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Autore: cristal_93    06/10/2016    2 recensioni
[Alcuni di questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di di Cassandra Clare. La storia è ambientata tra il terzo e il quarto libro di The Mortal Instruments. *Spoiler * da Cronache di Magnus Bane e Le Origini. La protagonista e, più avanti, anche altri personaggi, appartengono a me in qualità di Original Characters; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro]
A Brooklyn, dimora di una delle più grandi concentrazioni di Nascosti del mondo, presto farà la sua comparsa una ragazza proveniente dal lontano Oriente. Il suo nome è Yumi, ed è una strega, figlia di un demone e di un umana, ma è diversa da tutti i suoi simili, e nasconde un grande segreto. Ha viaggiato in lungo e in largo per molto tempo prima di raggiungere la Grande Mela, dove vive l'unica persona in grado di aiutarla. Ma la meta, pur essendo così vicina, in realtà è ancora molto lontana. E Yumi si ritroverà a combattere una dura battaglia, sia contro sè stessa, in cui dovrà scegliere se rivelare il proprio segreto o andare contro i propri principi morali e contro il proprio passato.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Catarina Loss, Magnus Bane, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Un brivido percorse la schiena di Sora, che si strinse le braccia intorno al corpo prima di capire che non era dovuto al freddo ma solo all’emozione di quel ricordo. Dopo aver chiarito la natura dei sentimenti che provavano l’uno verso l’altra, ci era voluto un po' di tempo prima che le cose tra lui e Karin diventassero stabili, soprattutto perché Sora aveva avuto serie difficoltà ad adattarsi a quella condizione del tutto nuova, per lui: quando mai si era sentito di un demone innamorato di un essere umano?

E poi… ritrovarsi improvvisamente ad avere qualcuno che si prendesse cura di lui, che non lo temesse o che non lo guardasse con odio o con disprezzo, era troppo strano, e difficile soprattutto, da accettare tutto in una volta. E questo influenzò negativamente il periodo che seguì, che fu costellato da continui sbalzi di umore da parte di Sora con lui che arrivò molto frequentemente a trovarsi a pensare alle novità della sua vita non più con felicità ma con rabbia smisurata, e talvolta odio. Dopo la serenità che lo aveva pervaso la prima volta che aveva baciato Karin, aveva pensato che cose sarebbero proseguite per il meglio e sarebbero diventate più facili, e invece così non era stato per niente.
Molte volte divenne cupo e irrequieto, talvolta arrivò a prendersela con Karin e a far sfociare le loro discussioni in litigi di prima regola, che terminavano spesso con lui che si allontanava da solo nel bosco e lì rimaneva finché Karin non veniva a cercarlo. Non importa dove Sora avesse deciso di nascondersi: lei era riuscita sempre a trovarlo.

E ogni volta Sora si era sentito sopraffare dalla commozione e dalla paura: perché Karin insisteva tanto, perché continuava a cercarlo anche se la faceva soffrire? E allora gli tornavano in mente le sue parole, e capiva che lo faceva proprio perché ci teneva a lui, che anche se sbagliava, la faceva soffrire o non era gentile e paziente , lei continuava a cercarlo perché lo amava, e sarebbe arrivata a cercarlo ovunque per sempre finché non l’avesse ritrovato.

Andò avanti così per molto tempo finché una volta, l’ennesima, durante un giorno di pioggia, Karin lo aveva ritrovato nascosto dentro un imponente albero cavo; era ancora lontana però che lui le era corso incontro e l’aveva abbracciata, travolgendola. Essere a terra però non li aveva fermati, e la ragazza lo aveva abbracciato forte e si era messa a piangere dalla gioia di averlo ritrovato sano e salvo.

Sora allora le aveva preso il volto tra le mani, e sotto l’acqua l’aveva baciata. Lei aveva ricambiato sorpresa, ma la sua sorpresa era aumentata ancora di più quando, tirandosi su, Sora era caduto in ginocchio ai suoi piedi, le aveva circondato il grembo con le braccia, e affondandovi la testa lo aveva supplicato di perdonarlo. Karin aveva provato una tenerezza e un amore indescrivibile nei suoi confronti, si era chinata al suo livello e lo aveva abbracciato forte, dicendogli che non c’era niente da perdonare e che lei gli avrebbe sempre teso la mano e l’avrebbe aiutato a ritrovare la strada perduta.

Sora allora si era rivolto al cielo, chiedendo a quel Dio che aveva voltato le spalle ai figli dei suoi Angeli caduti dal Paradiso cosa mai avesse fatto, lui, un essere dannato, per meritare una simile benedizione. Dopo molte controversie, alla fine erano andati a vivere a casa di lei, una villetta di legno ad un solo piano nascosta nel bel mezzo del bosco. Era costruita su un'intelaiatura di pali e travi di legno su cui erano inserite pareti esterne, costituite da pannelli scorrevoli in legno e carta di riso, circondata da un giardino e delimitata da un muro di rocce accatastate le une sulle altre. Nel giardino c’era anche un orto, in cui Sora aveva riconosciuto molte delle verdure che lei era stata solita portargli da mangiare i primi tempi, quando ancora non aveva idea con chi avesse a che fare; oltre alle piante commestibili aveva sentito anche il profumo di molte erbe medicinali, oltre anche a qualche albero da frutto, tra cui un melo e un ciliegio. Aveva riconosciuto subito la pianta di aloe con cui lei gli aveva curato le ferite, e d’impulso le aveva stretto la mano. Lei aveva seguito la direzione del suo sguardo e aveva sorriso, poi aveva ricambiato la stretta, e guidandolo davanti all’ingresso della casa gli aveva detto:

« Okaerinasai [
bentornato], Sora » .

Sora aveva aperto la bocca e sbattuto le palpebre, poi però aveva stretto forte la mano di lei e sorridendo aveva detto:

« Tadaima [sono a casa] ».

Da allora le cose erano filate per il verso giusto. Una volta Sora aveva chiesto a Karin cosa ci facesse lassù da sola, in mezzo al bosco, dove poteva essere ritrovarsi in pericolo in qualunque momento, e perchè non vivesse invece in città insieme alla gente, dove sarebbe stata al sicuro. Lei aveva cercato di sviare la domanda ricordandogli che nemmeno lui viveva insieme ai suoi simili, al che Sora aveva ribadito dicendo che i demoni non erano soliti vivere in comunità, non funzionava così le cose nel loro mondo.

Karin allora si era arresa e gli aveva spiegato che vivere su quelle montagne la rendeva molto più felice che stare in mezzo alle altre persone: preferiva essere circondata dal fragore dei tuoni nelle stagioni di pioggia, dagli ululati dei lupi di notte, dal canto degli uccellini al mattino e dallo stormire del vento tra le fronde degli alberi che non dai rumori di una città caotica, piena di gente urlante, di odori e sempre in fermento.

Ripensando all’orso che l’aveva quasi uccisa, Sora le aveva chiesto se non avesse paura delle belve, e lei gli aveva risposto che le facevano molto meno paura degli esseri umani e che era più al sicuro lì di quanto non lo sarebbe stata in casa di un uomo; gli animali seguivano la loro natura, prendevano quel che dovevano, non desideravano mai di più. Non erano egoisti e non sognavano di spodestare nessuno per allargare il proprio territorio, non uccidevano per piacere e non stavano a rovinare la vita degli altri per ottenerlo come invece facevano gli uomini.

