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Autore: adorvlou    04/11/2016    1 recensioni
Nella piccola cittadina di Bend, c'era un piccolo bar per i giovani e ogni weekend, finita la scuola, i ragazzi si riunivano lì per svagarsi un po'.
Il parcheggio dietro il bar era vuoto quella sera. C'erano solo due macchine posteggiate e sui parabrezza si rifletteva la luce della luna e di tutte le stelle che splendevano meravigliose nel cielo.
Il vento soffiava sulla chioma bionda della ragazza che, immobile, teneva la stretta ben salda sulla pistola.
-Grace, non farlo. Ti prego, ascoltami, metti giù la pistola.- il ragazzo la pregava quasi con le lacrime agli occhi, mentre lei non distoglieva lo sguardo dalla figura davanti a se. -Perchè vuoi farmi questo? Abbassa la pistola e parliamone.- nonostante tutti i tentativi di dissuaderla, Grace teneva il dito fermo sul grilletto, pronta a sparare una pallottola dritta nel cuore del ragazzo. Un solo colpo, ne bastava solo uno e lui sarebbe morto.
La ragazza non sapeva esattamente cosa stesse facendo e perché, ma sentiva di doverlo fare. Era ciò che le aveva chiesto il suo grande amore e non poteva rifiutarsi, non dopo che lui le aveva promesso una nuova vita insieme.
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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"Se non ricordi che amore t'abbia mai fatto commettere la più piccola follia, allora non hai mai amato."

(W. Shakespeare)
 

