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Autore: cristal_93    07/11/2016    2 recensioni
[Alcuni di questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di di Cassandra Clare. La storia è ambientata tra il terzo e il quarto libro di The Mortal Instruments. *Spoiler * da Cronache di Magnus Bane e Le Origini. La protagonista e, più avanti, anche altri personaggi, appartengono a me in qualità di Original Characters; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro]
A Brooklyn, dimora di una delle più grandi concentrazioni di Nascosti del mondo, presto farà la sua comparsa una ragazza proveniente dal lontano Oriente. Il suo nome è Yumi, ed è una strega, figlia di un demone e di un umana, ma è diversa da tutti i suoi simili, e nasconde un grande segreto. Ha viaggiato in lungo e in largo per molto tempo prima di raggiungere la Grande Mela, dove vive l'unica persona in grado di aiutarla. Ma la meta, pur essendo così vicina, in realtà è ancora molto lontana. E Yumi si ritroverà a combattere una dura battaglia, sia contro sè stessa, in cui dovrà scegliere se rivelare il proprio segreto o andare contro i propri principi morali e contro il proprio passato.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Catarina Loss, Magnus Bane, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Sbucarono dal nulla da dietro agli alberi, probabilmente avevano celato la loro presenza grazie ad un incantesimo di camuffamento così potente che nessuno era riuscito ad accorgersi di niente. O forse Sora non ci era riuscito perché era stato così preso da Karin che aveva abbassato la guardia. In ogni caso, era inutile cercare di capire come e perché, visto che saperlo non avrebbe certo fatto sparire magicamente quei Cacciatori.

Sora si precipitò verso sua figlia, che gli saltò in braccio non appena Ryuu fu abbastanza vicino, ma due Shadowhunters si erano messi al loro inseguimento e li avevano quasi raggiunti. Con disgusto, Yumi notò che nessuno degnò di uno sguardo il cadavere del loro compagno ucciso, e si strinse forte al padre. Lui la strinse di riflesso, ma in realtà si trovava da tutt’altra parte: i suoi occhi erano pieni delle agili figure degli Shadowhunters, dell’arsenale che portavano appeso alla cintura, dei marchi scuri che spiccavano sulla loro pelle e delle sfolgoranti lame angeliche che brandivano.

Tutto quello che aveva represso negli anni increpò il muro dietro cui li aveva relegati e cominciò a invadergli il cuore e a corrompere il suo animo. I ricordi degli ultimi anni iniziarono a offuscarsi nella sua mente, tutto sembrò svanire gradualmente come se non fossero mai esistiti e lui fosse sempre e solo stato quello che doveva essere, un Eidolon di classe media che mai si sarebbe sognato di donare il proprio cuore a un essere umano e rinunciare alla sua natura.

Iniziò a vederci rosso, mentre un forte desiderio di snudare le zanne, aggredire quegli sciocchi e affondare i denti nella carne morbida dei loro colli cominciò a prendere possesso di lui, manifestandosi in un tremolio eccitato lungo tutto il suo corpo, e lui cominciò a sorridere sempre di più e i suoi occhi ad assottigliarsi e a brillare…

« Otoo-san [papà! » gridò Yumi, e quel flusso di odio e morte che aveva cominciato a prendere il sopravvento su Sora s’interruppe di colpo così com’era iniziato refluendo violentemente verso il suo cuore, dove venne di nuovo chiuso e sigillato.
La mente di Sora si schiarì di colpo e lui boccheggiò, riacquistò il controllo di sé e tornò presente a ciò che si stava svolgendo intorno a lui: sentì l’umido e il gelo della neve sulla pelle, l’odore del vento e del freddo, l’aria che gli fischiava nelle orecchie e il ringhio di Ryuu acquattato ai suoi piedi. Più di tutto, sentì il calore del corpo della sua bambina tra le braccia, con lei che lo guardava preoccupatissima.

« Y…Yumi… io … » disse Sora incerto. Cos’avrebbe dovuto fare? Scusarsi? Ringraziarla di aver impedito che la sua vera natura tornasse a reclamare il diritto di guidare il suo corpo e le sue azioni? O al contrario sentirsi arrabbiato proprio perché, ancora una volta, era bastato pochissimo per fermarlo? La piccola però lo prevenne:

« Per favore papà, per favore! ».

Non aggiunse altro, ma il demone capì cosa gli stesse chiedendo: non di rinunciare alla propria natura, ma di abbracciarla senza però perdere sé stesso. Solo che, ora che era stato fermato, si sentiva solo confuso, e incerto. Il latrare di Ryuu lo distrasse e lo portò a fronteggiare i due Shadowhunters che si erano fermati davanti all’animale, mentre gli altri  quattro si trovavano alle loro spalle, armati di archi e balestre.

Adesso che era lucido, Sora riuscì a percepire la presenza di altri guerrieri nascosti nel bosco, e tanto bastò per snudare le zanne e mostrarle a quei Cacciatori, maledicendosi però nel frattempo: come aveva potuto essere così stupido da cadere in un’imboscata del genere? E perché era successo proprio in quel momento? Era impossibile pensare che fossero rimasti tutto il giorno sotto la neve ad attendere il momento opportuno, che poi quando sarebbe stato? Cosa sarebbe successo se Yumi e Ryuu non si fossero avvicinati agli alberi e li avessero smascherati? Soprattutto… da quanto erano lì, quando erano arrivati?

L’istituto di Shadowhunters più vicino si trovava a centinaia di chilometri da lì, quindi o era da molto tempo che sapevano che lui si trovasse da quelle parti ed erano riusciti ad arrivare solo recentemente, oppure lo avevano saputo solo da poco e avevano impiegato ogni mezzo per arrivare lì prima che potesse scappare, magari con l’aiuto corrotto o comprato ( se non addirittura voluto) di un qualche Nascosto.

Yumi si divincolò dalle sue braccia, ricordandogli che ancora la stava stringendo, e affiancò Ryuu alzando i pugni. Come sempre, il padre non poté fare a meno di esserne orgoglioso: era così piccola eppure così coraggiosa e impavida. Yumi non aveva paura di niente, e di certo non sarebbe rimasta dietro le quinte a farsi proteggere mentre suo padre e suo fratello rischiavano invece la vita in prima fila. Ryuu si avvicinò a Yumi senza guardarla, istintivamente, come due magneti che si attraevano l’un l’altro, o come due parti di uno stesso meccanismo che solo collaborando insieme potevano funzionare veramente. Perché è questo che erano, loro : due facce della stessa medaglia, due entità distinte che però, se messe insieme, generavano una grande forza.