Comunque non c’erano solo grandi predatori in quel bosco, ma anche creature di piccola taglia, e loro erano innocui, maggiormente. In ogni caso non le interessava vivere in città: lei preferiva di gran lunga guadagnarsi da vivere lavorando duramente, invece che dipendere da altri o vivere una vita in cui per lei c’era posto solo in un destino che la vedeva maritata ad un buon signorotto di città, moglie devota e impeccabile e madre dei bambini che avrebbero concepito insieme. Una vita da sogno, per le altre donne… ma non per lei. Lei voleva scegliere da sola la propria strada, voleva essere libera; libera come il vento.

Il demone si era un po' sorpreso delle idee che aveva dei propri simili, ma in fondo non poteva biasimarla, anche lui ora era un emarginato della sua gente, anche lui ormai guardava le attitudini comuni dei mostri come lui con uno strano senso di inquietudine e disagio, come se, accettando l’amore di Karin, avesse conseguentemente rinunciato al demone che era in lui, e in un certo senso era proprio così. Non sarebbe mai diventato un umano e non voleva neanche farlo, però poteva sempre sforzarsi di reprimere almeno le abitudini che non necessitavano di grandi sforzi per essere dimenticate.

Anche anche se la sua condizione era leggermente diversa da quella di Sora, lui e
Karin erano simili: erano soli contro il mondo, la loro vita era una continua lotta. Sora però era pur sempre un demone, mentre Karin era una semplice umana. Il demone non poteva fare a meno di ammirarla per il suo coraggio, quella ragazza riusciva sempre a sorprenderlo: fragile come cristallo fuori, forte come l’acciaio dentro, sicura di sé, di chi voleva essere e di cosa voleva fare della propria vita. Non conosceva molto bene gli umani, ma era sicuro che non fossero qualità comuni a molti.

Un po' lo intimoriva: in fondo era stato proprio quel fattore a trasformarlo e a renderlo diverso da come era sempre stato, ma era anche il motivo per cui Karin non era scappata da lui la prima volta che si erano incontrati, e di questo non poteva che essere grato. Si era trattenuto dal chiederle di più, avendo intuito quali fossero i motivi che l’avevano portata a prendere una simile decisione; la ragazza, invece, non aveva smesso di fargli domande sul Mondo Invisibile, e Sora aveva soddisfatto sempre la sua curiosità, ripagato dal sorriso luminoso di Karin, felice che il demone si fidasse di lei così tanto da svelarle ogni segreto del proprio mondo.

Qualche volta, però, la giovane era arrivata a sentirsi come una formica davanti ad un granello di sabbia, tanto la vastità di quanto Sora le raccontava l’aveva sentire piccola e insignificante, invertendo i loro ruoli e iniziando a pensare di essere lei quella che non era degna di lui, che avrebbe sicuramente potuto trovare di meglio al suo fianco di un’umana debole ed effimera che sarebbe sfiorita come un fiore in inverno e sarebbe morta. Quando gli aveva manifestato questo pensiero, Sora si era arrabbiato come non l’aveva mai visto fare, e le aveva detto, no, le aveva ordinato di non azzardarsi mai più a pensare a sé stessa in quei termini, perché non era affatto così: lei era tutto per lui, tutto, e non avrebbe mai più dovuto osare di pensare il contrario, mai. Lei allora si era commossa e lo aveva abbracciato, e lui aveva ricambiato, dandole della stupida: come poteva pensare di non valere niente?

Karin gli aveva dato un’anima, un cuore, una ragione di vita, un nome, un’identità: come avrebbe potuto Sora desiderare di meglio quando aveva ottenuto più di quanto avrebbe mai potuto desiderare? Il suo nome, poi… era stato scelto per puro caso, ma con il tempo aveva assunto un significato maggiore: un innalzamento dalle viscere della terra sotto cui i suoi simili erano stati relegati, lontano dalla luce del sole che li avrebbe uccisi se li avesse baciati con i suoi raggi, e lontani dalla Gloria del Paradiso, costretti a strisciare e a mangiare polvere come il serpente che irretì Eva facendole mangiare il Frutto Proibito. E un passo più vicino alla splendida mortale che tanto amava. Lei gli aveva donato una vita vera, le sarebbe appartenuto per l’eternità, anche quando di lei sarebbero rimaste solo ceneri sparse nel vento o quando sarebbero suonate le trombe del Giorno del Giudizio.

Purtroppo però l’amore verso di lei non aveva cambiato completamente la natura del demone, e anche se si era sforzato di sopprimerne il più possibile e di non fare più ricorso ai propri poteri, certe cose non potevano essere semplicemente messe da parte. Come il non potersi esporre ai diretti raggi del sole, per questo motivo fu costretto a rinchiudersi in casa durante le giornate di sole. Non era un gran sacrificio, in fondo, perché poteva restare sotto la veranda a guardare Karin affaccendarsi dietro l’orto e il giardino, osservare il sole infrangersi sui suoi capelli scuri o sui suoi occhi verdi, che diventavano così ancor più luminosi e più simili alla lucentezza propria delle foglie brillanti di rugiada del primo mattino.

Qualche volta lei lo prese in giro dicendo che era una vera fortuna non essere costretta a sgobbare il doppio per sfamare una bocca in più, un uomo come lui avrebbe fatto la gioia di molte donne. Sora però aveva potuto rispondere solamente con un sorriso appena accennato: sapeva che l’aveva detto per ridere, ma non era esattamente qualcosa su cui scherzare. Karin si era accorta del suo turbamento e da allora aveva limitato le battute, decidendo che non fosse il caso di correre troppo ed esagerare: Sora era ancora nuovo a quelle cose, era meglio dargli tempo per abituarsi.

Dopo qualche tempo, Karin gli aveva annunciato di aspettare un bambino, cosa che aveva portato una gran paura nel cuore del demone, non tanto per sé quanto per la compagna: oltre al fatto che le madri soffrivano molto durante la gravidanza, non sempre i figli di demoni riuscivano a vedere la luce del sole, e non voleva che Karin patisse anche quel dolore. E poi, il bambino… Sora si era ritrovato a sperare che nascesse un Ifrit: sarebbe stato più vulnerabile agli attacchi, ma almeno avrebbe avuto più possibilità di costruirsi una vita normale, lontana dal Mondo Invisibile e da tutto quello che lo riguardava, se avesse voluto. Non gli avrebbe nascosto da chi discendeva, questo no: appena fosse diventato grande abbastanza gliel’avrebbe spiegato, e poi l’avrebbe lasciato libero di decidere il proprio destino.

Avevano passato nove mesi in agonia, ma la loro attesa era stata premiata dall’arrivo di una splendida bambina, perfettamente in salute e gioiosa, identica alla madre in tutto e per tutto tranne che per gli occhi, blu come quelli del padre ma con la pupilla circolare invece che verticale, le orecchie a punta e la pancia priva, come per tutti i mezzodemoni, dell’ombelico, il marchio che testimoniava la sua sterilità. La gioia dei due era stata grande, ed entrambi si erano sentiti così pieni d’amore da commuoversi, soprattutto Sora. L’avevano chiamata Yumi, “la ragazza che porta bellezza”, in virtù dell’immenso amore che aveva generato nei loro cuori e anche di ciò che lei rappresentava, il frutto dei sentimenti di un demone verso un’umana. Sora si era reso conto che in avvenire questo avrebbe rappresentato un bel problema per lei, ma preferiva mettere il futuro in secondo piano, per poi pensarci quando sarebbe stato il momento.