-Come puoi chiedermi di fare una cosa del genere?- Grace non poteva credere alle sue orecchie. Il ragazzo che tanto amava le stava chiedendo troppo questa volta, e lei non era certa di poterlo fare.
-E' solo per un paio di mesi, non per sempre. Te lo sto chiedendo con il cuore in mano, piccola. Aiutami, ti prego. 
Gli occhi di lui la fissavano intensamente e Grace sapeva di non poter resistere a quello sguardo, non ci era mai riuscita e le cose non sarebbero cambiate nemmeno in quel momento, lo amava troppo. -D'accordo, lo farò, ma devi promettermi che non durerà per molto. 
-Tesoro, te l'ho detto, saranno solo pochi mesi, poi potremo finalmente essere solo tu ed io.- la ragazza teneva gli occhi bassi, cercando di non mostrarsi debole davanti al ragazzo che amava da sempre. Lui le sollevò il viso con un dito e i loro sguardi s'incrociarono. -Ti amo, Grace Bennett.- sussurrò al suo orecchio.
-Ti amo anche io, tanto.
La ragazza si svegliò di soprassalto sentendo bussare alla porta. Si accorse di essere tutta sudata e guardandosi attorno, capì di essere ancora rinchiusa fra quelle quattro mura di un bianco sporco e sentì un profondo senso di vuoto. -Mi fidavo di te, mi fidavo ciecamente e guarda dove sono ora. Trattata come una matta, privata della mia identità, costretta a seguire regole come chiunque altro che si trovi chiuso in questo posto. Non sono nessuno qui se non una pazza da curare.- mentre Grace parlava fra se e se, notò la maniglia della porta abbassarsi.
-Con chi stai parlando?- Ethan entrò nella stanza guardandola come avevano fatto tutte le persone presenti all'udienza in cui era stata confermata la sua infermità mentale.
-Sono pazza, parlo da sola. Ti sembra strana come cosa?- il tono di Grace era aspro, duro, voleva sfidare quell'infermiere che aveva tentato di terrorizzarla.
L'uomo non rispose, limitandosi a scuotere la testa. -C'è una persona che è venuta a farti visita. Se hai così tanta voglia di parlare, almeno fallo con qualcuno che potrà risponderti.- ribattè lui lasciandola di stucco.
-E' così che trattate i pazienti qui dentro?- chiese la ragazza alzandosi dal letto e andando verso l'infermiere.
L'uomo le si avvicinò così da poterla guardare meglio negli occhi. -Non giocare con il fuoco, ragazzina, potresti scottarti.- un sorriso compiaciuto comparve sul volto di Ethan quando si accorse dell'espressione sul viso di Grace. -Adesso sbrigati, ti stanno aspettando.
Grace seguì l'infermiere lungo il corridoio che si apriva sulla sala principale dell'ospedale, dove i pazienti si riunivano durante l'ora di "svago". -Da questa parte.- Ethan la accompagnò nella stanza in cui i visitatori potevano parlare con i pazienti. Quando la ragazza entrò, rimase stupita nel vedere quanto fosse diversa rispetto al resto della struttura; sembrava più curata, più accogliente e pulita. C'erano grandi brocche contenenti caffè, te e latte fumante. Tazze e tazzine si trovano sistemate accanto, e dei vassoi pieni di biscotti attirarono particolarmente l'attenzione di Grace. -Sta qui e aspetta, fra poco arriverà la persona che ha tanto insistito per incontrarti. 
La ragazza non se lo fece ripetere due volte, quella stanza era così confortevole che le ricordava il salotto di casa sua, e per un attimo si sentì meglio. 
-Grace, amore mio...- al suono della sua voce, la ragazza si voltò di scatto, alzandosi dal divano. Era passato un mese dall'ultima volta che aveva visto il suo volto e sentito la sua voce.
-Cosa sei venuta a fare qui?- la voce di Grace era carica di disprezzo verso la donna che le si trovava di fronte. -Pensavo non ci saremmo più riviste avendo notato la tua assenza in tribunale durante l'ultima udienza. Cos'è che ti ha spinta a venire fin qui, in questa gabbia di matti?
-Perchè mi tratti così? Le tue parole sono dure, mi fanno del male e lo sai bene.- la donna era molto bella. Alta, formosa, con delle gambe snelle. I suoi occhi color ghiaccio, in netto contrasto con il colore nero corvino dei suoi capelli, avrebbero incantato chiunque. Il rossetto rosso fuoco sulle sue labbra faceva risaltare i suoi lineamenti semplici ma freddi allo stesso tempo. Indossava un lungo cappotto nero che la copriva fino le ginocchia, un vestito e delle scarpe con un tacco a spillo fin troppo vertiginoso.
-Perchè non meriti un trattamento diverso. Quale madre amorevole lascerebbe la propria figlia in balia di tutto questo, senza un briciolo di supporto morale? Guardami!- urlò Grace indicando i suoi vestiti. -Sembro una stracciona. Non ho nemmeno ricevuto una maledetta borsa con dentro i miei vestiti e sono costretta a indossare questa roba logora e sudicia. Chissà a chi è appartenuta in precedenza. Hai lasciato che affrontassi da sola tutta questa situazione, sto passando le pene dell'inferno e questo non ti tocca minimamente. Hai ben visto dove mi hanno sbattuta? Mi ritengono matta da legare. Prima ero un'assassina, ora sono un'assassina folle. Mangio quando decidono loro, faccio la doccia solo quando ne ho il permesso, mi imbottiscono di pillole dalla sera alla mattina e sono rinchiusa per la maggior parte del tempo in una stanza fredda, anonima e sono sola. L'ultima volta che ti ho vista è stato il giorno in cui mi hanno sbattuta in prigione. Nemmeno una visita, una telefonata, una lettera. Sei scomparsa, siete scomparsi tutti. Persino Jake e Maddie non vogliono più vedermi.- adesso le sue parole si erano trasformate in lacrime, fredde e amare. -Avevo bisogno del vostro aiuto, della vostra fiducia e tutto quello che avete fatto è stato voltarmi le spalle e cancellare qualsiasi cosa vi ricordasse la mia presenza. Sono qui da appena una settimana, eppure, ogni sera guardo fuori dalla finestra, sperando di poter tornare indietro a quando tutto era facile, quando voi eravate la mia famiglia e mi amavate.
-Grace, calmati e lascia che ti spieghi.- disse la madre tendendo le mani verso la figlia. La guardava con occhi tristi, contrariamente alla ragazza, che teneva uno sguardo duro e carico di delusione verso una delle poche persone che amava.
-Calmarmi? Come puoi chiedermi una cosa simile? Sono stata per tre mesi in prigione e adesso sono rinchiusa qui e sono da sola. Non c'è nessuno che viene a trovarmi ogni giorno per rassicurarmi che le cose cambieranno, che mi porterà fuori da questo incubo.- Grace guardò la donna e si allontanò asciugandosi il viso. -Adesso è troppo tardi per fare la cosa giusta, per comportarti da madre, lasciami marcire qui dentro, forse sarà più facile che accettare di essere giudicata un mostro da chiunque mi incroci per strada. So che per te sono solo una grande vergogna che dovrai sopportare per tutta la vita, ma perdonami mamma, non tutti sono perfetti, la follia cambia la gente.
-Ho sbagliato, lo so. Ho commesso tanti errori nella mia vita, ma non avrei mai voluto accadesse tutto questo. Sei mia figlia, sangue del mio sangue. Ti amo con tutta me stessa e mi pento di tutto ciò che ti ho fatto, ma è stato difficile per me, prova a comprendermi.- la donna non faceva altro che supplicare la figlia, persino con lo sguardo la pregava di darle un'altra possibilità. - So che stare qui non è bello, ma Grace, tu hai bisogno di guarire, ciò che hai fatto, le cose che hai detto in passato, quello che è successo poi in prigione, sono tutte cose che si collegano in un unico punto, generate da un solo problema che si trova qui- la madre indicò la propria testa con un dito e la sua voce si fece più bassa -e finché non riuscirai a sistemare tutta la confusione che si è creata nella tua mente, non ti lasceranno andar via di qui.
-Hai ragione.- rispose Grace dopo un lungo, strano e angosciante silenzio. -Il problema proviene tutto dalla mia pazza testolina. Insomma, dopo tutto quello che ho visto nel corso dei miei anni sotto lo sesso tetto di quelli che si definiscono miei genitori, era impossibile che non impazzissi. Fossi in te mi preoccuperei di Jake e Maddie, potrebbero essere i prossimi.- una risata inquietante rimbombò nella stanza, tanto da far accapponare la pelle alla donna. -Ti va del caffè? O se preferisci c'è anche del tè.- la voce di Grace era cambiata in pochi attimi, come se al suo posto ci fosse qualcun altro che aveva preso il controllo della ragazza. -Non posso consigliarti quale scegliere, a noi queste cose non le danno.- Grace rise come aveva fatto qualche secondo prima, e la madre, che si era avvicinata di qualche passo, si avviò lentamente verso la porta. -Già vai via? Peccato.
-Grace, tornerò presto, te lo prometto.- la madre pronunciò quelle parole senza dar troppo peso all'importanza della promessa che aveva fatto, perché in cuor suo sapeva che non sarebbe tornata fra qualche giorno né fra qualche settimana. Sua figlia le faceva paura e non riusciva a combattere tutto quello che provava nel vederla così.
-Non promettere ciò che non puoi mantenere. Lui l'ha fatto e adesso è scomparso. 
-Smettila di dire queste cose, non fai altro che peggiorare la tua situazione!- il tono della madre fu duro, tanto da far infuriare Grace.
La ragazza si voltò, posando la tazzina sul mobile accanto a tutte le altre, e guardò la madre con due occhi rossi fuoco. -Non permetterti mai più di dirmi cosa devo fare!- urlò scagliandosi verso la donna che cercò di proteggersi il viso dalle unghie della figlia. La ragazza aveva totalmente perso il controllo, agitava le mani come se non lo stesse facendo di sua volontà e urlava con una tale forza che sembrava le stessero incidendo qualcosa con il ferro bollente. 
-Aiuto! Qualcuno mi aiuti.- urlò la donna terrorizzata. -Infermiere, la prego, mi dia una mano con mia figlia.- alla richiesta disperata della donna, arrivò Ethan, che prese di forza Grace, le iniettò un tranquillante e la strinse fra le sue braccia per sorreggerla. 
-Mi dispiace, sono quasi certo che questa sua reazione sia dovuta al fatto che Grace non ha preso tutte le pillole e questo l'ha portata a scagliarsi così violentemente contro di lei, signora Bennett.- rispose Ethan affannato a causa dello sforzo. 
-Non si preoccupi, sto bene. La prego di portarla nella sua stanza. Ha bisogno di essere controllata maggiormente, non ha fatto altro che farfugliare cose strane come l'ultima volta che l'ho vista.- negli occhi della Bennett si potevano leggere la paura e l'orrore che aveva provato nel vedere la figlia lanciarlesi contro con una violenza e una rabbia inaudita.
-Certamente, lo faremo. Mi scusi ancora, riporterò sua figlia in stanza e le assicuro che da oggi non accadranno più cose del genere. Fra qualche ora verrà il medico a visitarla, le faremo sapere.- la donna non disse niente, non riuscì nemmeno a fare una carezza alla figlia talmente grande era stato lo shock, uscì dalla stanza salutando l'infermiere e scomparve nel buio del corridoio.