« Hai commesso un grosso sbaglio a scegliere di rimanere qui ad allevare la tua progenie, mostro » esordì uno degli Shadowhunters, puntando la spada contro Sora.

L’altro tirò fuori una lama biancastra, mormorò qualcosa e la spada s’illuminò, come se un fuoco vi fosse stato acceso di colpo all’interno. Sora strinse i pugni: cos’avrebbe dovuto fare? Rinunciare a quello per cui aveva lottato contro sé stesso per anni ridiventando il mostro assassino che era sempre stato, o continuare a tenere duro e cercare un altro modo per cavarsela?

La risposta arrivò con una palla di neve lanciata da Karin in faccia allo Shadowhunter che aveva appena parlato, che fu colpito in pieno e cadde nella neve. Il suo compagno si  distrasse, e allora Yumi si chinò e lo colpì lateralmente alle gambe con un calcio, mentre Ryuu gli saltò addosso e lo buttò a terra.

Ma mentre l’uomo cadeva, Yumi prese la mano del padre e corse via, con Ryuu al seguito, e raggiunsero Karin, che si buttò tra le braccia di Sora e strinse anche lei la mano di Yumi. Il demone le strinse entrambe a sé e guardò la moglie negli occhi. Lei rispose con uno sguardo deciso e determinato: non aveva paura, era pronta a tutto. Ed era la risposta alle domande che Sora cercava ormai da anni. A dire il vero, la risposta gli era stata data fin dal primo momento, solo che le sue paure e le sue incertezze l’avevano soffocata: Karin lo accettava per quello che era. Era stato così fin dal primo momento e  sempre lei sarebbe stata al suo fianco senza abbandonarlo mai, non importa cosa fosse successo. Glielo aveva assicurato e dimostrato in più di un’occasione, ma lui aveva avuto troppa paura per rendersene conto. Ora capiva di essere stato uno sciocco.

Doveva proteggere ciò che aveva di più prezioso al mondo, e per farlo prima avrebbe dovuto sconfiggere il suo nemico più grande: i suoi dubbi. Si sentì stringere la mano, e abbassando lo sguardo incrociò quello di Yumi: era determinato come quello della madre. Anche lei aveva capito, anche lei era pronta. Guardò di nuovo Karin, che fece un breve cenno con la testa, e allora non ebbe più paura. Strinse forte le mani delle sue ragazze e chiuse gli occhi: un forte vento si alzò improvvisamente, frenando la corsa dei due Shadowhunters. Alzarono le braccia per proteggersi ma non fu sufficiente, e vennero sbalzati via insieme ai loro compagni. Rotolarono nella neve e sbatterrono contro il muretto, ma finalmente la situazione si calmò, e furono in grado di vedere di nuovo.

Rimasero però scioccati: l’aria era stata invasa da centinaia e centinaia di piccole fiammelle blu che danzavano e si rincorrevano tra di loro. Nessuna apparizione però fu più scioccante della trasformazione avvenuta in Sora: le orecchie si erano allungate, ed erano infiammate sulla punta, fuoco che brillava anche dietro ai suoi occhi. Il suo viso si era leggermente allungato e nella bocca aperta davano mostra di sè affilati e lunghi denti da gatto. Guardò gli Shadowhunters con aria di sfida, poi ringhiò sommessamente.

« Non credere di spaventarci con questi miseri fuocherelli, demone! » urlò uno di loro, mentre l’altro fece una segnale ai loro compagni, e una raffica di frecce si abbatté verso Sora e la sua famiglia, ma invece di colpirli si infransero contro un nugolo di fiamme blu innalzatosi improvvisamente e caddero a terra in pezzi. Lo Shadowhunter che aveva insultato Sora allora si lanciò in avanti brandendo qualcosa di lungo e flessuoso dalla tasca ma che s’infranse di nuovo contro le fiamme, che avvolsero l’arma e il braccio dello Shadowhunter.

Lui lanciò grida strazianti, e vani furono i suoi tentativi di spegnere quelle fiamme apparentemente inestinguibili. Le fiamme circondarono gli altri Shadowhunters, e loro brandirono le armi contro quei fuocherelli danzanti distraendosi dall’obiettivo. Approfittando della confusione, Sora prese le sue ragazze in braccio, ma quando fece per volgersi verso Ryuu, il lupo scosse la testa e balzò al di là del muretto.

« Ci seguirà correndo » disse Yumi, che aveva capito le intenzioni dell’amico.

Sora annuì e si sollevò in aria, sorvolò il muro di cinta e si tuffò nel bosco, con Ryuu che gli stava alle calcagna. Corsero tutti e due finché non arrivarono nelle profondità più recondite del bosco e Sora non fu certo di aver seminato i cacciatori. Non era ancora il momento di stare tranquilli, però: quei fuochi  erano stati più che altro un diversivo per rallentarli, non sarebbero certo bastati a fermarli. Per di più, gli Shadowhunters non si sarebbero fermati: avrebbero proseguito nella loro cacciai finché non avessero soddisfatto la brama di affondare le loro spade del corpo di Sora, e dopo di lui sarebbero passati a Yumi; quanto a Karin… era meglio non pensarci. Scappare era inutile, e non avrebbero potuto farlo per sempre, lo avevano fatto anche troppo e per troppo tempo: bisognava affrontare gli Shadowhunters faccia a faccia. E quindi rimaneva una sola cosa da fare, anche se faceva male, molto male. Sora si fermò in una radura e fece scendere le sue ragazze.

« Li abbiamo seminati? » chiese Karin, mentre Ryuu li raggiungeva di corsa e si buttava ai piedi di Yumi.

« Per adesso sì, ma torneranno… » disse Sora, lo sguardo perso verso la direzione da cui erano arrivati. Karin lo guardò e vide che stringeva i pugni, e i suoi occhi, che un attimo prima erano stati luminosi e minacciosi, ora si erano rattristati. Gli prese la mano e lui la strinse con forza, senza volgere lo sguardo verso di lei ma continuando a guardare il sentiero come se temesse che da un momento all’altro gli Shadowhunters sarebbero spuntati fuori. Era solo questione di tempo prima che la sua paura si avverasse, quindi bisognava sbrigarsi.