I primi tempi erano stati un po' difficili per il demone: non aveva mai visto un bambino in vita sua, e tantomeno sapeva come bisognasse prendersene cura, per questo inizialmente rifiutò di prendere la bambina in braccio. Karin aveva cercato di tranquillizzarlo dicendo che era normale avere paura, che anche lei era molto spaventata ma che era certa che le cose sarebbero sicuramente andate meglio con il passare del tempo. Nessun genitore diventava immediatamente tale quando concepiva un figlio, e anche loro avrebbero dovuto imparare poco alla volta.

Sora non si era lasciato convincere, e aveva continuato a tenere le distanze da Yumi, finché, durante una notte in cui i pensieri non gli avevano dato tregua, e lui non aveva fatto che girarsi e rigirarsi sotto le coperte senza riuscire a prendere sonno, Yumi non si era messa a piangere. Temendo che potesse svegliare Karin, Sora si era alzato, e senza nemmeno pensare aveva preso in braccio la bambina.

Lei aveva smesso subito di piangere, aveva sbattuto gli occhioni blu e sorridendo aveva allungato le braccia verso il padre. Confuso, lui le aveva porto la propria mano, e lei gli aveva catturato un dito, intrappolandolo nella sua manina e agitandolo ridendo divertita. Sora si era sentito sopraffare dalle emozioni e aveva stretto a sé quel corpicino fragile, che si era aggrappato ai suoi capelli e gli aveva anche tirato un orecchio, ma lui non ci aveva fatto caso.

Karin, che si era svegliata e li aveva raggiunti silenziosamente, era rimasta sulla soglia a guardarli intenerita, non osando rivelare la propria presenza e rompere quell’attimo di intimità tra il compagno e la figlia: era un momento che apparteneva solo a loro, lei non doveva intromettersi. Sora però aveva alzato lo sguardo, le aveva sorriso e le aveva porto la mano. Lei l’aveva presa incerta, lui l’aveva portata di nuovo nel letto e l’aveva abbracciata, tenendo tra loro Yumi, che si era addormentata placidamente e non si era più svegliata. Anche Karin l’aveva seguita poco dopo, non prima di aver dedicato a Sora un sorriso dolcissimo. Guardando le sue ragazze dormirgli tra le braccia, il demone aveva giurato a sé stesso che non avrebbe mai permesso che gli succedesse niente di male, e che le avrebbe protette a costo della sua stessa vita.

Circondata dall’amore dei propri genitori, Yumi crebbe diventando una bambina allegra, amabile e piena di voglia di vivere, sempre con uno splendido sorriso sulle labbra, lo stesso della madre. Di lei manifestò ben presto anche il carattere testardo e irremovibile, se si metteva in testa qualcosa non c’era verso di persuaderla a fare il contrario. Del padre, invece, sembrava aver preso solo il colore degli occhi e la forma delle orecchie, nient’altro. Non diede mai prova di possedere dei poteri, cosa di cui lui fu estremamente sollevato, anche se sapeva che sviluppare la magia non era implicito e sopratutto non era sempre immediato,  potevano manifestarisi fin dalla nascita come anche secoli più avanti .

Yumi dimostrò anche di essere molto sveglia e curiosa: aveva solo quattro anni quando andò dal padre e gli chiese perché la mamma non avesse le orecchie a punta come le loro, o perché lui non avesse occhi con la pupilla rotonda. Prima che Sora potesse rispondere, però, lei gli aveva chiesto se erano loro due a essere diversi, e non la madre.

Sora aveva sospirato, e prendendola sulle ginocchia le aveva spiegato per bene ogni cosa: dei demoni, della loro dimensione, di come arrivavano in quel mondo dal loro, di come di natura non fossero in grado di provare sentimenti ma se ne nutrivano, di come anche lui all’inizio era stato come loro e di come l’amore di Karin avesse causato quel cambiamento irreversibile nella sua esistenza. Le aveva spiegato anche cos’era lei: una strega, come venivano chiamati i mezzodemoni di madre umana, e le aveva raccontato che i suoi simili avevano dei poteri magici e che venivano concepiti come dispetto da parte dei demoni e mai per amore, come invece era stata generata lei.

Le aveva spiegato anche che loro due erano immortali, mentre la madre, che era una semplice umana, un giorno sarebbe morta; le aveva rivelato poi che per il momento poteva portare il nome con cui l’avevano battezzata, ma con il passare dei secoli, se avesse voluto, avrebbe potuto cambiarlo e assumerne uno che avrebbe rispecchiato la sua personalità e che sentisse più consono a lei.

Yumi aveva ascoltato in silenzio e non aveva detto niente fino a che il padre non aveva smesso di parlare, e solo allora gli aveva chiesto se non c’era un modo per rendere la mamma immortale come loro e riuscire così a stare tutti insieme. Sora le aveva detto che no, non esisteva, a meno di trasformare Karin in una creatura del Mondo Invisibile. Yumi allora aveva chinato la testa. Il padre aveva sospettato che sarebbe scoppiata a piangere, invece lei l’aveva guardato e aveva sospirato dicendo che trasformare la madre l’avrebbe resa diversa da ciò che era e che non sarebbe più stata lei se fosse successo. E poi non potevano obbligarla, non sarebbe stato giusto nei suoi confronti.

Dopo aveva chiesto a Sora di mostrargli i suoi poteri: se un giorno per caso ne avesse sviluppati anche lei, essendo sua figlia voleva almeno vedere a cosa sarebbe potuta andare incontro. Il demone aveva scosso la testa, spiegandole della promessa fatta a sé stesso: avrebbe usato di nuovo i poteri solo in caso di estrema necessità; per proteggere la sua famiglia, era meglio non correre rischi inutili. Oltretutto, era l’unico modo che aveva per sperare di sopprimere il più possibile il proprio essere demoniaco.

Qui la piccola l’aveva guardato perplessa e gli aveva chiesto se non era un’intenzione un po' azzardata, seppur animata da buonissime motivazioni, scappare in quel modo dalla propria natura. Sora era rimasto molto basito dall’osservazione della figlia, poi però le aveva spiegato che non stava cercando di scappare, cercava solo di essere una persona migliore per il bene di Karin.

« Ma la mamma ti vuole bene proprio perché sei così » aveva detto Yumi. « Dici di farlo per il suo bene, ma non le stai facendo invece un torto? ».

Il demone non aveva saputo ribattere oltre, e aveva allargato le braccia mortificato. In seguito però aveva ripensato spesso alle parole della figlia, ma non aveva mai avuto il coraggio di affrontare apertamente il discorso con Karin. La bambina allora aveva guardato il padre dritto negli occhi e gli aveva detto, molto seriamente, che era ancora troppo presto per prendere decisioni così importanti e che prima avrebbe preferito diventare grande, capire chi fosse e cosa volesse, costruire la propria identità e conoscere entrambi i mondi a cui apparteneva; solo allora avrebbe deciso cosa fare.

