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Autore: Annadilemmers    07/11/2016    3 recensioni
Violet Black ha 16 anni, vive una vita alquanto normale e abita a New York.
Daniel McLee ha 18 anni, vive una vita alquanto normale e abita a New York.
I due vanno alla stessa scuola, ma mai si sono parlati. Basterà un articolo di giornale, un progetto di scuola ed un'ora a farli conoscere?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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E okay, era l'ultima ora per noi, mentre la sua classe stava tornando a casa.
E, com'era prevedivile, nell'esatto momento in cui eravamo pronte a salutare il nostro rappresentante d'istituto, entrò la professoressa d'inglese. All'istante ricordai la questione della settimana della letteratura e delle varie attività che avremmo svolto. Pensai che avremmo passato tutta l'ora a leggere, ancora una volta, l'Illiage o qualche altro romanzo letto milioni di volte come Amleto di Shakespare. E invece dovetti ricredermi.

Ora, dovreste sapere che tra le attività di questa settimana c'era anche una piccola oretta dedicata alla lettura di un qualsivoglia brano da parte di qualche alunno delle quarte e delle quinte. Avevo già immaginato che molto presto qualuno sarebbe venuto a leggerci qualcosa, quel che non mi aspettavo era di certo chi sarebbe venuto.

Insomma, basta dire che, non appena Daniel entrò in classe, potei chiaramente sentire milioni di battiti mancare a quasi ogni ragazza presente. 
Lui era lì, con i capelli legati in una perfetta cipolla e ci guardava, dal suo metro e ottanta, dritto negl'occhi. Era bello, lui, eccome se lo era. La camicia nera metteva in mostra il fisico asciutto e gli skinny neri lo fasciavano in modo impeccabile.
Poi, sorrise. Sorrise a tutti noi e andò a poggiare lo zaino bordeaux su di un banco libero.