« Non possiamo farci trovare impreparati, dobbiamo escogitare qualcosa! » esclamò Yumi con le braccia intorno al collo di Ryuu.

Sora sorrise tristemente alla figlia.

« E qualcosa faremo, infatti » disse a bassa voce, quasi un sussurro.

Karin e Yumi lo guardarono interrogative, ma appena capirono cosa intendesse dire Sora, il bosco si popolò delle loro urla.

« No, no e no! Non esiste, non abbiamo alcuna intenzione di permettertelo! » esclamò Karin.

« Papà, non possiamo lasciarti da solo, resteremo con te e combatteremo al tuo fianco, non abbiamo paura! » aggiunse Yumi, mentre Ryuu confermò il proprio appoggio ululando e agitando la coda.

Sora li guardò uno ad uno negli occhi e sorrise tristemente.

« So bene che non avete paura » disse a Yumi, inginocchiandosi davanti a lei. « E so bene anche quanto valete. Ma Yumi… è per la vostra sicurezza. Se resterete con me, finirete per essere uccisi tutti quanti ».

« Tanto cercherebbero di ucciderci comunque, no? » ribadì la piccola. « Io perché sono una strega, la mamma perché opporrà resistenza e Ryuu perché cercherà di difenderci. Anche se ci separassimo da te, non avremmo comunque pace, vero? ».

Sora si morse le labbra: Yumi era davvero troppo intelligente, aveva una mente aperta e una visione del mondo che era impossibile cercare di spiegare a parole e difficile da comprendere, perché i suoi occhi sembravano dotati del potere di vedere attraverso le cose, di scavare nelle profondità nascoste fino alla loro essenza più intima. A volte lui stesso ne aveva paura, ma non in quel caso: mai come in quel momento era felice di sapere che la sua bambina non possedeva quell’innocenza propria di tutti i piccoli della sua età, quella che, in una situazione del genere, l’avrebbe portata a tremare terrorizzata tra le braccia della madre, a chiedere a entrambi cosa stesse succedendo perché non riusciva a capirlo, a piangere perché non voleva che papà se ne andasse. Invece lo capiva perfettamente, non aveva paura e non aveva alcuna intenzione di scappare e abbandonare il padre al suo destino.

E Sora capì che aveva avuto ragione lei, quella volta, quindi si era opposta all’idea di frequentare bambini della sua età: non si sarebbe mai trovata bene con i suoi coetanei, e non sarebbe mai stata in grado di instaurare un legame con loro. Yumi apparteneva ad un’altra dimensione, una dimensione in cui persino lui e Karin , che pure avevano un legame profondo con la loro bambina, non sarebbero mai stati in grado di capire veramente.

« No, non avrete pace » ammise sconfitto. « Ma avrete una possibilità in più per scappare: vogliono me, principalmente, se resterò indietro a trattenerli vi darò un vantaggio in più ».

« Papà… » cercò di dire la piccola, ma Sora scosse la testa.

« Yumi, tu conosci questi boschi meglio di chiunque altro, e hai molti amici, qui. Prenditi cura della mamma ».

La bambina guardò la madre con gli occhi lucidi, e poi di nuovo il padre.

« Tu… tu tornerai, vero? » .

Sora stette un attimo in silenzio, poi scosse la testa.

« Non lo so, piccola » ammise.

« Non voglio perderti… » disse ancora lei aggrappandosi alla manica del vestito di Sora.

« E non mi perderai, infatti » disse lui, e si voltò verso la moglie, che lo guardava anch’essa con gli occhi lucidi.

« Sora… » mormorò.

« Karin, per favore, dammi la collana ».

La donna obbedì e infilò una mano nella scollatura del kimono estraendone un medaglione in ferro battuto, di quelli che si aprivano. Glielo aveva regalato Sora, una delle rare volte che era sceso fino in città (camuffato con un incantesimo) per vendere le verdure che Karin coltivava. Ci aveva messo dentro un piccolo ritratto di loro due e Yumi, e quando lo aveva ricevuto Karin era stata così felice che aveva giurato che non lo avrebbe mai più tolto fino al giorno della sua morte.

Sora avrebbe preferito essere presente , starle accanto finché
 quel giorno non fosse arrivato, essere lui a toglierle quella collana dal collo e a metterlo al proprio, vicino al cuore, dove sarebbe rimasto per sempre, perché per sempre il suo cuore sarebbe appartenuto a Karin, anche se quello di lei avrebbe smesso di battere. Ora non sapeva nemmeno più quando o se sarebbe mai accaduto, poteva solo fare il possibile per assicurarsi che lei e Yumi riuscissero a scappare. Non sapeva come sarebbero andate le cose, ma voleva lasciare loro una possibilità per potersi incontrare di nuovo. Prese una ciocca dei propri capelli rossi e la recise, poi aprì il medaglione e ce la mise dentro.

« Cercate di mettervi al sicuro, e quando il pericolo sarà passato, dirigetevi alla città portuale più vicina. Non importa quanto ci vorrà… ma cercate di raggiungere l’Europa ».

« Perché? » chiese Karin, con un filo di voce.

Sora si rivolse a Yumi.

« Ti ricordi dello stregone di cui ti ho parlato? »

« Quale? » . Sora sospirò.

« Magnus Bane ».

A quel nome, Yumi si illuminò : Magnus Bane era un potente stregone, forse uno dei più potenti che la storia avesse mai ricordato. Sora gliene aveva parlato molto, un giorno di pioggia in cui lei e Ryuu si erano rintanati in casa perché non potevano giocare all’aperto. Per scacciare la noia Yumi aveva preso il futon , lo aveva steso vicino al padre, ci si era sdraiata sopra, e appoggiando la testa sulle mani gli aveva chiesto di raccontarle qualcosa sugli stregoni, mentre Ryuu le si era accovacciato affianco e si era messo a dormire.

Sora l’aveva accontentata come sempre, e quel nome era saltato fuori parecchie volte, tanto che alla fine Yumi aveva chiesto esplicitamente di parlarle di Magnus Bane. Sora le aveva detto che era lo stregone più conosciuto e temuto tra i demoni, nonché forse uno dei più potenti e pericolosi: egli era il figlio di uno dei Nove Principi dell’Inferno, e si diceva che i suoi poteri fossero ineguagliabili, che fosse esperto nell’evocare demoni di qualsivoglia rango e anche che fosse a conoscenza di incantesimi e magie estremamente rari e potenti.  Yumi aveva dondolato la testa e scalciato i piedi, dicendo che allora, gerarchicamente parlando, lei che era figlia di un demone di classe media era di grado nettamente inferiore a lui.