E poi aveva sorriso e gli aveva chiesto di aiutarla a crescere. Sora l’aveva stretta tra le braccia promettendole che avrebbe fatto di tutto per aiutarla, che avrebbe sempre potuto contare su di lui. Lei, di contro, gli aveva promesso che, quando sarebbe stata grande abbastanza e la mamma fosse scomparsa, sarebbe stata lei a prendersi cura di lui, e non l’avrebbe mai lasciato solo.
Il demone allora le aveva baciato la fronte e le aveva detto grazie. La piccola gli aveva chiesto per cosa l’avesse ringraziata, e lui le aveva risposto che la ringraziava di esistere, di essere la loro bambina e di essere così. Lei allora aveva sorriso e gli aveva dato un grosso bacio sulla guancia, e poi era corsa ad abbracciare la madre e a baciare anche lei.

Anche se non ci fosse stata Yumi a chiederlo, comunque, Sora sapeva per certo che non si sarebbe mai azzardato a chiedere a Karin un cambiamento così radicale. Avrebbe goduto di ogni singolo istante passato insieme a lei come se fosse l’ultimo, così che,  il giorno in cui lei si sarebbe spenta per sempre, Sora avrebbe avuto la certezza di aver vissuto intensamente la vita insieme a lei, e non avrebbe avuto alcun rimpianto.

Così erano passati gli anni, con Yumi che cresceva sempre più bella e felice, e anche molto curiosa: non passava giorno senza che chiedesse all’uno o all’altro genitore di raccontarle qualcosa dei loro mondi. Loro fecero di tutto per non invogliarla a far prevalere in lei nessuno dei due mondi, ma furono sempre più che disposti a saziare la sua curiosità, che sembrava infinita, come quella della madre.

Non sviluppò preferenze per uno o per l’altro, pendette letteralmente dalle labbra di entrambi, sia quando le si raccontava del Mondo Invisibile sia che le si parlava della società degli uomini, di tutti i vari ceti e regole di cui era composta. Era curiosa, sì, ma non ingenua o stupida: non prendeva per oro colato tutto quello che sentiva e diceva che, quando sarebbe stata più grande, sarebbe andata a vedere di persona come stavano le cose, le avrebbe imparate sulla propria pelle.

E già da piccolissima iniziò a esplorare da sola il bosco in cui vivevano, facendolo diventare ben presto la sua seconda casa. Ogni giorno era un’avventura, c’era così tanto da scoprire e imparare; arrivò ben presto anche a fare amicizia con gli animali che lo abitavano, dapprima quelli più piccoli e innocui, ma poi,  con sommo stupore dei genitori, anche coi grandi predatori senza essere per niente spaventata da loro e senza che questi minacciassero di saltarle alla gola se si avvicinava troppo.

Lei prese a voler bene a tutte le creature, dal piccolo uccellino al grande orso, li considerava parte della sua famiglia, una grande famiglia. A passare più tempo nei boschi che a casa propria, maturò ben presto uno spirito indipendente e ribelle, e più che restare a casa ad aiutare la madre con le pulizie o a coltivare l’orto, preferiva imparare tutto quello che c’era da sapere sulla vita nei boschi. Imparò ad arrampicarsi, a saltare da un albero all’altro, a muoversi senza produrre rumore, ad acquattarsi dietro ai cespugli senza essere vista, scovare le tracce, riconoscere le piante commestibili o medicinali da quelle velenose, oppure capire che tempo avrebbe fatto grazie all’odore portato dal vento, utile anche a percepire la presenza di animali nelle vicinanze.

Talvolta si alzava presto al mattino, e senza neanche fare colazione correva nel bosco, dove rientrava spesso al calar del sole. A volte vi restava anche di notte, a guardare le stelle o a dormire, sugli alberi o per terra insieme ai suoi amici dalla fulva pelliccia, che al mattino la riportavano a casa tenendola in groppa come una principessa sulla sua cavalcatura. Imparò anche ad affrontare i pericoli, anche se non aveva né zanne né artigli.

I suoi genitori smisero presto di fare storie: anche se Yumi tornava tutta sporca e inzaccherata dalle sue escursioni, era sempre così felice e piena di entusiasmo che era impossibile arrabbiarsi con lei, e passavano le ore successive ad ascoltare le sue avventure e le nuove scoperte della giornata. Sua madre arrivò a soprannominarla “Tara-chan”, tigrotta, e quando lo faceva Yumi si metteva a quattro zampe e le soffiava contro, agitando una mano come un gatto che graffia un albero, cosa che faceva scoppiare a ridere entrambi i genitori. Anche così, però, un bel bagno non glielo toglieva nessuno, minaccia che però non le faceva paura e non le impediva di ripetere da capo il copione il giorno dopo.

All’inizio Sora e Karin avevano ipotizzato che questo suo amore per la natura e per gli animali fosse dovuto, oltre che Yumi fosse per metà un demone, anche alla circostanza che vivevano isolati dalla civiltà e non c’erano bambini della sua età con cui giocare. Più di una volta si erano chiesti se era giusto che la loro bambina crescesse lontana dal mondo civile e dalla società e non fosse il caso, invece, di portarla in città a cercarsi degli amici tra i suoi coetanei.

Yumi era stata irremovibile: che senso aveva andare a conoscere dei bambini normali se tanto sapeva che non si sarebbe mai sentita come loro perché non era umana e perché aveva interessi e un modo di vedere il mondo che sicuramente loro non sognavano neppure e che avrebbero trovato strano tanto quanto il fatto che lei avesse le orecchie a punta? Tacitato il tentativo del padre di dissuaderla dalle sue idee parlandole di un incantesimo che avrebbe nascosto il suo vero aspetto: non voleva nascondersi, voleva essere libera, essere accettata per quello che era, non per quello che gli altri si aspettavano o volevano che fosse.

Non era perché non fosse consapevole dei rischi che poteva correre, era perché non si sentiva ancora pronta. Lei stessa doveva imparare a convivere con la sua natura mezzo demoniaca, anche se fino a quel momento non le aveva ancora dato nessun problema, e imparare ad accettarla, non a odiarla perché la rendeva diversa; vivere in mezzo alla gente nel suo stato attuale non le avrebbe di certo facilitato le cose. E comunque, non era per niente entusiasta all’idea di andare a vivere in un posto caotico, rumoroso e disordinato come la città, insieme a gente che pensava solo al progresso e non rispettava la natura, quand’era essa stessa a nutrirli con i suoi frutti. Oltretutto… chi decideva cos’era ”normale”?

Era una parola che assumeva significati diversi a seconda di chi la usava. Per la gente di città era normale andare a scuola, al lavoro, giocare per strada, vestirsi bene, guadagnare denaro, incontrare altre persone e stare a parlare anche per tutto il giorno. Ma già guardando Sora,“normale” assumeva già un significato completamente diverso, perché per lui era normale avere orecchie a punta e poteri magici, com’era normale per sua madre andare a zappare l’orto.

“Normale” era solo una parola, un’etichetta che imponeva di comportarsi in un certo modo o di fare certe cose. E i suoi genitori meglio di chiunque altro avrebbero potuto capirla: sua madre aveva lasciato la “normale” vita di città per ritirarsi in quei boschi e costruirsi da sola la propria vita, mentre suo padre aveva voltato le spalle ad una “normale” esistenza da demone per amore di sua madre. Yumi non voleva vivere sotto un’etichetta, trovava veramente stupido questa mania di dare un nome alle cose e ai comportamenti, serviva solo a complicare la vita degli altri, e lei voleva solo poter essere sè stessa.
E " sè stessa" per lei era
imparare tutto quello che c’era da sapere sulla natura, giocare con gli animali del bosco, fare a botte rotolandosi per terra, ridere ed essere felice insieme ai propri genitori.

