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Autore: kleis87    15/11/2016    5 recensioni
Dopo l'aggressione a Saint Antoine la consapevolezza di Oscar sui suoi sentimenti per Andrè, che come una furia abbattono il muro di freddezza dietro il quale si era nascosta per tanto tempo. Come affronterà tutto quello che ne deriva? Una rivisitazione senza pretese della storia originale.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Attraverso lo specchio, dentro i miei occhi.

I raggi arancioni stendono una coltre dorata sul giardino, tutt’intorno l’aria si riempie di quel senso di impalpabile calma che contrasta e affievolisce, seppure lievemente, il senso di oppressione che sento stringermi il petto. Il velluto rosso della sedia accarezza i piedi nudi che, dopo aver raccolto le ginocchia al mento, sprofondano nel morbido tessuto, rilasciando un piacevole solletichio alla pianta dei piedi. Adoro questa posizione, passerei ore accovacciata su questa sedia rivolta verso la grande vetrata del balcone, a guardare il mondo fuori, lasciando vagare i miei occhi, meravigliosamente incantati, nel cangiare veloce dei colori del giorno in notte. Manca davvero poco al tramonto. Manca davvero poco a domani.

Lascio scivolare un piede lungo la sedia mollemente a penzoloni e tiro indietro la testa. Sento i muscoli del collo in tensione come se fossi pronta ad attaccare da un momento all’altro. Ma il mio nemico è invisibile, il mio nemico è il mio cuore, il mio nemico è il mio coraggio; che nel momento del bisogno si fa beffe di me, mi secca la voce di fronte ai tuoi occhi, mi smorza il respiro e cedo. Non riesco a parlare, ho perduto così tanto tempo fa l’Oscar bambina e spontanea che ho paura di non riuscire a ritrovarla mai più. Ma non posso perdere tempo, devo fare breccia dentro me stessa altrimenti io…

No, non voglio nemmeno pensarci. Un lieve bussare mi ridesta riportandomi prepotentemente alla realtà. Balzo in piedi come scottata, il contatto con il freddo marmo lascia lievi brividi alle mie caviglie che risalgono veloci attraversandomi la spina dorsale.

“André…”

Che pensiero ardito e speranzoso il mio, sei venuto a salvami amore mio?

“Avanti!”

Lo sconforto deve essere palese sul mio viso perché il sorriso di Nanny si spegne non appena posa il suo sguardo su di me. Non capisco come riesca a stare in piedi con tutta quella stoffa che ha tra le mani. Un gemito di frustrazione mi esce dalle labbra. Non sta succedendo tutto davvero… non di nuovo!

“Nanny, ti prego porta pure tutto via; non vedo la necessità di questa …”

Non so come definirlo mentre muovo le braccia indicando quel groviglio di tulle e sete.

“Questo!”  Concludo sconfortata, riportando teatralmente le braccia lungo i fianchi, sconfitta.

Per un attimo ho paura quando incrocio lo sguardo della nonna, è quasi furente, con una determinazione che farebbe invidia a qualunque Generale militare.

“Madamigella, le vostre intenzioni sono ben chiare… ma…. Questi sono ordini di VOSTRO padre ed io… vestirò la mia bambina come si confà ad una dama finalmente, proprio come il vostro rinsavito padre ha ordinato! “

Se qualcun altro osasse parlami con questo tono lo infilzerei senza pensarci due volte, ma la nonna ha un’ascendente straordinario su di me per cui non riesco a fare altro se non distogliere lo sguardo indispettita.

Noto che la porta è rimasta aperta e non faccio in tempo a chiedere perché che una cameriera fa capolino nella stanza con forse anche più stoffa di quanta ne ha Nanny. La riconosco: è Adeline, la ragazza dei fiori. Incrocia il mio sguardo, nel trasalire quasi lascia cadere la stoffa bianca che ha tra le mani e si lascia andare in un veloce inchino per poi girarsi, chiudere la porta e dirigersi celermente verso Nanny.

Mi giro nei confronti della tata con sguardo se possibile ancora più arrabbiato. A quanto pare per mettere in scena questa pagliacciata un paio di braccia non sono sufficienti, c’è bisogno dei rinforzi! Mi chiedo quando finirà questa tortura.

Entrambe si affaccendano intorno allo sgabello sul quale, da quanto ho capito, dovrò salirci io per prendere le misure di questo stupido abito.

“Madamigella vi prego… spogliatevi e salite, inizieremo con il prendere le misure della lunghezza …Adeline prendi il corsetto ed aiuta madamigella ad indossarlo!”