-Aiuto! Aiuto! Cosa sta succedendo?- Grace urlò talmente forte che due infermiere entrarono subito nella stanza, seguite da Ethan. -Cosa diavolo mi avete messo?- strattonò forte le braccia e le gambe, notando che erano bloccate al letto con delle cinghie. -Toglietemi subito questa roba.
-Ragazzina, sta calma o sarò costretto a sedarti di nuovo.- disse Ethan avvicinandosi al letto.
-Allora sei stato tu, lurido- l'infermiere le mise una mano davanti la bocca per non farla parlare.
-Christina, Marissa, potreste lasciarmi solo con lei?- le due donne senza proferire parola, fecero un cenno con il capo e uscirono chiudendosi la porta alle spalle. -Forse non ti è ben chiaro che non sei stata mandata in questo ospedale per fare la bella vita. Sei stata mandata qui perché hai ucciso una persona e sei stata ritenuta inferma mentalmente. Quindi, se nessuno ti aveva spiegato il reale motivo della tua permanenza in questo posto, adesso l'ho fatto io. Inoltre, ci tenevo a dirti che le medicine che ti diamo, non sono facoltative, ma ti vengono somministrate per tenere a bada il tuo disturbo. Non cercare più di fare la furba e nasconderle sotto il cuscino, perché se dovessi scoprire nuovamente che non le hai prese, passerai davvero dei guai.- quando finì di parlare, Ethan tolse la mano dalla bocca di Grace e la lasciò parlare.
-Pensi di farmi paura? Ho visto tante di quelle cose in questi ultimi anni che le tue stupide minacce non mi toccano nemmeno un po'. Non ho paura di tornare in prigione, non ho paura di te e non ho paura dei tuoi superiori.- il suo tono era talmente sicuro che l'infermiere non rispose, rimanendo a guardarla dall'alto. -Sono capace di urlare e lamentarmi a lungo perciò ti consiglio di togliermi immediatamente queste cose.- strattonò nuovamente le cinghie e lo guardò socchiudendo gli occhi.
Ethan fece una piccola risata, passando la mano sul mento. -Puoi urlare quanto vuoi. Sarai solo una voce insieme a tutte le altre, nessuno ti può sentire davvero.- l'uomo si girò e uscì dalla stanza sbattendo la porta a tal punto da far trasalire Grace.