Sora aveva alzato le spalle rivelandole che in verità tra gli stregoni non correva questo tipo di distinzione, ma solo una basata sulla potenza o sulla anzianità. Il fatto di essere figli di demoni di rango più o meno alto non contava granché, visto e considerato che non tutti arrivavano a conoscere il proprio genitore demoniaco. E non valeva neanche per i demoni di sangue puro: gli stregoni erano pur sempre dei mezzosangue, non importava di chi fossero figli, e perlopiù venivano disprezzati da coloro che invece erano interamente demoniaci. Si era morso il labbro dopo essersi reso conto di aver detto troppo, ma Yumi, invece di ribattere, si era fatta pensierosa , e Ryuu, percependo chissà come il suo turbamento, si era svegliato e le aveva mordicchiato il collo, facendola ridacchiare.

Continuando a farsi coccolare dall’amico, Yumi aveva chiesto al padre di raccontarle qualcosa di più su quel Bane, e lui le aveva rivelato che si diceva che il suo tratto distintivo, come per lei erano le sue orecchie a punta, fossero gli occhi, dotati di una pupilla allungata come quella dei gatti, come i suoi. La piccola si era toccata soprappensiero le orecchie: tempo prima aveva pensato che, più il Marchio era visibile in uno stregone, e quindi più era difficile da nascondere, più la vicinanza con il suo lato demoniaco doveva essere grande, e di conseguenza più lui doveva essere detentore di grandi poteri. Se questo Bane però di distintivo aveva solo gli occhi, e ciononostante era uno degli stregoni più potenti in circolazione, allora la sua teoria faceva acqua da tutte le parti. Anzi, forse era vero proprio il contrario. O forse dipendeva solo da un discreto allenamento.

Quando Yumi aveva chiesto a Sora di dirle altro su di lui, il demone le aveva chiesto cos’altro avesse voluto sapere, oltre a quello che già le aveva spiegato. Era rimasto molto sorpreso quando Yumi gli aveva detto che avrebbe voluto sapere che tipo di persona fosse. La richiesta di Yumi aveva spiazzato Sora, come accadeva spesso quando si ritrovava a parlare con lei, e lui aveva allargato le braccia mortificato, spiegandole che non lo aveva incontrato e che sapeva solo quello che si diceva in giro, e cioè che fosse un tipo eccentrico, megalomane e strambo, che amava viaggiare, a cui piaceva coprirsi di ridicolo e che si accompagnava a uomini e donne, senza distinzioni.

Yumi  lo aveva guardato come se avesse voluto rimproverarlo, ma poi aveva decretato che non avrebbe dato peso a quelle storie finché non avesse incontrato Bane di persona. Sora l’aveva messa in guardia sulle preferenze dello stregone che, a quanto pareva, aveva una predilezione per coloro che avevano i capelli neri e gli occhi blu. Yumi aveva sventolato i capelli con una mano, e facendo l’occhiolino al padre aveva detto che così almeno avrebbe avuto più possibilità che Bane desiderasse conoscerla.

Lo aveva detto per scherzare, e non si era aspettata certo applausi, ma l’espressione seria di Sora l’aveva lasciata basita, e ben presto anche sulle sue labbra si era spento il sorriso e aveva allontanato il muso di Ryuu con una mano. Non avevano detto niente ad alta voce, ma entrambi sapevano cos’avevano pensato in quel momento. Yumi non aveva più fatto domande sullo stregone, ma aveva pensato molto spesso a lui, scoprendosi vogliosa di saperne di più sul suo conto.

Le sue però sapeva per certo non essere fantasticherie sciocche e infantili, di quelle che ti fanno sospirare e sognare a occhi aperti, sogni che però finivano inevitabilmente per infrangersi non appena inciampavano nella dura realtà e si dimostravano, appunto, per quello che erano: fantasie stupide, generate dal fumo rilasciato dal fuoco di paglia che il pensiero di qualcuno di popolare e famoso aveva generato nei cuori di fanciulle ingenue. Yumi non generò neanche una volta un pensiero simile verso Bane: come si poteva immaginare certe cose di qualcuno che nemmeno si conosceva, di cui non si sapeva nemmeno che aspetto avesse? Avrebbe tanto voluto incontrarlo, ma solo per conoscerlo, capire di persona se quello che si diceva su di lui era vero o no.

Forse però era meglio che questo non avvenisse: proprio perché non sapeva niente di lui, niente le assicurava sul tipo di reazione che avrebbe potuto avere se si fosse trovato davanti una figlia di demone concepita non per dispetto ma per amore. Da quello che suo padre le aveva raccontato spesso, lui che aveva infranto i tabù della propria razza era ormai condannato a essere considerato un reietto, un traditore, una pianta cattiva da estirpare per non permettere che le altre venissero infestate, e tutto perché si era innamorato di una donna umana.

Visto che Yumi era sua figlia, purtroppo questo la rendeva automaticamente una reietta come lui, una vergogna. Con che faccia avrebbe potuto presentarsi ad altri stregoni, loro che erano frutto di una violenza e non di un’unione amorosa come lei? Quasi sicuramente l’avrebbero odiata, e questo, quindi, valeva anche per Bane.

 Aveva tenuto per sé il suo interesse nei confronti di Magnus Bane, evitando accuratamente di riaffrontare l’argomento con il padre, certa che neanche lui avrebbe approvato granché che lei desiderasse di conoscere questo fantomatico stregone. Ora però la stava mandando letteralmente tra le sue braccia, insieme ad una ciocca dei suoi capelli… e questo voleva dire solo una cosa.

« Non concede i suoi servigi a chiunque » proseguì Sora. « Dovrete procurarvi molto denaro, non credo chiuderebbe un occhio solo perché Yumi è una strega… ».

Né Karin né Yumi ebbero bisogno di chiedere altro: sapevano cosa stava per succedere. E a Sora non servì chiedergli se avevano capito.

« Faremo tutto il necessario, a costo di inseguire questo stregone per tutta la vita » dichiarò risoluta Karin, stringendo forte il medaglione.