I due si erano scambiati sguardi preoccupati, e allora Yumi aveva promesso che, per farli felici, avrebbe imparato anche le buone maniere e a essere obbediente come una bambina di città. Karin allora l’aveva abbracciata, e Sora aveva avvolto entrambe con le sue braccia, guardando orgoglioso la figlia: era una creatura a sangue misto, un incontro tra due mondi che viveva senza appartenere né all’uno né all’altro ma stando in mezzo, e ciononostante era felice lo stesso, perfettamente consapevole di sé e di chi voleva essere. Come si poteva non essere orgogliosi di lei?

Questo però non impedì a Sora di essere curioso e di provare a immaginare cosa o chi sarebbe diventata Yumi: una ragazza selvaggia protettrice degli animali ( perché Sora non dubitava per niente che sarebbe stata in grado di tenere testa ad un uomo adulto una volta cresciuta), o una contadina solitaria come la madre, coltivando un orto e vivendo in una casetta di legno.

Non che gli importasse poi davvero, l’unica cosa che non voleva per lei era che venisse in contatto con il Mondo delle Ombre, il resto non aveva importanza. Anche Karin era preoccupata per il futuro di sua figlia, e anche Yumi, pur non dicendolo ad alta voce, aveva paura del giorno in cui sarebbe andata via di casa per vedere il mondo. Le si stringeva il cuore al pensiero di lasciare i genitori, ma sapeva che era giusto così, anche gli uccellini prima o poi lasciavano il nido per volare lontano e vivere la propria vita. Per cui si limitava a tenere per sé questi pensieri e a sorridere alla madre e al padre, per non farli preoccupare e anche perché voleva che anche loro fossero felici.

Non ebbe fratellini, o quantomeno, non dai propri genitori… ma dal bosco sì. Aveva cinque anni quando un giorno trovò un cucciolo di lupo dal manto grigio di pochi giorni, con due tenerissimi occhioni azzurri, accanto al corpo della madre ormai in fin di vita con una profonda ferita all’addome. Aveva cercato di rassicurare la lupa dicendole che l’avrebbe salvata lei, ma l’animale l’aveva guardata intensamente e poi aveva chiuso gli occhi per sempre. La piccola aveva pianto a dirotto sul corpo della lupa, poi aveva scavato una buca all’ombra dell’albero dove l’aveva trovata e là l’aveva sepolta, tenendo in braccio il cucciolo che per tutto il tempo era rimasto a guaire tra le zampe della madre, prima che Yumi la sotterrasse.

Dopo aveva portato il piccolo a casa e spiegato la situazione ai genitori, dicendogli che ora era responsabile di quel cucciolino e che aveva bisogno di lei. Loro non avevano obiettato, avevano solo vietato alla bambina di renderlo un animale domestico. Yumi li aveva rassicurati dicendo che non lo avrebbe permesso: sarebbe cresciuto nel bosco e sarebbe diventato un lupo come tutti gli altri, non un cagnolino da tenere al guinzaglio.

Così era diventata una sorta di seconda mamma per il piccolo Ryuu, come l’aveva battezzato qualche tempo dopo averlo conosciuto, ispirandosi alla leggenda che aveva sentito dalla madre secondo cui la Tigre e il Dragone erano uniti da un legame indissolubile dall’alba dei tempi, e così sarebbe stato per loro: lei era la Tigre, quindi lui sarebbe dovuto essere il Dragone.

La sua permanenza nel bosco divenne praticamente fissa, almeno finché Ryuu non diventò grande abbastanza da potersela cavare da solo. Yumi lo crebbe aiutata anche dagli altri animali, così il lupo poté imparare a vivere nel bosco, cacciare e sapersi difendere come ogni altro suo simile, ma anche quando fu cresciuto non smise di essere fedele a Yumi e andare spesso a trovarla. Con il passare del tempo, i due divennero inseparabili: ogni giorno non era più la voglia di esplorare della bambina
o le carezze affettuose della madre a svegliarla , ma erano invece gli ululati impazienti del suo amico a quattro zampe. Appena lei usciva sulla veranda , lui le saltava addosso e le leccava la faccia, poi si lanciavano di corsa nel bosco, facendo a gara a chi era più veloce, e passavano le giornate esplorando, giocando, e facendo la lotta. Benché incapaci di comprendersi a parole, erano in perfetta sintonia, come se le loro menti e i loro cuori fossero collegati, e collaboravano insieme capendosi a vicenda semplicemente guardandosi o con il linguaggio del corpo.

Quello che era iniziato come un gioco divenne la realtà: il loro legame diventò indissolubile, e loro divennero una cosa sola, l’uno era la metà dell’anima dell’altro: Yumi era quella vivace, irrequieta, impetuosa e testarda, Ryuu quello calmo, tranquillo e razionale capace di metterle un freno anche quando l'impresa sembrava impossibile (cosa per cui Karin gli era molto grata): lui era quello che restava nascosto guardingo tra i cespugli se vedevano un altro predatore, lei quella che invece si avvicinava il più possibile per osservarlo da vicino, lui quello che stava sulla riva del fiume e aspettava paziente che le prede arrivassero a tiro, lei quella che si buttava direttamente in acqua per catturare i pesci schizzando Ryuu, lui quello che si teneva a distanza dagli alveari pieni di api ronzanti e strattonava Yumi per tenerci lontana anche lei, che invece sfidava la sorte e cercava di prendere il miele, ed entrambi erano quelli che poi scappavano a gambe levate per fuggire dai guai in cui Yumi li cacciava.

Divenne impossibile vederli separati, sembrava che vivessero e respirassero insieme, come se fossero parte di un unico essere diviso però in due corpi diversi. Nonostante le prime insicurezze, anche Karin arrivò ad affezionarsi a Ryuu e a considerarlo come un secondo figlio, mentre invece Sora smise ancora prima di provarci: malgrado le richieste della figlia, in lui era ancora presente il ricordo dell’orso che aveva cercato di uccidere Karin, e questo aveva generato nel suo cuore un profondo astio verso tutti i predatori ( alquanto ironico, considerato quanto lui stesso fosse un essere pericoloso, anche più di loro). Per far contenta Yumi, però, si impose di non rovinare la felicità dei suoi momenti insieme a Ryuu ( e visto che era praticamente impossibile separarli, ciò accadeva sempre ).

Reticenza del padre a parte, Yumi e Ryuu crebbero insieme come fratelli, ed era davvero così che apparivano, anche se uno era peloso e camminava a quattro zampe e l’altra aveva la pelle liscia e camminava in posizione eretta. Grazie alla sua amicizia con Ryuu, Yumi imparò una grande lezione, ovvero che non erano i legami di sangue a fare la famiglia, ma piuttosto quelli derivati dall’amore , dall’affetto e dalla fiducia reciproci. Non riusciva a concepire l'idea separarsi da Ryuu, pensare ad un mondo in cui lui non esisteva era come cercare di immaginare un cielo senza sole o una notte priva di stelle. Sapeva che un giorno sarebbe comunque successo, per questo si assicurava di vivere ogni istante con lui come se fosse l'ultimo e di non dare mai per scontata la sua presenza.

Erano stati anni felici, per tutti e quattro. Alle volte Sora si chiedeva se non fosse tutto frutto della sua immaginazione, se non stesse sognando. La sua felicità lo portò però a concepire anche molti pensieri foschi: sapeva che, se i suoi simili lo avessero scoperto, o peggio, se la sua storia fosse arrivata alle orecchie della potente Lilith in persona, la sua esistenza sarebbe stata completamente cancellata, prima in quel mondo e poi definitivamente nella dimensione dal quale proveniva.