 << Buongiorno, prof. Non sapevo sareste stata qui, in quest'ora.>>

<< Forza, Daniel, non perdere tempo. Presentati e spiega cosa faremo.>>

<< Beh, prima di tutto mi presento, siccome ancora non mi conoscete - credici - Io sono Daniel McLee e sono qui  per leggervi un articolo, che tanto articolo non è, di un argomento a me molto a cuore: la Libertà. L'autore di questo articolo è un uomo italiano, Alessandro Baricco, che, sinceramente, è il mio preferito. Di recente ha racolto in un libro la maggior parte delle sue opere e, beh, io al firmacopie qui in America c'ero. >> disse mostrando l'autografo dello scrittore. << Il titolo dell'opera, se così vogliamo chiamarla, è: "L'idea di Livertà spiegata a mio figlio." E' stata pubblicata il 10 maggio 2011 su un giornale, appunto, italiano. Ora io leggerò e dopo potrete esprimere le vostre idee a riguardo.
UN GIORNO ho portato mio figlio a Cinecittà, a Roma, mi sembrava un posto che doveva vedere, dato che la sua idea di cosa fare da grande è fare film come Star Wars. Per il momento ha 11 anni. Ha tempo, direi, per cambiare idea, comunque una gita a Cinecittà poteva servire. A un certo punto mi ha chiesto chi l' aveva fatta, Cinecittà. «Il fascismo», gli ho detto. «L' hanno fatta quando tuo nonno aveva otto anni e in Italia c' era il regime fascista». La cosa gli ha creato un po' di confusione. Mio figlio è cresciuto in un ambiente inesorabilmente antifascista. Non siamo stati lì molto a sottilizzare, in famiglia: ci è sembrato pratico orientarlo a considerare il periodo fascista come un passaggio triste della storia patria, e amen. Non gli quadrava molto, quindi, che quella figata l' avessero fatta proprio in quegli anni. Allora ho capito che dovevo spiegargli qualcosa di più. Quello che gli ho spiegato è che il regime fascista aveva governato questo paese a lungo e sicuramente qualcosa di buono l' aveva fatto. Non mi veniva in mente niente in particolare, ma devo avergli fatto notare, ad esempio, che le autostrade avevano incominciato a farle loro, per rompere l' isolamento di tante parti d' Italia e modernizzare il paese. Probabilmente devo anche aver detto qualcosa a proposito dei due mondiali di calcio vinti dall' Italia in quegli anni: è il genere di cosa che per un undicenne significa molto. Lui non aveva mai pensato che qualcosa di decente potesse essere accaduto, durante il fascismo, e quindi aveva la faccia di uno che doveva riordinarsi in mente un bel po' di cose. Ha riassunto tutto il suo smarrimento in una domanda semplice: e allora perché noi siamo contro il fascismo? Ci siamo seduti. Quel che ho cercato di spiegargli c' entra con questo manifesto di Amnesty che adesso sto guardando e che probabilmente stamperò e metterò da qualche parte nella camera di mio figlio, tra un manifesto di Star Warse uno dei Simpson. Gli ho spiegato che a noi non piace il fascismo perché c' erano le autostrade ma non la libertà. «Libertà di fare cosa?», mi ha chiesto. «Molte libertà», ho cercato di spiegargli, «ma se vogliamo andare al cuore del problema, non c' era una reale, effettiva libertà di pensare quello che volevi e di esprimerlo ad alta voce. A parte il fatto che se trovavi da ridire sul regime ti ritrovavi senza lavoro, o in galera, o peggio, ma a parte questo, il problema era che proprio ti si impediva di avere un cervello tuo, con dei tuoi pensieri, delle tue idee, magari anche sbagliate, o un po' grulle, ma tue. Tutti in fila a imparare le parole d' ordine del capo, e fine della libertà di pensare», gli ho detto. «Nessuno può impedirti di pensare cosa vuoi», mi ha detto. «Come fa? Ti entra nella testa?». Era una buona domanda. Allora gli ho detto che sì, ti possono entrare nella testa. Iniziano a legarti le mani, poi i piedi, poi a chiuderti gli occhi, poi a spegnerti la voce, poi a metterti paura. Possono farlo. E tu continui a vivere, magari hai anche le autostrade e Cinecittà, ma sei in una gabbia e inizi ad abituarti, perché anche quello è un modo di vivere, in gabbia, soprattutto se la gabbia te la rendono in fondo confortevole, e apparentemente adatta a crescere, vivere, fare figli, fare soldi, toglierti delle soddisfazioni, avere amici e amori. Ci si abitua a tutto. Anche a vivere in gabbia. Magari in cambio di un po' di ordine, di una manciata di certezze, di qualche domenica al sole. Ma intanto perdi la capacità di pensare per conto tuo, e alla fine anche la voglia di farlo. Ti dimentichi di cos' è la libertà. Lui aveva l' aria di essere veramente spaventato. «Però adesso non è così, vero?», mi ha chiesto, tanto per tranquillizzarsi. Lì avrei dovuto parlargli dell' Italia di oggi ma veramente mi sembrava un po' troppo complicato e allora gli ho chiarito che i fascismi sono molti, e in tante parti del mondo, e magari noi oggi, qui, abbiamo una certa, sostanziale libertà, ma molte altre persone in giro per il mondo no. «Che culo essere nato qui», ha detto. «Indubbiamente», ho detto, anche se qualche distinguo mi sarebbe venuto da farlo. Ma non era il momento. «Fammi un esempio», mi ha detto. «Un esempio di un posto dove non sono liberi». Forse non era l' esempio migliore, ma non so perché mi è venuta in mente Cuba. Cioè, lo so. Perché avevo da poco parlato con un amico cubano che mi aveva detto una cosa che mi aveva colpito. Non sono nemmeno sicuro che fosse completamente vera, ma ero sicuro che non era nemmeno completamente falsa. Gli avevo chiesto, all' amico cubano, se non trovava tremendo che loro non potessero navigare liberamente in Internet. E lui mi aveva detto che le cose non stavano esattamente così: mi aveva detto che c' erano almeno 15 siti internazionali dove loro potevano entrare. Almeno 15. «A Cuba, ad esempio», ho detto a mio figlio, «se vai su Internet puoi entrare solo in 15 siti, tutti gli altri sono vietati». In effetti era l' esempio buono. Non ci voleva credere. «Quindici?». Sgranava gli occhi. «Non possono entrare nel sito della Gazzetta dello Sport?». «No. Non credo». Ci ha pensato un po' . «E noi non possiamo portargli i nostri computer?», mi ha chiesto. Allora gli ho spiegato che no, non possiamo portargli i nostri computer, ma molto possiamo fare, e molti lo fanno, per pretendere che la libertà di informazione e quindi di pensiero e di espressione sia un diritto di tutti, anche di quelli che vivono sotto i fascismi, di ogni colore e di ogni specie. La cosa gli è piaciuta. Era tutto gasato. «E noi cosa facciamo, ad esempio?», mi ha chiesto. «S' è fatto tardi», ho detto. Ma a lui andava di sapere cosa stavamo facendo, noi due, e magari anche la mamma e i nonni, perché tutti avessero il diritto di pensare ed esprimersi, liberamente, in ogni parte del mondo. Poco, alla fine ho ammesso. Molto poco. «Perché?». «Perché la vita è complicata e non c' è tempo per fare tutto. E perché adesso che me l' hai detto mi sono ricordato di quanto poco facciamo e quindi ti prometto che mi faccio venire qualche idea, e da oggi pomeriggio ci mettiamo a fare qualcosa». Era già più tranquillo. Però no, non è che mi sia venuta chissà quale idea, devo dirti adesso, figlio mio che nel frattempo hai 12 anni. Mi spiace, ma di nuovo me ne sono dimenticato e l' unica cosa che posso dirti è che oggi ho scritto qualche riga su un manifesto che gridava quella voglia di libertà di cui abbiamo parlato, quella volta, ed è proprio poco, d' accordo, maè quello che ho fatto oggi, è il raccolto di oggi, forse è meglio di niente. Ma peggio del molto che dovremmo fare, lo so. Dammi un' altra chance e vedrai che qualcosa mi viene in mente. Anzi, fa' così: prendi questo manifesto e attaccalo in stanza, va' , così non ce ne dimentichiamo più, di questa faccenda. No, non c' è bisogno che togli quello dei Simpson. Va bene anche di fianco
.>>