Yumi annuì con vigore, e Ryuu agitò forte la coda. Sora sorrise e guardò Karin, la sua compagna, la sua ragione di vita, l’umana che era riuscita a salvarlo dalla dannazione, che gli aveva fatto conoscere l’amore e lo aveva fatto rinascere alla vita, la vita vera. Si soffermò sui suoi lunghi capelli neri, che tante volte aveva pettinato con le proprie mani, annusato, e in cui aveva affondato il viso, sui suoi allungati e bellissimi occhi verdi, che erano riusciti a intrappolarlo sin la prima volta che si erano posati su di lui, che avevano saputo andare oltre il demone e raggiungere il suo cuore, la sua anima, che avevano saputo guardarlo come nessuno aveva mai fatto, sul suo viso pallido e lucente come la luna, che più volte aveva accarezzato e baciato, sulle sue mani piccole e morbide, che lo avevano curato, lo avevano sostento, gli avevano tenuto le sue, lo avevano condotto a casa, e che solo pochi minuti prima aveva stretto tra le proprie, giurando alla sua amata amore e fedeltà eterna, la vera eternità, non quella parvenza che i mortali decantavano con leggerezza. Sora avrebbe preferito trascorrere molto più tempo con lei, vederla diventare vecchia e bianca, tenerle la mano finché l’ultima scintilla di vita non avesse lasciato il suo corpo. Ora invece il tempo a loro disposizione era scaduto a sorpresa, e quella probabilmente sarebbe stata l’ultima volta in cui si sarebbero rivisti. Di riflesso allungò la mano e prese quella dell’amata.

« Karin… »

« Voglio restare con te, Sora, non voglio scappare » esclamò lei.

« Lo so » sospirò Sora. « Conosco bene il tuo coraggio, come potrei dimenticarmene? Sei la persona più forte che abbia mai conosciuto… ma se ti succedesse qualcosa non potrei perdonarmelo ».

« Sora… ».

« Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato… anche se speravo che arrivasse più tardi, molto più tardi… ».

Lasciò in sospeso la frase, non c’era bisogno di completarla, sapevano entrambi cosa Sora avesse voluto dire.

« Purtroppo ormai non posso più fuggire, Karin » continuò Sora. « Io sono un demone, la mia sola esistenza è sbagliata. Gli Shadowhunters sono stati creati per uccidere tutti quelli come me, non staranno a sentire le mie ragioni, non gli importerà se gli dirò che volevo solo vivere in pace con la mia famiglia, non crederanno che io vi amo ».

Karin strinse forte le mani del compagno.

« Glielo dirò io » esclamò. « Gli farò capire che tu hai un’anima, come me, come Yumi, come qualunque altro essere vivente sulla faccia della Terra. Tu non sei un mostro » .

Aveva il respiro rotto, era evidente quanto si stesse sforzando di ricacciare giù la disperazione che le stava attanagliando il cuore. Anche in quel momento, anche quando era ormai prossima a perdere colui che amava sopra ogni altra cosa al mondo, non voleva permettere alle emozioni di sopraffarla. E Sora fu di nuovo immensamente grato che fosse così forte: era grazie alla sua forza se non era scappata quando aveva scoperto di trovarsi di fronte ad un demone, era grazie a quella se era rimasta con lui, se era sempre tornata indietro nonostante lui l’avesse ferita in continuazione, era grazie a lei se aveva saputo accettare l’immortalità di Sora e l’idea che, mentre lei sarebbe avvizzita e si sarebbe spenta, lui sarebbe sempre rimasto lo stesso, e sarebbe andato avanti senza di lei.

Era grazie a quella forza che Sora aveva il coraggio di dirle quelle cose e lasciarla: se Karin non ce l’avesse avuta sarebbe morta già da tempo, e niente di tutto quello che avevano costruito, vissuto e ottenuto insieme, si sarebbe mai realizzato; se non fosse stata così forte, Sora non si sarebbe mai azzardato a dirle di scappare con la loro bambina, di espatriare e di andare a cercare uno stregone nascosto chissà dove da qualche parte nel Vecchio Mondo.

Sapeva che ce l’avrebbe fatta, che avrebbe dato tutta sé stessa pur di riuscirci, che sarebbe riuscita a sopravvivere e a trovare Magnus Bane. E già il fatto che volesse tentare di convincere quei cacciatori a riflettere era già prova di una forza e di una volontà immensi. Ma il suo coraggio non sarebbe stato sufficiente, anzi, sarebbe stato inutile se non addirittura sprecato nel credere all’illusione di un dialogo civile e diplomatico con i Nephilim.

« La tua parola non servirebbe a niente, penserebbero che io ti abbia traviato, che abbia sconvolto la tua mente. E poi, te l’ho detto: nemmeno una persona straordinaria come te, che è riuscita a cambiare uno come me, riuscirebbe a farli ragionare ».

« Amore mio… » mormorò Karin.

Sora le accarezzò il volto, perdendosi  nei suoi occhi 
verdi. Karin affondò il viso in quella carezza, e guardò a lungo il compagno: l’amava, l’amava come si può amare l’aria che si respira, o la luce dopo essere stati al buio a lungo, o il calore del fuoco dopo essere stati esposti troppo tempo al freddo e al gelo. L’amava con ogni fibra del suo essere, l’aveva amato ogni giorno, ogni ora, ogni minuto e ogni secondo di più per tutto il tempo che avevano trascorso insieme.

Era sua, gli sarebbe sempre appartenuta, non importava cosa sarebbe successo. Si allontanò da lui senza dire più niente e indossò la collana. Sora allora si chinò e si rivolse alla figlia, che era rimasta a guardare i genitori in silenzio, stringendo Ryuu.

« Yumi… » disse Sora.

La piccola strinse ancora di più le braccia intorno al lupo, più per trattenersi dal lanciarsi tra le braccia del padre e non lasciarlo più che per trarne coraggio. Il lupo alternò lo sguardo da lei al demone, frustrando la neve con la coda, e Sora guardò con dolcezza la propria bambina: l’aveva presa in braccio la prima volta che era un fagottino urlante, l’aveva vista gattonare e poi alzarsi e muovere i primi passi, camminare, correre. L’aveva vista rotolarsi tra l’erba, giocare con gli animali del bosco, aveva visto i suoi occhi illuminarsi di gioia, l’aveva presa in braccio quando lei gli correva incontro e gli saltava addosso; l’aveva vista portare a casa un cucciolo di lupo indifeso e allevarlo come se fosse stato suo figlio, l’aveva vista giocare, crescere, vivere e respirare insieme a lui. Concepire l’idea quei due separati era impossibile, era come immaginare di tenere separate le due metà di un corpo.