Pensò però anche ad un’altra cosa: era impossibile a realizzarsi, ma se tutti i demoni avessero seguito il suo esempio e avessero cercato di convivere e relazionarsi con gli umani, forse le cose sarebbero potute andare meglio per molte persone. O quantomeno, magari potevano migliorare se fosse riuscito a dimostrarlo agli Shadowhunters. Aveva cacciato ben presto quel pensiero: se tutti i demoni avessero fatto come lui e deciso di stabilirsi definitivamente sulla Terra, immigrando in massa il muro dimensionale tra i due mondi, già sottile, sarebbe crollato definitivamente sotto l’urto dell’ondata di demoni che l’avrebbe attraversato. Inoltre, se i demoni fossero cambiati… non sarebbero più stati demoni.

Non sarebbe più esistito l’Inferno, e con esso il male, e senza il male la dicotomia che costituiva l’equilibrio del mondo sarebbe collassato, portando il mondo alla rovina. Lilith, poi, non avrebbe certamente apprezzato questo cambiamento drastico nella natura dei propri figli, e sicuramente sarebbe scesa sulla Terra di persona a punirli se avessero mai osato tanto. Oltretutto, contare sulla possibilità di un cambio di prospettiva da parte degli Shadowhunters era improponibile: gli Shadowhunters erano fermi nelle loro regole e nelle loro leggi, e irremovibili nelle loro convinzioni. La vendetta di Lilith sarebbe stata acqua fresca al confronto della furia di cui avrebbero dato prova se qualcuno avesse osato proporre loro un’idea così assurda, se non addirittura inattuabile, come quella di un mondo in cui umani, demoni e Shadowhunters vivevano in pace e armonia tra loro.

« Un giorno all’altro diventerà davvero una bestiolina » .

Una dolce voce interruppe il flusso dei pensieri di Sora, che tornò al presente e si voltò sorridendo verso la donna che prese posto accanto a lui. Karin era diventata sempre più bella nel corso degli anni, o forse era solo lui ad avere quell’impressione. Indossava un kimono celeste con sopra ricamati dei fiori bianchi, e aveva i capelli raccolti in una lunga treccia che le ricadeva sulla spalla.
A Sora non piaceva quando lei raccoglieva i capelli, preferiva quando erano sciolti, e poteva accarezzarglieli facendo scivolare le dita tra quelle ciocche morbide e setose. Karin lo faceva apposta perché sapeva che lui glieli avrebbe sciolti e pettinati con le sue stesse mani, e infatti Sora non mancò al suo impegno neanche stavolta e le sciolse la treccia, accarezzandole dolcemente i capelli. Lei sorrise e appoggiò la testa sulla spalla di lui, che la cinse con il braccio stringendola a sé.

« Voi demoni siete davvero così resistenti alle intemperie o vale solo per i selvaggi come te? » lo prese in giro Karin, guardandolo con dolcezza.

Lui ricambiò con un sorriso e un bacio sulla fronte.

« Non ci ammaliamo come voi umani e non abbiamo le vostre stesse esigenze. Se le assumiamo è solo per mescolarci a voi e non destare sospetti ».

« Ma qui non hai bisogno di nasconderti, no? » sussurrò Karin.

Sora non rispose, mentre le parole dettegli dalla figlia anni prima tornarono a pungolarlo. Certo che avrebbe dovuto continuare a nascondersi, sarebbe stato un disastro se avesse di nuovo perso il controllo e lasciato trapelare la sua aura demoniaca, o peggio, abbracciare di nuovo la propria natura assassina e arrivare a uccidere le sue ragazze; peggio ancora, l’idea di trovarsi ad assistere impotente mentre la sua famiglia veniva uccisa per colpa sua e vedere i Cacciatori strappare le orecchie a Yumi per portarsele via come riprova di aver ucciso una strega.

Sapeva che l’Istituto più vicino distava miglia e miglia da lì e in sette anni non aveva rilevato altra presenza se non quella degli animali del bosco, quindi per il momento si sentiva tranquillo, ma quanto sarebbe durata ancora? Non esisteva il “per sempre” nemmeno per un essere immortale come lui, e nemmeno per i figli di Raziel: un giorno sarebbero arrivati, di questo era assolutamente sicuro.  Non avrebbero certo lasciato un demone a piede libero, appena fossero venuti a sapere della sua esistenza sarebbero giunti in massa e vi avrebbero posto fine. Sora sperava solo di non farsi trovare impreparato, e infatti era costantemente all’erta. Non diede voce alle sue preoccupazioni per non turbare la serenità di Karin, ma la donna non era una stupida, ed era perfettamente consapevole che ogni istante tranquillo passato insieme poteva trasformarsi in qualunque momento nel respiro profondo prima del balzo(1*).

« Cerco solo di trattenermi per te e per Yumi… soprattutto per Yumi… anche se mi rendo conto che è perfettamente inutile. Ancora un po', e arriverà a fare le fusa e a strusciarsi contro le tue gambe, quando vorrà farsi perdonare per qualcosa » disse con un sorrisetto furbo.

Karin scoppiò a ridere.

« Vedrai che prima o poi ci toccherà dare la nostra benedizione a Ryuu, perché stai pur certo che Yumi non si separerà da lui per nessuna ragione al mondo ».

Sora fece una smorfia.

« E’ il suo otouto [fratello minore], non credo arriverà mai a provare un amore di quel genere per lui » disse con noncuranza.

Solo dopo qualche istante di silenzio si accorse del modo perplesso con cui Karin lo stava guardando.

« Karin? »

« Non ti toccherebbe minimamente se arrivasse a innamorarsi di un animale? » .

Il demone sospirò.

« Quel lupo è più che capace di proteggerla, ed è anche affidabile e leale, non importa se ha quattro zampe o non sa parlare » disse allargando le braccia come dire “ che vuoi farci, non è qualcosa che potremo impedire”.

Karin inarcò un sopracciglio e lo guardò finché Sora non sbuffò stizzito.

« Anche tu ti sei innamorata di qualcuno che non appartiene alla tua specie! » esclamò, esasperato.

Karin ridacchiò e gli prese la mano.

« E non me ne pento assolutamente, infatti. Anch’io mi fido ciecamente di Ryuu; mi dispiace solo… che Yumi non potrà avere bambini… »

« Non potrebbe averne in nessuno caso… » sussurrò Sora, stringendo forte la mano della compagna.

Lei si appoggiò contro il suo braccio.

« Perché i figli dell’Angelo riescono a procreare e gli stregoni no? » .

« Non ne ho idea... ».

Karin strinse il braccio del compagno, che mise la mano sulla sua e gliela strinse.  Raziel aveva forse dato pochi doni ai suoi figli, ma loro perlomeno vivevano con la certezza che ogni giorno poteva essere l’ultimo: la Morte per loro era una compagna costante che prima o poi sarebbe venuta a reclamare il suo premio. I figli di Lilith erano immortali, non conoscevano davvero il sollievo di porre fine alle proprie sofferenza sperando nel dolce oblio del sonno eterno.