Trapasso Nanny con gli occhi, il corsetto no! Quel terribile strumento di tortura, preferirei mille scazzottate in taverna piuttosto che indossare quell’aggeggio infernale.

“Ti prego almeno quello risparmiamelo! Non vedo perché dovrei assottigliare ulteriormente la mia vita visto che, da quanto tu stessa affermi, sono anche fin troppo magra!”

La nonna mi guarda come se avessi detto un’assurdità e mi risponde con il tono dell’ovvietà accondiscendente che si usa con un bambino che sta imparando l’alfabeto.

“Il corsetto non è utilizzato dalle fanciulle solo per stringere la vita, ma per valorizzare il decolté e per evitare che esso sia mostrato in seguito a qualche movimento durante un ballo. Non potete assolutamente esimervi dall’indossarlo, sarebbe alquanto sconveniente!”

Alquanto sconveniente. Certo. Per anni ho vissuto fianco a fianco con André passando anche molteplici notti fuori, mai che nessuno si sia posto la domanda se potesse essere sconveniente o no, e adesso improvvisamente devo indossare una bugigattolo infernale, rischiando di soffocare altrimenti ho il rischio di creare qualche scandalo. Assurdo.

Ennesimo gesto di frustrazione, slaccio la camicia ai polsi e poi al collo e mi lascio scivolare la camicia oltre la testa. Lo stomaco mi si contrae. C’è l’odore di André sopra, la trattengo per un momento al volto lasciando che il suo odore mi attraversi, è come se lui fosse qui, quanto vorrei essere su quella torre ancora con te, e respirare il tuo profumo per sempre…

Devo aver indugiato un po’ troppo perché una voce alle mie spalle mi ridesta da questo mio dolcissimo torpore.

“Madamigella permettete...”

Il tono di Adeline è sottomesso e titubante.

Non le rispondo, alzo le braccia e lascio che mi posizioni il corpetto. Stringo la camicia tra le dita mentre appoggio la mano alla spalliera della sedia e aspetto pazientemente che la cameriera stringa tutti i lacci.

Uno, due, tre, duecento…. Ogni laccio una tortura, ogni stretta è un gemito trattenuto. Come fanno le altre donne a sopportare questo tutti i santissimi giorni? Mi vorresti così André? Civettuola, con i seni in belli in vista e lo sguardo celato tra i sussurri di un ventaglio?

O no ... tu no. Tu mi ami per quella che sono. Questo lo … l’ho sempre saputo…

“Ho fatto madamigella… “

“Ti ringrazio Adeline”

La vedo trasalire. Non mi sfugge il suo impercettibile segno di sconcerto sul viso, non sono mai stata amichevole con le cameriere, ma nemmeno sgarbata.

“Bene, venite bambina fatevi infilare il vestito e salite sullo sgabello ora per favore.”

Nanny mi fa segno di avvicinarmi a lei, ma sembra più una minaccia che un invito.

La seta leggera mi scivola sulla pelle, infilo le maniche e osservo l’abito da su in giù. Infondo non è male, è di leggerissima seta azzurra con maniche a tre quarti. La gonna è liscia e il corpetto è impreziosito da un leggero ricamo di perline a tono con l’abito. Ci passo una mano sopra quasi incantata. È così delicato. Nanny ha superato se stessa, devo ammetterlo.

“Madamigella, vi prego salite, fate attenzione a non inciampare, l’abito è ancora lungo e deve essere adattato.”

Faccio passare delicatamente le mani sulla seta liscia della gonna, la stringo tra le dita alzandola, e salgo con passo sicuro sullo sgabello.

Un silenzio irreale cala nella stanza, entrambe le donne si affaccendano intorno con spilli e fili per il cucito quando ad un certo punto un rumore di qualcosa di pesante che cade ci fa trasalire. Viene dal piano di sotto. Nanny deve aver dato disposizione agli altri di iniziare a spostare i mobili per il ricevimento di domani. Mi volto impercettibilmente verso di lei e la conosco troppo bene per non scorgere i primi segni di impazienza sul suo volto, evidentemente qualche cosa la disturba, è palese che non si fida di loro e vorrebbe scendere da basso a bacchettare questo o quell’altro povero malcapitato.

Quasi scoppio a ridere quando il rumore di qualcosa che si infrange la fa cedere definitamente.

“Oh Buon Dio! Cosa avranno mai combinato quelle scansafatiche! “

André la imita alla perfezione quando fa così.

“Nanny non darti pena, si sarà trattato sicuramente di qualche incidente non preoccuparti!”