Avrebbe voluto poterle restare accanto ancora per molto, vederla diventare grande, affrontare il mondo, starle vicino quando Ryuu se ne fosse andato, vedere se avrebbe cambiato nome o avrebbe mantenuto il proprio, scoprire se avrebbe mai sviluppato dei poteri e aiutarla a padroneggiarli.

Gli si spezzava il cuore lasciarla andare così, avrebbe voluto che vivesse felicemente tutta la sua infanzia, non che dovesse soffrire già così presto. E per di più la stava mandando da quel Magnus Bane: sapeva bene cosa si diceva di lui, ma era l’unico di cui sapeva che sarebbe stato in grado di aiutarle.

Non gli importava cosa ne sarebbe stato di lui, non aveva paura di quello che gli sarebbe successo: aveva a cuore solo che una sorte simile non capitasse alle sue ragazze, il resto non aveva alcuna importanza, sarebbe stato pronto a tutto. Non era certo però che sarebbero mai state lasciate in pace, specialmente Yumi; considerato poi quanto Magnus Bane avesse a che fare con i demoni, prima o poi sarebbe sicuramente venuto a conoscenza di lui e della sua storia, se non lo era già.

In cuor suo, però, Sora si ritrovò egoisticamente a sperare anche che magari decidesse di prendere Yumi sotto la sua ala e insegnarle l’uso della magia. Era una speranza sciocca, ma era tutto quello che aveva, se non ce l’avesse avuta si sarebbe arreso e non avrebbe lasciato andar via le sue ragazze per niente al mondo. Si allungò e accarezzò i capelli alla figlia.

« Papà… » fece la piccola.

« Sii sempre coraggiosa, Yumi, e non arrenderti mai, me lo prometti? ».

La bambina tirò su con il naso e annuì energicamente. Sora sorrise e poi, sorprendendo Yumi, si rivolse a Ryuu:

« Prenditi cura di loro, Ryuu; so di poter fare affidamento su di te ».

Il lupo piegò la testa da una parte all’altra, poi però ululò brevemente  e sbatté con più vigore la coda. Sora guardò la figlia e lei gli fece un cenno affermativo: Ryuu aveva capito, e avrebbe mantenuto il suo impegno. Sora sorrise e fece un’altra cosa che non aveva mai fatto prima d’ora: accarezzò la testa di Ryuu, e lui manifestò il proprio apprezzamento chiudendo gli occhi e ansimando con la lingua a penzoloni. Sora allora mise una mano sulla spalla di Yumi e l’altra su quella di Ryuu, e molto seriamente disse:

« Abbiate sempre cura l’uno dell’altro… figli miei ».

Il cuore di Yumi perse un battito e lei guardò scioccata Ryuu, che la guardò a sua volta, ed entrambi poi guardarono Sora: aveva riconosciuto Ryuu come figlio proprio, gli aveva dato la sua benedizione, e con essa la vita di sua figlia; lui che era sempre stato reticente nei suoi confronti, lui che aveva sempre avuto paura che un giorno l’istinto da predatore di Ryuu sarebbe prevalso e avrebbe ucciso Yumi, ora gliela stava affidando, e per sempre. Per Yumi fu troppo: lasciò finalmente Ryuu e si buttò al collo del padre, che la strinse forte e la baciò sulla fronte. Dopo che si furono separati, senza più guardare Sora Yumi prese la mano della madre e corse via. Il demone si voltò, ma subito si sentì chiamare.

« SORA! ».

Si voltò giusto in tempo per vedersi piombare addosso Karin, che lo abbracciò come se ne andasse della sua vita. Sora allora affondò il viso nel suo collo e respirò a pieni polmoni il profumo della sua pelle e dei suoi capelli. Karin si strinse a lui, passò le mano tra i suoi fulvi capelli, sulla sua schiena, fino ad arrivare al suo viso, dove lo guardò seriamente.

« Karin, Aishit- » fece per dire Sora, ma lei gli chiuse le labbra con un dito.

« Non dirlo, Sora » disse, seria. « Non dirlo. Questo non è un addio, noi ci rivedremo ancora » aggiunse in tono che non ammetteva repliche, lo stesso con cui lo rimproverava quando entrava in casa con i piedi sporchi, o con cui ammoniva Yumi di fare più attenzione quando andava nel bosco  o quando le proibiva di giocare con Ryuu in giardino perché non voleva che devastassero l’orto. Prese il volto del marito e poggiò la fronte contro la sua, con un nulla a separare i loro occhi, che si specchiarono e si riversarono gli uni negli altri.

« Mi hai fatto una promessa, demone » sussurrò Karin. « Vedi di mantenerla a ogni costo ».

L’altro si lasciò scappare un sorriso.

« Non cederò alle minacce di un umana: se mi salverò, sarà perché lo voglio io » disse con sfrontatezza.

Karin rispose con un sorriso altrettanto insolente, spezzato però dalle labbra di Sora sulle sue, che le fecero perdere il senso della realtà e quasi la fecero svenire. Dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non perdersi completamente e per imporre a sé stessa di staccare le mani dai capelli di  Sora a cui si era aggrappata, di non abbandonarsi tra le sue braccia e impedirgli di andare via. Anche Sora lottò con sé stesso, e fu con uno sforzo immane che riuscì a interrompere quel bacio e a staccare Karin da sé.

« Te lo giuro » sussurrò sulle sue labbra.

Karin sorrise dolcemente. Yumi trattenne le lacrime e strinse ancora Ryuu, come faceva ogni volta che i suoi genitori si baciavano. Era più forte di lei, ma ogni volta che li vedeva così, invece di essere felice provava solo una sofferenza immensa: sapeva bene che questo non avrebbe implicato che il loro amore per lei sarebbe cambiato, ma ciononostante li vedeva così persi l’uno nello sguardo dell’altro, così pieni d’amore, così… lontani, da sentirsi esclusa, un’intrusa. Quando si guardavano era come se, di colpo, il mondo intero sparisse, e rimanessero solo loro, e nessun’altro, escludendo completamente il resto. Compresa la loro bambina, che si sentiva così sola che allora abbracciava forte Ryuu, per non sentirsi perduta e per avere un fermo che la tenesse ancorata a terra e che non la facesse andare alla deriva nelle acque della tristezza e della solitudine.