Erano esseri dannati e avrebbero sofferto in eterno vedendo la gente intorno a sé morire una dopo l’altra, tutto scorrere, mutare, ma non loro, che sarebbero rimasti sempre gli stessi per tutte le ere del mondo. E se gli Shadowhunters fossero stati consapevoli dell’enorme peso che l’immortalità comportava,  non l’avrebbero di certo agognata così tanto.

« Non mi sembra coerente » aggiunse Karin, pensierosa.

« Che gli Shadowhunters possano procreare e gli stregoni no? » chiese Sora.

« No » rispose Karin, scuotendo la testa. « Che i mezzodemoni siano immortali e i mezziangeli invece no. Discendono anche loro da un essere immortale, no? ».

« Non so che dirti, Karin » rispose Sora alzando le spalle. « Non ero presente quando nacquero entrambe le specie, non ho idea del perché le cose al giorno d’oggi vadano in questo modo ».

Karin guardò la neve cadere per terra ed aggiungersi ai cumuli già formatosi.

« Hai mai incontrata la tua Signora? » chiese ancora.

« Lilith? No, mai. E non è la mia Signora: è la madre di tutti noi demoni, da lei discendiamo… ma non sono un suo servo ».

La donna guardò il compagno e si strinse a lui. Sora ricambiò e girò la testa verso di lei.

 « E comunque, » disse Sora, cambiando argomento e spezzando la tensione « Yumi è destinata a diventare una donna bellissima, avere al suo fianco il lupo l’aiuterà a tenere lontano i malintenzionati. Non che ne abbia bisogna, però… quale maschio prestante non cederebbe al suo fascino? ».

Karin assottigliò lo sguardo.

« Non guardarmi così, mi fai sentire in colpa » disse Sora, sorridendo.

Karin scosse la testa.

« Uomo o animale che sia, a me basta solo che lei sia felice. Forse è un po' presto per pensare a queste cose… anche se penso le conosca già… ».

« Non mi stupirebbe » aggiunse Sora, e insieme ridacchiarono.

« Mi sembrerà comunque strano avere un genero peloso che ulula alla luna… o forse mi sembrerà strano che quel genero sia qualcuno che ho visto crescere come se fosse mio figlio… » riprese Karin, facendosi pensierosa.

Sora inarcò un sopracciglio, mentre un sorriso malizioso si delineò sulle sue labbra, e prima che Karin se ne accorgesse la prese in braccio e le leccò la guancia.

« Fermo, che fai, smettila! » esclamò Karin, cercando di allontanarlo ma ridendo fino alle lacrime.

« E perché, scusa? Fai un po' di allenamento per resistere alle effusioni del tuo futuro genero, dovresti essermi grata » rise Sora, baciandole il collo.

Karin riuscì finalmente ad allontanarlo, solo che Sora non era un debole umano e la spinse contro il proprio petto, la cinse con un braccio per non farla scappare e mise l’altro dietro la testa, rapendola in un bacio dolcissimo. Karin finse di respingerlo, ma alla fine circondò il collo del marito con entrambe le braccia. Si staccarono solo quando respirare diventò necessario, restando a guardarsi negli occhi, pieni di tutto l’amore del mondo.

« Non sono il servo di nessuno, Karin, e non permetterò che succeda qualcosa a te e a Yumi. Voi siete la mia vita, non voglio perdervi » sussurrò Sora sulle labbra di lei.

« E io ti seguirei all’Inferno, se necessario » ribadì Karin a sua volta.

« E i demoni scapperebbero terrorizzati di fronte al tuo caratteraccio » la prese in giro Sora.

Karin gli prese il labbro tra i denti e lo morse.

« Va bene, hai ragione, me lo sono meritato » si arrese Sora, leccandosi il labbro.

« Non credere che basti, sai? » lo minacciò Karin.

Il demone sospirò.

« Vuoi delle scuse ufficiali in ginocchio? Se vuoi posso anche mettermi sui sassi aguzzi » disse Sora facendola scendere, ma lei lo bloccò.

« Karin? » disse preoccupato.

Ogni traccia di allegria era svanita dal volto della donna, i suoi occhi ora esprimevano una serietà che intimidiva Sora. Odiava quello sguardo: non si adattava per niente a lei, era come se sostituisse la sua Karin con un’estranea. Non l’assumeva spesso, ma quando lo faceva non presagiva nulla di buono. Era con quello sguardo che lo aveva rimproverato e poi gli si era dichiarata, e questo bastava a mettere Sora in agitazione.

« Non voglio le tue scuse » disse la donna. « Solo una promessa ».

Sora rizzò le orecchie e si fece attento. Karin guardò il proprio grembo, poi gli occhi del marito.

« Qualunque cosa deciderai, se un giorno arriverai a stancarti di me quando sarò vecchia e brutta, o quando non vorrai più avere a che fare con me o con Yumi per qualsiasi motivo, sia perché ci odi, o per proteggerci… voglio che tu mi prometta che me lo dirai, che non sparirai nella notte come un codardo senza lasciarmi alcuna spiegazione, ma che invece me la darai, non importa cosa tu scelga di fare dopo ».

Sora sbatté le palpebre, esterrefatto.

« Tesoro mio… » mormorò, prendendole le mani e guardandola negli occhi.

Si era innamorato di lei ogni giorno di più: al mattino, quando lei si svegliava e gli sorrideva, la riscopriva ogni volta come se fosse la prima. Non si era mai abituato al calore che gli inondava il petto ogni volta che lei rideva o semplicemente lo guardava, non aveva mai data per scontata la sua presenza neanche avendola affianco ogni giorno. E ancora non aveva smesso di stupirsi della gran forza che lei, apparentemente così fragile, possedeva. La rimise a sedere sulla veranda, si alzò in piedi, e prendendole le mani si inginocchiò davanti a lei nella neve.

« Karin » disse serio, guardandola senza vacillare. « Io sono tuo. Il mio corpo, il mio cuore, la mia anima, o quello che è… quello che tu hai generato… sono in mano tua. Io non appartengo al Vuoto, né a Lilith, Nostra Regina e Madre: io appartengo a te, solo a te. Ora, domani, per tutte le epoche avvenire. Non ti abbandonerei mai, e se per un malaugurato caso il destino dovesse allontanarci,  farei di tutto per tornare di nuovo da te. Ma finché mi vorrai con te, non lascerò il tuo fianco ».

Karin strinse forte le mani di lui e iniziò a tremare.

« Non intendevo chiederti tanto… » mormorò.

« Amore mio », disse ancora lui « tu sei tutto per me, e non c’è limite a quello che farei per te se me lo chiedessi. Puoi chiedermi tutto, anche di strapparmi il cuore dal petto e donartelo: lo farei senza esitazioni ».

Lacrime silenziose scesero dalle guance di Karin: amava quel demone come non aveva mai amato nessun’uomo in vita sua, e anche se sapeva bene di essere ricambiata, l’amore profondo di lui nei suoi confronti era una continua scoperta anche dopo tutti quegli anni.

Liberò le mani e si gettò al collo del compagno, facendo cadere entrambi nella neve. Lui la tenne stretta e affondò il viso nei suoi capelli profumati, mentre lei si strinse al suo petto. Non si erano sposati ufficialmente, ma anche se nei matrimoni le persone si univano giurando fedeltà e amore al coniuge finché Morte non fosse sopraggiunta, loro non ci credevano, perché non avrebbero permesso alla morte di recidere il loro legame: si sarebbero appartenuti per sempre.

