimase calmo e si fece portar via senza alcun lamento. Ne fui contenta, poi lo lasciai andare, ma lui non ne voleva sapere di filarsela tanto che s’infilo tra i miei calzoni e cominciò a fare le fusa, a quel punto la tenerezza fu tale che lo presi in braccio e cominciai a carezzarlo amorevolmente.

Improvvisamente sentii come una sensazione scivolarmi piano lungo tutta la spina dorsale, la brezza autunnale scompigliava i miei capelli castani e pensai fosse il vento, ma dentro di me sapevo che era qualcosa di ben più importante.

Alzai lo sguardo e incrociai per la prima volta i chiarissimi occhi di mio fratello che mi osservava da lontano, sentii lo stomaco aggirarsi in strane capriole e il cuore saltò nella cassa toracica, urtandola. Tutto ciò in un millesimo di secondo.

Se questi sono i sintomi di una gioia immane, pensai,  non immagino quali siano quelli per una delusione.

Fatto sta che lottai contro la mia ingente emozione e sostenni lo sguardo affettuosamente e, non posso giurarci, penso che mi abbia fatto un cenno di sorriso. Da lontano era  improbabile che io potessi averlo anche solo scorto, magari si era trattata di una distorsione causata dagli occhi, ma contava ciò che sentivo internamente e se mi fossi solo convinta del suo sorriso, va bene se il cuore ne è felice.

Lo spettacolo durò solo qualche minuto, infatti dopo poco sparì da dove era venuto e io mi sentii nuovamente sola e terribilmente abbandonata. Purtroppo la mentalità di una giovane bambina non ne ha mai abbastanza e il fatto che lui mi avesse finalmente donato il suo sguardo aveva dato inizio a un circolo vizioso, dove ne avrei voluto ancora di più e di più. Ero dipendente da lui? Forse si. Ma ne ero contenta.

Tutto ciò non accadde una seconda volta. Ma non era una novità, mi ero abituata alla sua non presenza, e così era ridiventato dopo il salvataggio del micino. Non potevo sapere che di nascosto lui gli faceva compagnia, lo coccolava e amava come mai aveva fatto con nessun altro. Lo scoprii successivamente, quando per la prima volta mio fratello, pianse.

  
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