La ragazza rimase a fissare il soffitto bianco sporco per oltre mezz'ora, ripensando a tutte le cose che aveva urlato a sua madre e alle parole dette dall'uomo poco prima che uscisse lasciandola sola, legata ad un lurido letto e con la testa piena di domande, pensieri e voci.
Beh, quelle c'erano da sempre, ogni volta che si trovava da sola, sapeva di non esserlo mai davvero. Ma non era pazza, di questo ne era certa e se si trovava richiusa in una gabbia di matti, era solo per colpa di quel ragazzo, dell'amore della sua vita.
Guardò fuori dalla finestra, per quanto le fosse possibile, e si accorse che il sole stava ormai per tramontare. Avrebbe voluto alzarsi e guardare al di fuori di quelle quattro mura come faceva ogni giorno, ma non le fu possibile. Si sentiva ancora più imprigionata di prima, senza una via di fuga dal mondo reale, un mondo che lei detestava da troppo tempo, ormai. 
-Uscirò di qui, uscirò...- sospirando cercò di convincersi che prima o poi ce l'avrebbe fatta e tutto questo sarebbe stato solo un vago ricordo, uno di quelli che accantoni in un angolo buio e polveroso della tua mente, nel quale non tornerai a guardare facilmente.

Mentre ascoltava il rumore delle onde, lasciandosi cullare, qualcosa le fece volgere lo sguardo verso la porta. Qualcuno si trovava lì dietro in procinto di entrare, poteva notarlo dall'ombra che vedeva nel piccolo spazio che c'era fra il pavimento e la porta stessa. Era Ethan? O qualche altra infermiera pronta a sedarla o imbottirla di farmaci? O magari erano venuti a toglierle quelle stupide cinghie, alla fine era stata in silenzio per molto tempo, se lo meritava. 
-Chi c'è lì dietro?- il suo tono di voce risultò più acuto del normale. Non ricevette alcuna risposta, ma la maniglia si abbassò lentamente. Nell'ombra della stanza, scorse una figura; era alta, i capelli erano corti e indossava quello che a prima vista sembrava essere un camice da dottore. -Chi è? Perché non risponde?- l'essere legata a quel letto, impotente di copiare qualsiasi movimento, fece agitare Grace sempre di più. Perché quella persona stava ferma nel buio a fissarla? Perché non entrava e non rispondeva alle sue domande? Forse stava solo sognando, anzi, ne era convinta a tal punto che si diede un morso al labbro nel tentativo di svegliarsi da quello che sembrava l'inizio di un incubo, ma quando emise un gemito di dolore e sentì il sapore metallico del sangue, si accorse che quella era la realtà. -Dimmi chi sei o giuro che comincio a urlare.- disse cercando di non far notare alla figura che stesse tremando di paura.
A quelle parole, qualcosa si mosse nel buio, entrando nella stanza e posizionandosi sotto la leggera luce del sole. Grace strabuzzò gli occhi, non era possibile. Lo fissò intensamente finché lui non parlò. 
-Ciao piccola, ne è passato di tempo.- sul viso del ragazzo comparve un sorrisetto.
-Non p...posso crederci.- disse la ragazza balbettando. -Harry, sei proprio tu?

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Ecco a voi il primo capitolo di questa storia che spero vi possa intrigare abbastanza. Commentate, stellinate, fatemi sapere cosa ve ne pare. Il vostro parere è molto importante per me. Per eventuali errori correggerò il prima possibile. 
Inoltre, se può interessarvi sto scrivendo altre due storie: "The day we met" e "1987". A quest'ultima ci tengo molto perché quando sarà finita, manderò il manoscritto ad una casa editrice che lo controllerà e deciderà se pubblicarlo o meno. Detto questo vi auguro una buona serata.
Vi aspetto al prossimo capitolo xx

-Vals💕

   
 
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