Uno strillo ruppe il silenzio all’improvviso, e spaventati i due si alzarono in fretta, ma quasi ricaddero sulla neve per il sollievo di essersi preso uno spavento inutile: Ryuu era venuto a trovarli , Yumi gli era corsa incontro e gli aveva gettato le braccia al collo, rotolando nella neve con lui e ridendo di cuore. I suoi genitori guardarono inteneriti la scena, sorridendo mentre Yumi rideva e copriva la testa di Ryuu con la neve, con lui che se la scrollava di dosso colpendo la bambina con quei fiocchi gelidi.
Per ripicca, ad un certo punto Yumi prese della neve e ci fece una palla con cui colpì Ryuu sul muso, e allora lui si mise a rincorrerla per tutto il giardino, con lei che lo prendeva in giro e rideva fino alle lacrime, e quando lui le saltò addosso e l’atterrò, lei continuò a ridere, contagiando anche Sora e Karin.

Avendo visto Ryuu praticamente ogni giorno da quando era un cucciolo era facile non aver notato la sua crescita, per questo, a guardarlo ora, Sora e Karin erano sorpresi di quanto fosse cresciuto. Era diventato molto più grosso e alto di Yumi, e anche se lo conoscevano bene e si fidavano di lui, non potevano evitare di sentirsi in ansia ogni volta che vedevano quel colosso di carne avvicinarsi alla loro bambina.

« Non arriverà mai a trovarsi un branco » disse Sora soprappensiero.

La sua era una constatazione, più che una domanda, perché non c’era bisogno di domandare qualcosa di cui si sapeva già la risposta. Ryuu non avrebbe abbandonato Yumi: era stato lei ad allevarlo, a crescerlo, a insegnarli a vivere. Era lei il suo branco, forse un po' la considerava la sua compagna: le sarebbe appartenuto per sempre. In ogni caso, sia Sora che Karin erano certi che, se mai un giorno Ryuu avesse trovato un branco, Yumi non avrebbe avuto nulla da obiettare, anche se avrebbe sofferto molto.

Karin si girò verso di lui e sorrise dolcemente, ma un rumore di passi nella neve li fece voltare entrambi e si trovarono di fronte Ryuu, che spazzava la neve con la coda, e accanto a lui Yumi, fradicia e con le mani giunte all’altezza del cuore. Karin si chinò ad accarezzare il lupo, che le mise le zampe anteriori sulle ginocchia e le leccò il viso, con Sora che lo guardava con inequivocabile fastidio. Tornò a guardare la figlia, e solo allora si accorse che aveva smesso di ridere e aveva gli occhi lucidi.

« Piccola, cosa c’è? » disse preoccupato.

La bambina tirò su con il naso, allungò le mani verso di lui e le aprì, mostrando una rondine completamente intirizzita.

« O poverina » disse Karin, inginocchiandosi davanti alla figlia e toccando delicatamente l’uccello.

Sora la imitò, ma non osò allungare le mani e toccare quel corpicino inerme. Karin guardò la rondine e chiuse le mani della figlia su quel corpicino, coprendogliele con le proprie

« Non essere triste, Yumi, è ancora viva, e noi possiamo salvarla » disse.

« Davvero? » disse la bimba, illuminandosi.

« Certo » sorrise divertita Karin.

A volte Yumi era così seria che sembrava molto più grande della sua età, tanto che Karin rimaneva piacevolmente sorpresa quando invece si dimostrava per quello che era: una bambina con un cuore grande pieno di amore verso tutto e tutti. Karin ovviamente le voleva molto bene per entrambi i lati del suo carattere, ma provava una preferenza segreta per il suo lato infantile: i bambini, quando sono tristi, vogliono essere coccolati, ed era compito di una madre adempiere a questo dovere finché ai figli non tornava il sorriso. Non le dispiaceva che Yumi fosse molto matura per la sua età, ma le faceva piacere che, nonostante tutto, non fingesse perennemente di essere un’adulta e si ricordasse che sarebbe sempre stata ben accolta tra le braccia della madre per essere consolata e permetterle così di svolgere, ancora per un po', quello che era il suo ruolo nella vita di Yumi.

« Guarda, ora io e te la sfreghiamo con le nostre mani finché non la scaldiamo per bene ».

« Sì! » esclamò la piccola sorridendo.

Anche Karin sorrise, e anche Sora, come ogni volta che vedeva le sue ragazze felici. Yumi sfregò la rondine, e Karin la guidò nei movimenti, finché qualcosa non si mosse tra le mani di Yumi: le aprì e l’uccellino saltò in piedi sul suo palmo, completamente ripreso.

« Ce l’abbiamo fatta, mamma! » disse Yumi felice.

Anche Ryuu saltò nella neve dalla bella notizia, scodinzolando vivamente. Karin rise e abbracciò la figlia.

« Ora però faresti meglio a riportarla nel bosco e trovarle un riparo, è pericoloso per lei volare con questo tempo ».

La piccola annuì obbediente e si incamminò verso gli alberi, con Ryuu che la seguiva trotterellando al suo fianco. Karin sorrise mentre li guardava allontanarsi.

« Non sempre serve avere poteri per fare miracoli, Sora. Sora? ».

Il demone non l’ascoltava, guardava fisso l’ingresso del giardino con un’espressione di puro terrore dipinto sul volto.

« Sora, cosa c’è? » chiese Karin, ma lui la ignorò e corse verso la bambina.

Lei, completamente ignara di tutto, arrivò in prossimità dei primi alberi e lanciò l’uccellino verso l’alto.

« Yumi! » urlò Sora correndole incontro.

« Papà, cosa… » ma proprio in quel momento avvennero tre cose rapidamente: Ryuu si acquattò e prese a ringhiare verso gli alberi, Yumi si voltò terrorizzata verso di lui e l’uccellino che aveva appena salvato cadde con un tonfo nella neve, macchiandola di sangue. Yumi ebbe appena il tempo di accorgersi che qualcosa di sottile e metallico spuntava dal corpicino della rondine che Ryuu saltò tra gli alberi e morse il braccio di un uomo nascostosi in mezzo.

« Lasciami andare, dannata bestiaccia! » urlò, cercando di liberarsi, ma inutilmente: Ryuu lo trascinò a terra e gli saltò al collo, azzannandolo e lasciandolo inerte e sanguinante nella neve, poi saltò indietro, si caricò Yumi sulla groppa e corse verso la casa. Da dietro gli alberi spuntarono altri sei uomini, tutti vestiti di nero, con delle lame scintillanti tra le mani e strani disegni sul corpo.

Yumi si voltò appena per vederli e poi affondò il viso nel manto dell’amico, stringendosi forte alla sua pelliccia. Alla fine erano arrivati, li avevano trovati: gli Shadowhunters, i cacciatori di demoni. Da quel momento in poi, la spensierata vita di Yumi ebbe drasticamente fine.


*Angolo autrice

E alla vigilia del mio compleanno pubblico il secondo capitolo della mia fiction. Spero di non avervi annoiato con tutti questi discorsi filosofici. Detto questo, spero vi sia piaciuto il capitolo; il prossimo sarà intenso e movimentato, anche un po' tragico, ma non ho idea di quando riuscirò a pubblicarlo, perché ho molto da fare. Però è lì pronto per essere trascritto, quindi… Shinpaimuyou, non preoccupatevi. Mata ne, a presto!

Riferimenti:

(1*): frase di Gandalf ne Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re

 
   
 
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