Non le dava fastidio che i suoi genitori si amassero così tanto, ma questo non le impediva di sentirsi triste ogni volta che manifestavano il proprio amore reciproco. Non gliene aveva mai fatto parola ( non voleva rovinare la loro felicità), ma qualcosa loro dovevano averla intuita, perchè avevano preso a trattenersi in sua presenza. Ma quello non era per niente il momento di essere morali. Si separò da Ryuu, prese la mano della madre, e tutti e tre corsero veloci verso gli alberi, non guardandosi più indietro né fermandosi più. Neanche il demone si voltò a guardarli, e rimase ad ascoltare finché non fu più in grado di sentire i loro passi nella neve.

Quando questi divennero solo un flebile rumore perso in lontananza, mosse un piede in avanti, poi un altro, poi un altro ancora, finché non si ritrovò a correre. Corse come se avesse avuto Sammael in persona alle calcagna, e mentre correva il suo corpo venne avvolto dalle fiamme, sentì la pelle sciogliersi e le ossa schioccare, rompersi, riformattarsi  e allungarsi, la schiena ingobbirsi e gli arti allungarsi, ma ciononostante continuò a correre, dimentico del dolore e noncurante dei rami che gli sferzavano il volto durante la corsa. Il suo passo diventò sempre più felpato, e la sua posizione sempre più curva, mentre l’umano che era stato per otto anni scivolava via da lui come un vestito usato e lasciava posto gradualmente a quattro zampe pelose munite di artigli, ad un corpo flessuoso alto tre metri con muscoli che guizzavano sotto un folto strato di fulva pelliccia, a due cespugliose code lunghe come e più del corpo di cui facevano parte, ad un affilato muso da gatto con grandi e sfavillanti occhi blu, brillanti come il fuoco che circondava la punta delle code e delle orecchie, ad una bocca piena di denti affilati e appuntiti.

Dopo anni passati a rifiutarla, dopo aver lottato con tutto sé stesso per reprimerla, Sora finalmente indossò la sua vera pelle , e si mostrò per quello che era veramente: un gigantesco demone gatto a due code. Si sentì forte, potente, e soprattutto libero come non si era mai sentito per anni. L’euforia di quel momento gli fece quasi dimenticare tutto, mancò davvero poco che tornasse con la mente a com’era prima che la sua vita cambiasse così drasticamente, quando era un demone come gli altri e andava dove voleva, quando voleva e come voleva, lasciando ovunque terrore e distruzione sul suo cammino.

Ma fu questione di un attimo: la sua mente fu presto interamente occupata da un viso gentile, un viso con due splendidi occhi color delle foglie d’estate che gli mozzò il fiato e frenò bruscamente la sua corsa. Scosse la testa per togliersi dalla mente quell’immagine, ma fu inutile, e con essa ritornarono ben presto tutti i ricordi, insieme alla missione che avrebbe dovuto portare a termine, alla promessa che avrebbe dovuto mantenere, e al motivo per cui stava andando così risolutamente incontro alla morte.

Respirò affannosamente, ma ormai si era già ripreso. Sorrise: non aveva paura di morire, non se farlo voleva dire salvare ciò che aveva di più caro al mondo. Chiuse gli occhi, e dietro le palpebre chiuse gli apparvero i volti della sua compagna e della sua bambina che gli sorridevano. Non era affatto tornato quello di un tempo, non lo sarebbe ridiventato mai più, e sentiva che il suo “Io” attuale era molto più forte di quello precedente, perché era dotato di una nuova energia derivata dall’amore della sua compagna e di sua figlia, le sue ragioni di vita e ciò che doveva proteggere a qualunque costo.

Per un attimo gli scappò una smorfia: se fosse stato ancora quello di un tempo, avrebbe disprezzato gli esseri umani e quel sentimento patetico e inutile conosciuto come “amore”: era in virtù sua che gli umani vivevano e a causa del quale al tempo stesso si generavano i conflitti. Li aveva sempre disprezzati per questo, ma ora che anche lui era aveva provato sulla propria pelle quanto quel sentimento potesse essere potente, sapeva che non si sarebbe mai arreso e che sarebbe stata proprio grazie a quella potenza se avrebbe vinto. Riprese la corsa verso i suoi nemici, mentre i suoi pensieri andarono verso Karin.
Aspettami, amore mio: tornerò da voi… a qualunque costo fu il suo ultimo pensiero razionale prima di ringhiare al cielo e sfrecciare tra i boschi incontro al proprio destino.


 
Karin e Yumi corsero come due furie, graffiandosi coi rami che gli strapparono anche i vestiti, ma senza fermarsi. La piccola si guardò continuamente a destra e sinistra, sia per accertarsi che non le stessero inseguendo sia nella speranza di poter vedere il padre sbucare all’improvviso, sano e salvo. Ryuu le affiancava, ma entrambi guardavano preoccupati Karin: loro facevano gare di velocità da sempre, erano abituati a correre, ma lei no, e questo li stava rallentando non poco, anche se era evidente che Karin ci stava mettendo tutta sé stessa per tenere il passo degli altri due.

Tuttavia, nessuno disse niente, e anche se le sembrava di sentire i muscoli delle gambe contrarsi e aveva i piedi sanguinolenti, Karin non emise un solo lamento, e non rallentò mai l’andatura, cosa per cui Yumi l’ammirò non poco, e che servì una volta di più ( non che ne avesse davvero bisogno) a capire come mai suo padre si fosse innamorato di lei.  La sua forza era tale che, al suo confronto, persino un orso sarebbe impallidito, e lei sapeva bene quanto feroci e possenti fossero quegli animali.

Cominciò a imbrunire, e ben presto non furono in grado di vedere il sentiero, così le due furono costrette ad affidarsi a Ryuu, che le guidò a passo sicuro nel buio della boscaglia. Ad un certo punto, però, le gambe di Karin cedettero all’improvviso, e lei cadde a terra, trascinando con sé Yumi. Ryuu frenò bruscamente e corse in loro soccorso.

« Mamma, stai bene!? » chiese ansiosa la piccola, trascinandosi al fianco della madre.

« Sì…» mormorò lei con il fiato rotto, il viso in fiamme, e una mano poggiata sul petto, che si alzava e si abbassava velocemente, mentre lei ansimava per lo sforzo e cercava di riprendere fiato, ma scoprendosi del tutto incapace di muovere un singolo muscolo. Solo allora Yumi notò lo stato in cui erano ridotte le sue gambe e i suoi piedi, così sporchi di terra e sangue che non si capiva dove terminasse il sangue e iniziasse la carne.