Le sorrido nel modo più dolce che mi riesce, ma quel minimo di margine di tranquillità che le avevo infuso viene definitamente spezzato dal rinnovare cadere di cocci. Probabilmente qualche pregiato servizio di piatti.

La nonna lascia andare definitivamente l’orlo del mio abito passando ago e quant’altro alla cameriera, quasi pungendola poverina.

“Inetti! Perdonate Madamigella, torno subito, a quanto pare si richiede la mia presenza anche per spostare un semplicissimo servizio! Adeline continua tu a prendere l’orlo a Madamigella!”

Se ne va via puntando i piedi a terra e lo sguardo furente. Povere ragazze. Non vorrei davvero essere al loro posto.  Mi sfugge un lieve sorriso e abbasso lo sguardo. Adeline è concentrata nel prendere sapientemente l’orlo. È sempre stata innamorata di te. Ogni volta che le passavi semplicemente accanto lei arrossiva, ma solo ora capisco che mi accorgevo di questi particolari perché ne ero profondamente gelosa. Da quanto tempo ti amo André? Forse … forse è un sentimento così radicato dentro di me da non avere inizio, così come non ha fine. L’amore fraterno per quel bambino dal sorriso dolce si è semplicemente trasformato nell’amore di una donna per il suo uomo. Mai per Fersen ho provato un simile trasporto. Il mio era un mero capriccio in confronto alla vastità di questo sentimento mio per te...

“Ahia!”

Ritraggo automaticamente il piedi su cui Adeline mi ha sbadatamente punto.

La vedo indietreggiare spaventata.

“Mio Dio Madamigella, vi prego di perdonarmi io…. Io non volevo…. “

La guardo sconcertata, non capisco davvero il perché di questa reazione oltremodo esagerata.

Si avvicina al tavolo dove prende un fazzoletto e lo intinge nella brocca dell’acqua per poi tornare a tamponare l’invisibile puntino di sangue passando convulsamente il fazzoletto su una ferita, praticamente immaginaria.

“Adeline suvvia, non esagerare, dopotutto sono un soldato, credi davvero che possa spaventarmi la puntura di uno spillo quando maneggio spade ed armi da fuoco praticamente da tutta la vita? “

La guardo dall’alto e le sorrido e lei mi rivolge uno sguardo tremolante, sull’orlo delle lacrime; che non riesce più a trattenere e si lascia andare in pianto disperato nascondendo il viso tra le mani.

Davvero non capisco cosa succede. Scendo dallo sgabello e provo a scostarle le mani dal volto, forse teme le ire di Nanny. Non vedo altri motivi per questo pianto.

“Adeline ti prego di calmarti, la tua reazione è esagerata ti assicuro che non mi hai arrecato alcun male , se la cosa ti mette a disagio non vedo nemmeno motivo di dirlo a Nanny ; ma ora ti prego di calmarti! “

Le dico nel tono più convincente che conosco ma i singhiozzi riempiono l’aria, sto seriamente perdendo la pazienza.

“Io…. Madamigella … dovete scusarmi, scusatemi vi prego…!”

“Non ne vedo motivo, ma se la cosa può farti stare meglio … sei perdonata! Ora smetti di piangere che se adesso non ne hai ragione se torna Nanny te ne darà di certo uno!” il mio tono è freddo e sbrigativo. Sono un comandante, dopotutto.

“Madamigella …” si asciuga gli occhi e facendo un profondo respiro mi guarda negli occhi. La disperazione è sparita dal suo sguardo, facendo posto ad una profonda determinazione. Occhi neri, intensi; quasi quanto i tuoi.

“Io non vi ho mai ringraziata, anzi… ho dimenticato ciò che non dovevo dimenticare. Mi avete salvato la vita ed io che avrei dovuto esservi riconoscente come vi ho ripagato? Con l’ingratitudine. È questo ciò che non riesco a perdonarmi. “

Ora inizio a comprendere a cosa si riferisce, il mio sguardo la oltrepassa, perdendosi tra le foglie del giardino lambite dal vento.

 

“Oscar accidenti a te! Corri che se quei tipi ci prendono ce le suonano di santa ragione! “

La tua voce è cristallina, la sento sgorgare da dietro le spalle, quasi come se partisse dal centro del mio essere.

“Da quanto sei diventato così mollaccione André? “Non posso trattenere il riso, quasi soffoco tra il fiatone, le risate e la puzza infernale di questa stalla. Ma da quanto tempo non la puliscono?