Mentre leggeva si muoveva per la classe e la luce del sole gli illuminava il volto creando un gioco d'ombre che facevano risaltare gl'occhi chiari.
Quasi tutte noi rimanemmo affascinate non solo esteticamente da lui, ma anche alla passione con cui leggeva quel testo. E la passione non faceva altro che risaltare il significato ell'articolo.

Misteriosa cosa, questa Libertà, vero? Insomma, si può davvero dire di essere totalmente liberi? Le leggi non ci danno dei limiti per non farci tornare allo stato brado? La religione non ci vieta tante cose? Il giudizio delle persone non ci vieta forse di esprimere la nostra sessualità o il nostro pensiero? 

Tante domande mi giravano in testa durante la lettura e, sì, trovai il coraggio e gliele posi una volta finito di leggere.

"Mi piace il tuo modo di pensare..."

"Violet." suggerii.

"Mi piace il tuo modo di pensare, Violet, e ad essere sinceri hai fatto le giuste domande. Noi siamo davvero liberi?"




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Hola! Eccomi tornata, come promesso, con il primo vero capitolo. Mi scuso per gli errori di battitura e, soprattutto, per la cortezza del capitolo, ma sto pubblicando in un momentino di pausa tra il fare la relazione di italiano e lo studio aggressivo-compulsivo del greco (Sapete, le interrogazioni...).
Quindi, bene, prima di lasciarvi avrei una dedica che spero nessuno di voi possa mai capire:

Grazie a D., perchè senza di lui niente di tutto... questo sarebbe mai potuto esser scritto.
Grazie a F., B.,S.,F.,F.,C., perchè senza di loro mai mi sarei interessata così tanto.
E grazie alle prof. Q. e C., perchè senza di loro non avremmo mai potuto realmente conoscere D. (la prof Q. 4 PRESIDENT!)

 
   
 
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