Senza una parola, la fece girare di schiena e si prese i suoi piedi sulle ginocchia, massaggiandoglieli sporcandosi a sua volta le mani di sangue e terra. Ryuu guardò cosa stava cercando di fare l’amica e si fece avanti, cominciando a leccare le gambe e i piedi di Karin . La donna ebbe un brivido quando la lingua calda e bagnata del lupo le toccò la pelle, ma ben presto smise di farci caso, godendosi di quel piacevole seppur umido tepore che l’animale le stava regalando.

« La lingua di Ryuu è meglio di qualsiasi altro medicinale » disse Yumi, avendo avvertito la madre irrigidirsi.

Lei sorrise a fatica.

« Mi dispiace darvi così tanti problemi… » mormorò ansimando.

Yumi scosse la testa con veemenza.

« Non dire sciocchezze, mamma » disse, senza alzare lo sguardo. « Dobbiamo prenderci cura l’uno dell’altro, come abbiamo sempre fatto. Così, quando papà tornerà, potremo stare di nuovo tutti insieme ».

Non l’aveva detto con quell’innocenza tipica della sua età, l’aveva detto come se fosse stata una certezza assoluta, invece di una speranza o di un desiderio difficile ad avverarsi. Lei non aveva dubbi: suo padre sarebbe tornato, e su questo non nutriva la minima incertezza.

« Sì » rispose Karin, mandando un lungo sospiro. « Dobbiamo farcela, dobbiamo resistere ».

Yumi alzò gli occhi e annuì, e quando Ryuu ebbe pulito alla perfezione le gambe di Karin, si strappò quel che rimaneva delle maniche del suo juban e le usò per fasciarle i piedi.

« Tesoro no, così tu… » tentò di protestare Karin, ma Yumi fu irremovibile.

« Io ci sono abituata, lo sai » disse semplicemente Yumi, senza guardarla.

« Certo che lo so » sospirò Karin. « Ma è facile dimenticarmene ».

A quelle parole, la bambina alzò la testa.

« Preferiresti che non fossi così? ».

« Come? »

« Preferiresti che fossi una bambina come tutte le altre? » chiese Yumi candidamente, per pura curiosità, senza alcun astio nella voce.

Karin rimase un attimo in silenzio prima di rispondere.

« Mia piccola Tara-chan », disse dolcemente « tu sei speciale così come sei, e non ti cambierei con nessun’altro al mondo » e le accarezzò la testa.

Yumi arrossì e sorrise, poi strinse con fermezza le bende sui piedi della madre, annodandogliele con cura.

« Ecco fatto » disse soddisfatta, strofinandosi le mani.

Ryuu si fece avanti e gliele pulì dal sangue secco, ricevendo in cambio un bacio in mezzo agli occhi. Karin li guardò intenerita, ma malgrado le premure di Yumi, quando provò ad alzarsi le gambe non la ressero di nuovo.

« Mamma! » esclamò la piccola, correndo a sorreggerla.

« Scusami, tesoro… » mormorò la donna, ansimando.

Yumi scosse la testa e la fece sedere.

« Forse è meglio se ci fermiamo un attimo » decretò la bambina.

« Sì… ».

Si sedettero entrambe, e Ryuu si sdraiò accanto a Yumi, posandole la testa sulle gambe. Lei gli sorrise e iniziò ad accarezzarlo, guardandosi però intorno preoccupata: non si era mai addentrata in quella parte del bosco prima di allora, non sapeva dove andare. Certo, il suo senso dell’orientamento non l’aveva mai tradita, ma quella non era una delle tante esplorazioni giocose e spensierate che aveva fatto più volte insieme a Ryuu: quella era una situazione d’emergenza, e stavolta non erano responsabili solo delle proprie vite, ma anche di quella di Karin.

Non che la donna fosse esattamente qualcuno bisognoso di protezione, anzi, forse sapeva muoversi in quei boschi anche meglio di Yumi, ma era la prima volta che la bambina e il lupo si ritrovavano con qualcun’ altro che non fossero loro due. Se fossero stati da soli non ci sarebbero stati problemi, ma visto che erano con Karin allora avrebbero dovuto fare uno sforzo e adeguarsi.

« Dovremmo tornare indietro » disse Karin.

Yumi smise di accarezzare Ryuu e si voltò verso la madre, mentre il lupo drizzò le orecchie.

« Ma papà ha detto… » provò a dire la piccola, ma Karin la interruppe.

« Non intendevo dire ritornare da lui » e il suo voltò per un attimo si oscurò, manifestando il dolore che le procurava dire quelle parole. « Intendevo: dovremmo provare a tornare indietro, penso di aver riconosciuto un tratto di strada che però abbiamo superato: se riuscissimo a trovarlo e a percorrerlo, forse riusciremo a trovare... la grotta ».

« Oh » fece la piccola. « Intendi la grotta in cui hai trovato papà? ».

« Sì » disse Karin, sorridendo al ricordo, e anche Yumi sorrise: aveva sempre voluto visitare il luogo in cui Sora e Karina si erano conosciuti, anche se avrebbe preferito farlo in altre circostanze e soprattutto in compagnia di entrambi i genitori.

« Lo so che è buio, ma se facciamo attenzione dovremmo essere in grado di raggiungerlo e restarci almeno finché- » le sue parole vennero interrotte da Ryuu,  che balzò in piedi e iniziò a ringhiare, acquattandosi verso gli alberi.

Yumi lo affiancò e guardò anche lei in quella direzione, imitata da Karin, che si avvicinò ai due e appoggiò le mani sulle loro schiene. Yumi mise una mano sulla testa di Ryuu, che smise di ringhiare ma rimase comunque chinato, e seguendo la direzione del suo sguardo la bambina riuscì a capire perché fosse così irrequieto.

« Lo so che sei lì, vieni fuori! » urlò, rivolta verso un punto tra due alberi.

Si udì una risatina sommessa, e dalle tenebre spuntò fuori una figura di uomo.


*Angolo autrice:

Mi dispiace, questo capitolo avrebbe dovuto essere uno solo, e invece mi  venuto fuori così lungo che ho dovuto divderlo in due parti, ma non preoccupatevi, sto già lavorando alla seconda. Grazie a chiunqe sia arrvato fin qui, intanto :-).
   
 
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