“Pensa quanto correvi, per paura di un paio di pugni!” non posso fare a meno di prenderti in giro mentre ritorni dall’esserti affacciato dalle stalle per controllare la strada.

“Più che dei pugni dei loschi individui ho paura del mestolo di mia nonna! Da quello non si fugge dannazione! Come fa ad essere così forte non lo so! Se solo mi permettessi di portarti a casa con qualche livido penso che potrebbe pestarmi a morte con il mattarello!”

Ricomincio a ridere più forte di prima di fronte alla faccia realmente spaventata del mio caro amico d’infanzia. Ma all’improvviso qualcosa mi smorza il respiro, alzo la mano intimando André di fare immediatamente silenzio. È come un mugolio sconnesso, un gemito soffocato. Proviene da uno dei box infondo alla stalla, quello celato dalla più totale oscurità. Mi avvicino, più silenziosa di un gatto sulla neve. Mi sporgo leggermente facendo scricchiolare le assi di legno nel buio e quello che vedo mi sconcerta. Una ragazzina, di non più di dieci o forse undici anni, rannicchiata su stessa, logora di stracci che si sforza di non tremare tra la paglia ammucchiata in un angolo. Apro lentamente la porta, mi avvicino alla ragazzina e mi lascio scivolare per sedermi accanto a lei, ignorando lo sterco e la puzza che, inevitabilmente, ne proviene.

“Ciao, io mi chiamo Oscar, e quello lì è il mio amico André.” Facci indicando nella tua direzione

“.. Tu invece come ti chiami?”

“A…adeline “la sua voce è un flebile sussurro, vinto dalla fame, dal freddo e probabilmente dalla paura.

“Cosa ci fai qui tutta sola? Ti sei forse persa? Sai io sarò un soldato tra poco, con me puoi confidarti, posso riportati a casa se vuoi...”

Ma le mie parole invece di infonderle sicurezza e calma la spaventano, se possibile, ancora di più.

“No! No monsieur vi prego no! Lui, quell’uomo mi vorrà … mio padre mi obbligherà io non voglio, non voglio!!! Mi dispiace così tanto per il denaro, io lavorerò e darò io quel denaro a mio padre ma vi prego... non riportatemi li… vi prego!”

Un colpo di spada mi farebbe meno male di tutta questa disperazione, come può una ragazzina di poco più piccola di me, provare già tutta questa disperazione? Le sorrido.

“Vieni, ti aiuto ad alzarti non avere paura, nessuno ti farà del male mai più!”

Ma come le prendo la mano mi sviene tra le braccia, vinta dagli stenti.

“André aiutami a caricarla sul cavallo.”

André se ne fa carico, senza proferire parola, pronto a caricarla su Alexander.

“No André aspetta, la porto io, carichiamola su Cesar “. Il suo sguardo mi trapassa l’anima, devo distogliere gli occhi dai suoi per non sentirmi nuda, sono sempre stata un libro aperto per André…

Mi porto istintivamente la mano alla guancia sinistra, il ricordo dello schiaffo di mio padre per quella che lui chiamò “leggerezza”, mi brucia ancora. Non mi pentii allora della mia scelta, e continuo a non farlo oggi; anche se mi rendo conto, che la simpatia di questa donna nei confronti di André, possa aver alimentato un giudizio tutt’altro che positivo nei miei riguardi. Nonostante questo, non riesco ad odiarla, non riesco a condannarla; tutt’al più la comprendo. In questi anni non sono stata di certo un modello di irreprensibile bontà nei tuoi confronti amore mio.

 “Ascolta Adeline, capisco perfettamente a cosa ti riferisci. E ti assicuro che non devi preoccuparti. Hai lavorato onestamente e duramente in questa famiglia, essendole devota e portando un piacevole ristoro nei fiori che quotidianamente distribuisci nelle stanze. Va bene così credimi. Non hai nulla da che rimproverarti. “

“Grazie davvero Madamigella, io non sarò mai abbastanza riconoscente e farei qualsiasi cosa per sdebitarmi con voi...”

Prendo impercettibilmente le mani di questa donna tra le mie. Non siamo più padrona e serva, siamo  semplicemente due donne. Le sorrido e giro il volto incontrando il mio riflesso nello specchio. Quello che vedo mi spiazza. Lo specchio mi ridona una Oscar fragile e consapevole di volere l’amore di un uomo. Del mio uomo. Le luci della sera si fanno spazio tra le tende accostate; finalmente sorrido. Ora so quello che devo fare.

“Adeline, io credo… si! C’è qualcosa che puoi…. Qualcosa che devi fare per me!”

 

 

 

  
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